Capitolo XIV
Non appena fui entrata nell'ampio salotto moderno di Christopher tolsi via le ballerine, avevo i piedi in fiamme e sentivo già le vesciche prudere. Neanche mi fossi trovata a casa mia nella più completa solitudine, mi gettai sul divano angolare, spossata per la tensione a cui ero stata sottoposta. E sì che erano solo le tre di pomeriggio.
Dopo aver finito il nostro pranzo, la limousine ci aveva riportarti allo studio legale dove avevamo salutato Derek e Meredith, Cerbero sembrava essersi calmata dopo le effusioni scambiate con il marito e non aveva più fatto domande indiscrete riguardo mia madre o la mia vita personale.
Chiusi gli occhi per un attimo, abbandonandomi alla sensazione di pace che trovavo solitamente nel mio letto dopo una lunga giornata di studio. Sentii i passi di Christopher accanto a me, mentre si avvicinava spalancai le palpebre, guardandolo confusa. « Posso, vero? Ti prego, dimmi che posso, perché sono sfinita, » piagnucolai allungando le braccia per stiracchiarmi. Un'ombra di ilarità passò sul suo volto pensieroso, al che mi misi a sedere, confusa dal suo comportamento. « Christopher? »
« Ti devo un ballo. » Dovevo avere stampato sul volto un punto interrogativo. In che senso mi doveva un ballo? Per tutta risposta, girò sui tacchi e andò verso la libreria, su uno scaffale vidi le mie scarpe, il mio furto di Oscar de la Renta. Ammutolii, voleva davvero che mi mettessi nuovamente quegli aggeggi infernali? Evidentemente, non aveva ancora finito di torturarmi. « Indossale, » ordinò porgendomi le scarpe senza aspettarsi un rifiuto. Lo guardai con gli occhi socchiusi, sapevo perfettamente che se mi fossi rifiutata sarebbe stato lui a mettermele, anche a forza di legarmi da qualche parte - cosa che molto probabilmente gli sarebbe piaciuta.
Con un sospiro decisi di accontentarlo, quando avrebbe visto che sembravo un'oca su quegli affari forse si sarebbe arreso. Indossai le scarpe e accettai la mano che Christopher mi stava porgendo. Senza attendere che mi mettessi stabilmente in piedi, mi attirò a sé, stringendomi con forza contro il suo petto, il suo profumo mi inebriò all'istante.
« L'Homecoming è una festa importante, era l'ultimo della tua vita e tu non vi hai partecipato, perciò ti devo un ballo, » chiarì accarezzandomi una guancia, quando alzai lo sguardo su di lui nei suoi occhi vidi un mare di emozioni indecifrabili, contrastanti. Dio, quanto avrei voluto poter far luce sulle sue paure.
« Non m'importa, è solo uno stupido ballo, hai visto come è andata a finire, » replicai facendo aderire la guancia alla mano di Christopher, la sua carezza era gentile, calda, confortante. Mi strinsi automaticamente a lui, le mie dita si serrarono attorno alle sue spalle.
« Voglio che tu balli con me, » insistette, il mare stava iniziando a ribellarsi, pronto a investirmi con la forza prorompente della sua bufera.
« Io non so affatto ballare, tutto ciò che so l'ho imparato guardando Dancing With The Stars, il che è tutto dire! Posso imparare una coreografia, ma non so nulla dei vari passi di danza... »
« Allora è un bene che io sia bravo a condurre. » E con queste parole si chinò sul tavolino ellissoidale per afferrare un telecomando e premette un pulsante.
Nell'aria si diffusero le note inconfondibili di Bound To You di Christina Aguilera, e mi ritrovai a guardare Christopher a bocca aperta. Avrei voluto dire che non credevo possibile fosse una canzone a caso, ma sapevo che se lo avessi fatto avrei rovinato l'atmosfera. Affondai i denti nel labbro inferiore mentre una sua mano mi scivolava lungo il braccio per afferrare la mia, con la sinistra all'altezza della vita mi strinse maggiormente a sé.
Christopher arretrò di mezzo passo, spingendomi ad avanzare verso di lui. Appoggiai dapprima la punta del piede, troppo impaurita di spezzare uno di quei tacchi, e il mio sguardo si rivolse verso il basso, avevo anche il terrore di pestargli un piede.
« Sei un fascio di nervi, » mormorò nel mio orecchio mentre si spostava lentamente, costringendomi a seguirlo, « prima il tacco, poi la punta. » Oh, bene, stavo persino subendo lezioni di moda da un uomo decisamente etero. Il mondo sarebbe finito presto, a mio avviso. Nonostante la goffaggine, seguii il suo consiglio e, non del tutto certa che fosse merito mio, mi ritrovai a ballare davvero fra le sue braccia. Strinsi le dita attorno alla manica della sua giacca, i miei occhi erano ora fissi nei suoi, silenziosamente lo stavo pregando di accettare il nostro accordo.
You're all I need when I'm holding you tight,
If you walk away I will suffer tonight.**
« Soffriresti se me ne andassi? » mormorai incapace di controllarmi, volevo sapere se avrebbe provato dolore come ne avrei provato io.
Non rispose, sollevando il braccio per farmi piroettare lentamente, al ritmo della musica che oramai era diventata la colonna sonora di quel momento. Eravamo davvero entrambi legati l'un l'altra, o ero solo io a volere che questo filo sottile si inspessisse e diventasse sempre più resistente?
I found a man I can trust, and boy, I believe in us,
I am terrified to love for the first time.**
« Non dovresti fidarti di me, » mormorò stringendomi con forza contro il suo petto, « non dovresti credere che per noi ci possa essere un futuro romantico. »
Quelle parole mi fecero male, molto. « Vuol dire che non accetterai il nostro accordo? Che ti allontanerai da me e non interferirai mai più con la mia vita? » mi sentii in dovere di domandare mentre mi allontanava da sé per farmi fare un'altra giravolta, volevo ferirlo, volevo fargli capire che fuggire non era la soluzione giusta per emergere dal mare che lo trascinava negli abissi della solitudine.
Suddenly the moment's here, I embrace my fears,
All that I have been carrying all these years,
Do I risk it all, come this far just to fall, fall.**
Mentre ritornavo fra le sue braccia mi sentii afferrare con maggior forza rispetto a prima e le sue labbra incontrarono le mie. La musica sembrava vorticare attorno a noi, le parole di quella canzone rispecchiavano la nostra situazione, la paura di abbandonarci all'ignoto, a sentimenti che fino a quel momento avevamo represso per paura di risultare deboli e di conseguenza un bersaglio per i nostri nemici, ma non solo, paura anche di essere troppo legati ad una persona e rischiare di cadere, essere risucchiati nel vuoto per non poter più riemergere, paura di mostrare come eravamo in realtà e avere il terrore che l'altro potesse lasciarci, che fosse lui l'artefice del nostro dolore più grande.
I am, oh, I am,
I'm bound to you.**
Le ultime note si dispersero nell'aria lasciando dietro di sé il vuoto mentre, dopo un ultima giravolta, Christopher mi fece chinare all'indietro lentamente, le sue labbra si posarono nuovamente sulle mie in un bacio tormentato nel quale riversammo entrambi le nostre paure più profonde.
Quando mi rimise in piedi, Christopher non parve avere intenzione di lasciarmi andare tanto era stretta la sua morsa attorno al mio corpo. « Accetterai di essere mia, di lasciare che ti faccia entrare nel mio mondo, che ti compri dei regali, che ti aiuti quando sarai in difficoltà, che interferisca con la tua vita nel modo che più mi compiace al fine di fare di te una donna importante, fondamentale per l'intera città? »
Quelle parole mi fecero male, perché vi vedevo la smania di controllarmi, perché nonostante da fuori potesse sembrare che sarei stata io ad avere potere su di lui, la verità era che sarebbe stato lui a dettare le regole, sempre. « Accetterai di essere sempre sincero con me, di fidarti di me, di abbandonarti a me, consapevole che io ci sarò sempre quando sarai tormentato da ogni singolo dubbio, come tu ci sarai per me quando avrò un qualsiasi problema? Accetterai di provare ad andare oltre al sesso, oltre ai soldi e alle cose materiali. Accetterai di provare a vedere le donne, me, diversamente, di vederci come persone vere e con dei sentimenti e non come delle semplici opportuniste, come dei semplici oggetti? » Le mie pretese, lo sapevo, erano molte, molte più delle sue, ma volevo che accettasse quanto lui anelava ad un mio sì. « Accetterai che io sia il tuo Atlante? »
I suoi occhi si illuminarono, la consapevolezza di ciò che volevo si era fatta strada in lui aprendo uno squarcio oltre il quale potevo vedere le tenebre, ciò che nascondeva nel profondo del suo cuore, ciò che le altre donne sopportavano senza sapere, ciò che io avrei tentato di illuminare. « Potresti non riuscire a sostenermi, » mormorò flebilmente, e in quel momento volli più di prima che accettasse il nostro accordo.
Gli appoggiai la mano sul petto, all'altezza del cuore, e lo sentii sussultare sotto le mie dita. « Io voglio farlo, Christopher, voglio davvero essere per te ciò che altre persone non sono riuscite a essere, voglio con tutta me stessa essere il tuo Atlante, » confessai con voce roca, sentivo le lacrime pungermi gli occhi. Perché stavo piangendo? Forse perché temevo il suo rifiuto?
« Perché? »
« Deve esserci un motivo? »
« Sì, perché non riesco proprio a concepire come tu possa propormi tutto questo senza aspettarti nulla in cambio. »
Oh, ma io in cambio mi aspettavo qualcosa, solo che se glielo avessi detto, tutto sarebbe andato a farsi benedire, con la mia richiesta l'avrei fatto precipitare nuovamente in quel mare di solitudine. « Lo faccio perché lo voglio, perché ne sento io per prima il bisogno. Non so spiegarlo, è come se sentissi il tuo cuore gridare aiuto da oltre la barriera che hai issato per proteggerti dal mondo esterno. »
D'un tratto mi sentii sollevare, la bocca di Christopher reclamò la mia e le mie gambe andarono a circondargli la vita. Ricambiai quel bacio passionale stringendomi maggiormente a lui, le mie dita si insinuarono fra i suoi capelli, tirando alcune ciocche castane. Lo sentii muoversi e salire le scale - ecco dove aveva fatto esperienza, oramai saliva davvero le scale ad occhi chiusi.
In pochi istanti mi ritrovai nella camera da letto di Christopher, le nostre labbra non si erano distanziate, sempre impegnate a ispezionare fameliche quelle dell'altro. Una sua mano scivolò lungo il mio costato fino a sotto il ginocchio stretto contro il suo fianco e io obbedii al suo ordine silenzioso abbandonando la presa sul suo bacino e lasciai che mi mettesse coi piedi per terra. Senza dire nulla, Christopher mi sfiorò il collo con le dita, nei suoi occhi la tempesta infuriava violenta, e io ero pronta a lasciarmi trascinare verso gli abissi oscuri da quelle onde. « Da questo istante, » mormorò mentre scioglieva il nodo del vestito e incrociava i lembi del tessuto per stringermi ancora di più dentro questo, « io sono legato a te, così come tu sei legata a me. »
Ansimai al sentire quelle parole portanti un significato completamente differente da quello reale, eppure sapevo in cuor mio che anche per lui c'era qualcosa di più profondo, Christopher non sceglieva mai a caso le sue parole.
« Sì, » riuscii a mormorare mentre faceva scivolare le spalline del vestito lungo le mie braccia, le sue dita sembravano lasciare scie infuocate dovunque passassero. Inerme sotto i suoi tocchi, lasciai che mi togliesse il vestito e lo facesse cadere a terra. Uscii dal cerchio formato dall'abito avvicinandomi a lui e sbottonandogli la giacca, sfilandogliela poi lentamente e lasciando che raggiungesse il vestito, i nostri sguardi ancora incatenati. Mi avvolsi la sua cravatta attorno al polso e la strattonai dolcemente verso di me, costringendolo a chinarsi, le sue labbra sfiorarono le mie, poi furono i suoi denti a torturarmi il labbro inferiore facendomi gemere, mille scariche elettriche si sprigionarono dalla mia bocca concentrandosi nel mio bassoventre mentre brividi di piacere mi percorrevano la schiena e le braccia come cavalli lanciati al galoppo.
Sciolsi il nodo della cravatta e lasciai che scivolasse a terra mentre mi concentravo sui bottoni della camicia di Christopher, sbottonandoli uno ad uno, lentamente, mentre la sua lingua mi accarezzava il palato e stuzzicava la mia. Fremetti e accarezzai il petto sodo di Christopher, i suoi muscoli si tesero sotto il mio tocco. Spinta da non so quale istinto primordiale, lo spinsi contro il letto facendolo cadere sul materasso e salii a cavalcioni sopra di lui, la sua erezione premeva contro il mio centro, e quando mi mossi impercettibilmente, dalle sue labbra uscì un gemito. Mi chinai su di lui, baciandolo con dolcezza, spostandomi verso il suo collo prima che potesse rispondere al bacio. Sentii le sue mani sui miei fianchi premermi sempre di più contro di sé, e il mio sesso si contrasse a quella pressione. Strinsi le ginocchia mentre cospargevo la gola di Christopher di piccoli baci e scendevo verso le clavicole e poi più giù, verso il petto scolpito.
Improvvisamente mi ritrovai con Christopher sopra di me, i polsi bloccati dalle sue mani in una morsa salda ma non dolorosa. Ansimai nel vedere cosa fossi stata in grado di scatenare nei suoi occhi, una tempesta implacabile come mai l'avevo vista. Spinse il bacino contro di me e io gemetti, Dio quanto lo volevo, lo volevo dentro di me per alleviare quel piacevole tormento che mi faceva sua schiava.
« Vorrei che fosse la prima volta, » confessai guardandolo negli occhi, sul suo volto passò un lampo sorpreso, ma sorrise dolcemente, chinandosi su di me, liberandomi le mani e appoggiando i gomiti a lato della mia testa.
« Sarà come se lo fosse, te lo prometto, » mormorò baciandomi cautamente, e in quel momento capii che avrei rivissuto quella stramaledetta notte, con le mie parole l'avevo spinto a trattarmi come se ci fossimo appena incontrati. Era davvero questo ciò che volevo?
Per rispondere a me stessa ricambiai il bacio di Christopher e strinsi le dita attorno alle sue braccia muscolose. Si staccò da me per sfilarsi la camicia e ammirai ancora una volta il suo petto scolpito, privo di imperfezioni. Tornò a coprirmi con il suo corpo, una sua mano scese ad accarezzarmi il costato e proseguì fino al mio ginocchio, scendendo poi a sfilarmi la scarpa che cadde con un tonfo sordo sul pavimento. Senza aspettare che facesse lo stesso con l'altra, mi liberai io stessa della scarpa destra. Lo sentii ridacchiare contro le mie labbra. « Qualcuno qui è impaziente, » mormorò scendendo a baciarmi il collo e succhiarmi la pelle senza ritegno.
Mugugnai di piacere, inarcandomi verso di lui e spingendo il bacino contro il suo. « Mpf, da che pulpito, » ridacchiai io nel sentire la sua erezione sotto i pantaloni. Per tutta risposta le sue mani si insinuarono sotto la mia schiena e raggiunsero il gancio del reggiseno che vidi volare poco dopo attraverso la stanza. Arcuai un sopracciglio guardando Christopher con malizia. « Ma quanta prepotenza. »
« Non sai da quanto aspettavo questo momento. » Il mio cuore fece una capriola, e dentro di me gioii come non mai. Non dubitai che quelle fossero parole vere, non era come la prima volta, quando mi aveva ingannata per portarmi a letto con sé. Mi alzai verso di lui e gli passai una mano dietro la nuca, attirandolo nuovamente su di me, la mia bocca anelava la sua.
Lo vidi alzarsi per scalciare via le scarpe e rimanere fermo ai piedi del letto, nel suo sguardo riconobbi adorazione, le mie gote si infiammarono, ma non mi mossi per coprirmi il seno, sapevo che me lo avrebbe impedito.
« Sei bellissima, » mormorò con voce rauca chinandosi sulle mie gambe, percorrendo con le labbra la sinistra, a tratti sentii la lingua sfiorarmi la pelle mentre risaliva verso il mio ventre. Si spostò sul mio fianco e lo mordicchiò dolcemente, al che risi. Per provocarmi affondò maggiormente i denti facendomi gemere, possibile che quel lieve dolore mi provocasse piacere? Stavo per darmi una risposta quando la bocca di Christopher si chiuse sul mio capezzolo destro, succhiando con forza. Sgranai gli occhi ed ansimai mentre torturava il mio seno coi denti facendomi impazzire. Mi inarcai contro di lui offrendogli più accesso al mio corpo, con le dita titillò un capezzolo e morsicò l'altro causandomi tanto piacere che dovetti affondare i denti nel labbro per impedirmi di urlare.
Con una mano scese verso i miei slip, lentamente, facendomi tremare come una foglia, il piacere si stava dilagando dentro me e sentivo il mio bisogno di lui crescere istante dopo istante, e quando le sue dita si insinuarono sotto il tessuto bianco mi sentii trapassare da parte a parte da mille scariche elettriche ad altissima intensità tanto che temetti che il mio povero cuore cedesse sotto tanta eccitazione.
Le dita di Christopher mi carezzarono il monte di Venere e scesero a sfiorare il clitoride, stuzzicandolo mentre con le labbra lambiva la pelle del mio seno. Lo sentii sorridere mentre scendeva verso il mio centro pulsante di piacere. « Sei così dal ristorante? » chiese in tono ironico mentre infilava un dito dentro di me causandomi un tale gemito di piacere che mai avrei pensato di poter emettere. « Oh, lo prenderò per un sì. »
Improvvisamente, tolse le dita da dentro di me e si alzò, l'osservai afferrarmi le mutandine e sfilarmele con un rapido gesto prima di chinarsi fra le mie gambe e iniziare a posare lievi baci nell'interno coscia. Mi contorsi sotto quella sua nuova forma di tortura e chiusi gli occhi, cercando di rimanere ferma, non sapevo quello che avrei dovuto fare, perciò lasciai che fosse l'istinto a guidarmi, ma quando la bocca di Christopher si chiuse sul mio clitoride gemetti a denti stretti, puntellando i piedi contro il materasso mentre lui succhiava e mordicchiava, mandandomi in visibilio. Quando sentii la sua lingua insinuarsi dentro di me persi il controllo del mio corpo e iniziai a dimenarmi sotto di lui, le mie dita strinsero convulsamente il copriletto mentre nel mio bassoventre il piacere aumentava sempre di più, infiammandomi come se fossi stata cosparsa di pece e mi avessero dato fuoco. I muscoli delle mie gambe si contrassero fino a farmi male, ma Christopher non accennava a smettere, la sua lingua entrava ed usciva da dentro di me, alternandosi a lievi ma intensi morsetti sul clitoride o sulle cosce ed io continuavo a spingere il bacino verso di lui alla ricerca di un piacere più intenso. L'ondata più travolgente giunse quando infilò due dita dentro di me continuando a torturarmi con la lingua, il suo respiro sulla parte più sensibile del mio corpo mi mandò in estasi.
« C-chris... » gemetti, e non finii nemmeno di pronunciare il suo nome che iniziò a muovere le dita dentro e fuori di me, dapprima con lentezza estenuante e poi sempre più velocemente. Il mio sesso si contrasse attorno alle sue dita e lo sentii ansimare senza però interrompere il movimento, a ogni spinta inarcavo la schiena verso l'alto andando incontro alla mano di Christopher con il bacino, sentivo la sensazione ancora poco amica dell'orgasmo farsi sempre più vicina, i muscoli dolevano come mai avevano fatto prima.
I denti di Christopher si serrarono attorno al mio clitoride e io venni con un grido passionale, rauco, liberatorio, inarcandomi verso il cielo che mi sembrava di poter toccare con un dito.
Ansante, mi sentii sprofondare nel materasso, non riuscivo a credere di aver fatto una cosa del genere, mai lontanamente avrei pensato di poter provare così tanto piacere, di essere l'oggetto del piacere di qualcuno. Improvvisamente sentii il rumore di una bustina di plastica strappata e mi accorsi della confezione del preservativo fra i denti di Christopher. Sgranai gli occhi e chiusi istintivamente le gambe, dentro di me l'eccitazione stava iniziando a farmi nuovamente padrona di sé, ero succube della figura carica di erotismo di Christopher in piedi davanti a me, famelico del mio corpo, con gli occhi in tempesta. Si liberò con una mano dei pantaloni e dei boxer mentre lasciava cadere la bustina vuota a terra e si infilava il preservativo. Il mio sguardo venne catturato dalla sua erezione come la prima volta che l'avevo vista e il mio corpo sembrò farsi incandescente mentre faceva scorrere le dita dalle ginocchia piegate fino alle mie cosce, premendo con il torace perché aprissi le gambe. Eseguii l'ordine silenzioso permettendogli così di fare ciò che più voleva con il corpo.
I suoi occhi non abbandonarono i miei e quando mi penetrò con un'unica spinta mi sentii travolgere da quel mare burrascoso, bollente come lava. Affondai i denti nel labbro inferiore per trattenere un gemito di puro piacere, il respiro di Christopher contro il mio collo mi fece rabbrividire, i miei capezzoli sfioravano turgidi il suo torace eccitandomi ancora di più. Insinuai le dita fra i suoi capelli mentre entrava e usciva lentamente da me, accompagnando ogni spinta con un gemito sommesso, segno che in qualche modo avevo potere su di lui. Volsi il capo cercando la sua bocca e quando la trovai affondai i denti nel suo labbro inferiore, tirandolo.
Con un gemito, Christopher aumentò l'intensità delle spinte, entrando sempre di più dentro di me mentre io rispondevo al suo bisogno di possedermi e al mio di essere posseduta da lui. Il suo membro mi riempiva a ogni spinta regalandomi sensazioni celestiali di cui mai avrei potuto fare a meno, le mie dita tirarono alcune ciocche dei suoi capelli quando mi morse delicatamente un capezzolo, un gemito sfuggì incontrollato dalle mie labbra.
« Sei una bellissima tentazione, Lia, » mormorò raucamente baciandomi con foga e intensificando la velocità delle spinte, lasciando che fosse la passione a parlare per lui attraverso il suo corpo. Il mio sesso si contrasse nuovamente attorno al suo, l'incendio che mi aveva avvolta prima tra le proprie fiamme tornò a divampare se possibile con più intensità. Reclinai il capo all'indietro mentre le spinte di Christopher si facevano più veloci, insaziabili, quasi, così come lo era il mio corpo del suo.
Con un'ultima, forte spinta, il mare mi travolse in un potente orgasmo e io mi inarcai verso il torace sodo di Christopher mentre lui mi stringeva con forza venendo con un roco gemito passionale, le labbra premute contro le mie, le nostre lingue avvolte nella danza della passione.
Ansante, Christopher si scostò dalla mia bocca e si appoggiò appena sul mio corpo, schiacciandomi il seno contro il suo sterno, un sorrisino malizioso gli illuminò gli occhi. Scivolò fuori di me e si sfilò il preservativo che gettò in un cestino al lato del comodino argenteo. Convinta che sarebbe andato a farsi una doccia, rimasi piacevolmente sorpresa quando afferrò una coperta e si stese accanto a me sopra il materasso, avvolgendoci con la trapunta.
Mi accoccolai accanto a lui, esausta, lasciandomi avvolgere dalle sue braccia, il suo calore era confortante. « Pensavo non l'avresti fatto, » confessai con la guancia appoggiata al suo petto e stringendomi maggiormente al suo corpo.
« Che cosa? »
« Stare qui con me, l'ultima volta te ne sei andato. » Faceva male ricordare quel suo comportamento, la sensazione di disgusto per me stessa che mi aveva tormentata per giorni, talmente nauseata da ciò che gli avevo permesso di fare che avrei voluto strapparmi la pelle di dosso per dimenticare il suo tocco e i suoi baci.
Si irrigidì accanto a me, sentii le labbra fra i capelli. « Ho fatto ciò che ritenevo giusto per me stesso, è una cosa che ho sempre fatto, prendere ciò che volevo senza degnare di uno sguardo chi me l'aveva dato, » confessò, e nella sua voce sentii il tormento di qualcuno che avrebbe voluto ritornare sui propri passi.
Ma c'era un'altra cosa che volevo chiedergli, una cosa che avrebbe sicuramente spezzato l'idillio in cui eravamo immersi. « Perché hai voluto fare sesso con me nonostante non fossi consenziente? E... perché ero ricoperta di lividi? » La mia voce era talmente fioca che feci fatica persino io a sentirla.
Christopher inspirò bruscamente fra i denti, potevo immaginarmi la sua mascella contratta e le iridi in tempesta, infuriate. « Non eri del tutto non consenziente, eri piuttosto lucida, forse un po' brilla, ma sei stata tu a spogliarmi per primo, a dire il vero. Mi sorprende il fatto che tu non ti ricordi nulla di quella notte. » Sgranai gli occhi, le gote arrossate per l'imbarazzo. Davvero l'avevo praticamente assalito per fare sesso? No, non tornava, oltretutto sapevo di reggere piuttosto bene l'alcool - forse non molto il vino, un grande controsenso cui non sapevo dare una spiegazione - ma non ero certa fosse quello ad avermi fatto dimenticare tutto, no, il mio blackout era frutto di qualcosa di ancora più grave.
« Mi hai drogata? » domandai impulsivamente, incapace di trattenermi, non potevo vivere nel dubbio, fidarmi di qualcuno che mi aveva avuta con l'inganno più di una volta. Mi sentii sollevare e mi puntellai con il gomito sul materasso, lo sguardo di Christopher era confuso mentre io attendevo imperterrita una risposta.
« No, Dahlia, non me lo sarei mai sognato, » affermò e nei suoi occhi vidi il mare calmo brillare di delusione. Diceva la verità, non v'era dubbio, lui non aveva nulla da perdere nel mentirmi, se non me, ma dopotutto, cos'ero io per lui?
Mi allungai verso il suo volto, fermandomi a qualche centimetro dalle sue labbra. « Perché avevo tutti quei lividi? » chiesi ancora, volevo saperlo, ne avevo tutto il diritto, e soprattutto volevo capire se sarebbe accaduto nuovamente, se c'era un modo per evitare che la mia pelle fosse nuovamente marchiata da quei segni ripugnanti.
Christopher si mosse e si sollevò a sedere, trascinandomi con sé, la coperta mi scivolò dalle spalle mostrando il mio seno, ma non m'importava, in quel momento l'unica cosa a cui tenevo erano le risposte sincere che speravo mi avrebbe dato. « Se te lo dicessi non vorresti nemmeno che ti guardassi, » disse deglutendo, nei suoi occhi vidi un nuovo sentimento, uno che era di fondamentale importanza per una persona: paura.
Strabuzzai gli occhi, confusa da quel suo atteggiamento e gli appoggiai la mano su una guancia, carezzandola con il pollice. « Se non me lo dirai non potrò farmi carico di questo peso come ti ho promesso di fare, » mormorai dolcemente nel tentativo di tenere ferma la voce e impedirgli così di vedere l'inquietudine che lentamente dilagava nel mio corpo. Perché era così restio a parlarmi di sé?
Espirò bruscamente, chiudendo gli occhi e strofinando il volto contro la mia mano, voltando appena la testa per premere le labbra sul mio polso. Sorrisi, quel piccolo gesto era colmo di dolcezza e mi riempì il cuore di gioia. « Ho dei problemi a controllare la rabbia, Dahlia, » disse infine contro la mia pelle, flebilmente, ogni parola che usciva dalle sue labbra sembrava ucciderlo da dentro, « sono la cosiddetta bomba pronta ad esplodere, basta che qualcosa mi faccia perdere il controllo delle mie azioni e divento violento. Non sono un sadico, non godo nel far del male alle persone, sebbene dopo essermi scaricato mi senta bene. Col tempo sono riuscito a controllare sempre più questo mio lato violento, ma ciò che faccio non è sempre sufficiente a svuotarmi completamente della mia rabbia, la corsa, il kickboxing, il basket, la musica perfino, non riescono a calmarmi, non del tutto. Da quando ho scoperto il sesso c'è stato un lieve miglioramento ma... » Chiuse gli occhi, incapace di andare avanti e di confessarmi quell'oscuro segreto. Intuii che cosa avesse fatto alle altre donne prima di me, ma volevo sentirlo da lui, per quanto quelle parole avrebbero potuto farmi male più di una coltellata. Gli presi il volto con entrambe le mani e gli accarezzai le guance con i pollici come per asciugare lacrime invisibili che sapevo avrebbe versato se non fosse stato tanto bravo a reprimerle. « Ma a volte, come hai potuto sperimentare, mi lascio andare e perdo il controllo della mia forza. » Deglutì e aprì gli occhi, puntandoli nei miei, in quel suo mare c'era desolazione, voglia di essere salvato da se stesso, quello era un momento di intimità troppo profonda per appartenere a due sconosciuti come noi, e in cuor mio sapevo di essere la prima delle sue donne a cui parlava con tanta sincerità nonostante quelle parole gli procurassero dolore. « Ho fatto cose peggiori che lasciare lividi sulla tua pelle, Lia. Sono responsabile di ossa rotte, cicatrici indelebili, tentati suicidi. Non sono una bella persona, Lia, e ora che lo sai, capirò se vorrai scappare da me. »
Continuai a guardarlo negli occhi, incapace di trovare parole adatte per esprimere il mio stato d'animo, dentro di me c'era molta confusione, la sua confessione era tutto fuorché quello che mi aspettavo. Ossa rotte, cicatrici, tentati suicidi. Quelle parole vorticarono nella mia mente, le tempie pulsavano dolorosamente e chiusi gli occhi, respirando lentamente.
Quando avevo proposto a Christopher di essere il suo Atlante mi ero aspettata un passato di violenza, un qualche trauma che aveva subito, ma non che fosse lui l'artefice di tanto dolore. Mi ero fatta carico di un peso molto più grande di me, mi ero ripromessa che avrei fatto cambiare idea a Christopher in merito alle donne e che l'avrei aiutato a sbarazzarsi dei suoi tormenti, ma se non l'avessi fatto sarebbe tornato tutto come prima, se non peggio.
« Dì qualcosa, ti prego, » supplicò, nella sua voce potei percepire distintamente il dolore. Aprii gli occhi e vidi il mare di sofferenza in cui stava per affogare, se non fossi intervenuta per aiutarlo, sarebbe stata la fine.
« Tu sei... un uomo complicato, Christopher, molto complicato, » dissi deglutendo, cercando di trovare le parole adatte per esprimere ciò che pensavo. « So che da me vuoi la verità, ed è ciò che ti darò. » Parlavo lentamente, cercavo di controllare il tono della voce. « Quando mi sono proposta di essere il tuo sostegno sapevo che sarebbe stato difficile, che probabilmente avrei avuto paura e mi sarei tirata inizialmente indietro e, mentre ascoltavo il tuo discorso avrei voluto scappare da qui. Ma ho fatto una promessa, e intendo mantenerla. In tutti questi anni ho sostenuto molte persone con diversi problemi più o meno difficili, con loro non sono dovuta mai scendere a patti per farmi carico del loro animo tormentato, l'ho fatto e basta, senza dirgli nulla. » Gli accarezzai lentamente la guancia con le nocche. « Ma ora voglio dirti questo: non mi tirerò indietro, Christopher, te lo prometto. Ho detto che sarò il tuo Atlante e manterrò la mia parola. »
Le sue labbra cercarono le mie bisognose e grate di ciò che stavo facendo per lui, per la prima volta in vita sua si stava affidando a una donna. In molti mi avrebbero dato della stupida, ma a me non importava, volevo solo aiutare Christopher, perfettamente conscia dei rischi che stavo correndo, stavo rischiando molto, eppure l'unica cosa importante era lì, fra le mie braccia, che mi stava ringraziando nell'unico modo che conosceva
« Sei davvero diversa dalle altre donne, Lia, » mormorò contro le mie labbra, baciandomi all'angolo della bocca. Mi accoccolai nell'incavo della sua spalla, potevo sentire il suo cuore battere più velocemente nel normale, un suono comunque confortante. Mi ricordai la prima volta che l'avevo sentito, in ospedale, quando mi aveva permesso di usare il suo braccio come pianoforte immaginario. Sorrisi stringendomi di più a lui, quelle sue parole volevano dire molto, perché erano davvero sincere, questa volta.
« ***Souvent, » iniziai chiudendo gli occhi, abbandonandomi al calore di quell'abbraccio, « pour s'amuser, les hommes d'équipage prennent des albatros, vastes oiseaux des mers, qui suivent, indolents compagnons de voyage, le navire glissant sur les gouffres amers. » Presi un respiro profondo, sapevo che non avrebbe capito una parola e che invece sarebbe solo stato rapito dalla musicalità e dall'armonia che infondeva quella poesia, un vero peccato.
« Continua, ti prego, » sussurrò fra i miei capelli, stringendomi con dolce forza. Sorrisi, premendo le labbra contro il suo petto, all'altezza del cuore.
« A peine les ont-ils déposés sur les planches, que ces rois de l'azur, maladroits et honteux, laissent piteusement leurs grandes ailes blanches come des avirons traîner à côté d'eux. Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule! Lui, naguère si beau, qu'il est comique et laid! L'un agace son bec avec un brûle-gueule, l'autre mime, en boitant, l'infirme qui volait! » Mi fermai un attimo per riprendere il controllo delle mie emozioni, sentivo un groppo in gola mentre pronunciavo quelle parole così belle e significative. « Le Poète est semblable au prince des nuées, qui hante la tempête et se rit de l'archer; exilé sur le sol au milieu des huées, ses ailes de géeant l'empêchent de marcher. »
Con l'ultima sillaba si spezzò la magia creata dal genio di Baudelaire, ma la sensazione di inadeguatezza non scomparve, sapevo perfettamente che non sarebbe stato facile, se non impossibile, adeguarmi al mondo di Christopher, ma avevo promesso che ci avrei provato, così come lui aveva promesso di provare ad aprirsi, e lui aveva fatto già un passo da gigante.
« Vorrei poterti comprendere, » disse accarezzandomi il braccio, e non riuscii a capire se stesse parlando della poesia o della mia mentalità. Reclinai il capo all'indietro, cercando il suo sguardo, volevo vedere nuovamente quel mare, immergermi fra quelle onde, lasciarmi trasportare lontano.
« Baudelaire descrive le sensazioni del poeta e le paragona a quelle dell'albatros, il re dei cieli, il quale viene catturato da alcuni marinai, solo che quando si trova a doversi muovere sulle assi del ponte è goffo, diverso dall'elegante animale che è in volo. Tutti lo prendono in giro, quello non è il suo posto, è perduto, » mormorai strofinando la guancia contro la sua spalla, la voce malinconica mentre accarezzavo lievemente il suo petto. Era bello stare abbracciati così, come se fossimo dentro una bolla, come un albatros in volo nel cielo. « Mi sento così, » confessai con voce flebile, « mi sento inadeguata al tuo mondo, mi sento come l'albatros, goffo fra chi lo deride. Hai visto oggi come mi sono comportata al ristorante con Meredith, stavo per fare una scenata davanti a persone importanti. » Mi alzai sorreggendomi su un gomito. « Sono impulsiva, Christopher, sono sempre stata abituata a un tenore di vita nettamente diverso dal tuo, ho imparato a cavarmela da sola, non ho mai sperato che arrivasse il principe sul cavallo bianco che mi portasse in salvo. Non ho mai desiderato gioielli, vestiti o una carta di credito a fondo illimitato. Mi sono sempre bastati i miei amici, la mia famiglia, in pratica, e questo non perché mia madre fosse poco presente, no, ma perché senza di loro non riuscirei a vivere. » Lo vidi guardarmi con il volto corrucciato, stava cercando di capire la mia visione del mondo. La sua mano si mosse e andò a sciogliere la coda di cavallo facendo attenzione a non essere brusco mentre sfilava la ciocca di capelli attorcigliata all'elastico da quest'ultimo, lasciando i capelli liberi di ricadermi sulle spalle. Scrollai il capo, sentivo la base della nuca indolenzita per via dell'acconciatura, ma ora, libera da quella costrizione, stavo decisamente meglio. « Ho paura di non riuscire a sopportare i cambiamenti a cui mi sottoporrai, ho paura di non essere abbastanza. So di non essere alla tua altezza, sarò anche intelligente sotto diversi punti di vista, ma ho molte lacune, non sono una donna di successo e questo mi sta più che bene, non sai quanto, ma so che non vale lo stesso per te. Tu vuoi ricoprirmi di regali costosi, vuoi fare in modo che tutti si inchino al mio passaggio, ma non è ciò che voglio io. Qualche giorno fa mi hai detto che non proverai a cambiarmi, vale ancora quella promessa? »
Si tirò su a sedere costringendomi a fare lo stesso al suo fianco. « Le mie promesse, una volta fatte, valgono sempre, Lia. Mi è costato molto dirti quelle parole, ma il rispetto che ho nei tuoi confronti è più forte di qualsiasi altro mio desiderio. Farti qualche regalo, di tanto in tanto, però, non rientra nella mia promessa, questo almeno devi permettermelo. Non ho intenzione di cambiare la tua mentalità, Dio, mi sarebbe impossibile farlo talmente sei cocciuta, e non ho nemmeno intenzione di cambiare il tuo stile di vita, non ti priverò della tua famiglia, mi sentirei un mostro se lo facessi, nonostante in altri casi sia successo che venisse scelta la fama piuttosto degli affetti. E questo, Lia, questo ti fa molto onore, » sottolineò, sapevo di avere un'espressione risentita, aveva appena accennato alle sue vecchie conquiste mentre affrontavamo un discorso piuttosto serio che con loro non aveva niente a che fare. Capii, però, che quello era un modo importante per lui di diversificarmi dalle opportuniste con cui aveva avuto il dispiacere di avere a che fare prima di me, e questa era una minima soddisfazione che accresceva la gioia nel mio cuore. Ero diversa, e lui finalmente se n'era accorto, questa volta per davvero.
Gli accarezza una guancia con dolcezza. « Avrei voluto farla davvero quella scenata, » dissi nel tentativo di allentare la tensione, avevamo finalmente entrambi raggiunto il nostro scopo - non senza un poco di attrito fra noi - ma avevamo ancora molta strada da fare
Christopher ridacchiò stendendosi nuovamente e lasciando che io mi accoccolassi nuovamente nell'incavo della sua spalla. « In effetti, Meredith se lo sarebbe meritato. Com'è che l'hai chiamata? Cerbero? » domandò con un risolino.
Annuii, contenta che non potesse vedere il mio rossore. « Avrei voluto prenderla a schiaffi, tu non sai quanto, » ammisi affondando il volto nel suo petto, un gesto così intimo che forse nemmeno lui aveva mai sperimentato. Nonostante ciò, però, strinse maggiormente le braccia attorno al mio corpo. Non m'importava di essere nuda accanto a lui, l'imbarazzo per la mia nudità persisteva, sì, ma era come passato in secondo piano.
« Mi sconvolgi, Lia, non ti facevo una persona aggressiva, » disse sinceramente sconcertato dalla mia affermazione. Sospirai, le mie dita percorrevano ripetutamente il suo torso su e giù, una lieve peluria gli ricopriva il petto e, se possibile, lo rendeva ancora più affascinante
« Non sono mai arrivata a una vera e propria rissa, a dire il vero, l'unico schiaffo che ho dato l'ho dato a te. Nessuno tocca i miei cari, nessuno, soprattutto non si deve mancare di rispetto a mia madre. Lei è intoccabile. Ha i suoi difetti, ma la adoro, e nessuno deve azzardarsi a sfiorarla, nemmeno con un dito. Anche perché sa quali punti del corpo colpire per fare male, credo riuscirebbe a piegare persino te. »
« Sei molto affezionata a tua madre, » lo sentii dire, nella sua voce c'era tormento, e mi chiesi perché ogni volta che esternavo il mio affetto per mia madre il suo umore cambiasse radicalmente. Annuii con un cenno del capo, gli occhi socchiusi, il pulsare del cuore di Christopher era una dolce ninna nanna, più soave del suono di un pianoforte. Lo sentii irrigidirsi sotto di me, ma la stanchezza era troppa per poter prestare attenzione alle sue proteste. « Dahlia, » mi chiamò, la sua voce mi giunse ovattata.
« Mhm, » riuscii solo a borbottare in segno di protesta, premendomi maggiormente al suo corpo, sfibrata a causa di tutti pensieri e avvenimenti spossanti degli ultimi giorni.
L'ultima cosa che percepii prima di scivolare nel sonno furono le labbra di Christopher sulla mia fronte, palesemente piegate in un sorriso.
Sbadigliai, allungando braccia e gambe per stiracchiarmi nonostante la protesta dei miei muscoli indolenziti. Quando aprii gli occhi la luce nella stanza era rossastra, la sveglia sul comodino segnava le sei, ma mi sembrava di aver dormito per un secolo. Strabuzzai gli occhi, il mascara appesantiva le palpebre e mi risultava faticoso aprirle una volta chiuse. Dovevo struccarmi, e anche in fretta, o sarei diventata come uno degli zombie di The Walking Dead, a meno che, ovviamente, non lo fossi già.
Scostai le coperte, Christopher doveva avermi messa a letto, al che sorrisi, stringendomi addosso il cuscino, crogiolandomi nella beatitudine di quel momento. Mi chiesi dove fosse Christopher, la porta del bagno era aperta e non sentivo l'acqua scorrere, segno che doveva essere da qualche altra parte nella casa, a meno che certamente non fosse uscito, ma ne dubitavo, non mi avrebbe mai lasciata da sola, non si fidava abbastanza di me. Potevo capirlo, nemmeno io l'avrei lasciato da solo in casa mia, nonostante avessi la sensazione che ne conoscesse già la planimetria.
Mi alzai dal letto avvolgendomi nella coperta che prima ci aveva circondati in quel breve ma intenso momento di dichiarazioni. Scalza, percorsi nuovamente il corridoio dalle porte chiuse e scesi la scala a chiocciola, divertita da come ormai mi sembrasse una cosa abituale.
Quando raggiunsi il salotto e guardai fuori dai finestroni mi si mozzò il fiato tanto era bello lo spettacolo che avevo davanti agli occhi. Riuscivo a vedere il sole baciare il mare mentre, lentamente, scendeva verso questo per lasciar spazio alla notte. Una luce rossa, quasi mistica, inondava Los Angeles, una città che sembrava stesse andando in fiamme, come Sodoma e Gomorra, città di grandi trasgressioni e per questo punite. Sarei arsa anche io, ora che avevo ceduto al peccato?
Un rumore sordo mi fece svegliare da quel bellissimo sogno a occhi aperti, fosse stato per me sarei rimasta ore ad ammirare la mia città, la città degli angeli.
Raggiunsi la porta della cucina, Christopher stava piegato su dei fogli con un bicchiere di vino bianco fra le dita. Tamburellai con le nocche sullo stipite in legno bianco, attirando così la sua attenzione.
« Buonasera, dormigliona, » mi canzonò con un sorriso sornione sulle labbra mentre appoggiava il bicchiere a distanza di sicurezza dai fogli. Mi avvicinai a lui, rossa in volto per l'appellativo che mi aveva affibbiato, così vero nonostante non mi conoscesse affatto.
« Il tuo letto è molto comodo, » risposi mordendomi l'angolo della bocca per impedirmi di sorridere. Afferrò la coperta fra le dita e mi attirò a sé con uno strattone delicato, le sue labbra reclamarono le mie.
« Sei sicura di non volertene andare? » domandò cautamente, il suo sguardo mi scrutava attentamente cercando possibili crepe nella mia solida fermezza.
Sorrisi, scuotendo il capo. « A dire il vero vorrei farmi una doccia, » ammisi stringendomi nelle spalle, « ho addosso troppo trucco per i miei gusti, fatico addirittura ad aprire gli occhi. »
La sua bocca si piegò in un sorriso enigmatico, combattuto. « Non devi chiedermelo, Lia, puoi fare ciò che vuoi, » disse portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Lanciai uno sguardo sui fogli che stava studiando con minuziosa attenzione. « Ti ho disturbato? » chiesi mordendomi il labbro, incuriosita dal suo lavoro. Mi domandai se non fossi stata indiscreta, dal suo sguardo luminoso intuii di aver detto la cosa giusta.
« Affatto, mi piace che tu mi disturbi, » rispose con sguardo licenzioso, al che mi sentii ribollire il sangue nelle vene per l'imbarazzo. « Ti conviene filare in bagno, o preferisci provare il marmo dell'isola? » Nelle sue iridi vidi lampi di lussuria minacciare di dare il via alla tempesta travolgente che infiammava il mio corpo.
« Un giorno, forse, » dissi con un sorriso malizioso, accarezzandogli la guancia in un gesto istintivo, l'unico a parte il sesso capace di fargli percepire la mia presenza. « Piuttosto, per quanto riguarda i vestiti... »
« Tu vai a farti la doccia, a quello penso io. »
Deglutii, turbata, non avrei voluto porgli quella domanda, ma dovevo farlo. « L'intimo che mi hai dato stamattina e... quellamattina, sono gli stessi delle tue, ehm, conquiste passate? » Abbassai lo sguardo, stringendomi maggiormente la coperta addosso, mi sentivo a disagio a parlare di quelle megere, ma dovevo saperlo se volevo stare in pace con me stessa.
Christopher mi prese il volto fra le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi. « No, Dahlia, quelle sono cose che ho comprato per te, ho sempre dato per scontato che qualunque donna scegliessi avrebbe accettato la mia offerta. »
Annuii con un cenno del capo, capivo cosa volesse dire, ma faceva comunque male. « Quindi, se volessi, qui non solo ho a disposizione della biancheria intima, ma anche dei vestiti? » chiesi riluttante, cercando con tutta me stessa di non abbassare lo sguardo.
La sua bocca formò una linea sottile. « No, » rispose lentamente, calibrando le parole con cautela, « ho fatto portare via tutti i vestiti, mi avevi fatto capire chiaro e tondo che non avresti accettato la mia proposta. L'intimo che ti ho dato oggi è stata una dimenticanza da parte mia, avevo pensato di aver svuotato ogni cassetto. Per questo questa notte hai dormito con i miei boxer. »
Lo guardai con malizia, decisamente sollevata. « Potrei farci l'abitudine, sai, di dormire solo con i tuoi boxer, » dissi con nonchalance, scrollando le spalle, facendo attenzione che la coperta non scoprisse nulla del mio corpo, o davvero avrei provato il marmo freddo della cucina.
Un ringhio basso salì dalla gola di Christopher. « Doccia, » sibilò, nei suoi occhi scorsi i primi lampi in avvicinamento e il mio bassoventre si contrasse.
Ridacchiai sommessamente mentre ritornavo nella camera di Christopher, pronta a lavare via il trucco che mi appesantiva il volto, nella speranza che se ne andasse anche la sensazione di stanchezza. Oltretutto, avevo bisogno di pensare, di riflettere, avevo accettato troppo in fretta il compito di Atlante senza rendermi conto del peso effettivo che sarebbe gravato sulle mie spalle.
Gettai la coperta sul letto e mi chiusi in bagno, per quanto una parte di me lo desiderasse ardentemente, non volevo una visita sotto la doccia, dovevo riflettere, e quello era l'unico luogo in quella casa dove mi era concesso farlo con un po' di privacy.
Mentre lasciavo che l'acqua scorresse e diventasse calda mi concessi di guardarmi allo specchio. In quel riflesso potei vedere la persona che non avrei mai voluto essere, mascherata, incapace di scorgere la mia vera essenza dietro quel trucco che, per quanto leggero, celava la vera me, invisibile anche agli altri. Con un gemito angosciato aprii il rubinetto e mi passai l'acqua sul volto, sporcando il marmo di una lieve tonalità grigio-dorata. Non avrei chiesto a Christopher se avesse dello struccante, non m'importava se fosse stato di Cassandra, non lo avrei fatto e basta.
Quando rialzai il volto e puntai gli occhi sullo specchio emisi un rantolio, sembravo un panda, e non di quelli che facevano venire voglia di essere coccolati giorno e notte, no, uno di quelli assassini, stile zombie. Arricciai il naso e mi diedi un'altra passata agli occhi, utilizzando la carta igienica per togliere il resto del trucco - non avevo nemmeno intenzione di sporcargli i morbidi asciugamani che di certo costavano un occhio della testa. Tolsi anche gli orecchini, riponendoli ben distante dal lavello, non mi sarei perdonata se fossero accidentalmente caduti nel tubo di scarico.
Rassegnata dal fatto che sembravo appena uscita da un incontro di pugilato, mi infilai nella doccia, lasciandomi investire dall'acqua bollente. Mi passai entrambe le mani fra i capelli, dondolando appena mentre l'acqua iniziava a lavare via le sgradevoli sensazioni di quei giorni. Chiusi gli occhi, spostando ripetutamente il peso da un piede all'altro, pensando inevitabilmente a come sarebbe stato fare la doccia con Christopher. Decisamente, sarebbe finita in unico modo, e la cosa mi piacque in modo pericoloso.
Sospirai, conscia del fatto che il suo segreto, la sua indole violenta era in un certo senso indomabile, e la cosa peggiore era che lo capivo perfettamente. Anche io ero così: incassavo il colpo quattro, cinque volte, ma poi esplodevo, solamente che io preferivo le urla e gli insulti alle reazioni fisiche. Appoggiai la fronte alle piastrelle bianche e fredde, mi ero fatta carico di un peso enorme, nulla mi impediva di chiedermi se averebbe potuto perdere la pazienza con me. Ora che sapevo di cosa era capace, avevo ancora intenzione di sfidarlo?
Ossa rotte, cicatrici indelebili, tentati suicidi. Inspirai bruscamente, vi era davvero la possibilità che tutto questo accadesse anche a me? Che mi picchiasse, che io arrivassi al punto di tentare il suicidio? La madre di Bea si era uccisa perché non sopportava l'idea di non essere in grado di proteggere i figli dalle mogli dell'ex marito, perché non era stata forte abbastanza, nonostante avesse due ragioni bellissime per cui continuare a vivere. Io ne avevo molte di più che avrebbero lottato per me, ma la quantità non contava, contava la voglia di continuare a sostenerli, a proteggerli, a impedire che venisse fatto loro del male.
Cercai uno shampoo e ne trovai uno alle albicocche, al che aggrottai le sopracciglia. Aveva fatto portare via tutto, eh? Beh, poco male, la sua mania da stalker aveva messo a segno mezzo punto, e questo comprendeva anche i croissant al cioccolato. Sorrisi al ricordo di quella mattina, in effetti era stata piuttosto normale come colazione.
Mi passai lo shampoo fra i capelli, massaggiandomi la testa e cercando di rilassarmi, ma dentro di me non c'era pace, una parte della mia mente mi dava della stupida con la sindrome da crocerossina, l'altra invece mi incoraggiava, dicendomi che sarei riuscita a cambiarlo. Ne dubitavo fortemente, come si poteva cambiare radicalmente il modo di pensare di un uomo fatto e finito e che si comportava come un violento misogino? Dovevo capire che quello non era un romanzo rosa, affatto.
Strizzai i capelli sotto l'acqua per rimuovere ogni traccia dello shampoo, ricordandomi come Christopher me li aveva asciugati la sera prima, quando mi aveva dato prova di saper essere rispettoso nei miei confronti, gentile, nonostante la malizia che sprizzava da ogni suo poro. Ridacchiai e arrossii al pensiero di che fine avevano fatto le mie mutandine. Christopher era anche questo, era gentilezza malcelata, forse lui non si rendeva conto di essere gentile, o almeno lo era con me, forse non sempre, ma lo era. Ed era rispetto, per quanto sembrasse non importargli nulla di come potessero sentirsi le persone che gli stavano attorno, e anche premuroso, ma non nello stile genio della lampada - o almeno non sempre - lui riusciva a preoccuparsi anche di come stessi emotivamente e non solo di cosa volessi di materiale.
Sorrisi mestamente fra me e me, consapevole che solo io riuscivo a vedere quelle sue peculiarità dietro la barriera di ghiaccio che si era costruito quando lui invece non vedeva quanto potesse essere buono senza dover ricorrere a regali costosi.
Afferrai il bagnoschiuma, l'unico flacone era quello che sicuramente usava Christopher, alla menta. Sollevato il tappo il profumo del sapone m'invase le narici e, con gli occhi chiusi, mi sembrò che Christopher fosse entrato nel box doccia. Con un sorriso ebete sulle labbra versai un poco del bagnoschiuma sul palmo della mano e iniziai a spalmarmelo sulla pelle, cercando di non pensare che fossero le sue mani a percorrere il mio corpo. Repressi un brivido di piacere, la mia mente doveva continuare a focalizzarsi sul problema principale.
Le mie dita sfiorarono la collana, era strano che mi fossi affezionata a una cosa così piccola, di così poco valore, che mi aveva regalato un uomo che in principio odiavo e che ora mi ero offerta di aiutare in una missione pericolosa. Mi passai le dita dietro al collo, premendo con i polpastrelli sui muscoli per allentare la tensione, l'unica persona che però era in grado di farmi un massaggio decente e farmi sentire meglio era Nine. Non potei fare a meno di domandarmi se anche Christopher sapesse fare dei massaggi, e mi immaginai le sue mani premere sul mio corpo, toccarmi con il solo intento di infondermi pace. Sospirai, gli occhi socchiusi e il corpo desideroso di attenzioni molto particolari.
Mi risciacquai e chiusi l'acqua, la mia era una decisione irrevocabile, non potevo né volevo tirarmi indietro, sarebbe stata una conferma alle teorie di Christopher e un'onta indelebile sul mio onore.
Uscii dalla doccia, grondando acqua sull'asciugamano steso per terra e ne afferrai un altro che mi avvolsi attorno al corpo. Con un altro ancora mi avvolsi i capelli, frizionandomeli prima di imbastire una sottospecie di turbante. Mi guardai allo specchio, il volto appena tirato attorno agli occhi per via dell'asciugamano troppo stretto, e notai con soddisfazione che il trucco era venuto via quasi del tutto, anche se due cerchi attorno agli occhi indicavano quanti sforzi avevo fatto per toglierlo.
Una volta asciutta uscii dal bagno e mi ritrovai davanti Christopher intento a rifare il letto, un grissino fra i denti e lo sguardo adombrato mentre percorreva l'intera mia figura. Arrossii sotto i suoi occhi, mi sentivo bruciare e la sensazione non migliorò quando sentii il grissino spezzarsi sotto la pressione dei suoi denti. Lo allontanò dalla bocca, masticando lentamente, fissandomi intensamente, come un predatore che fissa la sua preda. Sapevo di essere sempre stata la preda, sapevo di essere in pericolo, eppure ero attratta inevitabilmente dal fascino da predatore che lui esercitava su di me e che mi faceva palpitare, talvolta per il terrore, altre volte per l'eccitazione.
« Non potrei mai permetterti di uscire conciata così, » disse avvicinandosi lentamente, il passo felpato, « ma in questa casa potrei fare un'eccezione. » Le sue dita mi accarezzarono provocatorie una coscia, risalendo verso l'alto, sfiorando l'orlo dell'asciugamano. Tremavo, ma non per il terrore, la sua vicinanza m'incuteva tutt'altro che paura, almeno non in quel frangente. Entrambi sapevamo bene che il sesso era qualcosa che, nonostante fosse un territorio nuovo per me, ci metteva sulla stessa frequenza.
Sorrisi imbarazzata e afferrai il grissino, portandomelo alle labbra e sgranocchiandolo. « Sei troppo presuntuoso, cosa ti fa credere che ti riserverò ancora questo spettacolo? » domandai con uno sguardo languido mentre finivo il grissino. Christopher mi afferrò i polsi con delicatezza, facendomi girare e gettandomi sul letto per seguirmi subito dopo, le ginocchia ai lati del mio corpo.
« Potrei sempre costringerti, » mormorò chinandosi su di me e mordicchiandomi il mento, mandandomi in visibilio. Avrei voluto cedere alla tentazione, lasciare che facesse di me ciò che più voleva, ma non ero certa di riuscire a reggere senza mangiare qualcosa. Il grissino aveva risvegliato in me la fame che non avevo del tutto appagato a pranzo, e io davo sempre ascolto al mio stomaco. Come se mi avesse letto nel pensiero, Christopher si scostò appena, guardandomi negli occhi. « Spero ti vada bene una pasta alla carbonara, » disse ammiccando mentre le sue labbra si muovevano lungo la mia mandibola.
« Sarebbe perfetto, » confermai mugugnando, « spero solo tu non dia fuoco alla cucina. » Lui ridacchiò, pizzicandomi l'interno coscia e facendomi sussultare, piacevolmente sorpresa.
« Finora non ho mai bruciato nulla, ragazzina. »
Arcuai un sopracciglio. « Ne sei sicuro? »
« Se ho bruciato te, allora non ne sono pentito, » sussurrò malizioso mordicchiandomi il labbro inferiore e facendomi fremere.
« Vai a cucinare, o vedrai il mio lato cannibale molto da vicino, e non sarà una cosa piacevole, » dissi assottigliando le palpebre. Vidi i suoi occhi adombrarsi per un attimo, ma non di fastidio, bensì di desiderio. Deglutii senza smuovere lo sguardo, contando mentalmente i lenti secondi che impiegò per prendere una decisione. Dopo cinque interminabili istanti si alzò, non senza premersi ancora una volta su di me per farmi sentire quanto lui volesse dare sfogo al suo lato cannibale.
Rimasi ancora qualche momento sul letto prima di alzarmi e afferrare i vestiti che Christopher aveva preparato per me. Il mio bottino consisteva in un intimo decisamente costosissimo - il pizzo nero che lo orlava doveva valere moltissimo - e in una canotta sempre dello stesso colore e bordata di pizzo, così come gli short abbinati. Arricciai il naso, niente regali, eh? Sbuffai sconsolata, immaginavo che non si sarebbe lasciato convincere così facilmente, ma almeno si era frenato. Oh, beh, più o meno.
Entrai nuovamente in bagno, dove indossai l'intimo e quella sottospecie di pigiama. Mi frizionai i capelli con l'asciugamano e, dopo averlo cercato in lungo e in largo, finii di asciugarli con il phon, contenta dell'effetto che creavano confondendosi con il nero del pigiama.
A piedi nudi scesi la scala a chiocciola, l'invitante profumo proveniente dalla cucina mi fece ruggire lo stomaco. Mhm, era troppo presto per mangiare, erano le sette passate solo da qualche minuto - così diceva il display dello stereo incassato nella libreria - e io ero solita cenare verso le otto, se non addirittura più tardi.
« Posso darti una mano? » domandai affiancando Christopher, indaffarato al piano cottura mentre versava in una padella la pancetta che iniziò subito a sfrigolare a contatto con l'olio.
Mi indicò con il cucchiaio di legno che teneva in mano le uova e la scodella. « Puoi sbattere le uova, » disse senza guardarmi, intento ad accertarsi che la carne non si rosolasse troppo. Beh, perlomeno sapeva cucinare ed era persino diligente.
« Oui, chef, » mormorai a fior di labbra con un sorrisino mentre rompevo le uova e le versavo nella scodella, tutte intere, senza traccia di guscio o tuorli rotti. Avrei voluto un po' di musica in sottofondo, avendo vissuto praticamente da sola negli ultimi anni la musica era diventata la presenza che mi serviva per non sentirmi abbandonata, ma non ero sicura che lo stesso valesse per Christopher. Trattenendomi dal canticchiare nervosamente, quindi, afferrai la forchetta e cominciai a sbattere le uova con mano pratica e veloce, guadagnandomi un'occhiata stupita dallo chef. Lo guardai divertita continuando ad agitare la forchetta, mi morsi l'interno della guancia per impedirmi di ridere. « Cosa c'è, sei a corto di parole? Non è da te! »
« Sono sorpreso, » ammise riluttante con lo sguardo quasi ammirato rivolto al mio operato, sembrava fosse la prima volta che vedeva una donna cucinare - e data la compagnia che frequentava, non stentavo a crederci.
Feci spallucce. « Sai com'è, non vivo solo di cibo d'asporto o cibo spazzatura, anche io sono un'autodidatta, » spiegai semplicemente finendo di sbattere le uova. « Non sarò una cima in matematica, ma ho un certo istinto di sopravvivenza, oltretutto l'anno scorso ho cucinato il cenone di Natale per i miei amici, » mi vantai con un mezzo sorriso. Dio, era stato una cena fantastica, ci eravamo addormentati tutti in salotto e il giorno dopo avevamo ripulito la casa da cima a fondo rigorosamente prima di scartare anche uno solo dei regali.
Lui alzò un sopracciglio, percorrendo con gli occhi l'intera mia figura. « Sarà anche così, ma sembri deperita, sei magrissima, » replicò abbassando il fuoco sotto la padella.
Arrossii violentemente. « Ho un metabolismo molto efficiente, » mi giustificai, se avesse saputo che mangiavo di continuo ma che comunque risultavo sempre così magra avrebbe certamente pensato che avessi il verme solitario.
Dopo un'altra occhiata critica, Christopher aprì le ante sopra il lavabo e ne tirò fuori piatti e posate e due bicchieri che appoggiò sopra delle tovagliette sull'isola. In quel momento avrei davvero voluto accendere lo stereo, perlomeno per sovrastare il silenzio assordante che regnava, smorzato solo dallo sfrigolio dell'olio a contatto con la pancetta.
Senza aggiungere una parola mi sedetti sull'alto sgabello e mi persi a osservare i movimenti di Christopher, sembrava quasi fosse un chimico data la precisione con cui brandiva il mestolo e poneva attenzione a ogni singolo dettaglio.
Incapace di starmene con le mani in mano e un poco ferita dal fatto che non mi rivolgeva la parola, saltai giù dallo sgabello e, quasi di soppiatto, uscii dalla cucina, girando subito a destra per trovarmi di fronte alla vetrata che separava il salotto dal terrazzo. Aprii la porta scorrevole e subito i suoni caotici di Los Angeles mi penetrarono nelle ossa, facendomi sentire viva. Sorrisi beata a quella sensazione, ammirando l'impeccabile gusto di Christopher nell'arredare anche quel piccolo spazio di verde, unico colore presente in quella casa, con tutta probabilità. Beh, di verde c'era poco, a dire il vero, se non per dei cespugli ornamentali dal taglio a sfera che affiancavano l'entrata e se ne stavano comodi lungo il perimetro del terrazzo recintato da un parapetto bianco e quello che doveva essere vetro. I miei piedi nudi sfiorarono il pavimento costituito da assi di legno scuro facendomi rabbrividire dal freddo. Al centro del terrazzo era stato posto un tavolino rettangolare di marmo nero come quello ellissoidale del salotto e due poltrone in pelle grigia. No, decisamente non era un vero tocco di colore, quasi più un prolungamento esterno della vita in bianco e nero in cui Christopher si era rinchiuso.
Mi avvicinai alla balaustra e appoggiai i palmi sul metallo bianco, freddo contro la mia pelle. L'incendio che prima sembrava avvolgere Los Angeles era sul punto di estinguersi, una linea di fuoco rosso all'orizzonte marcava i contorni di case e grattacieli rendendo il tutto più nitido ai miei occhi. C'era una lieve brezza che soffiava dal mare, trasportando l'odore salmastro dell'acqua attutito dallo smog, un vero peccato. Cercai di non guardare in basso, anche se non soffrivo di vertigini ad altezze modeste, anche io avevo un limite.
Il venticello si fece più insistente, e chiusi gli occhi, beandomi di quella sua furia carezzevole che mi scompigliava i capelli e mi premeva il pigiama contro il corpo. Mi isolai dalla cacofonia di suoni che si levava dalle strade, concentrandomi solo sul suono del vento, e mi parve di risentire la voce di mia madre: « Ogni volta che mi sentirai lontana, piccola mia, esci di casa e chiudi gli occhi, lascia che il vento ti parli. Il suo è un sussurro flebile, dolce, che ti accarezza come sto facendo io adesso. Ogni volta che penserai di non farcela, pensa intensamente a me, il vento ti parlerà con il suono della mia voce, asciugando le tue lacrime e ponendo fine ai tuoi tormenti. Devi sapere, Dahlia, che il vento è un messaggero, quando avrai bisogno di me ma io non ci sarò, affidati a lui, cosicché io possa ricevere la tua richiesta d'aiuto e risponderti. Lo farai, Dahlia? Lo farai per me? »
Ora sapevo che il suo era un tentativo di alleviare il mio dolore ogni volta che doveva allontanarsi, ma senza quel suo racconto non ce l'avrei mai fatta a sopportare la sua assenza, così come non riuscivo totalmente a sopportarla ora.
Che cosa faresti, mamma, al posto mio?
Due braccia mi cinsero la vita, impedendo così a mia madre di darmi una risposta. Socchiusi gli occhi, confortata dal calore emanato da Christopher, il capo appoggiato sulla mia testa. Era accompagnato da un latente profumo di pancetta, il che mi fece sorridere, sembrava così mondano vestito di una maglietta a maniche corte sgualcita e i pantaloni del pigiama.
« Vuoi mangiare qui fuori? »
La domanda mi sorprese alquanto. « Davvero? » domandai girandomi verso di lui, gli occhi che brillavano dall'eccitazione. Mangiare all'aria aperta in quel piccolo angolo verde, al cospetto di Los Angeles, aveva lo stesso profumo dell'avventura.
Christopher sorrise e i suoi occhi si illuminarono. « Davvero, » confermò scostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. « È una bella serata, non vale la pena starsene rinchiusi in casa, no? »
Sbuffai divertita. « Solo tu puoi chiamarla casa, » borbottai scuotendo il capo. « Comunque accetto la tua proposta di mangiare qui. »
Dopo un rapido bacio, Christopher tornò in cucina e io lo seguii a ruota solo per recuperare tovagliette, posate e bicchieri e portarli in terrazzo. Mi accoccolai su una poltroncina e sistemai le gambe sotto di me per impedire che mi si gelassero i piedi nudi. Poco dopo venni raggiunta dallo chef, il quale mi porse un calice di vino bianco. Arricciai il naso, memore dell'effetto che faceva su di me solo qualche goccia di quel nettare prezioso.
Nonostante la diffidenza nei confronti del vino, accettai lo stesso il bicchiere e Christopher si sedette sul bracciolo della poltrona. « Domani, prima di andare a trovare Beatrice, vorrei che tu mi facessi un favore, » iniziò cauto, guardando il vino compiere movimenti circolatori nel calice ma perfettamente consapevole di ogni mio minimo movimento. Annuii con un cenno del capo, lentamente, con Christopher non potevo mai sapere cosa mi avrebbe chiesto. « È una cosa più per te che per me, anche se mi faresti davvero un grande favore. Presumendo che tu sia effettivamente autosufficiente, suppongo che sarai anche in grado di prendere alla stessa ora ogni giorno la pillola anticoncezionale. »
Ah, eccola lì la notizia bomba: al mago del sesso dava fastidio il preservativo. Dovetti trattenermi dal ridere, cosa che mi risultò alquanto difficile ma che riuscii a mettere in atto. « Vuoi che mi faccia dare la ricetta, vero? »
« Preferirei che tu faccia una visita, anche, » aggiunse con una stretta di spalle. Ma che premuroso era, si preoccupava per la mia verginità rubata! Questa volta mi feci sfuggire un sorrisino canzonatorio.
« D'accordo, allora domani andrò nel reparto ginecologia prima di andare da Bea, » dissi appoggiandogli una mano sul ginocchio come a tranquillizzarlo. « Spero solo che sia una donna a visitarmi, l'idea che un uomo mi possa, uh, vedere nuda, è alquanto imbarazzante. »
« Ma io ti ho vista nuda, » ribatté lui prendendosi così la rivincita sul mio sorrisino canzonatorio di prima. Gli scoccai un'occhiata imbarazzata, le guance arrossate.
« Già, e credo proprio tu sia l'unico fino a ora, » replicai rabbrividendo un poco al ricordo dei suoi occhi carichi di desiderio che correvano sulla mia pelle nuda, saziandosi di quella visione come se fosse ambrosia.
Si chinò verso di me, il mare nei suoi occhi era placido, illuminato però dalla malizia che gli faceva da padrona. « Vedremo di fare in modo che la situazione rimanga la stessa, » propose con voce suadente, inclinando il calice verso di me.
Feci tintinnare il mio bicchiere contro il suo, come a suggellare quella promessa, sulle labbra un sorriso quasi trasognato. Era troppo presto perché mi facessi delle false speranze, ma come da tempo la storia della povera Pandora insegnava, la speranza è l'ultima a morire.
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