Capitolo I
RingrazioRaffinuzz per la bellissima copertina contattatela è bravissima e geniale.
Ero certa che quello non fosse un abbigliamento eccessivo per una festa sulla spiaggia. Un paio di pantaloni bianchi al ginocchio, canotta di pizzo e scarpe basse. Niente gioielli vistosi, solo una collana a forma di fiocco e una goccia di profumo.
Mentre finivo di passarmi il mascara sulle ciglia guardai i miei capelli con aria disperata. Erano indomabili, certo non come quelli delle stelle di Hollywood. Li raccolsi in una coda di cavallo bassa, lasciando due ciocche a incorniciarmi il volto.
La porta del mio bungalow venne quasi sfondata a colpi di pugni da Beatrice, una delle amiche più fidate che avessi.
<< Arrivo! >> esclamai con uno sbuffo, chiudendo il mascara e riponendolo nella trousse. Un'ultima occhiata scoraggiata alla mia figura riflessa nello specchio e uscii, il cellulare infilato in una tasca anteriore dei pantaloni, i soldi che mi bastavano per la serata nell'altra.
Aprii la porta e davanti a me si parò una vera e propria dea greca: capelli biondi, pelle d'alabastro e occhi azzurri, il corpo da ginnasta avvolto in una toga corta fermata su una spalla da una spilla blu e oro. Aveva sul volto un'espressione esasperata, al che incrociai le braccia al petto. Sapevo cosa stava pensando, avrebbe voluto venire da me ore fa per rendermi appetibile ad una folla di ragazzi che bramava solo il mio corpo.
Chiusi a chiave il mio bungalow e la guardai alzando il mento. << No, non arriveremo in ritardo solo perché vuoi rendermi una femme fatale >> sbottai precedendola verso il locale sulla spiaggia dove si sarebbe tenuta la festa.
Forse sarebbe stato meglio mettere dei sandali, la sabbia entrava nelle scarpe e dava terribilmente fastidio, così mi fermai e le tolsi. Con quelle non c'era alcun bisogno di mettere dei calzini, cosa che mi piaceva alquanto.
<< Lia! Aspettami! >> urlò Bea contrariata, raggiungendomi in poche falcate. Ero più bassa di lei di venti centimetri buoni, più magra e certamente meno flessibile.
<< Allora, hai ancora intenzione di sedurre il bagnino, questa sera? >> domandai affondando nella sabbia bollente, appena intiepiditasi dopo il calare del sole. Come se non bastassero i miei capelli in disordine, ci si metteva pure la brezza marina a scompigliare la mia indomabile chioma scura. Sbuffai e guardai Bea con aria sconsolata, in un certo senso ero dispiaciuta dal fatto che non fosse venuta da me per sistemarmi i capelli. La mia amica sorrise e mi circondò le spalle con un braccio, stringendomi a sé.
<< Ovvio! Come sai, la prima volta deve essere speciale, e io lui siamo anime gemelle, lo sento! >>
<< Ma se l'unica volta che vi siete parlati ti ha chiesto dove ti aveva punto la medusa. >>
<< Dettagli, cara mia, dettagli! Da allora ci sono stati ventinove sguardi, nove saluti e altrettanti sorrisi! >>
Scossi il capo, sorridendo divertita. << Tu e la tua indole da stalker. Allora, quando ha inviato il suo ultimo tweet? >>
Bea non ci pensò neanche un secondo, dicendo: << Circa venti minuti fa, parlava di sport. Basket, per la precisione, e ha citato un suo amico, che gioca in una squadra di provincia. >>
Gettai il capo all'indietro e mi sciolsi in una risata priva di sforzo, divertita. Le gote di Bea si tinsero di un rosso accesso, i denti affondavano nel labbro inferiore evidenziando il suo disagio. Alzai una mano scompigliandole appena i capelli di modo di sollevarla.
<< Vedremo come farai tu quando troverai l'amore vero! Già ti vedo ad hackerare gli account del tuo uomo e a collaudare microspie per spiarlo >> mi accusò Beatrice con finta indignazione.
<< Ti devo deludere, mia cara, io non troverò mai l'amore vero, quello esiste solo nei libri, e noi invece ci troviamo nella vita reale, sulla spiaggia di Santa Monica, pronte a divertirci >> replicai asciutta, eravamo quasi arrivate al locale, una bianca struttura a due piani con spiaggia privata annessa. Al suo interno si trovavano un bar e una discoteca, dal terrazzo al primo piano vedevo gente sbracciarsi, illuminata dalle luci stroboscopiche provenienti dall'interno della struttura.
Afferrai la mano di Bea e la trascinai in una breve corsa fino all'entrata della spiaggia privata delimitata da un'alta recinzione in legno ricoperta di rampicanti dai fiori profumati. Ai lati del cancello, anch'esso in legno, si trovavano Bob e Pip, due dei molti buttafuori del locale, entrambi alti e muscolosi, nerovestiti e con gli occhiali da sole a coprire gli occhi azzurri.
Bastò loro fare un saluto con la mano e ci diedero il via libera per una nottata di folle divertimento. Notai che alcune ragazze erano rimaste fuori e chiacchieravano animatamente fra di loro, lasciandosi fuggire degli urli strozzati ed eccitati e gettando, di tanto in tanto, delle occhiate ai due buttafuori.
Dopo due estati consecutive che passavo le vacanze nello stesso bungalow e andavo una sera sì e l'altra pure nello stesso locale, conoscevo piuttosto bene i due gemelli Rhoden, e sapevo perfettamente quale fosse l'effetto che erano in grado di esercitare sulle ragazzine. Avevano entrambi ventiquattro anni, trascorrevano la maggior parte del loro tempo in palestra ed erano capaci di far cadere la mascella anche ad una donna sulla sessantina. Oh, e nei party privati, talvolta, si esibivano come spogliarellisti, ma questo le ochette lì fuori non lo sapevano di certo.
Sorrisi sotto i baffi e, prima di entrare, mi appoggiai con una mano al bicipite di Pip e lasciai cadere le scarpe a terra. Mi pulii i piedi dalla sabbia che era rimasta appiccicata alla pelle e calzai le scarpe bianche. Il tutto, ovviamente, rimanendo con la mano lascivamente posata sul braccio del buttafuori. Per ringraziarlo, mi sollevai sulle punte e mi allungai fino a riuscire a posargli un bacio sulla guancia. Il ragazzo, che aveva capito lo scopo della scenetta che avevo messo in piedi e per niente in vena di perdere tempo con delle ragazzine insulse, mi resse il gioco, e mentre lo superavo, si girò per darmi una pacca sul sedere, all'apparenza sfacciata, ma in realtà più simile ad una carezza gentile.
Arrossii un po' per la mia spudoratezza, e non avevo ancora bevuto nemmeno un goccio d'alcool! Bea rise e mi diede una spintarella incoraggiante prima di andare dritta verso il bancone. La sua prima ordinazione era sempre una pallottola di vodka, preferibilmente alla menta. Dal canto mio, preferivo una piña colada.
Non era ancora tempo per i balli, preferivo sedermi su uno degli alti sgabelli al bancone del bar esterno per commentare aspramente le azioni delle ragazzine più giovani dei miei diciassette anni che si ubriacavano con un solo goccio di alcool. A differenza loro, io gli alcolici un po' li reggevo.
Raggiunsi Beatrice e mi appollaiai sullo sgabello accanto al suo. Non appena mi vide, Marika, una delle tre bariste che stavano al banco, mi sorrise, iniziando a preparare la mia piña colada.
<< Ed ecco a voi le prime finaliste per il titolo "Miss Vomito". Bah, non so cosa ci trovino nell'ubriacarsi >> commentò acidamente Bea osservando un gruppetto di ragazze uscire dal locale e premersi apprensive attorno ad una loro coetanea piegata su se stessa.
Arcuai un sopracciglio. << Magari la stessa cosa che trovi tu nell'accalappiarti gli uomini? A proposito, dov'è il tuo caro bagnino? >> domandai setacciando i gruppi di persone vicine per trovare la preda della mia amica.
<< Non paragonarmi a quelle oche >> sibilò Bea. Nonostante non la stessi guardando, sentivo il suo sguardo fiammeggiante bruciarmi la pelle. << E comunque, sono le nuove generazioni che crescono male, io sono cresciuta benissimo. >>
<< Sì, fra i libri erotici di tua madre e le cinque ninfomani mogli di tuo padre. Odio ciò che soprattutto Katinka ha fatto sia a te che a tuo fratello. >> Mi strinsi nelle spalle per reprimere un brivido. Sia Bea che suo fratello Peter erano stati molestati dalla terza moglie di Hector alla tenera età di sei anni. Serrai gli occhi, era uno dei segreti più brutti che Beatrice mi avesse mai confidato. D'istinto, le appoggiai una mano sul ginocchio, lei cercava di dimenticare, e io invece la forzavo a ricordare. Maledetta me e le mie frecciatine. << Non volevo >> riuscii a sussurrare. Sapevo che non poteva avercela con me, l'unica cosa sulla quale avevamo discusso riguardava i biglietti per un concerto. Più che un litigio vero e proprio si era trattato più che altro di una scenetta comica. Sorrisi mio malgrado.
<< Brinda con me prima che ti versi in testa il tuo cocktail >> sbottò tendendomi il bicchiere a stelo lungo. Lo afferrai e lo feci tintinnare contro il bicchierino di vodka di Bea prima di berne un sorso. Mhm, era buona, Marika sapeva prepararla come piaceva a me, e ogni volta non sbagliava.
<< A noi e alla nostra ultima serata in questo paradiso! >> esclamò Bea, gli occhi illuminati dall'euforia. Selvaggia e priva di inibizioni, la mia amica saltò giù dallo sgabello e, dopo avermi dato un rapido bacio sulla guancia, si dileguò verso la spiaggia alla ricerca del suo bagnino.
Bevvi un altro sorso del mio cocktail dondolando il piede al ritmo della musica da discoteca che si sentiva distintamente persino dove mi trovavo io. Solitamente, non ero tipo da musica house, preferivo bensì canzoni che avessero un significato, o che almeno avessero un testo e non parole gettate a caso su un foglio da gente che non sapeva nemmeno cantare.
<< Vedo che fremi per buttarti lì in mezzo >> disse Marika alle mie spalle. Era una bellezza russa dai capelli scuri, ventitre anni ed era anche la promessa sposa del padrone del locale. Tutti si confidavano con lei, una ragazza che dispensava consigli ideali di tutti i tipi senza bisogno di una laurea in psicologia. E, per ogni problema, aveva il giusto cocktail. << Dai, >> continuò prendendo dalle mie mani il bicchiere di piña colada, << vai a divertirti e non pensare che dopodomani dovrai tornare a scuola. >>
Feci una risatina ironica. << Ora che me lo hai ricordato, non potrò più dimenticarlo >> replicai divertita saltando giù dallo sgabello. Le tempie mi pulsavano, un po' per via dell'alcool che entrava in circolo, un po' per via dell'euforia costantemente montante. Per mia fortuna, non avevo messo i tacchi, si ballava tranquillamente anche con ai piedi delle scarpe basse.
<< Divertiti! >> esclamò Marika alle mie spalle e torsi appena il busto per salutarla con la mano. Mi rigirai in tempo per vedere e schivare un ragazzo che veniva dritto verso di me. Non sembrava brillo, solo, la maleducazione non era un optional per i tipi come lui con la puzza sotto il naso. E la puzza non l'aveva solamente sotto il naso, ma la emanava anche, puzzava di sudore ed era evidente che si era spruzzato una quantità di profumo a dir poco scadente, un comune miscelamento di aromi a casaccio.
Passare tra la folla era come essere partorita una seconda volta, il calore prodotto dai corpi che si strusciavano gli uni contro gli altri mi soffocava, l'intenso odore di sudore e spezie era soffocante, per non parlare dell'acre aroma dolciastro del fumo da discoteca.
Finalmente, mi ritrovai davanti alla scala che conduceva al piano di sopra, le rampe comunque affollate da coppiette che si baciavano con la foga di animali in calore. Non riuscivo a capire tutta quell'impetuosità, perciò ignorai la nausea che mi dava quella vista e procedetti verso la discoteca. Altri due buttafuori stavano ai lati della porta a due battenti, gli oblò oscurati impedivano alla luce di uscire ma permettevano alla gente all'esterno di vedere all'interno. Facendo parte della cerchia del fidanzato di Marika, Klaus, entrai senza dover presentare un documento né senza farmi fare alcun timbro sul dorso della mano.
Alcune ragazzine mi fissarono con occhio critico, il volto schifato. Avrei voluto dir loro che era meglio vestire così che come delle prostitute, ma trattenni la mia lingua biforcuta, non volevo grane, non quella sera.
Grazie alla mia gracilità e anche alla mia bassa statura, riuscii a portarmi quasi senza problemi al centro della pista, ancheggiando al ritmo della musica. Molti mi avevano detto che mi muovevo bene, scioltamente e in modo sensuale ma io stentavo a crederci, mi sembrava di avere quella che comunemente si definiva una "scopa nel sedere".
Mani mi toccavano, dita mi accarezzavano, alcune più gentilmente di altre, i ragazzi mi attiravano a sé per ballare a stretto contatto, labbra si posavano possessive sulla pelle delle mie spalle. Una mano si intrufolò sotto la mia canottiera, lambendo la pelle della mia pancia, ma si dileguò prima che potessi capire a chi appartenesse. Poco male, almeno non avrei rischiato di essere stuprata lì in mezzo, cosa che in effetti, non era mai accaduta, ma non era il caso di stare tranquilli in mezzo a quella folla di predatori cannibali.
Mi passai una mano fra i capelli e sfilai l'elastico sciogliendo la coda di cavallo mentre venivo spinta e tirata dalla miriade di persone che avevo attorno, anche da ragazze. Fra tutte le prese bramanti del mio corpo se ne distinse una particolarmente forte e, se possibile, anche possessiva. Mi ridestai da quel sogno di lussuria musicale per guardarmi attorno, ma tutti continuavano a ballare e nessuno mi prestava particolarmente attenzione.
Fu strano tornare a ballare, cercare di non pensare a quella presa possessiva, la scioltezza di prima se n'era ormai andata dando posto al turbamento. Sospirai e chiusi gli occhi, lasciando che la musica mi entrasse sottopelle, venisse trasportata dal sangue ribollente, mi penetrasse nelle ossa.
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