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Capitolo VII


Con gli occhi chiusi per impedire che lo shampoo mi accecasse rividi davanti a me quelle iridi blu tempesta spruzzate d'oro e di verde, un tumulto di sensazioni s'impadronì di me e quando iniziai a spalmarmi il balsamo sul corpo sfiorai i miei seni dai capezzoli turgidi. Quegli occhi, quella tempesta di emozioni che temevo ma dalla quale volevo essere investita.

Je tourne en rond sans toi,

tu sais que quelques fois j'ai peur de toi,

je tourne en rond sans toi,

tu sais que quelques fois j'ai peur de moi.***

Ansimai, quelle erano sensazioni che non avrei dovuto provare, la mia voce si affievolì ma non smise di seguire la canzone. Le dita vagarono leggere su tutto il mio corpo mentre la voce graffiante di Bonnie Tyler e quella più dolce di Kareen Antonn si univano scatenando in me un uragano di sensazioni indefinite. Quando la mia mano vagò sul monte di Venere ebbi un fremito e mi fermai. Era sbagliato, io non avrei dovuto provare sentimenti tali da farmi desiderare Christopher Carter. Tolsi la mano e lasciai che l'acqua bollente lavasse via quella scombussolante eccitazione che tutto d'un tratto mi aveva assalita.

Et j'ai tant besoin de toi,

et j'ai tant besoin de ta voix,

je veux tomber dans tes bras,

je voudrais marcher dans tes pas,

on invente les regles du jeu,

quand on est tous les deux.****

Lavai via ogni minuscola traccia di shampoo e balsamo, prima sarei uscita dalla doccia meglio sarebbe stato per me. Che mi era saltato in mente? Chiusi l'acqua e mi avvolsi nell'accappatoio bianco uscendo dal box, afferrando poi un asciugamano con il quale asciugai i capelli, sistemandolo attorno alla testa a mo' di turbante. Davanti allo specchio appannato appoggiai le mani sul marmo e lasciai che la canzone finisse senza più cantare, avevo già fatto troppi danni e non era il caso di arrivare al limite prima di fermarmi.

Dopo aver spento lo stereo aprii un cassetto e tirai fuori della biancheria intima pulita, gettando poi nella cesta dei vestiti sporchi gli abiti indossati quella mattina. Teoricamente erano puliti, ma portavano con sé dei brutti ricordi. Indugiai sulla giacca di Christopher, che dovessi lavargliela e poi stirarla? E se avessi sbagliato il lavaggio? Mi mordicchiai il labbro, ma alla fine la misi nel cesto di vimini, avrei cercato dopo come si trattavano i capi d'alta sartoria.

Mi asciugai il corpo dall'acqua e, una volta indossata la biancheria in cotone bianco, aprii la porta del bagno e mi fiondai in camera mia dove, nel casino che Christopher aveva fatto quella notte per trovare una maglietta decente da farmi indossare, trovai la mia tenuta ufficiale per Les Misérables. Avevo bisogno di non pensare, e disperami per i miei personaggi preferiti era un buon metodo, soprattutto se affogavo il dolore in una vaschetta di gelato. Infilati i pantaloncini al ginocchio e una maglia bianca chiazzata di vernice blu sciolsi il turbante e diedi un'ultima passata con l'asciugamano ai miei capelli che raccolsi in una disordinata e umida coda di cavallo. Dal ripiano dei DVD sopra la scrivania presi quello del film che mi interessava e scesi di sotto scalza, l'asciugamano abbandonato sul pavimento assieme ai vestiti che più tardi avrei raccolto.

Ignorando deliberatamente la sua assenza, mi fiondai in cucina dove presi il barattolo di aloe  e un cucchiaino. Da quando mamma aveva iniziato a farmi mangiare quel composto che somigliava fin tropo a del catarro, non avevo trovato un motivo valido per smettere di assumerlo, era uno dei metodi naturali più efficaci contro il male, non che si fosse immuni a tutto, no, ma il corpo stava bene, pulito da tutte le tossine. Oltretutto, su ferite e scottature, una foglia d'aloe tagliata a metà era un qualcosa di magico - ed ecco perché in una camera perennemente al buio ne avevamo un bel po' di piante.

Feci una smorfia nel sentire il sapore amaro dell'aloe, e sì che veniva fatto anche con il miele. Deglutii a fatica, nonostante fossero anni che avevo preso questa consuetudine non mi ero ancora abituata a quel sapore. Almeno, però, lo avrei lavato via trangugiandomi una vaschetta intera di gelato al cioccolato. La ripescai dal congelatore, il gelato era una cosa che in casa mia non doveva mai mancare, potevo svegliarmi nel bel mezzo della notte e aver voglia di gelato, oppure averne voglia alla mattina per colazione. Valutai l'idea di prendere due cucchiaini, ma rifiutavo il pensiero di condividere il gelato e perciò ne presi solo uno. In silenzio andai in salotto, inserii il DVD nel lettore e mi accoccolai sul divano davanti alla televisione, vaschetta aperta sulle ginocchia, cucchiaino in una mano e telecomando nell'altra. Feci partire il film e sentii il divano sprofondare sotto il suo peso. Il cuore iniziò a palpitare freneticamente nel mio petto e dovetti fare leva su tutta me stessa per mantenere lo sguardo incollato allo schermo. Le casse iniziarono a vibrare, le voci dei galeotti si diffusero nella stanza e una prima cucchiaiata di gelato era andata, la tensione fra Javert e Valjean era palpabile non solo nel film, ma addirittura nel salotto. Ah, Valjean, a pensare a lui ogni volta mi si stringeva il cuore.

Ad un tratto, mentre Valjean veniva accolto nella casa del vescovo di Digne, sentii la vaschetta di gelato muoversi, Christopher aveva allungato la mano e stava cercando di prendere il mio cucchiaino. Lo guardai imbronciata, girandomi di poco dall'altra parte e dandogli uno schiaffetto sulla mano.

<< Mio gelato, >> dissi offesa, mettendomi in bocca il cucchiaino per sottolineare la frase. Lo vidi sorridere e, per evitare di fare cavolate, riportai lo sguardo sullo schermo.

Trangugiavo il film come trangugiavo il gelato, nonostante sapessi perfettamente ciò che accadeva istante dopo istante, ero tesa come la corda di un violino, e quando Fantine iniziò a cantare la sua I dreamed a dream iniziai a piangere in silenzio, nemmeno lei si meritava di morire, aveva dato tutto per la sua povera figlia, ricattata da quei farabutti dei Thénardier. Chiusi gli occhi nel sentire la voce piena di dolore di Anne Hathaway, a dir poco perfetta per quel ruolo. Mi sentii accarezzare un braccio nudo e singhiozzai ancora più forte, passandomi le mani sugli occhi per asciugare le lacrime.

<< Perché ti tormenti così? >> domandò Christopher con voce pacata, le dita si spostavano lievi sulla mia pelle e volsi lo sguardo verso di lui.

<< Perché è una delle cose più belle a questo mondo, >> spiegai in un sussurro spezzato rivolgendo nuovamente lo sguardo al televisore dove Javert e Valjean stavano combattendo e Fantine era appena spirata credendo che sua figlia fosse stata portata in salvo. Il nodo alla gola sembrava impedirmi di mandare giù ancora un altro boccone ma con l'arrivo dei Thénardier questi sparì, lasciando l'odio per quegli imbroglioni rodermi l'anima. Li odiavo non solo per il loro carattere, ma anche perché loro, alla fine, sopravvivevano, mentre altri morivano, e io non lo trovavo giusto.

Quando, con il giuramento di Javert alle stelle, si chiuse la prima parte del film, io avevo già trangugiato mezza vaschetta di gelato. E comparirono i giovani rivoluzionari francesi, portando con sé il piccolo Gavroche e anche la regina degli amori non corrisposti, Eponine, figlia dei Thénardier, comunque disposta a mettersi contro il suo stesso padre per impedire a lui e ai suoi compagni dei bassifondi di fare del male al suo Marius, che però suo non era.

Adoravo anche le canzoni della rivoluzione, e non potei non cantare tutta Red and Black imitando Enjolras e Marius nel loro confronto, alzando al cielo anche il cucchiaino per enfatizzare le mie emozioni, incurante dello sguardo allucinato che doveva avere il magnate dell'edilizia seduto silenziosamente accanto a me, e così feci anche con On my own e One day more. Spinta da un eccesso d'isteria balzai in piedi sul divano e intonai ogni strofa della canzone antecedente all'inizio della rivoluzione.

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