Capitolo XV
« Benvenuti al Jurassic Park. »
« Io direi più "benvenuti all'inferno", ma non tutti possono essere sceneggiatori, vero? »
Ridacchiai nel sentire il commento di Bea, il volto contratto in un'espressione di delusione nei confronti di Hammond.
Me ne stavo seduta su una comoda poltroncina accanto al letto d'ospedale, le gambe appoggiate sul materasso accanto alle ginocchia di Bea, intenta a gustarmi quella maratona di Jurassic Park. Era da poco passata l'una del pomeriggio ed entrambe ce ne stavamo con una ciotola di popcorn al caramello in grembo a commentare ogni cazzata che facevano i protagonisti del film.
Quella mattina, dopo una buona colazione in un bistrot francese decisamente troppo caro per le mie tasche, Christopher e io eravamo passati a casa mia perché potessi cambiarmi e indossare quindi degli abiti più civili e della mia taglia. Dopodiché avevo cucinato i popcorn al caramello e dei muffin al cioccolato bianco, inutile dire che mentre io facevo tutto ciò, Christopher si era dileguato per poi tornare a prendermi, scortarmi all'ospedale e vedermi sparire nello studio della ginecologa con cui avevo appuntamento.
Abituata com'ero ad avere il mio medico personale in casa non avevo mai avuto bisogno di andare all'ospedale, né tantomeno da un ginecologo, mia madre si era presa cura di me in ogni modo, fin dal parto nel suo laboratorio dopo che tutti erano andati via. Mi era quindi sembrato a dir poco strano quando mi ero stesa sul lettino a gambe vergognosamente aperte affinché la dottoressa Lisa Sattler, stimata ginecologa e donna tutta d'un pezzo, potesse visitarmi. Fortunatamente, mi aveva fatto poche e concise domande riguardo ai miei rapporti sessuali, altrimenti sarei morta di vergogna davanti ai suoi occhi.
Ingollai un paio di popcorn mentre mi sistemavo il plaid sulle spalle. Non faceva propriamente freddo all'interno della stanza, ma avevo portato delle coperte per ricreare un ambiente più confortevole e familiare. Insomma, Bea sarebbe stata dimessa solo terminata la fisioterapia. Nonostante avesse già iniziato ad andare in palestra, non era ancora del tutto in grado di rimettersi in piedi. Sotto le coperte potevo vedere la sua gamba fasciata dal tutore, rigida come un pezzo di legno. Molte volte mi ero domandata cosa sarebbe successo se non avessi chiesto a Christopher di aiutarla, con tutta probabilità in questo momento starei guardando una depressione delle coperte che si appoggiavano al materasso.
Scossi il capo per scacciare quella visione, avevo offerto il mio corpo per amore di Bea, ma alla fine non potevo dire di averlo davvero sacrificato.
Appoggiai il gomito sul materasso. « Io continuo a non capire perché se una persona - il maggiore esperto di dinosauri che tu possa trovare nel giro di chilometri - ti dice di stare fermo perché effettivamente il Tirannosauro ti vede solo se ti muovi, tu ti muovi?! »
Bea scosse il capo, divertita. « C'è anche il fattore panico, Lia, presumendo che tu ti trovi davanti a un bestione del genere, riusciresti a stare ferma? »
« Beh, se non sei abbastanza intelligente per ascoltare l'esperto di dinosauri, allora sei abbastanza stupido per farti mangiare e fottertene altamente del principio di sopravvivenza. » Feci spallucce e mi guadagnai un'occhiata scettica.
« Wow, da quando usi questo genere di paroloni? Non ti facevo così sboccata, » disse con malizia ammiccando, gli occhi illuminati da una scintilla che non riuscii a identificare. « C'entra forse qualcosa questo Chris? »
« Christopher non c'entra affatto... » Avvampai, avevo parlato senza pensare, lasciandomi sfuggire anche troppo, per quanto poteva sembrare una frase irrilevante, per Bea contava eccome. « Bea, io... »
« Non ci poso credere! » esclamò, e sapevo che sarebbe saltata in piedi sul letto se solo avesse potuto farlo. « Hai un fidanzato! »
Sgranai gli occhi, incredula dalla conclusione che aveva tratto, anche se date le poche informazioni di cui era in possesso quella era anche l'unica plausibile. Scossi il capo. « No, lui non è il mio fidanzato, non è... nulla del genere, » farfugliai aggrottando la fronte, non ero sicura di cosa fosse per me Christopher, in realtà. Abbassai lo sguardo sulla ciotola di popcorn, un nodo mi aveva aggrovigliato le budella e sembrava non aver intenzione di sciogliersi.
« Oh, mio Dio! Ci sei andata a letto! Lia! » Bea si allungò a mettere in pausa il film, gli occhi a dir poco sgranati in un misto di malizia e preoccupazione, ma non sapevo esattamente quale delle due prevalesse. « Sei stata attenta, vero? E lui? Ti ha trattata bene? Raccontami tutto, » ordinò perentoria, pronta a rimettersi a mangiare popcorn nell'ascoltare la mia storia.
Chiusi gli occhi, prendendo tempo. Dovevo parlarle di quella stramaledetta notte? Oppure dovevo dirle ciò che voleva sentirsi dire? No, non sarebbe stato giusto, le dovevo molto, e le dovevo soprattutto la verità.
« L'ho conosciuto quella notte, la notte della festa, » iniziai, le dita delle mani si torturavano fra loro, incapaci di stare ferme, « io non ricordo nulla di quello che è successo, so solo che lo abbiamo fatto... E il giorno dopo, beh, mi hai vista. » Abbassai lo sguardo, sentivo le lacrime pizzicarmi gli occhi, insistenti, ma non volevo per nulla al mondo ricambiare l'occhiata di disapprovazione che sapevo animava il volto della mia migliore amica.
« Dahlia, dimmi che non è vero, dimmi che non stai uscendo con quella bestia schifosa che ti ha praticamente violentata! » Sapevo, senza aver bisogno di guardarla, come appariva Bea in quel momento: il viso arrossato sotto l'abbronzatura, gli occhi sgranati per l'orrido stupore, il labbro superiore arricciato che la faceva assomigliare a un cobra sputatore, gli insulti erano il suo veleno.
Strinsi le palpebre, mi ero aspettata quella sua sfuriata, non avrei mai potuto pensare che avrebbe capito, quello no, lei teneva a me, e pensarmi in mano a Christopher la faceva soffrire. Io, nella sua stessa posizione, mi sarei presa a schiaffi e avrei usato le stesse sue parole.
« Non agitarti, » dissi facendo per appoggiarle una mano sul braccio ma cambiando idea prima che le mie dita potessero sfiorarla, non volevo che si ritraesse sotto il mio tocco, sarebbe stato troppo anche per me. Inspirai a fondo, scostandomi poi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. « Lui non mi ha violentata, è stato un rapporto consensuale. »
« Ma che cazzo stai dicendo? Non ti ricordi una fottuta sega di quella notte! »
« Appunto, ma io mi fido di lui. »
Gli occhi di Bea sembravano due fiamme talmente alimentate dall'ira che avevo paura avrebbe mandato addirittura a fuoco l'intero ospedale. « Ti fidi di lui? Lia, ti rendi conto di cosa stai dicendo? »
« Sì, » replicai asciutta, « mi ha dato la sua parola, e so di potermi fidare di lui. » Dovevo fidarmi, altrimenti non sarei riuscita a portare a termine la mia parte dell'accordo. Sorrisi ripensando al patto che avevamo sigillato - e anche al modo in cui l'avevamo fatto - e sperai che anche Bea potesse capire che l'unica cosa che volevo era la felicità di Christopher. Un altro ostacolo consisteva nella fortuna di lui, e pregai con tutta me stessa che Bea non mi ritenesse capace di abbassarmi a vendere il mio corpo per soldi.
« Dio, ti ha fatto il lavaggio del cervello! » esclamò incredula passandosi una mano fra i capelli, disfacendo quasi del tutto la treccia bionda. Scostò la ciotola di popcorn e spinse via le coperte, facendo del suo meglio per scendere dal letto. Imprecai a mezza voce e mi allungai verso di lei afferrandole il braccio, artigliandola come ad ammonirla. « Lasciami andare, Dahlia, o giuro che mi metto a urlare! »
« Lo stai già facendo, esibizionista che non sei altro! Siediti e ascoltami, » le ordinai ma, vedendo che non accennava a rimettersi giù, appoggiai alla bell'e meglio i popcorn sul comodino e salii sul letto cercando di non urtarle la gamba inferma. Misi le ginocchia ai lati dei suoi fianchi e l'afferrai per le spalle, costringendola contro i cuscini. « Ho deciso io di dargli una possibilità, Bea, hai visto quanto ho sofferto e sono certa che non capisci il perché delle mie azioni, ma... » mi si incrinò la voce al ricordo di quando avevo barattato il mio corpo per la sua salute, « ma ora non saresti qui, senza il suo aiuto. »
Le confessai tutto, senza perdermi nulla che fosse anche minimamente importante. Le raccontai di quando mi ero svegliata nel suo appartamento e di come avesse tentato di sedurmi nuovamente - e di come ci fosse più o meno riuscito - al ristorante giapponese, ma anche di come si era preso cura di me dopo la sbronza, e dopo ancora, quando avevo ricevuto la notizia del suo incidente. Sentii una lacrima di vergogna rigarmi il volto quando le svelai cosa avevo promesso a Christopher in cambio del suo intervento e di come lui avesse rifiutato solo per portarmi a letto - con il mio consenso, sottolineai - quello stesso pomeriggio e sparire subito dopo.
« Che gran figlio di put... Sì, scusa, continua. »
Mi ero ora sistemata meglio sul letto accanto a lei, girata sul fianco e con il braccio appoggiato ai cuscini. « La notte del temporale si è presentato alla mia porta chiedendo asilo, Sherry ha fatto la guardia alla mia camera, tranquilla. L'ho rivisto lo stesso giorno al negozio di scarpe, a dire il vero non mi sarei mai aspettata di trovarlo lì, soprattutto non con sua sorella, ma per fortuna è finito tutto velocemente, indolore, non mi aveva seguita, anzi, era forse più sorpreso di me di trovarmi lì. » Sorrisi vagamente al ricordo. « E poi l'ho rivisto la sera dell'Homecoming, dopo la telefonata da Sacramento. Come ben sai sono una stupida e non mi è venuto in mente di chiamare un taxi, oltretutto avevo anche bisogno di schiarirmi le idee. Poi però ha iniziato a piovere e io mi sono messa a correre, sai, per seguire il filo della stupidità. »
Bea mi guardò divertita, il mio racconto sembrava averla portata sull'orlo delle risa. « Concordo, in quanto a stupidità non ti batte nessuno. »
Le tirai un lieve pugno sulla spalla. « Che bell'amica che ho, grazie tante, » ribattei piccata, « sta di fatto che mi ha seguita in macchina - era a una cena alla Parker&Brown - mi ha presa in braccio e mi ha sistemata sul sedile in pelle della sua Ferrari bianca. »
Bea emise un fischio d'ammirazione. « Ah però, ricco e stronzo, il giusto protagonista di un romanzo rosa, » commentò sogghignando. Dovevano essere i farmaci a farle avere quegli sbalzi d'umore, non era possibile che passasse dall'essere incazzata come una iena a ridere delle mie disavventure.
Avrei voluto pizzicarle il fianco come facevo sempre quando mi faceva esasperare, ma non lo feci, e per questo doveva ringraziare solo le sue costole malandate. « Questo ci riporta a ieri, quando mi sono svegliata nel suo letto - no, Bea, non abbiamo fatto sesso, smettila di pensare a quella cosa, sei quasi peggio di lui! » affermai rossa in volto, in effetti non avevamo fatto sesso quella notte, semmai il pomeriggio successivo, ma non glielo dissi, o mi avrebbe chiesto dettagli che non ero disposta a darle.
Fece schioccare la lingua. « D'accordo, ma non mi berrò la storia che sei una casta e pura diciassettenne! » mi punzecchiò afferrando una manciata di popcorn e portandoseli alla bocca. « Ma dimmi un po', lui chi è? Non mi hai ancora detto il suo nome, la sua data di nascita, professione, insomma, le cose fondamentali che una ragazza deve sapere. »
Mi mordicchiai il labbro, ora sarebbe arrivata la parte difficile da spiegare - forse non tanto più difficile di motivare il mio pseudo rapporto con Christopher, ma comunque complicata. « Diciamo che forse ne sai più tu di me, io non bado molto ai gossip, » ammisi riluttante, evitando il suo sguardo confuso e indagatore.
« Lia, smettila di balbettare e dimmi il suo cognome! Insomma, non potrà mica essere chissà chi, no? Vediamo un po', di persone importanti che hanno nome Christopher ci sono Chace Crawford, Kit Harington, Chris Pratt... Chris Conte, ma non credo. Oh, insomma, vuoi dirmi chi diamine è? Non è uno di quelli elencati, vero? No, lo avrei letto su quei giornaletti di gossip che Elias mi porta ogni giorno. Sai che mi porta anche la colazione? Con tanto di fiori freschi. Ah, bando alle ciance: chi è? »
« Carter, » soffiai fuori non appena ebbe finito il suo sproloquio.
Il suo viso passò dal divertito allo sgomento, poi all'incredulo per arrivare infine alla negazione. Inspirò ed espirò più volte, aveva puntato in alto, ma in fondo pensava di sapere che non sarebbe stato qualcuno di così importante. « Tu... vuoi dire che tu... il tipo che ha dieci filiali della sua azienda? L'azienda edile che ha fondato ancor prima di laurearsi in architettura? E che è a dir poco donnaiolo, per non parlare del fatto che tutte le sue donne sono diventate, uh, parte dell'élite di Los Angeles? Lo sai che alcune di loro hanno anche fama internazionale? Lia... non voglio credere che tu... » mi scrutò guardinga, « non ci sei andata a letto per soldi, vero? »
Per quanto sapessi che non avrei potuto impedirle di pensarla a quel modo di primo impatto, avevo sperato che non lo facesse. Scossi il capo. « No, Bea, anche se per lui sarebbe molto più facile se fosse così. » Mi persi con lo sguardo fisso sul copriletto, giocherellando con il plaid che avevo messo addosso a Bea. « Voleva fare di me una delle sue ex conquiste, mettermi su un piedistallo e tutto il resto... Tu mi conosci bene, non avrei mai potuto farlo, Bea, e infatti non lo farò, è solo molto più complicato di quanto possa sembrare. »
« Vuoi dire che tu stai con lui per il sesso? » azzardò mordendosi il labbro inferiore, le sopracciglia bionde aggrottate dalla perplessità.
« No, ma che ti salta in mente? » sbottai assottigliando appena le palpebre. « Te l'ho detto, è molto più complicato. Lui... non ha una grande affinità con le donne. » Ora le sue sopracciglia sfioravano quasi l'attaccatura dei capelli. « Non in quel senso, sul piano fisico è molto, uh, affine con il corpo femminile. Ciò che intendo io è che non ama le donne, ha il pensiero fisso che queste non siano altro che opportuniste e io... »
« E tu hai intenzione di fargli cambiare idea, » concluse per me, scuotendo il capo. « Ma ti rendi conto che ti ha lasciato dei lividi sulla pelle, Lia? Sappiamo entrambe che non sai accontentarti di una storia puramente sessuale, tu sogni l'amore e tutto il resto, perché abbassarti a questo livello? »
Strinsi la collana di Christopher fra le dita, la fonte di speranza dalla quale oramai sembrava impossibile separarmi. « Perché spero che cambi idea, » confessai con un filo di voce.
Udii Bea sospirare pesantemente. « Lia, non siamo in un film, » protestò appoggiando la mano sulla mia, « non credi di chiedere troppo a te stessa? Rinunciare a ciò che credi per che cosa poi, un po' di divertimento? Sai perfettamente che quando avrà finito con te passerà a un'altra, e magari riuscirà a fare di te anche la donna più importante del pianeta.»
Le sue erano tutte argomentazioni valide e purtroppo talmente realistiche da far male, ma io ero ferma nella mia decisione. Oltretutto, non le avevo rivelato il perché dei lividi, né mai l'avrei fatto, o si sarebbe presto letto dell'omicidio di Christopher Carter da parte di una ragazzina azzoppata. « Sono certa che tu sarai un cane da guardia a dir poco perfetto, » risposi con un sorriso timido, « spero tu accetterai di farmi da peso di piombo quando la mia testa sarà fra le nuvole. »
Scoppiò a ridere finendo però in un eccesso di tosse per via del dolore alle costole. « Come se non fossi sempre con la testa fra le nuvole, » replicò lei, massaggiandosi il torace. « D'accordo, Lia, se vedrò che rischi di volare via ti tirerò giù di peso, » promise scompigliandomi i capelli, sulle labbra un sorriso dolce, poi il suo viso si tramutò e assunse un'espressione solenne. « Vi do la mia benedizione. »
Scoppiai a ridere davanti a quell'affermazione, sollevata dalla fine della conversazione. Bea era riuscita a centrare il punto: per quanto la benedizione dovesse essere di mia madre, lei era la persona che più mi proteggeva quando mamma non c'era, così come io proteggevo lei, benedire la mia relazione con Christopher ora come ora era una sua competenza. A mia madre lo avrei detto più avanti, forse, ma per il momento era meglio tacerle la verità, anche se con tutta probabilità sapeva che qualcosa non andava, anche se si trovava in Francia era molto perspicace in tutto ciò che mi concerneva.
« Bene, » dissi, allungando poi la gamba e pigiando con il piede la barra spaziatrice del portatile, facendo così ripartire il film. Mi accoccolai meglio accanto a Bea e le rubai un paio di popcorn, la testa appoggiata al cuscino premuta contro la sua.
« Forse potrei offrire a Carter un viaggetto a Isla Nublar, sai, così da vedere se ha istinto di sopravvivenza, » disse dopo un po', mentre i protagonisti iniziavano la visita del parco e si trovavano davanti al recinto dei dilofosauri. Io odiavo i dilofosauri.
Sogghignai. « Tranquilla, ha una tempra resistente, » difesi Christopher, arrossendo appena, e ringraziai il fatto che non potesse vedermi. « Oltretutto lo rivorrei indietro tutto intero, non privo di un braccio o una gamba. »
Bea mi tirò una gomitata fra le costole. « Già, sarebbe un vero peccato che tornasse privo dei gioielli di famiglia, » replicò lei con una mezza risata. Beh, almeno avevamo superato i primi ostacoli e stavamo tranquillamente parlando della mia vita sessuale. Forse non proprio tranquillamente.
Alzai il mento, reclinando il capo per guardarla negli occhi. « Se lo eviri ti ammazzo io, » sibilai nel tentativo di minacciarla ma finii con il sorridere sotto il suo sguardo stupito.
« Dio, mi diventerai una ninfomane! »
Rimasi a bocca aperta, paonazza. « Ma cosa dici! »
« La verità, ecco cosa dico! Diventerai una schiava del sesso e non riuscirai più a uscire dal letto! Fidati di me, ho visto molta gente fare la tua stessa fine. »
Scossi il capo, divertita. « Tu invece sei diventata matta da legare, sei sicura di non essere fuggita dal reparto psichiatrico? »
Fece spallucce. « Non saprei proprio, può darsi, però, credo di vedere la gente morta, » disse con voce tenebrosa, lo sguardo vacuo fisso su un punto indefinito del plaid, un angolo della bocca alzato a comporre una sottospecie di smorfia.
« Sì, e magari hai pure una tavola Oujia sotto il letto e la notte invochi gli spiriti, » replicai scuotendo il capo, divertita.
« No, ma so chi ce l'ha nel reparto, Danah, stanza 423, il martedì e il venerdì chi può muoversi va nella sua stanza per una seduta spiritica, » disse Bea con un sorrisino smagliante, e la guardai a occhi aperti, conscia che stava dicendo la verità. Sbattei le palpebre un paio di volte prima di riportare lo sguardo sul monitor, shockata.
Avevamo finito la sua ciotola di popcorn al caramello quando Lex disse: « Dov'è la capra? » e Bea indicò lo schermo, guardando me. « Ma secondo te dove diavolo è la capra? Bah! E poi accende pure quella dannata luce! Davvero, quella è stupida forte, » sbottò scuotendo il capo e allungandosi sopra di me per prendere i popcorn restanti che avevo lasciato sul comodino.
Annuii alla sua osservazione. « Concordo perfettamente, anche se poi hanno tentato di redimerla nella cucina coi raptor e nella sala controllo quando ha riattivato tutto. »
« Beh, a cercare il pannello di controllo del sistema elettrico sono bravi tutti, anche Timmy ce l'avrebbe fatta secondo me, » borbottò contrariata mentre il film entrava nel vivo.
Alzai gli occhi al cielo, decisamente Lex non le piaceva - in effetti era uno dei personaggi più antipatici del film, una vera donnetta, anche se nessuno batteva Gennaro. Povero Gennaro, pensai trattenendo una risatina.
Afferrai la lattina di tè alla pesca ma solo per scoprire che era vuota. Sbuffai e mi alzai a sedere, mettendo nuovamente in pausa il film. « Vado a fare rifornimento di liquidi, tu non continuare o ti soffoco con il cuscino, » la minacciai con un'occhiata divertita andando alla ricerca degli anfibi che trovai sotto il letto di Bea.
« Prendi anche da mangiare, nell'attesa mi finirò i popcorn, » disse lei mentre mi allacciavo distrattamente le stringhe degli anfibi. Uscendo, mi sentii quasi urlare alle spalle: « E vedi di non trastullarti in qualche angolo dove non ci sono le telecamere! »
Allibita, raddrizzai le spalle e lasciai la stanza della mia amica dalla lingua troppo lunga per i miei gusti cercando di mantenere un'espressione neutra e combattendo contro il sorriso che spingeva sulle mie labbra.
Raggiunsi i distributori automatici nell'atrio del piano e mi misi a studiare ciò che l'ospedale aveva da offrirmi. Avrei potuto fare una capatina al bar al piano terra, ma non ne avevo voglia, le mie gambe non volevano saperne nulla.
Stavo ancora decidendo cosa prendere da sgranocchiare quando mi sentii afferrare per un braccio e premere contro il fianco del distributore, il profumo di Christopher mi invase le narici, inebriandomi la mente. Le sue labbra trovarono le mie, quel piacevole agguato mi fece sorridere mentre mi scioglievo contro di lui, permettendogli di schiacciarmi ulteriormente contro il metallo duro e freddo che mi riportò alla realtà.
Mi scostai di malavoglia mentre sentivo il sangue imporporarmi le gote, lo sguardo abbassato e fisso sulla cravatta blu scuro di Christopher. « Ciao, » dissi in un sussurro sbirciando la sua espressione. Aveva lo sguardo divertito, malizioso, tipico del Christopher che piaceva a me, quello simpatico al quale era facile volere bene.
« Ciao anche a te, » mormorò prendendomi le mani fra le sue e baciandone le nocche. « Sai di caramello, » osservò inspirando a fondo il profumo che le mie dita emanavano.
Sogghignai. « Perché non hai sentito la mia cucina, » risposi arricciando il naso, fra il profumo di caramello e quello di vaniglia i conati di vomito per l'aroma troppo dolce erano garantiti. « Piuttosto, cosa ci fai tu qui? » Teoricamente, lui avrebbe dovuto trovarsi nel suo ufficio e rimanerci tutto il giorno fino a tarda serata quando se ne sarebbe tornato a casa sua, o almeno così mi aveva detto.
Scrollò le spalle. « Ho ultimato tutti i disegni prima del previsto e ho pensato di venire a vedere come stavi, » spiegò celando la bugia dietro un sorriso affascinante, sapevo perfettamente che non poteva aver finito tutti i disegni in poche ore, soprattutto perché si era lamentato che io fossi stata una gran distrazione per il suo lavoro, sebbene piuttosto piacevole. « D'accordo, volevo sapere cosa ti ha detto la ginecologa, » ammise sotto la mia occhiata scettica.
« Niente che non sapessi già: devi portare con te quelle adorabili bustine di plastica fino a che non avrò finito il prossimo ciclo, » risposi io con una scrollatina di spalle, a suo tempo mia madre mi aveva spiegato in modo dettagliato l'apparato riproduttivo e la riproduzione sessuale, per non parlare dell'elenco di tutti i metodi contraccettivi partendo dalle prime civiltà - per quanto non dubitassi mai di mia madre, avevo comunque trovato pressoché impossibile che in tali epoche brulicanti di figli fra i quali molti bastardi vi fossero già modi per evitare gravidanze indesiderate.
Christopher mi guardò sconcertato, evidentemente con le sue precedenti conquiste non era stata nemmeno necessaria la visita da una ginecologa. Ebbe comunque il buonsenso di richiudere la bocca e accigliarsi. « Quindi per fine mese dovresti essere a posto? » domandò incerto, facendo i calcoli a mente.
Scossi il capo in segno di diniego. « No, inizierò la pillola il primo giorno di ciclo, perciò attorno al tredici di ottobre sarai libero, » spiegai pazientemente. « Su, coraggio, » lo consolai con un sorrisino divertito, « hai aspettato già un mese, che differenza fa uno in più? » Avevo un'espressione innocente sul volto, ma dentro di me stavo ridendo come una matta nel vedere il suo viso contorcersi e assumere un piglio rassegnato.
Si chinò verso di me, artigliandomi i fianchi con le dita e premendomi contro di sé, il suo respiro mi solleticava la guancia. « Vedrò di resistere, anche se con te è piuttosto difficile, » sussurrò spingendo la sua erezione contro il mio ventre.
Cercai di spingerlo via, preoccupata per ciò che avrebbero pensato gli altri e divertita al contempo. « Vacci piano, siamo in un ospedale, non vorrai dar spettacolo, spero! » dissi con un sorrisino sul viso.
Assottigliò le palpebre e dischiuse le labbra, pensieroso. « Potremmo cercare uno sgabuzzino, » buttò lì con una scrollatina di spalle, arcuando un sopracciglio come a sottolineare la malizia già palpabile nella sua frase.
Dovetti trattenermi dal ridere a crepapelle. « Non ti stufi mai, eh? » chiesi scuotendo la testa, era per me inconcepibile che una persona potesse aver voglia di fare sesso a ogni ora del giorno, eppure persino io mi trovavo a desiderare Christopher ogni volta che la sua immagine mi passava per l'anticamera del cervello.
Scosse il capo, i capelli leggermente scompigliati e l'espressione solare lo facevano apparire ai miei come un adolescente in piena regola. « Credo sia la prima volta che mollo il lavoro per soddisfare il mio piacere personale, » confessò pensieroso, la bocca piegata in un mezzo sorriso.
Alzai le sopracciglia. « Ma davvero? E io che pensavo fossi abituato a prendere tutto ciò che vuoi senza chiedere, » ribattei ricordando la spiegazione che mi aveva dato per giustificare il comportamento che aveva avuto a casa mia.
« Oh, ma è così, Lia, ma non ho mai interrotto il mio lavoro per andare da una donna, solitamente aspettavo di avere finito. » Sgranai gli occhi, lusingata da quel suo comportamento, questo voleva dire che con me passava il tempo con più piacere, quasi non fosse costretto a farlo. Bene, un punto per me.
« Spiacente per te, oggi ho votato la mia giornata interamente a Bea, da me non avrai nulla fino all'ora di cena, forse, » dissi scostandomi in tempo prima che mi baciasse e mi facesse quindi ricredere sui miei buoni propositi. Io e Bea dovevamo fare la nostra maratona e spettegolare, dovevo raccontarle tutto della scuola e lei doveva svelarmi ogni segreto che le arrivava alle orecchie.
Le sue labbra mi sfiorarono la guancia, mordicchiandola appena. « Sei frustrante, » commentò a un soffio dalla mia pelle, facendomi ridere e fremere allo stesso tempo. Si raddrizzò, le mani ancora saldamente ancorate ai miei fianchi. « Le hai detto di me? »
Annuii, rossa in volto come un pomodoro, era stata mia intenzione tenere segreta a Bea la mia relazione, ma lei mi aveva lavorata e poi manipolata per prendermi alla sprovvista. Ne sapeva una più del diavolo, e talvolta mi domandavo se non fosse sua diretta discendente. « Non l'ha presa bene, all'inizio, » mormorai torturandomi il labbro coi denti, ricordando la sfuriata che mi aveva fatto, « però dopo ha capito che non sono una che si fa incantare dal primo che capita e che sono una ragazza responsabile che sa decidere per sé. » Arcuò un sopracciglio, decisamente non convinto dalle mie parole, sembrava conoscere bene i modi di fare di Bea pur avendo solamente letto un fascicolo sul suo conto. « D'accordo, non ha proprio usato queste parole, però il senso è quello. »
Lui sogghignò e fece per dire qualcosa quando venne zittito dalla suoneria del mio cellulare che iniziò a vibrare nella tasca dei miei jeans. « Parli del diavolo... Questa è certamente Bea che si lamenta di avere fame, » borbottai mentre tiravo fuori l'iPhone, ma la foto sul display non era quella della mia amica, bensì quella di Heath intento a suonare la chitarra. Iniziai a tremare e dovetti aggrapparmi al braccio di Christopher. Avevo un brutto, bruttissimo presentimento.
« Pronto, Heath? » dissi con la gola secca, parlare mi sembrò addirittura doloroso mentre attendevo una risposta, appesa a un filo talmente sottile da minacciare di potersi spezzare da un momento all'altro. Udii un singhiozzo soffocato dall'altro capo del telefono e le mie gambe iniziarono a tremare senza controllo.
« Lia... Mia mamma... Lei... »
Non ebbi bisogno di sentire altro, il dolore nella voce di Heath e la sua disperazione soffocata erano indizi sufficienti a farmi capire che cos'era successo. Dalla gola mi uscì un rantolio strozzato, la vista mi si appannò per via delle lacrime che oramai sgorgavano irrefrenabili mentre il mio corpo veniva percosso dai singulti.
Provai più volte a chiamare Heath, ma la voce mi aveva abbandonata, lasciandomi in balia del silenzio disperato. Sentii il mio amico fare eco al mio pianto, me lo immaginavo già distrutto, devastato dal dolore e con il pugno fra i denti per soffocare le lacrime che scendevano incontrollate sul suo volto.
Mi sentii cedere le ginocchia, e fu solo per la stretta salda di Christopher attorno alla mia vita che non piombai a terra. Nell'orecchio mi giunse il suono ovattato della linea interrotta, e mi domandai se fossi stata io a chiudere la chiamata o se invece fosse stato Heath, ma non m'importava, l'unica cosa che sapevo era che Marlene era morta, e che oramai non c'era più nulla da fare.
Alzai lo sguardo offuscato verso il volto di Christopher, anche se lo vedevo piuttosto sfocato riuscii a notare lo stesso lo sguardo addolorato con cui mi fissò per poi stringermi a sé in una morsa salda e consolatoria. Affondai il volto nel suo petto, il corpo scosso dai singhiozzi mentre lui strofinava una mano sulla mia schiena nel tentativo di darmi sollievo.
Non vi fu bisogno di dire nulla, non tentò di consolarmi pronunciando frasi di circostanza, no, lui si limitò a rimanere lì ad abbracciarmi cercando di trasmettermi la sua stessa forza, facendo per me ciò che io avevo promesso di fare per lui.
In quel momento fu Christopher a essere il mio Atlante.
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