Parte Seconda
Quando arrivammo davanti al portone, dovetti essere un po' brusco per staccarmi da lei e riprendere a respirare regolarmente. Avvertivo una sorta di intorpidimento al pube, sensazione paragonabile a quella provata allorquando si gonfia il piede in un paio di scarpe più piccole rispetto alle proprie misure. Sicuramente era dovuto alla costrizione nei jeans, divenuti improvvisamente stretti.
«Arrivati!» esclamai insofferente, saltando giù dal motorino.
Alessia si sfilò il casco, lasciando liberi i suoi riccioli castani e agitò un po' il capo all'indietro per ravvivarli, facendomi trasalire ancora una volta.
«Da quando hai cambiato casa, non ero mai venuta a trovarti. Mi pare una bella giornata per battezzarla, non trovi?» disse lasciva e scorsi in quelle parole l'ombra di un proposito a me ancora oscuro, ma capace di turbarmi sufficientemente.
Sgranai gli occhi e spinsi in fondo alla gola un groppo di saliva.
«A-ah, è vero! Non c'è stata mai occasione. Comunque non ti aspettare granchè, tra l'altro, non ho fatto in tempo nemmeno a dare una sistemata, prima di uscire», dissi imbarazzato, ripensando a quanto era accaduto la mattina.
Il peggio doveva ancora arrivare.
Scese anche lei dal motorino e potei così sistemare entrambi i caschi nel bauletto anteriore e infilare la catena alla ruota.
Alessia si guardava attorno col naso all'insù, come se stesse valutando i palazzi del mio quartiere. Il sole le s'insinuava fra le ciocche rendendole ramate e accarezzava le sue guance facendo divenire la sua pelle traslucida. Era uno spettacolo e mi beai per qualche istante di essere l'unico, in quel momento, a poter godere di quella meraviglia. Poi, di colpo, un presentimento mi strinse nuovamente il cuore in una morsa.
Stavo per farla entrare in casa mia e questo avrebbe generare delle conseguenze inaspettate. Pensai che avrei potuto dichiararmi a lei e forse avrei potuto avere anche delle chances, ma non volevo illudermi, non potevo mostrare la mia debolezza. Non con Alessia. La verità, però, era che non sapevo cosa aspettarmi da quella visita inaspettata e questo mi turbava particolarmente. Nella mia testa si affollavano migliaia di pensieri e le parole scritte per lei, e gettate nell'immondizia, risuonavano come un jingle tormentandomi.
Alessia mi passò accanto, sfiorandomi il braccio e risvegliando la mia erezione, che diveniva via via più dolorosa.
Quando entrammo nell'androne del palazzo, c'erano già due signore ad attendere l'ascensore e, data la mia claustrofobia, chiesi ad Alessia se l'è andasse di salire a piedi.
«Aspettiamo, dai. Ho le gambe indolenzite. Le scosse prodotte dal motorino mi lasciano una sorta di tremore per qualche minuto, come se avessi tanti spilli conficcati nelle gambe. Non ce la faccio proprio.»
Mi fissò per un istante con uno sguardo sofferente e poi si ricordò del mio problema, sgranando di colpo gli occhi, mortificata per quella sua mancanza di tatto nei miei confronti.
«Stai tranquillo, ci sono io. Insieme a me non avrai problemi», cercò di tranquillizzarmi regalandomi un dolce sorriso e stringendomi la mano.
«Magari prendiamo il prossimo», dissi.
«No!» tuonò perentoria.
Subito,mod porte dell'ascensore si spalancarono emettendo un figlio metallico che mi fece rabbrividire ulteriormente.
Quando fummo nell'angusta cabina di metallo, Alessia si schiaccio col petto contro il mio per permettere alle due signore di entrare. A quel punto, nonostante mi pizzicassi fortissimo la gamba con le dita della mano, non riuscii minimamente a controllare la mia erezione dovuta al contatto frontale dei nostri corpi.
Improvvisamente, Alessia alzò lo sguardo e si mise a fissarmi.
«Tutto ok?» chiese.
No! Dannazione! Non andava bene un cazzo. Mi disgustai di me stesso e, al limite dell'esasperazione, chiusi gli occhi e cercai con tutte le mie forze di pensare solo a cose orripilanti, nella speranza di ritrovare un certo contegno. Nonostante lo sforzo immane, quel tentativo disperato di porre un freno alla mia libido mi portò solo a precipitare più velocemente verso il baratro.
«Diciamo. Scusa, io...» sospirai costernato.
Fu a quel punto che vidi apparire nelle sue iridi azzurre un lampo di lussuria che mi fece fagocitare dai miei più perversi pensieri, una volta per tutte.
Alessia si morse il labbro, poi diede un rapido sguardo alle due signore che erano alle sue spalle, quasi per accertarsi che non vedessero cosa stesse per fare, e ritornò a concentrarsi su di me.
«Temevo di essermi sbagliata», bisbigliò.
«Di cosa?» chiesi annaspando, mentre avvertivo ogni parte del mio corpo irrigidirsi e fremere sotto il suo contatto. Ogni mia cellula sembrava rianimarsi sotto il suo tocco anche solo visivo.
Improvvisamente, la sentii muovere le dita sulla zip dei miei pantaloni e infine, dopo aver liberato il mio sesso, ancora barricato negli slip, insinuarsi anche in quelli.
«Che cazzo fai?» chiesi a denti stretti, col cuore che mi era appena saltato in gola, facendo voltare anche le due donne che ci davano le spalle. Mi aggrappai con le unghie alle mie cosce pregando che quella tortura finisse - o che non terminasse mai.
«Niente! Cerco di grattarmi la gamba, ma in quest0 ascensore si sta come sardine e mi vengono tutti i fastidi. Lo sai che soffro di dermatite allergica ed è probabile che ci sia una qualche concentrazione degli allergeni ai quali sono più sensibile. Ma quando arriviamo?» disse improvvisamente spazientita, facendo finta di grattarsi in parti differenti del suo corpo.
La osservai sbigottito poiché sembrava che lo spirito di qualcun altro si fosse temporaneamente impossessato di lei.
«Ha ragione, signorina. Sembra di stare in una gabbia», aggiunse contrariata una delle due donne rivolgendosi ad Alessia e poi cercando una qualche muta conferma nella sua amica, la quale annuì prontamente, di rimando.
«Credo sia la polvere!» proferì l'altra guardandosi intorno, «questo luogo è un ricettacolo di acari e batteri», sospirò pesantemente.
Alessia rispose con un cenno della testa alzando le sopracciglia esasperata. Imperturbabile, naturalmente sfacciata, sensuale e con una faccia d'angelo, in grado di raggirare chiunque, fece spallucce fintamente sconsolata e ritornò a fissarmi.
«Sei assurda!» asserii sommessamente.
«Zitto, reggimi il gioco finché non ce le togliamo davanti», mi intimò.
Credo di aver provato talmente tante emozioni, talune cozzanti con altre, da mandare in confusione persino la persona più equilibrata e riflessiva della Terra. Ero eccitato perché avevo capito le intenzioni di Alessia, agitato per la presenza di altre persone che potevano scoprirci e adeguatamente esasperato da tutta la situazione.
Quando arrivammo al quinto piano e le porte dell'ascensore si aprirono, facendo uscire le due signore, tirai un grosso respiro, come se fossi stato in apnea fino ad allora. Vidi Alessia salutare in modo disgustosamente cordiale le due donne per poi indietreggiare, come risucchiata all'interno della cabina di metallo.
«Ma stai scherzando?» squitii.
«Assolutamente. Stavo semplicemente cercando di essere educata con le tue vicine», ribatté sardonica cercando di celare un ghigno.
Alzai gli occhi al cielo e subito capitolai nuovamente sotto l'audacia di Alessia che ricominciò a torturarmi senza tregua.
«Aspetta Ale. Insomma, non è che non mi piaccia, anzi, ma non capisco», le dissi tenendole ferma la mano che si era nuovamente avventata famelica sul mio sesso.
«Speravo che tu mi volessi. Mi sono dovuta scopare mezzo mondo per cancellarti dalla mente perché ti vedevo sempre così distaccato da certe cose, per la serie: siamo super amici, come fratello e sorella, ma ognuno per la sua strada. Stavo andando fuori di testa. Poi ti ho visto strano, come se avessi altro per la testa, persino gli esami sembravano non interessarti. Insomma, ho iniziato a pensare che potessi essere innamorato di un'altra e a quel punto, mi sono impegnata ancora di più per farti ingelosire, ma ogni mio sforzo sembrava inutile, perché eri da un'altra parte. Dopo la telefonata di stamattina, ho compreso che dovevo fare qualcosa di più drastico ed ero addirittura pronta a lasciarti andare per sempre», confessò tenendo lo sguardo basso.
Ebbi la sensazione che Alessia mi volesse con la stessa intensità con cui la desideravo io ed ero talmente emozionato da temere che il cuore mi esplodesse nel petto.
Le presi il viso tra le dita e la costrinsi a guardarmi negli occhi.
«Perché non me lo hai detto?» domandai in un sospiro.
«Perché temevo di perderti anche come amico», replicò.
Improvvisamente, lessi nei suoi occhi azzurri il terrore, come se avesse compreso qualcosa di spaventoso.
Sì portò una mano alla bocca, sgranando gli occhi come se avesse appena visto un mostro spaventoso, e indietreggiò schiacciandosi contro la parete alle sue spalle.
«Oh, mio Dio! Che cosa ho fatto? Tu… Tu non provi le stesse cose e magari ora cercherai addirittura, di consolarmi e ti imbarazzerà tantissimo avermi persino come amica. Così, finirai per allontanarti per sempre da me, anche come amico», asserì sconvolta.
«No! Che stai dicendo? Io, non ti lascerei mai andare, non mi sento in imbarazzo, io...»
Preso dall'istinto l'afferrai e, spingendola contro la parete opposta della cabina, mi avventai sulla sua bocca. Lei rispose immediatamente intrecciando la sua lingua alla mia. Le sue mani s'infilarono nei miei capelli tirandone alcune ciocche e facendomi gemere nella sua bocca. Ogni parte del mio corpo vibrava come la fusoliera di un aereo che sta per decollare. Già, stavo per librarmi in cielo e avrei trascinato la mia Alessia con me.
In quel momento, che avrei voluto fosse eterno, giungemmo al piano e mi folgorò un'idea che mi avrebbe permesso di farle comprendere ciò che provavo per lei. Mi staccai a malincuore dalle sue labbra, morbide e calde, e la trascinai fuori dall'ascensore fin dentro casa, lasciandola ferma al centro della stanza che fungeva da soggiorno, ingresso e camera da letto. Animato da un'improvvisa temerarietà, corsi alla mia scrivania e mi misi a rovistare tra i quaderni e i libri alla ricerca del foglio sul quale avevo scritto l'ultima poesia per lei.
«Maledizione! Dove accidenti l'ho messo?» imprecai.
«Che succede?» chiese titubante, mentre era alle mie spalle, assorta nell'arredamento spartano del mio appartamento.
Quando l'ebbi trovato cercai di stendere la carta stropicciata e corsi da Alessia che se ne stava ancora immobile come una statua.
«Tieni. Questa è una delle tante bozze di poesia che ho scritto stanotte per te. Sono stato sveglio per questo, cercando di buttar giù qualcosa di adatto a spiegarti quello che mi fai provare», dissi.
Alessia allungò la mano tremante e prese quel pezzo di carta consumato, muovendosi quasi a rallentatore. I suoi occhi passarono dal foglio a me per qualche istante e poi presero a concentrarsi solo sulle parole scritte.
Mentre leggeva quello che avevo partorito in quella notte agitata, sentivo il cuore martellare forte nel petto mentre il respiro, fattosi troppo leggero e quasi impercettibile, mi procurava vertigini sempre più destabilizzanti.
Vedevo gli occhi di Alessia scorrere sulle parole, a volte soffermandosi un istante, e sentivo l'angoscia mista all'impazienza crescere e soffocarmi nella sua morsa.
«Ti prego parla, dannazione! Dimmi che ne pensi? Ho bisogno di capire a che punto siamo arrivati prima di lasciarmi andare del tutto con te.»
Mentre fagocitavo aria come un pesce appena tirato a forza fuori dall'acqua, la vidi alzare lo sguardo e fissarmi sconcertata.
Mi si fermò il cuore per svariati istanti finché non iniziò a parlarmi.
«È semplicemente meravigliosa. Non pensavo sapessi scrivere certe cose. Insomma, le hai dedicate davvero a me? Mio Dio, non pensavo...» disse con gli occhi lucidi e le gote in fiamme.
Sentivo il sangue pompare veloce nelle vene, le orecchie fischiare rumorosamente nella mia testa e il corpo scosso da fremiti incessanti.
Alessia posò il foglio sul divano accanto a lei e si avvicinò a me continuando a evitare il mio sguardo, come se fosse in imbarazzo.
«Che ne pensi?» domandai irrequieto.
«”Del mio cuore hai rapito i battiti, di ogni pensiero hai occupato prepotentemente la sostanza. Dalla profondità del mio essere sento una forza prendere forma e afferrare le mie membra fino a stritolarmi. Ed è un desiderio più grande di me, difficile da contenere, difficile da domare. In realtà, non so se voglio liberarmi di esso perché di te ho bisogno…”» recitò alla perfezione ciò che le avevo scritto mandandomi in frantumi.
Non mi sembrò più nemmeno tanto minuta, piuttosto era grandiosa, magnifica, maestosa tanto da far sentire me, infinitamente più piccolo.
Ero appena entrato nell'occhio del ciclone e mi libravo senza alcuna protezione nella tempesta.
Alessia era divenuta il centro, il sole incandescente attorno al quale mi vedevo gravitare liberato da ogni peso e volontà. Non ero più io a decidere se fosse più saggio restarmene buono a rimuginare sulle mie inezie di essere umano, perché era lei a indirizzare la mia mente verso i suoi propositi.
Si mise in punta di piedi, arrivando quasi alla mia vetta e puntò dritto il suo sguardo magnetico nei miei occhi che ancora indugiavano sulle infinite potenzialità della sua persona. Si aggrappò alla mia spalla e salì con le mani fino a toccare la leggera peluria che rivestiva la mia mascella. Quel contatto delicato e profondo mi dilaniò poiché la mia mente, ormai in balia di lei, mi rimandava con prepotenza verso oscuri e lussuriosi propositi.
«Mi vuoi?» sussurrò con la voce grave.
«E me lo chiedi?» risposi annaspando.
A quel punto, mi fece un mezzo sorriso mefistofelico e ricadde sui talloni con un tonfo sordo, che fece scricchiolare il parquet.
Abbassò lo sguardo sul cavallo dei miei pantaloni e le sfuggì un grugnito soffocato.
«È un bene che sia rimasta attaccata a te, in ascensore. Cosa avrebbero potuto pensare le tue vicine del fatto che te ne andassi in giro con le braghe aperte e lo spadone mezzo uscito dalla guaina?» disse ghignando.
Subito abbassai lo sguardo anch'io e vidi il mio scempio personale.
Quanto mi sentii patetico, in quel momento.
«Cristo!» esclamai cercando di risistemarmi.
«Aspetta, non ho ancora finito con te. Anzi, non ho nemmeno iniziato!» asserì leccandosi le labbra.
Allora compresi che non era solo il pensiero di lei a farmi eccitare in modo devastante, ma anche ogni suo gesto diretto a sublimare un atto sessuale.
Con la testa che viaggiava su un binario differente rispetto a quello del mio corpo, avvertii mentre mi liberava dei pantaloni e degli slip facendomeli scivolare fino alle caviglie e, subito dopo, la stretta calda della sua mano attorno al mio sesso turgido.
Cosa era successo? Sembrava un film mandato avanti a tutta velocità.
Subito ritornai con il pensiero alla fantasia che mi aveva fatto compagnia la notte appena trascorsa e mi sentii terribilmente a disagio senza riuscire a comprenderne il perché.
Avrei voluto dirle di smetterla, di staccarsi da me, ma il suo incantesimo mi aveva ancora una volta soggiogato, più violentemente rispetto a quanto potesse aver fatto nel mio sogno.
La vidi inginocchiarsi continuando a muovere la mano lungo tutta l'asta del mio membro, che sembrava animarsi sotto quelle attenzioni tanto insistenti e licenziose.
All'improvviso mi lanciò un sorriso carico di lussuria e si avventò con la bocca su di me, accogliendomi fin dentro la cavità della sua gola. Avvertivo il piacevole scorrere della lingua e delle labbra sulla pelle, diventata infinitamente sensibile. Strinsi involontariamente le natiche e accompagnai il movimento della sua bocca con quello del bacino, spingendolo, a ondate, verso il suo viso.
La sentivo gemere sul mio sesso senza fermarsi, succhiando e leccando con avidità come se volesse divorarmi l'anima attraverso di esso.
Mentre avvertivo il montare dei fremiti del piacere, ottenebrandomi completamente la coscienza, la mia mano le scivolò sulla nuca seguendone il moto, divenuto sempre più incalzante. Le mie dita si intrecciarono attorno ai suoi riccioli castani tirandoli leggermente ad ogni spinta, quasi come fosse uno spasmo involontario che lei sembrava gradire, rispondendo a esso con gemiti gutturali sempre più forti.
Ero al limite e sentivo le gambe perdere lentamente tonicità ad ogni getto di liquido che riversavo nella sua bocca, ma questo non le impedì di continuare finché non reputò fosse sufficiente. A quel punto si staccò, si pulì gli angoli delle labbra con il dorso della mano e deglutì rumorosamente.
Appena ritornai in me, chinai lo sguardo su di lei per vedere se stava bene. Ero scioccato per ciò che era appena successo, come se tutto fosse stato parte di un disegno già stabilito nella sua testa. Alessia sembrava soddisfatta almeno quanto me, così, come se nulla fosse, si rimise in piedi e si tirò più su la cintura dei jeans. Io la guardai attonito risistemarsi e mi sentivo come se un uragano si fosse appena abbattuto sulla mia esistenza lasciando di me i resti di una persona diversa.
Tutto era cambiato, avevo visto concretizzarsi le mie fantasie eppure non mi sentivo completamente appagato, piuttosto ero spezzato. Il silenzio e i gesti quasi meccanici di Alessia mi laceravano ogni istante di più, lasciandomi un carico di dubbi che mi schiacciava l'anima.
Non sapevo cosa dire o fare, perché non avevo preventivato niente, mentre, invece, avevo avvertito una certa premeditazione nelle azioni di Alessia. Mi feci coraggio e presi la parola.
«Stai bene?» chiesi pentendomene subito dopo.
Alessia si voltò verso di me e notai che le lacrime le rigavano il viso, mentre stringeva il foglio con la canzone/poesia che le avevo dedicato.
«Io, io sono alla ricerca di qualcosa, ma è difficile per me accettare di fermarmi, di dedicarmi anima e corpo a una persona. Mi sento soffocare. Ho ventun'anni e non posso pensare di dover stare male per qualcuno, perché quando saremo lontani succederà e io non ho la tua stessa forza per sopportarlo», disse con la voce rotta.
Qualcosa mi svegliò violentemente, spazzando via anche gli ultimi fremiti dell'amplesso.
«Che stai dicendo?» chiesi allarmato.
«Appena finita la triennale partirò per New York. C'è mio fratello lì e mi darà una mano a inserirmi nella nuova università.»
«Ma che accidenti stai farneticando? Te ne vai? Quindi, se non ho capito male, non te la senti di impegnarti con me perché temi di non reggere il peso della distanza o perché vuoi sentirti libera di scoparti il mondo anche lì, senza pensieri?» chiesi piccato.
«Entrambi», asserì lapidaria.
Le lacrime si erano asciugate e la sofferenza sul suo viso sembrava essersi dissolta. Alessia appariva sicura di sé, algida come se non provasse più alcuna emozione. Improvvisamente ebbi un'illuminazione che mi sconvolse ancora di più: io avevo fatto sesso con lei, ma lei non con me. Si era tolta semplicemente un "prurito", voleva darmi un contentino, ma temeva di restare coinvolta, se solo si fosse lasciata andare oltremodo. Forse se l'avessi presa immediatamente, non sarebbe fuggita più e avrebbe compreso che, in realtà, rappresentavo ciò di cui aveva bisogno.
Mi avvicinai per accarezzarla, ma lei mi schivò prontamente.
«Non sono la donna virtuosa di cui parli. Non lo sono affatto. Non vado bene per te. Dovrei solo farti repulsione!» proferì aspramente.
«Come può farmi repulsione la donna che amo», le dissi vedendo improvvisamente il suo viso distendersi e tornare roseo.
«Non è giusto! Non devi!» continuò cercando di svincolarsi maldestramente da ciò che il suo cuore, in pieno disaccordo con la testa, tentava di dirle.
Una parte di me, quella orgogliosa, mi intimava di lasciar perdere, che sarebbe stata una battaglia persa, che avrei sofferto come un cane perché non avrei mai avuto la certezza della sua assoluta fedeltà e sapevo che un suo tradimento mi avrebbe distrutto. Ma ero fondamentalmente un idealista, anzi, più che altro, un illuso. Il mio cuore voleva davvero cimentarsi in questa impresa masochistica, sperando ardentemente di riuscire a redimerla fino a convincerla che io solo potevo salvarla da sé stessa.
«Devo andarmene», asserì interrompendo il contatto visivo con me.
Era diversa: non era più la mia Alessia, ma un essere immondo.
«No! Cazzo, no! Non sei brava come attrice, non adesso, non dopo tutto quello che è successo. Non mi puoi mollare come un idiota e aspettarti che intaschi e porti a casa in silenzio, come hanno fatto quelli prima di me. Sì, voglio un dannato rapporto esclusivo perché è così che ci si comporta quando si è innamorati e sono certo che anche tu vuoi tutto questo, ma ti fa una fottuta paura. Sei terrorizzata da te stessa, da quella natura da spirito libero dietro la quale ti trinceri, ma sei davvero sicura che non sia proprio il tuo cuore a cercare finalmente un posto tranquillo dove trascorrere del tempo? Non ti chiedo di sposarmi, ma di vivere parte di questo viaggio insieme a me. Magari, potremmo imparare l'una dall'altro e crescere insieme.»
Gettai fuori dall'anima tutto ciò che mi stava corrodendo da un'ora.
Alessia mi guardò annichilita come se ad ascoltarmi non fossero le sue orecchie fisiche, ma fossi riuscito a scardinare quella maledetta serratura che apriva la sua anima a me.
«Tu non capisci! Io non sono in grado di amare come ami tu», dichiarò scuotendo il capo frustrata.
A quel punto, le afferrai il viso con le mani e la costrinsi a guardarmi negli occhi.
«Ti insegnerò a volare. Non devi amarmi come ti amo io, devi solo amarmi come ti riesce meglio fare. Non siamo tutti uguali ed è questo che amo di te: il tuo non essere affatto scontata. Ti prego», la implorai, infine.
Mi ritrovai a supplicare quell'essere che pareva senza speranza, come se io avessi la conoscenza di una qualche verità suprema in grado di farle cambiare idea e legarla per sempre a me. Non potevo salvarla perché lei provava un certo sadico piacere nel torturarsi, fino ad affondare in quel gioco, al quale lei stessa aveva dato vita e in cui voleva essere l'unica giocatrice.
Distolse ancora una volta lo sguardo come se il mio le perforasse il petto dolorosamente.
Fu allora che compresi quanto fosse incatenata a quella sua condizione, così la lasciai andare, morendo insieme alle parole scritte durante quell'interminabile notte.
La vidi raccogliere le sue cose e uscire dal mio appartamento e dalla mia vita, senza dire una sola parola, senza respirare, senza più vita.
Come un fantasma, si dissolse, mentre io cercavo di ammazzare la parte di me che più l'amava e che ancora agonizzava dopo la sua definitiva uscita di scena.
No, non mi lasciai andare, non smisi di mangiare o dormire, alla fine mi ero strappato via dal cuore un'appendice che faceva solo male e dovevo proseguire per la mia strada. Purtroppo ero un essere umano e quel vuoto lasciato dalle membra di cui mi ero liberato, continuava a pulsare ogni volta che le nostre strade si incrociavano inevitabilmente. Arrivai persino a contare i giorni che mi separavano dalla laurea, poiché sapevo che, da quel momento in poi, non avrei più dovuto vederla.
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