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Capitolo 7 - In cui ho un attacco di panico, e nessuno ha un sacchetto di carta

Capelli castani, leggermente screziati di rosso.

Occhi verdi, ma non quel verde fondo di bottiglia di merda, il suo era verde cristallino, come il mare limpido in una giornata invernale.

Era giovanile, nonostante avesse circa la mia età. Una leggera barba incolta faceva da cornice al viso punteggiato da lentiggini.

Indossava un semplice jeans nero, strappato sul ginocchio destro, e una t-shirt bianca.

Le sue braccia erano ricoperte di tatuaggi, che da quella lontananza non avrei saputo identificare.

Aveva un sorriso pieno, quasi dolce.

Probabilmente sarei morta a breve. Ora capivo perché Bianca del futuro se l'era sposato.

Vecchia volpona.

Anche lui sembrò riconoscermi immediatamente, infatti si avvicinò a grandi passi.

«Cosa bevi?» chiese, con la sua maledettissima voce roca.

«Mi sembrava di averti detto che avevo cambiato idea».

Spike rise, gettando la testa all'indietro. I suoi folti capelli disordinati sembravano avere vita propria.

«Incredibile. Riesci sempre a riconoscermi senza che io dica niente! Come fai?»

Già. Come cazzo facevo?

Trattenni un sorriso, ma dovevo avere la stessa espressione di una che deve andare al bagno. Lui sembrava preoccupato.

«Magia! Ora è meglio se sparisci, cocco».

Per tutta risposta, Spike afferrò una sedia e si accomodò di fianco a me.

Non davanti, non leggermente spostato. Esattamente attaccato a me.

Mi innervosii, e cercai di spostare il lunghissimo sgabello da bar, ma produssi un rumore talmente acuto che almeno due terzi del Royal si voltò a lanciarmi un'occhiataccia.

Spike tenne fermo il mio sgabello, per evitare che mi trascinassi oltre e andassi troppo lontano da lui.

Gli lanciai un'occhiataccia, ma lui non sembrò cogliere.

La sua vicinanza mi colpì come una mestolata in fronte. Aveva un profumo buonissimo, misto di biancheria appena lavata e muschio bianco.

Mi sistemai gli occhiali sul naso, stavo sudando tantissimo, e mi sentivo un insaccato nello stupido vestito a fiori che avevo scelto quella mattina.

«Perché sei venuto ugualmente?» chiesi, infastidita.

«È un paese libero» mi rispose lui, citando le mie stesse parole.

Mi ricordai improvvisamente di quanto lo trovassi insopportabile.

Spike ordinò un Jack Daniel's senza ghiaccio, e poi riprese a fissarmi intensamente.

Mi sentivo particolarmente a disagio sotto il suo sguardo indagatore.

«Posso sapere il tuo nome o devo continuare a chiamarti signorina Abbraccio?»

«Neanche tu mi hai mai detto il tuo nome, Tempesta».

Io già conoscevo il suo nome, ma dovevo fingere di non saperne niente per mantenere la facciata di persona mentalmente sana.

Cosa che avevo smesso di essere molti anni prima della teiera.

Lui sorrise amabilmente, tanto che stentai a riconoscerlo, e allungò la mano per presentarsi.

Io ricambiai il saluto, e quando toccai la punta delle sue dita ebbi quasi un mancamento.

Santo cielo, non avevo mai provato con nessuno quella scarica di adrenalina.

Mi sentii così sciolta, che decisi di lasciarmi andare.

«Mi chiamo Bianca Sterling».

Lui mi sorrise ancora, palesemente soddisfatto di sé stesso per essere riuscito a scucirmi il nome.

«Piacere mio, Bianca. Io mi chiamo Miles».

...

Ora non so esattamente per quanti minuti rimasi catatonica.

Fatto sta che sono fermamente convinta che tutte quante le mie funzioni vitali si arrestarono per almeno dieci minuti.

Ero assolutamente incapace di avere una qualsiasi reazione a quella notizia.

Miles?

Quindi quello non era Spike Tempest?

Che cosa stava succedendo?

Prima la teiera che si ricreava dal niente, e ora questo.

«Ehi? Stai bene?»

Scossi la testa.

«No, credo che mi stia per venire un attacco di panico. Hai un sacchetto di carta?»

Spike, anzi... Miles spalancò gli occhi verdi.

«No! Perché dovrei andarmene in giro con un sacchetto di carta?»

«Per respirarci dentro, idiota».

Miles sembrò perplesso, ma non lo biasimavo.

Ero passata dall'insultarlo senza remora a farmi venire una crisi davanti a lui.

Miles mi appoggiò una mano sulla schiena, facendomi rabbrividire.

«Ehi, calmati Bianca. Si può sapere cosa succede?»

Sospirai, cercando di rimettermi in sesto. Lentamente, il battito cardiaco ritornò normale. Io rialzai lo sguardo e fissai Miles.

«Perché diavolo usi il nickname Tempesta di Chiodi?»

Era la prima cosa che mi venne in mente di chiedere.

Era per quello stupido nickname che mi ero fatta tutto questo viaggio mentale.

Miles sembrò perplesso. Con tutta probabilità si trovava all'appuntamento più strano che avesse mai avuto.

«Uso l'account di mio fratello per rispondere agli annunci. Non ho scelto io, il nome» spiegò Miles.

Purtroppo il mio cervello iperattivo iniziò subito a connettere i puntini, e, anche a costo di sembrare una stalker, dovevo andare fino in fondo a quella storia.

«C'è una possibilità che tuo fratello si chiami Spike Tempest?»

Miles si allontanò leggermente da me, gli occhi verdi sempre più dilatati in una maschera di puro terrore.

«Oddio, lo sapevo. Sei una di quelle invasate che seguono mio fratello ovunque!» urlò Miles, affranto.

UNA DI QUELLE CHI?

Scacciai immediatamente quel pensiero dalla testa, e riportai l'attenzione su Miles.

Lui mi piaceva molto, a dire il vero.

Ora che avevo scoperto che uscire con lui non avrebbe causato la fine del mondo mi sentivo anche molto più leggera.

«No! Ti sbagli. Non lo conosco neanche. E ci terrei che le cose rimanessero così»

Miles sollevò leggermente gli angoli della bocca. Sembrava sollevato.

«Che fai nella vita, Miles?» chiesi, cercando di cambiare argomento prima che pensasse che fossi una totale psicopatica.

«Faccio il meccanico, tu?»

«Lavoro in una agenzia pubblicitaria» spiegai, secca. «E cosa se ne fa un meccanico di una teiera antica?»

«Beh, questa è una storia molto lunga. Che ne dici di un secondo appuntamento in cui te la racconto?»

Rimasi perplessa. Non avevamo fatto neanche in tempo a finire il primo, - andato benissimo, peraltro -, che già chiedeva un secondo appuntamento.

C'era decisamente qualcosa di losco sotto, e avevo tutte le intenzioni di scoprire di più.

Ormai era diventata una questione di principio.

Avrei sfidato apertamente tutta la famiglia Tempest, per avere le risposte che mi meritavo. E per salvare il cazzo di mondo

«Accetto».

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