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Capitolo 36 - In cui c'è un malinconico soliloquio

Erano passati giorni e non avevo avuto più alcuna notizia di Viola. Se non fosse stato per il procione parlante che stanziava a casa mia avrei potuto tranquillamente dire di condurre una vita normale.

Mi svegliavo ogni mattina alle otto, facevo colazione seduta al tavolo della cucina con uno schiumoso cappuccino e una ottima brioche scongelata al microonde e poi mi vestivo e truccavo per raggiungere la Delaver.

Passavo la giornata seduta al computer, cercando di recuperare il lavoro che avevo lasciato arretrato durante quei pazzi mesi.

Infine, tornavo a casa. Davo da mangiare ai miei tre animali e poi filavo a letto, dopo una fugace cena.

Non potevo certo dire che fosse una vita entusiasmante. Se mi fossi annoiata un altro po' avrei potuto benissimo liquefarmi.

Il mio cervello masochista e malato aveva più volte pensato e scartato l'ipotesi di mandare qualche messaggio minatorio a Spike. Se lo avessi fatto davvero ero certa che mi avrebbe sparato un missile direttamente dentro casa.

Quel sabato mattina dovevo essere particolarmente pensierosa, mentre mi adoperavo per dipingere un quadro astratto. Ero una di quelle persone che, se stressata, inizia a coltivare duecento hobby diversi senza eccellere veramente in nessuna attività. Infatti il mio dipinto astratto faceva schifo e sembrava solo che qualcuno avesse sputato della vernice addosso alla tela.

«Ti stai annoiando a morte, vero?»

La vocetta di Yemon ebbe il potere di congelarmi sul posto. Mi sentii una cretina, con il mio grembiule bianco tutto macchiato di pittura.

«Si nota così tanto?» chiesi, sperando di non essere di così facile lettura. Almeno per un procione.

Yemon alzò le spalle, e se ne tornò ad accucciarsi sul divano in salotto. Con quale faccia avrei dovuto dirgli che si stava sbagliando?

Conclusi il mio quadro con un ultimo spruzzo di vernice gialla. Mi allontanai di qualche passo per vederlo nella sua interezza.

Forse potevo rivalutare le mie doti ai fornelli.

SPIKE POV

C'erano quattro cose che odiavo profondamente: il sudore, la pellicola per alimenti, i calzini bagnati e Bianca Sterling.

Il suo essere così stupidamente naïf mi irritava tantissimo. Trovavo la sua filosofia di vita così insulsa da essere stomachevole.

Io non mi reputavo nè un uomo buono nè un uomo cattivo, ma sicuramente ero migliore di lei. Almeno non prendevo sotto gamba il destino dell'intero cazzo di universo. Di tante persone nel mondo doveva capitarci proprio lei come eroina?

Quel giorno avevo invitato a casa una delle mie amiche. Era innamorata di me in un modo abbastanza palese, ma cercavo di ignorarlo perché mi piaceva avere compagnia dentro quella casa enorme e vuota. Questo fa di me uno stronzo o soltanto un uomo solo?

«A cosa pensi?» chiese Miriam, con sguardo gioviale.

«Come ti accorgi di amare qualcuno?»

La mia domanda la spiazzò, tanto che tossicchiò qualche volta di troppo e le guance le si imporporarono.

«Beh è complessa, Spike. La gente prova a rispondere a questa domanda da secoli. Di certo non ti posso dare io una risposta.»

Miriam era una persona pragmatica e seria, come piaceva a me. Non si perdeva in follie giornaliere e non vagava in insensatezze e stramberie.

«Come mai mi hai fatto questa domanda?» domandò lei, passandosi una mano fra i folti capelli color cioccolato. Ignorai una velata speranza nel suo tono di voce.

«Curiosità.»

Quella sera il silenzio in casa mia sembrava ancora più assordante e solenne. Mi sentivo stringere alla gola un nodo invisibile. Non sapevo dire cosa fosse o da che potesse essere causato.

Stavo cercando di finire di leggere "Mattatoio n. 5" di Kurt Vonnegut, ma c'era come un tarlo in fondo alla mia testa.

Mi era impossibile concentrarmi e non era più il pensiero dell'apocalisse a farmi sentire male.

Era Bianca. Era lei il problema.

Sin dal primo momento aveva creato solo problemi. Lei e quel suo stupido procione parlante. Non potevo tollerare il pensiero che avesse in mano qualcosa di tanto potente. Non era abbastanza intelligente per utilizzarlo, e di questo ero fermamente convinto.

Non riuscivo ancora a capire come facesse la mia versione futura a stimarla così tanto. Strinsi i pugni e gettai il libro più lontano possibile. Anche quella serata era persa.

Afferrai il telefono e composi il numero di Miles. Una chiacchierata con mio fratello mi avrebbe alleggerito l'umore.

«Che stai combinando?» chiesi, non appena ripose. Aveva la voce impastata dal sonno.

«Sto mettendo a dormire i bambini. Tu?»

«Cercavo di leggere, ma oggi mi sento il cervello saturo.»

«Lo sai che mi sono sempre chiesto una cosa, Spike?»

«Cosa?»

«Come fai a essere sempre così imperturbabile?»

Scoppiai a ridere. Non mi sentivo affatto imperturbabile, mi stavo appunto lamentando della mia mente affaticata. Questo mi rendeva molto poco imperturbabile.

«Sono serio. Cioè... la visione di un doppio te stesso, di un procione parlante. Sapere dell'apocalisse... non ti ha scalfito?»

Non tanto quanto Bianca Sterling in casa mia, no.

Avrei voluto rispondere così, ma sarebbe stato sospetto.

«No, Miles. È ovvio che queste cose mi abbiano colpito, ma l'importante è riuscire a mantenere il polso fermo e...»

Mio fratello proruppe in una risata, interrompendomi.

«Il polso fermo...» mormorò, fra le risate. «Il polso fermo...»

Attaccò subito dopo, senza permettermi di dire altro. Mio fratello era diventato ancora più strano del solito dopo la giornata in cui aveva conosciuto l'altro Spike. Mi parlava a stento e se ne usciva con quelle frasi criptiche.

Sospirai e mi diressi a letto.

Mi addormentavo sempre presto in quel periodo, come se stessi cercando di mettere via le energie per quello che sapevo che sarebbe venuto dopo.

Aver conosciuto lo Spike del futuro mi aveva cambiato la vita. Non per il meglio.

Se Spike non me lo avesse proibito espressamente avrei mandato un messaggio a Bianca, in quel preciso momento.

Forse era l'unica a potermi davvero capire.

E la verità era che ero invidioso del suo modo leggero di vivere la vita, nonostante avesse la consapevolezza che sarebbe finita.

Che tutto quanto sarebbe finito.

Cercai di non fare caso alla fitta al petto che mi fece mancare il fiato per qualche istante. Tolsi gli occhiali da lettura e chiusi gli occhi.

Spazio Autrice: scusate il ritardo e soprattutto per il capitolo giù di tono.
Sto facendo un po' di fatica a scrivere ultimamente, spero che sia solo un momento passeggero. Vi mando un abbraccio. Ad maiora.

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