16. NEBBIA E SOCIAL MEDIA MANAGING
Milano è fatta per essere vista con la nebbia.
Vero, anche col sole può risultare bella, ma non le si addice. E' un po' come un sorriso sguaiato che appaia sul viso melanconico di un' elegante dama dell'ottocento. Stona.
Con la nebbia invece, sembrava che la città non fosse stata costruita da mente e mani umane, assomigliava piuttosto a un organismo ancestrale, che fosse emerso dalle viscere della terra all'alba dei tempi. I palazzi perdevano nell'indefinitezza la loro aria severa, la coltre ne ingentiliva l'austerità dei dettagli geometrici, donando alle vie un'aria di misteriosa dolcezza, con le ombre dei fronti che spuntavano a vegliare sul nostro cammino, come madri amorevoli.
Incantati arrivammo al duomo. La cattedrale si esibiva in un' ulteriore declinazione di quell' aura magica. La facciata era privata della sua imponente interezza dalla foschia, che lasciava visibili solo lacerti sparsi di guglie traforate. Ero soggiogata dalla grazia di quella foresta di merletti di pietra, che sorgeva sulla vetta di un monte fatto di storia millenaria, celata, per un attimo dimenticata.
Passammo la giornata a vagare senza meta in quella dimensione, graziata dallo spazio e dal tempo, che è il luogo dove due anime un poco alla volta si conoscono.
Finché l'impalcatura che portavano in giro la mia, di anima paga, mi avvisò che se non le avessi concesso tregua dal freddo, entro breve sarebbe cominciata a saltarmi via qualche falange. Ci rifugiammo in un bar per una cioccolata fumante. Fui dispiaciuta dal fatto che non condividesse il mio entusiasmo.
Dopo l'ennesima occhiata che lanciava al cellulare non riuscii a trattenermi.
-Stai sempre il telefono- Constatai con tono piatto.
-Vero- Rispose senza fare una piega.
-Perché.
-Perché qui dentro ci sono le mie storie- Rispose brusco.
Lo capivo, ma non era per questo meno frustrante constatare la sua assenza a intervalli regolari.
Era strano, io che per il mio lavoro mi servivo mezzi come portatile e programmi da disegno, che variavano molto e continuamente, non ero minimamente interessata dalla tecnologia, che impiegavo solo nella misura della necessità.
Lui invece, che si raccontava al mondo con uno strumento uguale a se stesso da secoli, era quasi ossessionato da qualsiasi nuovo tipo di dispositivo e tutte le infinite possibilità date dal mondo di software e applicazioni ad esso collegato. Se questo da un lato gli aveva creato una specie di dipendenza, dall'altro era stata la sua fortuna. La sua grande disinvoltura nel muoversi all'interno di quell'abisso tecnologico e telematico gli aveva permesso di far notare il suo talento al mondo. Grazie alla rete si era fatto conoscere. Grazie alla rete, in fondo, l'avevo ritrovato.
Ma non era solo questo. Gettandosi nella mischia del web aveva potuto attingere a piene mani dalle vite a cui lui a sua volta aveva offerto un pezzo della sua, e questo era stato fondamentale per la sua musica.
Lo capivo certo, e capivo che non poter in alcun modo mettermi in competizione con quell' universo che lo chiamava costantemente a gran voce, perché sapevo benissimo che avrei perso. Cercavo dunque di entrare a farne parte, con la sensazione però, di rincorrere inutilmente qualcosa di più veloce di me.
Così mi sentivo spesso quando stavo con Aydin: nel mezzo di una maratona infinita, a rincorrere un traguardo che era davanti a me ma non si lasciava raggiungere, rifiutava il mio sforzo e si poneva ogni volta un po'più avanti. Sapevo di non potevo reggere per molto quel ritmo agonistico, ma tempo dopo, guardando alle mi spalle, fui grata per la strada che avevo fatto, con le mie forze certo, ma grazie a lui.
Quando tornai a casa quella sera, intirizzita e, nonostante tutto, felice, mi sembrava di aver vissuto due mesi in due giorni. Trovai la mia coinquilina che mi faceva la posta, vista la mia assenza della notte precedente. Accettai di buon grado la sua curiosità, perché comunque, in barba a social media, cellulari, casi mediatici self branding, conference call e tutto il resto, vivere qualcosa di assolutamente fuori dall'ordinario e poterlo raccontare di persona a un'amica davanti a una tazza di tè, era, e sarebbe sempre stato, il modo migliore per viverlo un po' di più.
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