Capitolo 16 ... 2.0
Quel pezzo di...
"Sei una ragazza sveglia, Ratri. Troverai il modo per non farti colpire... e il football è lo sport più popolare d'America, lo sapevi?"
"Dubito che le regole convenzionali siano... ahi... esattamente così!"
Colpita nuovamente al fianco, gli gridai un insulto che suscitò un coro di risate. Si accalcavano nuovi stregoni alla porta, ma non avevo il tempo di fermarmi a guardare.
Samuele mi aveva già decifrata: non avevo alcun problema di ansia da prestazione, anzi, il pubblico acuiva la sfida. Nessuno di quegli stregoni avrebbe interferito con l'allenamento, pertanto non potevo aspettarmi aiuto da loro. Tentai di appropriarmi della palla, ma Samuele si limitò a strapparmela dalle mani con la telecinesi e a colpire più forte, giacché avevo tentato di "barare".
Quali erano quelle dannate parole? Le avevo appena lette, ma la mia mente era completamente vuota.
Fu istinto schivare, due o tre volte. Rondata, rotolata. Tornai all'Accademia, con la mente. Gli stregoni smisero di ridere. Tornai su quella strada, quella notte, ai raggi laser che...
"Non puoi schivare per sempre, Ratri." disse lui, con espressione apparentemente annoiata. Sorrisi feroce ed evitai la palla con un eccellente backflip sul posto, per poi essere però colpita in fronte.
Ahi. La palla non era stata scagliata al massimo della potenza ma era drammaticamente dura. Questo avrebbe lasciato un livido.
"Vaffanculo, niente faccia, sai che lavoro al cinema! Perché non possiamo usare un cuscino?" lo insultai in italiano, la sua lingua madre, affinché comprendesse bene.
"Spiacente, sono meno motivanti e si dà il caso che io ti voglia motivata."
Il suo sogghigno acuì la mia rabbia. Non potevo raggiungere il grimorio, lo schermo si era spento e non volevo rischiare di romperlo. Come lui però mi colpì di nuovo, per poco non ruggii. Lo caricai, ma lui eresse con un cenno una barriera invisibile, che mi fece barcollare. Mentre la scioglieva per lanciare nuovamente la palla, ricontrollai le parole e mi allontanai dal grimorio, a mani protese, fissandolo con odio.
"Avava, ma phenel man..." Aria, proteggimi.
Incanalai le energie in quelle parole, nel mio braccio... e percepii l'aria solidificarsi in uno scudo invisibile.
La palla rallentò. Non si fermava. Proseguiva la sua corsa, diretta verso il mio occhio - quel punk bastardo! - finché... non fui costretta a scansarmi.
"Non male, come primo tentativo. Ma temo tu abbia pronunciato l'incantesimo incompleto."
Se gli stregoni alle sue spalle avevano le mascelle spalancate e sembravano approvare, Samuele protese una mano verso la palla ovale che rimbalzava sul pavimento ed essa gli volò tra le mani.
"Non avevo avuto tempo! Ma ce l'ho fatta comunque... circa!"
Un sopracciglio e un piercing annesso inarcati. "Vuoi essere circa non colpita dal prossimo Solare che ti scaglia una palla di fuoco?"
Probabilmente comprese di aver esagerato, come mi vide trasalire - il trauma era ancora fresco, troppo fresco - ma non gli diedi il tempo di compiere marcia indietro e scusarsi: aveva ragione. Dovevo imparare a proteggermi.
Irata, ignorai tutti gli sguardi puntati su di me e ripetei l'incantesimo a mani protese.
"Avava, ma phenel man thaj phen man plastikani."
Aria, proteggimi e sii elastica.
Una brezza scompigliò i capelli di tutti i presenti, da come l'aria si accumulava, condensandosi davanti a me. Non creai una barriera a strati, graduale, stavolta.
La palla fu intercettata da una rete invisibile, che ammortizzò incurvandosi e tornò diritta, rispedendola al mittente: precisamente sulla faccia di Samuele. Un vero peccato che questi la prese al volo con la magia. Un piccolo cenno di approvazione dopo, era tornato spietato.
"Ancora."
* * *
"Hey... Want some?"
Stavo razziando il buffet allestito in una sala arredata con opulenza, ma che era rimasta sfuocata ai margini dello sguardo, non appena avevo visto il cibo.
Mi volsi, notando una ragazzina dai capelli corvini raccolti in due trecce, che mi stava porgendo del ghiaccio. Poiché metà del mio corpo era un dolore, accettai grata il suo inestimabile dono.
"Thank you... You're an angel! Come ti chiami?"
L'incarnato chiaro della piccola fu interessato da un evidente rossore.
"E-ellie. Mi chiamo Ellie... Lunare. Perdonami se ti ho rivolto la parola, ma il maestro ci ha detto di osservare il tuo addestramento... e ho pensato che dovesse fare male."
Mi appoggiai con sollievo il ghiaccio nei punti maggiormente doloranti, ritrovandomi poi a spostarlo da uno all'altro.
"Sono stata peggio." Già, ma non spesso "E perché ti sei scusata per avermi parlato?"
La dodicenne si agitò, confusa, e notai che, oltre la sua spalla, due stregoni adulti ci osservavano da lontano, con una punta di preoccupazione.
La ragazzina li notò a propria volta e intercettò la loro occhiataccia.
"Ehm... Le regole sul libro dicono... Direbbero... Che non dovremmo parlarti se non interpellati."
"Cosa!?" mi sorpresi "Cioè, ti hanno fatto studiare questo su un libro di testo!?"
Lei si mordicchiò il roseo labbro inferiore, abbassando lo sguardo.
"Ellie..." Scossi il capo con un sorriso "Non sono sicura di come la mia bisnonna gestisse le cose, ma hai il permesso di parlarmi se hai da dirmi qualcosa. Tutte le volte che vuoi."
Un sorriso sincero le illuminò il visetto a cuore.
"Davvero, Lunare?"
Annuii, celando il mio disagio per quella situazione assurda. "Certo! Ora posso farti una domanda?"
Ellie annuì con aspettativa, mentre i due stregoni ci si avvicinavano per ascoltare. Prima che fossero a portata d'orecchio, le chiesi:
"Ma é normale essere addestrati a pallonate?"
Lei si mordicchiò il labbro. "Quando lavoriamo sugli scudi sì, ma di solito noi Corvi non lo facciamo il primo giorno di addestramento ufficiale... Né il primo mese. Tra l'altro, solitamente ne usciamo con molti più lividi."
Mi scappò un sorrisetto, che si velò ben presto. Rischiavo seriamente di montarmi la testa tra quella gente... l'ultima cosa che volevo era farli sentire inferiori. E tuttavia, non mi sarei neppure limitata: prima fossi diventata la strega superpotente che credevano che fossi, prima avrei smesso di prenderle nei denti e avere paura.
...e prima potrò aiutare Hjörtur, soggiunse una vocina nella mia testa. Al solo pensiero di quell'energumeno vichingo, avvertii una turbolenta irruzione di farfalle nella pancia.
Ricordavo ancora la sensazione delle sue braccia muscolose che mi stringevano a sé. Avevo sognato il mio viso premuto contro il suo petto, una corsa a una velocità folle, fiumi di elettricità che mi solleticavano la pelle senza ferirmi...
Forse non avevo sognato affatto perché in qualche modo doveva avermi portata in ospedale; inoltre, il dolore che avevo provato era stato alquanto reale.
"...il magazzino dove teniamo le pozioni per curare i lividi. Se è vero che lavori al cinema, potrebbero servirti!" stava spiegando l'entusiastica Ellie, strappandomi ai miei pensieri.
"Scusa, puoi ripetermi dove?" la interruppi, maledicendomi per essermi distratta.
"Al piano di sopra. Devi solo chiedere il permesso al tuo Maestro per accedervi, e..."
Qualcuno si schiarì la gola.
"Ellie, la Lunare ha pieno accesso alle nostre scorte di pozioni." disse in tono di rimprovero una voce femminile; una donna che mi arrivava alla spalla, dal viso statuario, ma armonico, e uno sguardo da generale d'armata.
Francamente mi sentivo io intimidita da lei, potevo solo immaginare la povera Ellie.
"Davvero? Non vorrei disturbare..."
Lei aggrottò un nero sopracciglio. "Disturbare? Ci mancherebbe, Lunare!"
Prima di potermene rendere conto, mi ero ritrovata a salutare la ragazzina e la strega mi stava facendo strada sino al piano -6. Meditai se scrivere un messaggio a quel sadico del mio maestro, che avevo perso di vista alla fine dell'addestramento, ma ovviamente non c'era ombra di campo, là sotto. Bah, ci saremmo ritrovati all'uscita. Superammo una porta a vetri, oltre la quale scorsi un'immensa biblioteca; quindi, ci fermammo di fronte a uno "sgabuzzino" grande quanto una cattedrale (in ampiezza, se non in altezza). Centinaia di pozioni erano ordinatamente allineate e catalogate su moderne scaffalature metalliche.
"Wow... Quanta scelta..." mormorai, catturata dalla vista di centinaia di contenitori ricolmi di liquidi multicolore. Tradizionali e antiche ampolle erano inframezzate da bottiglie di plastica e tetrapak, che avrei potuto scambiare per succhi di frutta. Tutte recavano un'etichetta o un biglietto appeso con una cordicella.
Quasi mi avesse letto nel pensiero, la strega scrollò le spalle.
"No, non avevamo finito il budget, è che a usarle si rompono peggio che i bicchieri... E abbiamo pensato che non valesse la pena di assoldare un vetraio unicamente per il gusto della teatralità."
Si agitò un'ampolla piuttosto antica tra le dita, per poi riporla sullo scaffale.
"E attirano un pochetto l'attenzione in pubblico, suppongo." intuii con un sorrisetto, immaginandomi a sorseggiare da una di quelle sul luogo di lavoro.
La strega - il cui nome nuotava in fondo al pozzo del dimenticatoio, sempre che me l'avesse detto - rinunciò ben presto a trovare l'ampolla giusta alla vecchia maniera: si limitò a masticare una frase in latino con marcato accento inglese. Un oggetto si levò in aria dall'altra parte della stanza, eseguendo una traiettoria a pallonetto che lo condusse tra le sue mani.
Non vedevo l'ora di imparare quella formula.
Fui piuttosto delusa dalla prosaicità della pozione curativa - era stata svuotata una bottiglia di collirio con contagocce per farle spazio - ma l'effetto fu immediato e paradisiaco, specialmente per il livido sulla faccia.
Samuele fu piuttosto sorpreso di trovarmi immacolata e sorridente all'uscita, ma non commentò. Mi informò di aver parlato con Ethan, presentandogli una tabella di marcia per gli allenamenti tarata sui nostri impegni - un membro della congrega gli avrebbe fornito un lavoro.
Ero felice di non averlo condotto alla disoccupazione, ma un po' preoccupata di ritrovarci a dipendere eccessivamente da quelle persone. Ad ogni modo, esternai il mio dubbio solo una volta che fummo usciti. Aspettammo l'Uber dai confini della spiaggia, guardando l'oceano sciabordare in lontananza.
Samuele non condivideva la mia preoccupazione.
"Siamo nel loro territorio, Ratri... Non contattarli sarebbe equivalso a un segno di ostilità e fidati, non abbiamo nulla da temere da loro."
"Ne sembri piuttosto sicuro, considerato che neanche tu li conoscevi fino all'altro ieri."
Lui giocherellò con uno dei propri anelli, a forma di teschio di vacca. "Vero, ma sei la prima Lunare da due generazioni e hai scelto loro." puntualizzò "Tra l'altro, sono alleati con la congrega a cui appartiene mia zia. Per quanto io ne sia uscito, Ethan sa che nuocermi li farebbe... arrabbiare."
Avevo l'impressione che avesse usato un termine meno forte di quello che aveva in mente.
"Mhmm... E tu perché ne sei uscito? La vera ragione." mi sfuggì, prima di realizzare che il mio iniziava a somigliare a un interrogatorio. Dopo aver visto quanto una congrega potesse offrire, inclusa la protezione da stregoni ostili, ero certa che dovesse aver avuto un valido motivo per avventurarsi in solitaria nel mondo.
Si irrigidì. "Te ne parlerò, Ratri... Non oggi, però, e non qui."
Mi morsi il labbro, ricacciando indietro la curiosità. Non mi riuscì altrettanto bene con il risentimento represso, comunque, che fu la matrice del lungo silenzio che seguì.
Samuele sospirò.
"Mi dispiace per essere stato insensibile... Ero sotto pressione a mia volta, ad essere onesto."
Giusto. Non ero soltanto io sotto esame, bensì anche lui, per le sue abilità di insegnante. Ethan avrebbe preferito che fosse uno dei suoi a guidarmi nell'apprendere la magia; avrebbe potuto renderlo più palese soltanto apponendo sulla mia spalla un carrarmatino del Risiko e lanciando i dadi per conquistare anche l'altra.
Poiché non rispondevo, lui seguitò:
"Spero tu sappia che non mi diverto a scagliarti contro palle da football."
Contrassi la mascella. "Come tutti hanno avuto modo di constatare..."
Un fugace sorrisetto. "Ok, forse un po' mi divertivo... ma il pubblico non è stata un'idea mia. Ratri, devi capire che potresti non avere il tempo di imparare secondo una normale tabella di marcia persino di un Lunare, sempre che esista una cosa simile. In molti vorranno sfidarti ed è mio dovere fare sì che tu sia pronta. Io... Non posso rivederti in un letto di ospedale, viva solamente perché lui..."
Avrebbe continuato, se non gli avessi posato una mano sul braccio, un po' controvoglia.
"Lo so. Lo facevi per il mio bene. E non mi fraintendere, anche se capisco ti detesto in questo momento. E seriamente, la faccia è off limits!"
La mia occhiata truce lo spinse ad alzare le mani. Promise, ma vedevo benissimo le dita incrociate e l'angolo incurvato della sua bocca; gli affibbiai una meritata spallata.
Seguì un altro minuto di silenzio, al termine del quale lui disse:
"Non ti tratterò mai come normalmente un Corvo tratta un Lunare, Ratri... Ma non esigerò neppure che tu ti comporti come un'apprendista tratta normalmente un maestro."
Mi volsi, sorpresa. Quindi, annuii.
"Potremmo trovare un modo nostro, Samuele. Io farò ciò che dici in contesto di lezione e potremmo essere... amici, nel resto nel tempo. Che ne dici di questa formula?"
Era essenzialmente ciò che già stavamo facendo. Prima che lui potesse rispondere, una voce femminile e piuttosto sollevata mi chiamò da destra.
"Ratri Stojanov? Sei tu? God, finally!"
Una ragazza dalla treccia a spina di pesce piuttosto malconcia avanzava sulla sabbia con le scarpe in mano e gli occhiali leggermente scivolati sul naso. Ansimava come se avesse corso per un paio di chilometri.
"Ehm... Mi tocca." confermai, incerta su come quella perfetta sconosciuta potesse conoscermi. Dapprima pensai fosse una strega della congrega venuta a portarmi un oggetto dimenticato, ma lei sembrava provenire dalla direzione opposta rispetto all'acquario.
Samuele si fece teso e altrettanto perplesso.
"E tu sei...?"
Lei riprese finalmente fiato, ma scoccò un'occhiata nervosa al mio amico/maestro prima di rispondere.
"Ciao, scusa, so che non mi conosci, ma non ho attraversato l'oceano per essere scambiata per una pazza. Non sono pazza, mi sento in dovere di chiarirlo." mi tese la mano con un sorriso determinato "Mi chiamo Jessica."
D'accordo, ora aveva la mia curiosità. Nel mondo babbano non un cane sapeva chi ero... Eppure, neppure un piccolo formicolio si attivò dal breve contatto tra noi. Aveva l'accento inglese d'Inghilterra, o così almeno suggerivano i miei professionalizzanti studi chiamati Serie TV in Lingua Originale Applicate.
"Ehm... ciao, Jessica-che-non-è-pazza. Onorata... è una domanda sciocca, forse, ma posso sapere perché mi stavi cercando?"
Lei alzò gli occhi al cielo. "Abbiamo un amico in comune. Veloce come un fulmine."
"Ah." mormorai con un filo di voce, mentre lei annuiva significativamente e Samuele imprecava a mezza voce. Hjörtur... aveva un'amica? Perché la cosa mi sorprendeva tanto? Non sapevo assolutamente nulla di lui come persona, dopotutto.
"Già, ah."
Mi morsi il labbro, scoccando un'occhiata a un preoccupato Samuele, il quale alzò gli occhi al cielo. Era coscio che avrei fatto di testa mia, a dispetto della sua disapprovazione.
"Il nostro Uber è arrivato. Posso consigliarvi di continuare questa conversazione in un luogo più privato, ragazze?"
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