Capitolo 31 - In cui pettiniamo alcuni nodi
VIOLA'S POV
Le ronde iniziavano a diventare ripetitive e fastidiose. All'esterno non c'era niente, giusto qualcuno di quegli uccellacci malefici mezzo morto. Non volevo neanche iniziare a ipotizzare cosa potesse essere in grado di uccidere quei cosi, perché il pensiero mi immobilizzava e atterriva.
Quel giorno eravamo di ronda solo io e Yemon. Dopo il nostro Christmapocalypse (avevamo deciso di chiamarlo così) iniziammo ad andare d'accordo. Lui rimaneva spesso sulle sue, come se non volesse affezionarsi troppo a me, ma almeno aveva smesso di ringhiarmi contro.
I nunchaku erano diventati una comoda estensione del mio corpo, non li ritenevo più così strani. Dopo ore di allenamento erano diventati anche abbastanza agevoli.
«A che pensi?» chiese Yemon, facendomi tornare in me stessa.
«Al fatto che sto diventando bravissima a destreggiarmi nel futuro» dissi, facendo volteggiare le mie armi. Yemon si limitò a scuotere la testa. Quel giorno brandiva uno spadone grosso quanto me, solo il semplice guardarlo mi inquietava. Forse perché era tutto arrugginito e sporco di sangue incrostato.
Ci fu un lungo momento di silenzio, spezzato solo dall'incessante rumore dei nostri passi sulla sabbia rossastra che aveva sovrastato ogni cosa.
«Pensi che tornerò mai a casa, Yemon?» domandai, facendo quasi bloccare il procione sul posto.
Non era da me fare domande catartiche, come quella. Quella mattina, però, mi ero svegliata triste, stanca, e con tantissima nostalgia di casa. Mi mancava mandare a Bianca le immagini del buongiorno, mi mancava salutare Jesus con un bacio appassionato, mi mancava chiacchierare con Rachel davanti a un calice di vino rosso, mi mancava mia madre, mi mancava camminare in centro con il sole negli occhi, mi mancava tutto.
«Spero di sì, ma spero anche di no.»
Decisi di non approfondire la risposta, tanto mi ero rassegnata al fatto che nessuno mi avrebbe parlato mai in modo schietto.
Tornammo al nostro rifugio dopo qualche ora, e fummo subito investiti da grida invasate e parolacce. In mensa trovammo Bianca e Spike intenti a urlarsi contro in modo così plateale che quasi non ci videro.
Yemon virò in uno stato immediatamente preoccupato, tanto che abbandonò lo spadone ai miei piedi e li raggiunse in un soffio. Io rimasi defilata, nascosta da una pesante porta di metallo. Volevo che parlassero, senza filtri. Finalmente avrei potuto scoprire qualcosa in più.
«Hai fatto un cazzo di casino, Bianca. Quando pensavi di dirmi che non avevi detto la verità al tuo Duplice?»
Avevo scoperto che nel futuro chiamavano così i loro doppioni passati. Fortunatamente avevano avuto il buon cuore di non dircelo durante la prima visita, io e Bianca eravamo già abbastanza confuse.
«Le ho detto la verità, Spike.»
«Le hai detto che la fine del mondo sarà causata da me. Che non doveva vendermi la teiera. Sai a cosa ha portato questo?»
Bianca era ammutolita. Non l'avevo mai vista così, in quel futuro. Sembrava colpevole, e triste.
«Yemon ora è tuo. Sei la sua padrona. E, per di più, lui ha conosciuto Miles. Oggi.»
Bianca crollò a terra, senza forze. Yemon, accanto a lei, era pietrificato. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Sapevo solo che doveva essere qualcosa di davvero davvero grave, perché Bianca infilò il viso fra le mani e la sentii singhiozzare.
«Volevo solo cercare di salvarvi entrambi, Spike... sia te che Viola. Non ha senso vivere la mia vita se non ci siete voi, con me... ho fatto tutto quello che potevo. Non è bastato comunque.»
La sua voce mi arrivava a tratti, però riuscivo comunque a distinguere bene tutte le sue parole. Rimasi ferma anche io, avevo paura di respirare troppo rumorosamente.
«È finita» mormorò Yemon, quasi catatonico. L'unico che sembrava avere il polso della situazione era Spike, ma anche lui aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Potevo leggerci la delusione, dentro.
«Possiamo ancora fare qualcosa, se collaboriamo. Intanto andrò a consultarmi con il Comitato, poi decideremo.»
Spike uscì dalla stanza con passi cadenzati, Bianca lo seguì con lo sguardo poi si rialzò dignitosamente da terra e si dileguò. Riuscii a vedere i suoi occhi verdi cerchiati da occhiaie prominenti.
Rimase solo Yemon in sala mensa, lo sguardo porcino perso nel vuoto. Mi affrettai accanto a lui. Il rumore dei miei nunchaku che sbatterono per terra lo riscosse.
«Che cosa è successo?» domandai, preoccupata.
«È finita, Viola.»
Era diventato alquanto ripetitivo, mi sforzai di non farglielo notare perché compresi che non era il momento giusto per prenderla a ridere. Gli poggiai una mano sulla spalla. I suoi ispidi peli quasi mi graffiarono la mano.
«Siamo ancora qua, no? Quindi non è finito niente. Raccontami cosa è successo.»
Yemon sembrò riprendere vita, e si voltò verso di me. Era più risoluto, se possibile. Gli rivolsi un sorriso incoraggiante.
«Forse è giunto il momento di fare un tuffo nel passato. È inutile continuare a nasconderti la verità.»
Non potevo essere più d'accordo. Il mio cervello era molto confuso, avevo davvero la necessità che qualcuno mi spiegasse come stavano effettivamente le cose.
«Allora raccontami tutto.»
«Ci sono i miei diari. Ho scritto tutto. Dal 1970 al 2030. Ti ci vorrà un po', ma sarà una lettura edificante. Te lo garantisco.»
Annuii. Li avrei letti tutti, avessi dovuto metterci tutta la notte. Poi avrei chiamato Bianca, avremmo fatto pace e, insieme, avremmo ideato un piano per fermare tutto quel casino.
Yemon mi condusse nella sua stanza. Non l'avevo mai vista, ma non fui stupita di trovare foto di Bianca più o meno ovunque. Rabbrividii pensando a come poteva mai utilizzarle, poi rivolsi lo sguardo a un'altra polaroid.
Eravamo io e lui. Abbracciati.
«Ma questi siamo io e te, Yemon. Quindi tu mi conoscevi?»
Il procione non rispose, ma vidi che inghiottì un boccone amaro.
«Leggi questi. Poi capirai tutto. Te lo giuro» disse, mentre mi allungava tre pacchi di diari. Ne sfogliai uno, era scritto fitto fitto. «Promettimi solo che non prenderai decisioni affrettate.»
Lo fissai, interrogativa. Poi annuii di nuovo. «Lo prometto.»
Rimasi in silenzio per un po', giocherellando con i diari, passandomeli di mano in mano.
«È veramente strano che un procione scriva un diario della sua vita, lo sai, vero?»
«Me lo hanno detto qualche volta. Me lo aveva consigliato la mia psicologa nel '70. Mi rilassava.»
«Si vede che poi hai smesso di farlo. Sei molto nervoso. Sempre con quella spada enorme...»
Yemon mi cacciò fuori dalla stanza e non obiettai. Non persi tempo neanche a farmi la doccia, sebbene le particelle di sabbia e sangue mi stessero facendo venire un incredibile prurito al cuoio capelluto.
Corsi nella mia stanza e iniziai a leggere. Di lì a poco avrei capito com'era veramente andata la storia nel passato.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro