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Capitolo 35 - In cui un procione, uno spagnolo e un cacciatore si incontrano

Avevo appena iniziato a preparare una torta al rabarbaro (no, non so cucinare neanche un petto di pollo, figuriamoci il rabarbaro). Cucinare riusciva in qualche modo a rilassarmi.
Tanto i miei esperimenti li avrebbe assaggiati solo Yemon e lui si nutriva di cibo per gatti. Qualsiasi porcheria gli avessi propinato l'avrebbe trovata ottima.

«Mi sento in colpa a stare qui a non fare niente. Viola è nel pieno dell'azione e io faccio il cosplay di Nonna Papera» mi sfogai con Yemon, quel pomeriggio assolato.

Lui sorseggiava una tazza di tè (ah, l'ironia...) e mi osservava con apprensione.

«E quindi? Cosa vorresti fare?»

Ormai ero diventata l'incubo di tutte le persone e animali tendenzialmente sani che mi circondavano. Non era certo colpa mia se mi annoiavo facilmente.

«Il piano originale era scatenare l'apocalisse, ma mi accontenterò di andare a prendere una birra con Jesus.»

Ogni tanto mi faceva piacere rivedere Jesus, era bello parlare di tutto senza essere interrotti. Nè capiti. Yemon assottigliò lo sguardo.

«Vengo anche io.»

«Non se ne parla. Jesus non reggerebbe la tua vista, e se muore di crepacuore non ho voglia di sentirmi le lamentele di Viola.»

Yemon mise su la sua solita espressione da animaletto tenero. Mi fregava sempre con quella. Dentro di me sapevo che fosse il discendente di Satana, ma quando faceva quegli occhioni dolci non resistevo.

«E va bene. Ma ricorda la regola aurea.»
«Non si parla» recitò lui, da bravo soldatino.

Addentò poi un pezzo della mia crostata al rabarbaro e la sputò nel vaso di orchidee.

Jesus mi attendeva a braccia conserte e con il suo solito sorrisone accogliente. Avevamo deciso di vederci in un localino appena aperto dove facevano specialità spagnole. Lo avevo trovato su Tripadvisor e mi era subito venuto in mente che avrebbe potuto aiutarlo a sentire di meno la mancanza della sua casa. E di Viola. Mi intristiva pensare a quanto potesse sentirsi solo adesso che lei non c'era.

«Hola Jesus!» lo salutai cordiale, abbracciandolo. Avevo appena usufruito dell'unico vocabolo spagnolo di mia conoscenza.

«¿Hola querida Cómo estás?»

Feci spallucce e sperai che bastasse come risposta. Jesus abbassò gli occhi e incrociò quelli del mio procione. Ci fu un momento di stasi, interrotto solo dallo strilletto emozionato di Jesus.

«¡Qué peluche tan realista!»

Yemon sostò accanto a me. Non credevo potesse essere possibile rimanere così tanto immobili, eppure lui ci riuscì. Dovevo ricordarmi di dargli doppia razione di pappa a cena.

Io e Jesus ci sedemmo a uno dei tavolini più defilati e iniziai a raccontare tutto. Lo so che starete pensando che io sia affetta da una gravissima diarrea verbale, ma vi giuro che non posso farci niente. Me lo hanno sempre detto, sin da piccola. All'asilo la maestra Thompson mi mise in castigo per mezza giornata perché non riuscivo a tacere due minuti e non facevo altro che raccontare a tutti i miei compagni di che consistenza fosse la mia cacca mattutina. Quella però era colpa di mia madre, lei me lo chiedeva sempre e io avevo assimilato il fatto che fosse un argomento consono da utilizzare in pubblico. O che tutti fossero interessatissimi ai miei movimenti intestinali.

«Non ci credo» sentii sibilare alle mie spalle. Purtroppo era un sibilo molto famigliare e inquietante. Mi voltai di scatto e affondai nello sguardo glaciale di Spike Tempest. Teneva saldamente una ragazza sottobraccio. Mi sentii invidiosa di lei, ma cercai di ignorare la sensazione di disagio che si stava solidificando nel mio ventre. Forse era solo cacca e non gelosia. La prima opzione avrebbe creato meno problemi.

«Che diavolo ci fai qui, Bianca?» chiese lui, con lo stesso tono con cui avrebbe salutato un mucchio di scarti di lana.

«Sto bevendo un Mojito. Non posso? Hai comprato anche questo locale?» frecciai inviperita. Feci finta di alzare il calice verso Jesus, ma lui sembrava perso nel suo mondo e accarezzava la pancia di Yemon, che era ancora immobile.

«Non stai solo bevendo un Mojito. Ti sei portata dietro quel cazzo di procione! Ma che ti dice la testa?» strillò, lasciando la ragazza e muovendo grosse falcate verso di me. Mi afferrò per un polso e mi attirò incredibilmente vicino al suo viso. Mi sentii un po' accaldata.

«È il mio procione. Faccio quello che voglio.»

«Lo vedo. Almeno ci si può fidare di quel tizio?» borbottò, irritato, lanciando uno sguardo a Jesus. Se non lo avessi conosciuto bene avrei detto che fosse geloso, ma era assolutamente impossibile.

«Ma chi? Jesus? È mio amico, è il ragazzo di Viola» affermai, facendo spallucce. Appena conclusi la frase gli vidi rilassare la mascella, ricoperta da una leggera barba ispida.

«Non te l'ho chiesto.»

«Hai chiesto implicitamente. Perché devi essere sempre così fastidioso?»

Mi sarebbe venuta una crisi di nervi a forza di parlare con quel decerebrato. In più stavamo condannando l'umanità a ogni parola scambiata.

Pensai se fosse il caso di dirgli quello che mi aveva detto Viola, su Miles e l'Apocalisse, ma lui mi interruppe.

«Tornatene a casa e metti al sicuro quel procione. Mi fa specie pensare che tutto il mondo sia nelle tue mani.»

La sua frase mi fece un brutto effetto. Di solito mi limitavo a ignorare gli insulti gratuiti di Spike, ma quello fece particolarmente male. Forse perché io stessa mi sentivo profondamente inadeguata a svolgere questo compito. Strinsi gli occhi per impedirmi di piangere, ma li sentivo pizzicare. Non piangevo da un sacco di tempo, era una sensazione che odiavo. Non potevo sopportare di farmi vedere in quello stato proprio dal mio peggior nemico, quindi mi voltai di scatto e scappai fuori dal locale.

Appena mi trovai all'esterno presi un bel respiro. Aveva iniziato a piovigginare. Niente di troppo fastidioso, il solito meteo londinese. Capivo il motivo per il quale Spike mi aveva detto quelle cose. Anche in quel momento ero uscita dal locale e avevo abbandonato Yemon con Jesus. Non ero capace di salvare nessuno, non ero utile a niente...

«Ehi.»

La voce profonda e atona di Spike mi fece sobbalzare. Mi voltai subito e misi su la mia espressione combattiva, ma doveva essere evidente il mio stato di sconvolgimento.

«Non avrei dovuto dirti quelle cose, dentro.»

Ammorbidii il viso e rimasi a fissarlo, incredula. Si stava scusando?

«Non dovremmo vederci. La tua presenza mi fa fare cose stupide» concluse, facendomi un cenno con la mano e sparendo nuovamente nel locale.

Ehm... che diavolo era appena successo?

Quando tornai al tavolo ritrovai Jesus e Yemon intenti a giocare a carte. Jesus era ancora convito che Yemon fosse un peluche dotato di tecnologia avanzatissima e Yemon aveva disobbedito, come mi aspettavo. Niente doppia razione di pappa per lui.

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