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III atto

VARIAZIONE SU TEMA (tenuto)

"Hai passato la serata fuori"
"E tu sul mio pianerottolo"

Accenna un sorriso tirato e "vorrei chiederti dove sei stato" ammette alzandosi dal gradino.
"Perché? Ti importa quello che faccio?"
"Certo che mi importa... e pure parecchio."

E non c'è il minimo tentennamento nella voce, ma nella mano che tortura un sacchetto di carta, si.

"Che hai lì dentro?"
Mi scruta per un tempo che pare eterno e "il bottino" chiarisce poi "ho fatto na rapina in centro e ho pensato bene de venì qua per nascondere la refurtiva... Vuoi esse mio socio in questa follia?"

"Manuel"
"Simone" le sopracciglia sembrano ora due molle elastiche e insieme all'angolo della bocca sollevato a mo di scherno, vanno a completare un perfetto perculo.

"Cretino io che domando pure" borbotto e, con movimenti più ampi del necessario, estraggo la chiave dalla tasca per aprire la porta.
L'anta rimane socchiusa in attesa che anche lui entri.

Non sembra intenzionato a farlo, però.

"Oh! Non vuoi entrare?"
I ricci disordinati sbucano dallo stipite e lo sguardo titubante nicchia sul pavimento.
"Non m'hai mica detto che potevo."

Ah, questa è nuova.

"Beh, te lo dico ora... puoi."

Si spinge in casa con la foga di chi sta ricevendo un privilegio che potrebbe perdere da un momento all'altro.




ESECUZIONE (sostenuto)

"Quindi? Sta refurtiva?" indago affondando accanto a lui sul divano "C'è una percentuale che mi spetta in quanto socio?"
"Certo! Anche se per ora te dovrai accontentà di un introito non in denaro."
"Come?"
"Guarda" le gote già prominenti si gonfiano di un sorriso pieno mentre un braccio sparisce all'interno della busta.
Piego la testa di lato e attendo.

La comparsa di un Borsalino beige immortalato su una copertina lucida mi toglie il fiato.
"E' l'ultimo di Venditti" constata ignaro della mia reazione "me so ricordato che te piacciono ste lagne e-"
E non lo sto neanche più ascoltando.

Le parole si mescolano l'una sull'altra in grovigli incomprensibile, mentre una sola domanda lampeggia ad intermittenza nel cervello.

"Perché cavolo mi hai restituito le chiavi?"

Il disco quasi scivola dalle sue mani e io lo recupero prima che ciò accade.
Quasi senza accorgermene lo stringo forte al petto.
Come se questo gesto potesse infondermi il coraggio di continuare a parlare.
Di - per una volta almeno - non scegliere il silenzio.

"Sono- sono settimane che torni comunque qui Manuel... se per te significa qualcosa, riprenditele no?"

E probabilmente la domanda ha più peso di quanto credessi, perché ora chiude le palpebre e si porta un palmo a strofinare l'addome.
Pare uno che è appena stato ferito, ma non sa ancora se morirà o meno.

"E'- è meglio che le tieni tu..." biascica dopo qualche secondo "almeno per un po'"
"Ma perché?"
"Perché me le voglio meritare"
Meritare?
"Guarda che è la chiave di casa, non una grazia divina."

E sarà per il mio commento al vetriolo o perché non si aspettava questo confronto adesso, ma fatto sta che di colpo si alza e prende a percorrere il salotto talmente veloce da sembrare quasi in ogni angolo nello stesso momento.

"Manuel?"
"Simò..." la voce gli viene fuori un po' roca "lo sai cosa mi piaceva fare sempre?"
"Che- che cosa?"

"Mi piaceva andarmene. Da ogni posto. Senza un motivo eh... solo per vedé che succede dopo. Sapere che stavo lasciando un'assenza diciamo... che se poi tornavo, ce stava un vuoto riempito per qualcuno... un'attesa ripagata, o magari" si ferma di botto al centro della stanza "perdonata."

Mi stringo nelle spalle cercando di raccattare un minimo di senso dalle sue parole.

"Manu io... io non pretendo nulla da te lo sai..."

"Lo so! Tu non pretendi mai nulla da me!" lo dice come se la mia fosse una colpa "Tutti vogliono sempre qualcosa... invece a te vado bene in ogni caso!"

"Ed è un problema?!"
"Certo che lo è, cazzo!" e dal modo in cui sta letteralmente ringhiando è chiaro che questa discussione surreale era solo una bomba in attesa di esplodere.

"Poi sai pure cosa mi piaceva fare?" incalza ancora davanti al mio silenzio confuso "mi piaceva avere relazioni inconsistenti. Ne avevo di continuo... Me le tenevo per un po', scopavo e poi andavo avanti. Alle mie ex stavo bene proprio perché sapevo farmi lasciare... mi addossavo le colpe di tutto e buonanotte!"
"Mi- mi sembra un po' impietoso ridurti solo a questo però... come se fossi sempre tu il cattivo della storia..."

"E pure che lo fossi?! Guarda che a me di essere na bella persona non me n'è mai fregato un cazzo!"
"Manu-"
"Non sto scherzando! E' sempre stato così per me! E' solo con te che è cambiato tutto!"

"Con- con me?"
Si sgonfia di tutta la rabbia montata e "con te... con te è diverso" sussurra esausto tornando a sedersi "e perciò tu mo me lo devi dire Simò..."
"Ma dire cosa Manuel?"
"Come fare!" implora "Tu me lo devi dire in che modo mi vuoi! Ho bisogno di sapere da dove iniziare..." la voce, la faccia e anche la postura, assumono le sembianze di una resa disperata "io voglio essere una bella persona... per te."

E d'un tratto, quella stupida incapacità di leggere le situazioni che tanto mi limita, appare davanti ai miei occhi in tutta la sua ingombrante presenza.

Con espressione inorridita e fiato corto abbasso lo sguardo sul vinile ancora premuto sul petto.
Solo adesso vedo davvero cosa c'è fra le mie mani nervose.

«Cuore» recita in un rosso acceso e sofferto la scritta sulla copertina.

Oh.

Allora è questa la sensazione che avverte Manuel ogni volta?
E' così che si sente sapendo il potere che riesce ad esercitare su di me?

Un potere completamente diverso da quello che mi cedeva disperato in camera da letto.

"Simo?"
Gli occhi saettano nei suoi.

Nessuna comunicazione non verbale da recepire, solo tanta paura ben delineata in una singola parola.

E questa volta però, il mio silenzio non mostra alcun atto d'amore verso di lui, ma terrificante incredulità.

"Tu- tu però non puoi fare così" balbetto davanti alla sua faccia che pare crollare "tu stai con lei e-"
"Non più" mi contraddice rapido "Sono due mesi che non frequento nessun altro. Possibile che non l'hai capito?"

Sbarro gli occhi.

Possibile che non l'ho capito?

"Dimmi che vuoi che faccia" supplica giungendo le mani "...ti prego"

Un accenno di vergogna insiste alla bocca dello stomaco mentre realizzo che forse mi piace vederlo così, fremente in attesa di una decisione.

Proprio come sono sempre stato io per lui.

"Manuel" il tremolio nella voce che non riesco comunque ad evitare e la sua testa che si piega in avanti come se - più che un richiamo - stesse ricevendo un comando.
"...si?"

Improvvisamente tutto mi sembra così evidente.

"Andiamo a dormire?"




CODA (vivo)

Alle quattro e venti del mattino osservo Roma dal terzo piano.
Dalla persiana socchiusa passa un venticello fresco che mi corre a filo lungo la pelle.
Le strade sono deserte e solo il gracidare delle cicale ne riempie gli spazi altrimenti vuoti e spaventosi.

"Simo"
"Mh?"
"Che stai a fa qui?"
"Niente, guardavo fuori."

Un palmo bollente si poggia contro il mio stomaco coperto di brividi e due labbra disegnate premono sul collo prima di arrivare all'orecchio.
I bisbigli che seguono mi fanno avvampare.

"...Manu"
"...Torniamocene in camera nostra dai."

Per la prima volta, mi dimentico di chiudere le tende.






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nota dell'autrice:
Nella mia testa questa storia è ambientata a metà degli anni 80, ma non so dirvi esattamente perché.

Grazie come sempre dell'affetto assolutamente immeritato con cui accogliete ogni delirio che vi sottopongo.
Non lo dò mai per scontato ♥️

Ciao!🧚‍♀️

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