Capitolo 15 - In cui finalmente conosco mio marito (ma avrei preferito evitarlo)
Spike chiuse il suo hamburger con due mandate e bighellonò verso di me, con le mani nelle tasche anteriori dei suoi pantaloni cargo neri.
Aveva i capelli argentati e gli occhi di un nero profondissimo.
Sembrava una persona che portava solo guai, effettivamente.
Quando mi raggiunse, tese la mano destra e attese che io gliela baciassi.
Lo fissai stralunata.
«Che stai facendo?» chiesi, osservando la sua mano come se fosse stato un pezzo di kryptonite.
«Mi sembrava potesse essere un saluto simpatico»
Bene. Quello era più pazzo di me.
Ne approfittai per guardarlo meglio: aveva le fattezze giovanili, il viso pulito senza un filo di barba, però dagli occhi riuscii a scorgere una punta di disagio. Quel dettaglio me lo fece apprezzare di più.
«Perché stai guidando un panino?» domandai, persa nei suoi occhi.
«Mi piacciono gli hamburger».
«Anche a me piacciono i fenicotteri, ma di certo non mi metterei a guidarne uno».
«Beh sarebbe complicato far arrivare un fenicottero a Londra... per non parlare delle difficoltà che avresti nel trovare un posto adeguato per il volante...» mormorò, perso nei suoi ragionamenti.
«Spike! Spike! Stavo scherzando».
Spike mise su una espressione che mi fece capire che lui, invece, era serissimo, così decisi di incamminarmi verso quello strazio di museo.
Lui mi seguì a ruota, sempre con le mani in tasca e l'espressione pensierosa. Gli lanciai qualche occhiata di sottecchi, perché non riuscivo proprio a capire come avrei fatto a sposarmi quel tipo.
Era l'immagine concreta del disagio. Sembrava un alieno appena atterrato sulla Terra. Mi affiancò facilmente, visto che era altissimo e due passi suoi equivalevano a dieci dei miei.
«Sei mai stata qui?» chiese, cercando di fare conversazione.
«No, e non ci tenevo».
Ero così acida perchè stavo facendo una cosa completamente senza senso, che mi stava facendo perdere di vista la missione primaria.
«Non ti piace Sherlock Holmes?»
«Mi piace. Solo che dovrei parlarti di una cosa seria e non posso farlo davanti al caminetto di casa di Sherlock»
«Perché no?»
Spike parlava candidamente. Tantissimo di lui mi ricordava Viola. Non seppi dire quanto questo potesse essere un indicatore del fatto che volessi sposare la mia migliore amica. Decisi di non pensarci.
«Perché le altre persone potrebbero sentirci e io devo parlarti della cazzo di apocalisse».
Spike assunse una espressione pensierosa, poi una preoccupata.
«Sei una di quelle tipe super preoccupate per la fine del mondo che comprano settanta pacchi di carta igienica e si costruiscono un rifugio antiatomico nel sotterraneo?»
Che frase lunghissima. Sgranai gli occhi e negai, visibilmente scioccata da quella sua intuizione.
Potevo davvero innamorarmi di quel cretino?
«No. Sto parlando seriamente. Miles non ti ha parlato di me?»
Spike sussultò al nome del fratello, poi negò senza approfondire oltre.
«Un mese fa ho messo in vendita una teiera. Da quel giorno la mia vita è diventata una serie di tragicomici eventi. E ho bisogno che tu mi dia retta».
Non sapevo dire perché fossi convinta del fatto che Spike potesse aiutarmi a risolvere i miei problemi, anziché complicarli ulteriormente, come era scritto. Eppure gli raccontai tutto.
Lui reagì in un modo assolutamente imprevisto: mi osservò a lungo, poi fece spallucce e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di mandorle tostate, che si appresentò a mangiare tranquillamente.
«Spike. Ti ho appena detto che sarai la causa della fine del mondo e tu stai mangiando delle mandorle?»
«Che altro dovrei fare?»
«Non so. Agitarti? Urlare? Incazzarti con me? Qualsiasi cosa»
«Perché mangiare le mie mandorle non è una reazione soddisfacente per te, mentre urlare lo sarebbe?»
«Mio Dio. Sei sfiancante»
Spike mi rivolse un sorrisetto orgoglioso, masticando rumorosamente. Aveva ottenuto quello voleva, cioè irritarmi.
«Senti... so che non ne sai niente, ma lo chiedo comunque. Hai mai visto o sentito la mia amica Viola?»
Insomma, lei aveva pur sempre scritto il suo nome sullo specchio prima di essere prelevata. Magari Bianca stava bluffando. Magari la aveva Spike, e...
«Mi dispiace... no».
Calò un silenzio carico di disagio e apprensione, che nessuno di noi due seppe spezzare adeguatamente. Spike mi condusse all'interno del museo, senza dirmi una parola. Ascoltavamo la guida, leggevamo le varie didascalie sotto gli ambienti rappresentativi del buon Sherlock, e per un'oretta riuscii effettivamente a non pensare a tutto il casino che mi circondava.
Era parecchio tempo che non mi sentivo così leggera, e dovetti ringraziare Spike. Mentalmente. In nessuna vita mi sarei mai sognata di essere carina con lui. Troppo pericoloso.
Quando uscimmo lui si fermò davanti a me e tossicchiò, in imbarazzo.
«Quindi ci sposeremo?» chiese lui, di punto in bianco, facendomi piombare in uno stato di confusione totale.
Il suo viso pulito sembrò colorarsi di un vivido rosa, che me lo fece vedere molto più bello e dolce.
«Così pare», risposi freddamente. Non sapevo come comportarmi.
«Quindi... ti va di venire a casa mia?»
Spalancai gli occhi, incredula. Mi conosceva da mezza giornata e già mi invitava da lui? Per chi mi aveva presa?
Va bene che ci saremmo sposati. Va bene che ormai era già scritto, ma non mi sarei di certo svenduta in quella maniera.
Misi su una espressione oltraggiata e lo abbandonai senza nemmeno salutarlo.
Non sapevo davvero cosa dire. Non riuscivo a crederci.
Maniaco. Pervertito.
Misi in moto la macchina e sfrecciai il più lontano possibile da Spike.
Non volli neanche fissarlo dallo specchietto retrovisore, mentre andavo via. Non volevo più vedere la sua stupida faccia.
Dio maledica tutti i Tempest.
Lui mi scrisse un messaggio ancora prima che riuscissi a tornare a casa.
'Forse hai frainteso. Ti volevo mostrare la mia collezione di teiere'
Cosa? Pensava fossi stupida?
La collezione di teiere, certo. Era la scusa più vecchia sul manuale dei rimorchiatori.
Bloccai il numero di Spike e tirai un sospiro di sollievo.
ERO SICURA CHE NON AVREI MAI SPOSATO UN CRETINO DEL GENERE.
Sicura.
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