Capitolo XII
Quando ebbi pronunciato l'ultima parola apparve nuovamente davanti ai miei occhi il negozio spoglio della meraviglia che le parole di Baudelaire avevano infuso nell'aria, come se fosse una qualche formula magica. Avevo il battito accelerato per l'emozione e, davanti a me, Emma aveva gli occhi lucidi. Affondai i denti nel labbro inferiore, domandandomi se avessi sbagliato a ostentare i miei natali.
Dopo qualche istante con lo sguardo perso nel vuoto, Emma mi rivolse un sorriso cordiale, gli occhi di ghiaccio si erano sciolti lasciando posto a un fresco torrente di montagna, limpido e vivace, gentile. « Credo di avere qualcosa di adatto a te, » disse voltandomi le spalle e dirigendosi verso uno stretto corridoio mentre Christopher mi sospingeva dolcemente nella stessa direzione, le mani gentili attorno alla mia vita.
« Non so il francese, ma è stato bellissimo, » mormorò fra i miei capelli, facendomi arrossire. Le mie labbra si incresparono in un sorriso orgoglioso, nessuno mi aveva mai chiesto di recitare una poesia in francese, talvolta canticchiavo qualcosa, ma lo facevo fra me e me, nulla di ufficiale, in quanto l'unica che mi avrebbe capita sarebbe stata mia madre.
La prima cosa che vidi fu, appeso all'alto soffitto, un enorme lampadario a otto bracci, d'argento e cristalli, molto probabilmente in vetro di Murano originale, conferente alla stanza un'atmosfera di soggezione, ma anche di eleganza e sobrietà. Mi guardai attorno, abiti più o meno lunghi erano disposti sui manichini e sulle grucce, ognuno di loro catturava la luce, facendola propria. Sbattei le palpebre più volte, non avevo mai pensato con tanta attenzione a dei vestiti.
Emma tornò da noi con un vestito scamiciato color oro che doveva arrivarmi sopra il ginocchio, leggero persino alla vista. Era bellissimo, semplice, e ovviamente non avrei mai potuto pagarlo di tasca mia, probabilmente non sarei riuscita a prenderlo nemmeno a nolo. « Un abito fresco, femminile e, soprattutto, semplice, come te, » disse porgendomi l'abito. Lo strinsi delicatamente fra le dita, come se fosse fatto di prezioso cristallo, non mi sentivo affatto adatta a indossare un capo del genere, non era da me. « Vieni, ti faccio vedere dove sono i camerini, » aggiunse dirigendosi verso una fila di porte bianche, quasi invisibili contro la parete. Ne aprì una e lasciò che entrassi e chiudessi la porta, assicurandola con un giro di chiave. Almeno avrei evitato visite indesiderate da parte di Christopher, non volevo certo dare spettacolo in quel negozio.
Lentamente, mentre sentivo Emma e Christopher parlare distanti dal camerino, iniziai a spogliarmi degli abiti di Cassandra, i miei occhi non si muovevano dal vestito appeso a un pomello sulla parete. Quando fui rimasta solamente in intimo, afferrai sempre con deferenza l'abito e, lentamente, lo feci scivolare da sopra la testa su tutta la mia figura minuta, fresco e delicato, proprio come l'aveva descritto Emma. Tirai fuori i capelli da sotto il tessuto e nella parete a specchio dalla parte opposta della porta li vidi scivolare elegantemente sulle spalle, come se l'abito mi avesse cambiata facendomi diventare più aggraziata e bella. Scossi il capo, scacciando il pensiero, io non ero bella, ero normale, una comune ragazza americana. Una comune ragazza americana presa di mira dal magnate dell'edilizia, ricordalo.
Sbuffai a quel pensiero, afferrando i lembi di tessuto che formavano una cintura improvvisata e li annodai fra loro, cercando di farli cadere elegantemente lungo il fianco senza che si formassero delle grinze. M'infilai nuovamente le ballerine e, preso un respiro profondo, uscii dal camerino, l'orlo dell'abito mi accarezzava la coscia, avevo decisamente sbagliato i miei calcoli riguardo la sua lunghezza, ma non potevo nemmeno dire che mi stesse male. Era semplicemente perfetto.
Christopher se ne stava appoggiato a uno dei finestroni che davano sulla strada, lo sguardo perso nel vuoto. Mi domandai quali pensieri affollassero la sua mente mentre mi avvicinavo silenziosamente. Sentendomi arrivare volse il capo nella mia direzione, e potei vedere nei suoi occhi il preludio di una tempesta, il suo sguardo scivolò su di me lentamente, facendomi sentire nuda, tanto che mi coprii istintivamente con le braccia, imbarazzata. Dischiuse le labbra, i suoi pensieri ora erano decisamente troppo chiari.
« Sei incantevole, » sussurrò dopo qualche istante, avvicinandosi a me e prendendomi delicatamente i polsi, allontanandoli dal mio petto. « Non coprirti, » mormorò chinandosi verso di me e inspirando a fondo fra i miei capelli, « questo vestito è perfetto per le tue forme. »
Abbassai il capo, imbarazzata. « Emma ha buon occhio, » mormorai mordicchiandomi il labbro inferiore. Era un'ovvietà, ma non riuscivo a trovare una risposta sagace alla sua affermazione, io non mi sentivo perfetta, affatto.
« Puoi ben dirlo, » confermò Emma, sbucata fuori da non sapevo dove, quando mi volsi nella sua direzione vidi che reggeva una scatola da scarpe e un'altra scatola più bassa, di quelle da gioielli. Guardai Christopher sospettosa, aveva parlato di un vestito, non di un intero abbinamento. « Mi è stato detto che non ti piacciono i tacchi, il che è un vero peccato, ma con il tempo non potrai più farne a meno, » affermò Emma appoggiando le scatole su di un basso pouf bianco, estraendo dalla prima un paio di ballerine color crema trapuntate da delle piccole e basse borchie. Me le porse, invitandomi poi a sedere su un altro pouf lì accanto.
Come un robot, eseguii l'ordine e mi cambiai le scarpe, le ultime non erano certo un pugno in un occhio abbinate al vestito, anzi. Mi alzai in piedi, conscia che fossero del mio numero, Christopher sembrava conoscere ogni taglia del mio corpo, e mi chiesi come potesse esserne effettivamente al corrente, in effetti non erano registrate all'anagrafe o da qualche altra parte.
« Per il momento possono andare, ma mi aspetto che tu venga a supplicarmi di darti delle scarpe con il tacco, » ridacchiò Emma, china sulla scatola di gioielli aperta, la luce veniva catturata avidamente anche da loro e non solo dai vestiti.
Sentii Christopher ridacchiare. « Lia non è una ragazza che supplica, » replicò guardandomi intensamente, la tempesta nei suoi occhi si era placata, ma potevo vedere le sue iridi brillare di lussuria. Arrossii, distogliendo lo sguardo dalla sua figura, o avrei rischiato che il mio povero cuore cedesse. In realtà, io l'avevo realmente supplicato in ospedale, e dubitai se lo fosse semplicemente scordato.
« Lo vedo bene, Dahlia sembra più il tipo di ragazza che prende ciò che vuole, » replicò Emma, lasciandomi di stucco. Le avevo dato davvero quell'impressione? No, io non ero così. « E se non necessita alcunché, lascia che le cose stiano così come sono, dico bene? »
Sbattei le palpebre più volte, guardando la donna con un groppo in gola. « Io... non sono il tipo di persona che vuole qualcosa che non può avere, mi accontento di quello che ho già, » sussurrai portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, a disagio.
Emma si avvicinò a me e mi prese il polso destro, la presa era salda nonostante le dita esili, sulle unghie era stato steso un velo di smalto rosso sangue. Senza dire una parola, mi infilò un bracciale dorato, non più alto di tre dita, dall'orlo irregolare e con alcuni brillanti incastonati nella trama reticolata. « Appunto, » mormorò quasi fra sé, « un'altra persona si sarebbe fiondata su qualche abito sfarzoso, gioielli preziosi, cappelli piumati e quant'altro, ma tu, tu no, lasci che sia io a scegliere per te, e non perché non hai gusto, bensì perché ti trovi inadatta a questo mondo. Sei una perla rara, Dahlia Beauchamp. » La guardai con le labbra dischiuse, non riuscivo a collegare il suo giudizio precedente con questo complimento - perché era un complimento, vero?
« Quello che vuole dire Emma, » venne in mio aiuto Christopher, « è che non hai bisogno di nient'altro che la tua forza d'animo per essere più femminile di qualsiasi altra donna d'alta classe, e che se hai bisogno di qualcosa, lotti per ottenerla, senza scorciatoie o suppliche. » Lo guardai amareggiata, lui sapeva benissimo che non era affatto così. Era successo solo una volta, ma che lo negasse proprio lui era la cosa più dolorosa. Anzi, no, era successo due volte, l'avevo anche supplicato di lasciarmi in pace per sempre. Si avvicinò lentamente a me, Emma stava valutando con sguardo attento altri gioielli. « So a cosa stai pensando, Lia, » mormorò fra i miei capelli, e io lottai contro il magone che mi attanagliava la gola, « quella non era una supplica, era una lotta contro te stessa, contro i tuoi principi, hai anteposto la vita di Bea al tuo stesso bene. Per quel che vale, quello che hai fatto ti rende onore. »
Mi strinsi nelle spalle, per me quello era stato un atto vergognoso, ma per Bea l'avrei fatto mille e mille volte, perché sapevo che lei avrebbe fatto altrettanto per me. Inspirai a fondo, alzando poi il volto e incrociando il suo sguardo. « Non cambierai la mia visione del mondo, » mormorai amareggiata, io non mi sarei mai vista in modo diverso.
« Lascia allora che allevii il tuo disagio. Sei una donna formidabile, Lia, e se non riesci a vederlo, lascia che sia io a fartelo scoprire. »
Lo guardai, esitante. « Non era questo l'accordo con le tue precedenti conquiste? » chiesi cercando di mantenere una voce ferma, priva di tremolii. Continuare quella nostra pseudo relazione sulla base dei suoi altri rapporti era una cosa che non avrei accettato.
« No, non era affatto così. Ma non voglio parlarne qui, » liquidò il discorso in fretta mentre Emma tornava da me, reggeva tre paia di orecchini che non mi presi la briga di studiare attentamente, mi fidavo di lei e certamente avrebbe scelto l'abbinamento perfetto.
« Questi, » disse infine porgendomi degli orecchini pendenti ovali con delle punte pendenti, ovviamente d'oro, fatta eccezione per due piccole decorazioni blu. Li indossai senza esitare, conscia che se avessi saputo di chi fossero e quanto costassero li avrei riposti nuovamente nella scatola. Il metallo freddo mi sfiorò il collo, le punte mi solleticavano la pelle. La donna allungò le mani come per togliermi la collana, ma scossi il capo. No, quella non l'avrei tolta, neanche per tutto l'oro del mondo, era una tacita promessa che forse Christopher non si era reso conto di avermi fatto. Emma mi guardò sospettosa, poi sospirò, riponendo il pendente a forma di sole stilizzato che voleva farmi indossare.
« Devi esserci molto affezionata, » constatò mentre chiudeva la custodia dei gioielli, continuando però ad osservarmi incuriosita.
Annuii con un cenno del capo. « Simboleggia speranza, » mi lasciai sfuggire ad alta voce, e divenni rossa sotto lo sguardo corrucciato di Christopher. Come potevo dirgli che quella collana, per quanto sembrasse uno sciocco e semplice regalo, significava molto per me? Lui aveva visto la semplicità in quella lacrima, aveva visto me, e ogni volta che ci pensavo, la speranza che Christopher potesse cambiare idea sul suo modo di vedere il mondo delle donne come un'insieme di opportuniste, che cambiasse il modo di vedere me come tale, si faceva largo nel mio cuore.
« E i tuoi bracciali? »
Aggrottai le sopracciglia, guardando il polso sinistro, ed istintivamente sorrisi. « Quello dorato me l'ha regalato mia madre due anni fa, a Natale mentre il bracciale in metallo con pietre blu è un regalo dei miei amici, » spiegai con tono affettuoso, era uno dei pochi modi per avere tutte le cose importanti della mia vita sempre con me.
« Mai togliere a una donna ciò che la rende forte, » mormorò Emma fra sé, ma riuscii a sentirla lo stesso. Scosse il capo e mi guardò con un sorriso enigmatico sul volto. « Vieni con me, dobbiamo fare qualcosa per quei capelli e per il trucco. Non sei una ragazza che si trucca molto, sarà una cosa veloce e indolore. »
Deglutii, gli occhi sgranati, domandandomi come mi avrebbero conciata. Riluttante, seguii la donna attraverso un altro corridoio e su per una scala chiocciola - perché tutti avevano la mania di questo tipo di scale? Trattenni uno sbuffo.
Quando raggiunsi il quarto piano, quello che doveva essere l'ultimo, mi guardai attorno, strabuzzando gli occhi. Lì non c'erano affatto vestiti, quello era un vero e proprio salone di bellezza, dal reparto parrucchiera a quello coi lettini abbronzanti.
Notai Emma, in fondo a questo primo grande salone, indicarmi una poltrona in pelle bianca simile alle altre sistemate davanti a uno specchio che correva lungo tutta la parete. Riluttante, mi avvicinai alla donna, sedendomi sulla poltrona dallo schienale appena reclinato.
« Hai dei capelli stupendi e non ho alcuna intenzione di toccarli - e immagino che tu non lo voglia affatto, perciò vedrò di acconciarteli in modo semplice, » disse prendendo forcine ed elastici e mettendo a scaldare una piastra per capelli. « E ricorda: la semplicità è pura eleganza, l'eccesso porta alla volgarità. »
Annuii con un cenno del capo, le dita di Emma fra i miei capelli mi fecero socchiudere gli occhi, i muscoli rigidi per lo stress si rilassarono in un attimo, era una sensazione fantastica. Aiutata da una spazzola, Emma mi tirò i capelli all'indietro, lasciando libera solo una lunga ciocca sul lato sinistro del viso, legandomeli poi in una bassa coda di cavallo laterale. Iniziò poi, con un'altra ciocca di capelli lasciata libera dall'elastico, a passarlo attorno ad esso, nascondendolo. Mentre attendeva che la piastra si scaldasse fino alla giusta temperatura, srotolò uno stuolo di pennelli più o meno grandi davanti ai miei occhi. Prese alcuni bauletti e li aprì, rivelando trucchi di ogni colore e forma.
Atterrita, lasciai che facesse col mio viso ciò che più le piaceva. Sentii, per un lasso di tempo apparentemente interminabile, i pennelli sfiorare la pelle delle mie guance, le mie palpebre, le mie labbra. Allo specchio vidi cambiare sempre di più il mio volto, dalla ragazzina acqua e sapone che ero mi trasformai in una bellezza dorata dalle lunghe ciglia, labbra sottili ma carnose che sembravano sensuali in ogni loro minimo movimento. Dovetti sbattere più volte le palpebre per assicurarmi che quella fossi davvero io. Non mi sembrava possibile.
Mentre prendevo lentamente consapevolezza del mio nuovo aspetto, Emma imprigionò la ciocca di capelli lasciata fuori dalla coda di cavallo nella piastra e l'arrotolò più volte dando così vita ad un boccolo perfetto, allungato, che mi incorniciava il volto elegantemente.
« Sei incantevole. »
Sobbalzai nel sentire vicina la voce di Christopher, non mi aveva lasciata nemmeno un istante, lo sapevo, ma non mi ero nemmeno accorta della sua presenza. Che persona orribile ero. Deglutii e mi mordicchiai l'interno del labbro, non volevo certo rovinare ciò che Emma aveva fatto, quello era semplicemente un miracolo.
« Certo che lo è, » replicò asciutta Emma prendendomi la mano destra e spalmandomi sulla pelle quella che doveva essere una crema idratante al profumo di eucalipto. « Ma ho avuto anche una materia prima di eccellente fattura. Poche volte sono stata in grado di fare ciò che volevo con le mie clienti, e mai nessuna di quelle era incantevole quanto te. » Mi sorrise allo specchio e io, imbarazzata e con le gote arrossate, ricambiai timidamente il gesto.
Christopher mi tese la mano, invitandomi ad alzarmi. Mhm, era comoda, quella poltrona, però. Trattenni un risolino e mi alzai in piedi, accettando il suo aiuto. Mi sembrava di essere leggera come una piuma, l'abito non pesava alcunché, i miei capelli sembravano sottili fili di seta legati fra loro. Sbattei più volte le palpebre, Emma aveva osato con il mascara, mi sembrava di avere dei ventagli al posto delle ciglia.
« Vogliamo andare a pranzo? » chiese guardandomi intensamente, i suoi occhi erano un mare caldo, passionale, una colata di zaffiri nella quale volevo immergermi. Annuii con un cenno del capo, incapace di pronunciare anche una sola parola, sopraffatta da quelle acque pericolose. Christopher alzò lo sguardo su Emma, intenta a massaggiarsi le mani con dell'altra crema. « Grazie di tutto, Emma, spero di rivederti presto. »
« Grazie a te, troverai la mia fattura nella tua posta elettronica, » disse distrattamente la donna, alzando poi lo sguardo su di me e rivolgendomi un altro sorriso. « Spero di rivederti presto, Dahlia, sei una ragazza preziosa, ma soprattutto sei semplice. Non lasciare che nessuno ti cambi. »
Colsi al volo l'allusione, e sperai che anche Christopher l'avesse percepita e non si fosse rinchiuso nella sua prigione d'odio. « Non potrei mai permetterlo, » risposi con una punta d'orgoglio nella voce, volevo che si rendesse conto, ora più di prima, che io non ero affatto come le altre donne che aveva avuto il piacere - o il dispiacere - di ospitare nel suo negozio. « Grazie ancora, Emma, per tutto. »
Senza aggiungere altro, se non un cenno con la mano in direzione di Emma, io e Christopher scendemmo le scale fino al piano terra, la ragazza di prima ci salutò cordialmente, gli occhi adoranti mentre le passavamo davanti.
Fuori dal negozio mi sentii sopraffare da una sensazione di disagio, incapace di realizzare perché Christopher non potesse accontentarsi di una ragazza superficiale piuttosto di una come me, fin troppo semplice, con strane abitudini e per niente a modo. Fatta eccezione per qualche corso amatoriale di galateo, io non sapevo quali forchette o quali coltelli utilizzare. Mi gelai sul posto mentre Christopher teneva aperto lo sportello, gli occhi confusi da quel mio comportamento repentino.
« Io non so nulla di forchette, forchettine, bicchieri per il vino, o altre cose del genere, » spiegai velocemente a bassa voce, il volto paonazzo. Lo sentii ridere, e mi sorpresi nel percepire quel suono cristallino, realmente divertito, mentre sulle guance gli si disegnavano delle fossette appena accennate. Arrossii ancora di più, ma dentro di me ballavo e urlavo come un'isterica, la sua era la risata più bella che avessi mai sentito, sembrava che tutto in lui fosse perfetto.
« Sei sorprendente, Lia, » disse dopo l'eccesso di riso, le spalle si alzavano ancora per il fiato corto. Lo guardai imbronciata, e dovetti mordermi la guancia per non sorridere davanti a quella sua ilarità. Era un piacere sentirlo ridere, sembrava quasi un essere umano normale.
« Non ridere di me, » sbottai offesa, sedendomi con poca eleganza al posto del passeggero e, dopo essermi allacciata la cintura, incrociai le braccia al petto. Io non ero come lui, non mi era mai passato per l'anticamera del cervello di poter finire nel mirino di un predatore sessuale come Christopher Carter, o di un predatore sessuale in generale. Né tantomeno avevo mai pensato che questi avrebbe voluto cambiare la mia vita portandola ai livelli dell'élite californiana fatta di bottiglie di vino costose, forchette e cucchiai diversi per ogni piatto, abiti costosi e fama. Non volevo nulla di tutto ciò, non l'avevo mai voluto, da piccola mi piaceva vestirmi da principessa, d'accordo, ma erano sogni infantili, irrealizzabili. Ora, invece, avrei potuto avere tutto, mi sarebbe solo bastato chiedere. Scossi il capo, e venni sgraziatamente sbalzata in avanti di pochi centimetri, la cintura di sicurezza si tese, impedendomi di finire addosso al cruscotto. Fulminai Christopher con gli occhi, ero certa l'avesse fatto apposta, sebbene non sembrasse il tipo da fare certi scherzi.
« Sei molto silenziosa, » borbottò a mo' di scusa mentre si inseriva nel traffico, la tigre sulla quale viaggiavamo si muoveva sinuosa fra gli altri animali meno eleganti e potenti di lei. Sbuffai sonoramente, aveva intenzione di farmi aprire bocca attentando alla mia salute? Strinsi le labbra in una linea sottile, e le sue dita trovarono il mio ginocchio. Sussultai, le cosce premute l'una contro l'altra per impedirgli di fare ciò che sapevo avrebbe voluto fare ora che aveva via libera.
Ansimai a denti stretti quando la sua mano salì verso l'alto, smuovendo appena l'orlo dell'abito. Avrei voluto muovermi, impedirgli di continuare quella sua tortura, ma era piacevole, e io lo volevo. Chiusi gli occhi, dischiudendo le labbra mentre mano a mano che le sue dita percorrevano febbrili la mia pelle, raggiungendo gli slip, accarezzando con estrema lentezza la pelle lasciata scoperta dall'orlo in seta. Mi chiesi quante altre volte l'avesse fatto, con altre donne, in questa stessa macchina.
Sgranai gli occhi e posai la mano sulla sua, il respiro affannato per le forti emozioni che mi aveva fatto provare. « No, » biascicai con un filo di voce, pregandolo con lo sguardo di non continuare. Una sensazione di disagio mi avvolse, e dovetti lottare contro le lacrime d'indignazione e d'inadeguatezza.
« Lia, che cosa c'è? » domandò Christopher in tono apprensivo, sapevo che se avesse voluto si sarebbe fermato, ma non era sua intenzione cambiare i propri piani. Disgustata da me stessa, capii di non contare nulla, di essere solo un accessorio per lui. Un accessorio che avrebbe lucidato, messo in mostra, ma comunque un accessorio.
« Non farmi questo, ti prego, » mormorai con voce spezzata. Non volevo essere trattata come un oggetto d'arredo, prima di tutto ero una persona, e non ero quel tipo di persona, quella che approfittava degli altri e si agghindava per coprire la sua vera essenza. Passai un dito all'angolo dell'occhio, non potevo permettermi di piangere, non volevo farlo, non davanti a lui, non di nuovo.
« Dahlia, cosa c'è? » domandò nuovamente, lanciandomi un'occhiata fugace. Deviò improvvisamente a sinistra e si infilò nel parcheggio di un piccolo supermarket. Spense il motore e si volse verso di me, gli occhi in tempesta.
Cercai di distogliere lo sguardo ma le sue dita imprigionarono il mio mento e mi costrinsero a guardarlo. Singhiozzai, mordendomi il labbro per evitare di piangere.
« Dahlia, » sospirò nel pronunciare il mio nome, « cosa ti preoccupa? Perché ti stai tirando indietro proprio ora? Sei a un passo da quello che hai accettato di provare, perché adesso? »
Perché non si accorgeva che non ero adatta a quel ruolo? Sussultai nuovamente, reprimendo un altro singhiozzo disperato. « Io non sono adatta a questo ruolo. Guardami! » esclamai con il respiro affannato, « io non sono un trofeo da esposizione, non voglio essere un'altra delle tue donne, non voglio avere la consapevolezza che un giorno tu possa stufarti di me, so che questa sarebbe una relazione a senso unico, ma partire con questo presupposto non è da me, io non voglio nulla che si possa comprare con i soldi, io voglio che qualcuno mi doni il suo cuore, io voglio qualcuno a cui donare il mio cuore. »
Mentre pronunciavo quelle parole vidi la sua espressione cambiare, incupirsi, capire che io non ero come le sue altre donne, che io non volevo altro che affetto. Per quello che valeva, avrebbe potuto lasciarmi lì, sola, andare a quello stramaledetto pranzo da solo, ma almeno avrei avuto qualcuno che si sarebbe preso cura di me, che non mi avrebbe mai abbandonata una volta stufatosi di me. Mi passai una mano sulle guance bagnate, quando le guardai, le dita erano sporche di nero.
« Lia... Io non posso darti ciò che vuoi, » mormorò, gli occhi chiusi, sul volto un'espressione indecifrabile. Perché, perché aveva paura di esporre i suoi veri sentimenti? Aveva molto da perdere, o aveva già perso tutto? Perché non poteva semplicemente provarci?
« Non posso farcela, » dissi, la mano scivolò sulla maniglia dell'auto, pronta a fuggire da quell'abitacolo infernale.
Lo sentii gemere per la frustrazione. « Mi confondi, io... non voglio lasciarti andare, Lia, ma al contempo... quello che mi chiedi è impossibile. Conosco i miei limiti. »
Che cosa intendeva? Quali limiti? Che non potesse tenere a una persona senza poi stare male? Aveva paura che se avesse iniziato a provare dell'affetto per me, io avrei potuto usarlo come arma contro di lui? « Non sono quel tipo di persona, Christopher, non ho alcuna intenzione di usarti, » dissi mordendomi il labbro. Possibile che non lo capisse?
Scosse il capo cercando di scacciare l'idea. L'aveva mai presa in considerazione? Aveva mai tentato di aprirsi a qualcuna? « Non posso prometterti nulla, l'unica cosa che so fare è mettere nelle tue mani ciò che ho di materiale, » mormorò a denti stretti, entrambi stavamo lottando l'uno contro l'altra, ma al contempo anche con noi stessi: io non volevo avere il mondo ai miei piedi, eppure desideravo Christopher, forse non razionalmente, e lui, lui desiderava me, e forse non nel solo modo che conosceva. Che potesse esserci speranza?
« L'unica cosa che so fare io è essere me stessa, » mormorai cercando di alleggerire la tensione, entrambi volevamo stare assieme ma in modi diversi. Forse, se fossi riuscita a scalfire la sua armatura, avrei potuto aiutarlo a uscire da quel suo baratro di diffidenza e solitudine. Per riuscirci, però avrei dovuto accettare che lui facesse ciò che avrebbe voluto con me.
Un sorriso timido affiorò sulle sue labbra. « A quanto pare, ognuno di noi due ha qualcosa da imparare dall'altro. Solo, Lia, non sono pronto per abbandonare questo mio atteggiamento. Non so come tu faccia a sopportarmi, a sfidarmi. Sei estenuante, a volte mi chiedo perché ho continuato a perseguitarti, come se non fosse solo una questione di appagamento bilaterale. » Sgranai appena gli occhi, sembrava stesse confessando di aver avuto bisogno di vedermi, di parlarmi. « Non sono pronto a darti una risposta, » continuò, « non sono pronto a darti tutto ciò di cui hai bisogno tu come persona e non come donna. Ti prego, però, fai un tentativo. Fossi stata un'altra, ti avrei zittita e avrei tirato dritto, senza pensare a come potessi sentirti. Per favore, prova ad accettare ciò che ti offro. »
« Non è uno scambio equo, » replicai abbattuta, perché anche lui non poteva provare ad aprirsi? Perché gli era così difficile essere il Christopher spensierato e divertente che a volte prendeva il sopravvento sul Christopher autoritario?
Mi prese il mento fra le dita, questa volta con più delicatezza di prima. « Quando ti ho detto che eri diversa, Lia, non lo pensavo davvero, o comunque una parte di me non condivideva quelle parole. Ma ora, ora credo fermamente che tu sia diversa dalle altre. Questa tua insicurezza, la semplicità descritta da Emma, sono tutti fattori che, per quanto in cuor mio volessi trovarli in una donna per convincermi che sbagliavo non li ho trovati finché non ti ho incontrata, ed è molto più di quanto mai potessi sperare. »
Altre lacrime mi rigarono le guance, lacrime di gioia e di tristezza, perché non sapevo come aiutarlo senza dover cambiare. Se avessi ceduto ai suoi regali, al suo mondo, avrei perso l'unica arma che avevo per aprirmi una strada verso il suo cuore.
Dalla tasca dei pantaloni tirò fuori un fazzoletto di seta e me lo passò dolcemente sulle gote, asciugandomi le lacrime e togliendo dalla pelle lo sporco. Avevo rovinato il trucco di Emma, ma non ebbi il coraggio di guardarmi nello specchietto per stabilire quanti disastri avessi combinato, oramai ne avevo perso il conto.
« Ora sei perfetta, » mormorò dolcemente, liberando il mio volto dalla salda presa delle sue dita. Già, perfetta, come se non avessi mai pianto, come se fossi un pezzo da esposizione dal quale era stato tolto uno spesso strato di polvere. « Dopo il pranzo di oggi, » aggiunse esitante, « ti darò una risposta. So che ti basta la vista, me lo diresti anche in aramaico antico se lo conoscessi. E, sebbene tu abbia accettato in un momento di debolezza, so che ti è costato molto. Ora è il mio turno di valutare la tua proposta. »
Pronunciò quelle parole con il dolore nella voce, e mi sentii stringere il cuore in una morsa soffocante. Alzai una mano e gli accarezzai dolcemente una guancia. « Potremmo comunque prendere strade separate, » proposi, ma nella mia voce cera una nota di panico, non volevo che tutto questo finisse, anche solo l'idea di non vederlo più era dolorosa. Che cosa mi stava succedendo? Io l'avevo odiato fino a qualche giorno fa, e molto probabilmente una parte di me lo odiava ancora, e allora perché continuavo a cercarlo dappertutto anche quando sapevo che non sarebbe stato lì dove mi trovavo io?
Scosse il capo, e non capii perché non volesse rinunciare a me. Era solo per la storia del benefattore? Non lo ritenevo possibile, eppure non ci avrei messo la mano sul fuoco. « Mi devi un pranzo, » borbottò poi, autoritario, « e io devo a te una risposta. Lasciami pensare, Lia, ti chiedo solo del tempo per riordinare le idee. Questa è una situazione nuova per me, pensare a una donna come una persona con dei sentimenti e senza doppi fini è qualcosa di ancora astratto. »
Aspettare. Potevo aspettare che finisse quello stramaledetto pranzo, vero? Potevo mettermi in gioco, lasciare che mi usasse, che usasse consapevolmente anche i miei sentimenti a lui sconosciuti, anche se poi mi avesse dato nient'altro che una delusione?
« D'accordo, » risposi lentamente, esitante, « ma se non sarai disposto a provarci, allora non mi vedrai più. Questa è la mia ultima offerta. » Dovevo sembrare forte, dovevo fargli vedere che con me non si scherzava, che se mi avesse negato quello che chiedevo, me ne sarei andata. Era egoistico, ma sapevo, in cuor mio, che avrei potuto aiutarlo a vedere il mondo femminile in modo diverso, ero convinta che, se ci avesse provato, avrei potuto convincerlo che non tutto era bianco e nero.
« Ma tu hai accettato la mia proposta, » disse a denti stretti, la mascella contratta. Non mi scomposi, guardandolo con gli occhi socchiusi. Per quanto mi intimorisse, in quell'istante dovetti farmi forza e lottare per impedirmi di distogliere lo sguardo. Christopher sospirò, sconfitto. « Molto bene, come vuoi tu. Emma aveva ragione, tu non supplichi, » mormorò quasi fra sé, e le sue dita si insinuarono dietro il mio collo per attirarmi goffamente a sé e baciarmi con foga. Sentii il suo bisogno in quel bacio, percepii anche la disperazione, l'incertezza, sentimenti che non sapeva esternare se non a quel modo, forse perché nessuno gli aveva mai insegnato come fare, forse perché era l'unico modo che aveva usato fino ad ora.
Quando si staccò da me, i suoi occhi brillavano come acqua baciata dal sole. « Grazie, » sussurrò impercettibilmente contro le mie labbra, e mi chiesi a cosa si stesse riferendo. Mise in moto, prendendomi la mano e portandola sulla leva del cambio, al che mi venne in mente la prima volta che ero salita in macchina con lui. Rabbrividii, ricordandomi del perché l'avevo fatto.
Improvvisamente, mentre la Ferrari tornava a dominare il traffico, mi sorse spontanea una domanda. « Prima hai detto di non sapere il francese, allora come hai fatto a capire cosa dicesse Si demain? » domandai mordicchiandomi il labbro. La tempesta sembrava essersi quietata, ma una parola sbagliata da parte di uno di noi due avrebbe fatto nuovamente tuonare i cieli.
Christopher si strinse nelle spalle. « Esistono le traduzioni, sai? » rispose sfoggiando un ghigno ironico. Sbuffai sonoramente in risposta, certo che lo sapevo, ma mi aspettavo una risposta un po' meno arrogante. Alzai gli occhi al cielo, cosa potevo aspettarmi da un megalomane come lui?
« Mi sto trattenendo dall'insultarti, lo sai, vero? » sibilai imbronciata. Christopher era frustrante, estenuante, quasi, cambiava umore in un battito di ciglia, ogni istante era imprevedibile.
« Beh, dopo pranzo potremmo sistemare questa faccenda degli insulti, » replicò malizioso e tutto il mio corpo fu percorso da un brivido, quella non era affatto la risposta che mi aspettavo. Dischiusi appena le labbra, se avesse continuato su quella strada avrei dovuto controllare me stessa dal saltargli addosso.
Decisi di non dargliela vinta, di giocare sporco come lui. Gli gettai allora un'occhiata languida che rasentava l'indecente. « Non vedo l'ora, » mormorai affondando delicatamente le unghie nella sua carne. Lo sentii sussultare, lo sguardo fisso davanti a sé, la sua mano strinse la mia come ad ammonirmi.
« Non ti facevo così maliziosa, Dahlia, » disse schiarendosi la voce, sembrava turbato, che non gli piacesse quel mio comportamento? No, c'era dell'altro, sicuramente.
« Sarà colpa della tua influenza, » replicai asciutta, ammirando il suo profilo. Decisamente, Christopher Carter non era solo un uomo brillante e di successo, ma aveva anche un bell'aspetto. Mi chiesi se fossi fortunata ad avere questo strano rapporto con lui, o se fosse un demone nelle sembianze di un angelo. Scossi il capo, io e la mia dannata mania per il soprannaturale.
Assottigliò le palpebre. « Vuoi dirmi che sei davvero così innocente? » sogghignò accarezzandomi col pollice il dorso della mano, lentamente, con movimenti circolari.
« Ehi, fra noi due, quella vergine ero io, » risposi cercando di mantenere un tono neutro, non volevo piangere ancora, né tantomeno volevo litigare. Decise saggiamente di non ribattere, oppure l'avrei ammazzato seduta stante.
Il mio stomaco ruggì per la fame e non potei fare a meno di arrossire per l'imbarazzo, solitamente non si sentiva affatto. Christopher sorrise apertamente e sembrò rilassarsi contro il sedile, come se avesse appena superato indenne un campo minato. Ah! Allora aveva davvero capito che per me l'argomento sesso era estremamente delicato. Cercai di nascondere il sorriso che mi era nato spontaneamente sul volto.
« Coraggio, fra poco potrai mettere qualcosa sotto i denti, leonessa, » ridacchiò rivolgendomi un fugace sorrisino sarcastico.
Arrossii al pensiero che, forse, la mia non era solo fame di cibo. Non totalmente, almeno.
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