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Capitolo 11 - In cui porto avanti la mia battaglia contro Facebook

Cercavo di trovare un senso a tutta quella faccenda, mentre Jesus faceva avanti e indietro per il corridoio della casa di Viola.

Non l'avevo mai visto così preoccupato, a dire il vero. In un certo qual senso, era molto carino e romantico.

«Stai tranquillo, Jesus. La ritroveremo», sussurrai, seduta sul divano.

Jesus mi disse qualcosa in spagnolo che, ovviamente, non capii. Decisi di lasciar perdere, e mi focalizzai sul cercare una soluzione.

L'unica cosa che mi veniva in mente era parlare con Miles. Insomma... sullo specchio del bagno di una persona scomparsa c'era scritto il nome di suo fratello.

Qualcosa doveva pur dire.

Squillava libero, ma non rispose nessuno.

Ero a un passo dal baratro della follia, e dovevo anche trovare le parole per comunicare alla madre di Viola che sua figlia era scomparsa.

E dovevo dirlo anche a Rachel.

Rachel mi avrebbe ucciso. Lei non sopportava quel genere di notizie, in più erano anni che si raccomandava con me di tenerla d'occhio.

L'avevo lasciata da sola per mezza giornata.

Decisi di aspettare che passassero le ventiquattr'ore canoniche, prima di iniziare ad allarmare gente potenzialmente pericolosa.

Jesus aveva iniziato a cucinare qualcosa, e io decisi di svignarmela prima che me la offrisse. Qualunque cosa fosse.

Non appena uscii da quella casa, arrivò un messaggio di Miles.

'Mi hai chiamato? Che succede?'

Decisi immediatamente che non era qualcosa che potessi spiegare tramite messaggio, quindi lo chiamai di nuovo.

Lui rispose dopo due squilli.

«Eccomi. Capisco di essere affascinante, ma non ti facevo così appiccicosa», commentò Miles, mandandomi su tutte le furie.

Se non si fosse trattato di Viola avrei riattaccato subito.

«Non chiamavo per te, idiota. La mia migliore amica è scomparsa. L'unica cosa che ha lasciato è una inquietante scritta sullo specchio del bagno. Indovina cosa dice?».

«Voglio fare un viaggio alle Hawaii?» azzardò Miles, cercando di sdrammatizzare.

«No. C'era scritto il nome del tuo stramaledetto fratello. Ora... sai spiegarmi il motivo, Miles?»

Miles deglutì talmente forte che lo sentii anche attraverso la cornetta.

«Beh?» sbottai, irritata. Odiavo la suspance, e ultimamente la mia vita era diventata una becera mescolanza di cliché.

«Ci parlo io. Ti richiamo».

E attaccò, senza dirmi altro. Ero seriamente tentata di calciare il telefono lontanissimo, ma riuscii a trattenermi.

Ok. Avrei aspettato.

Per ingannare l'attesa mi fermai a un bar che faceva angolo, poco lontano da casa di Viola.

Vendevano croissant e donut. Io amavo i donut. Erano quasi meglio delle aringhe con la Nutella.

Così mi accomodai al tavolino, e ordinai un cappuccino e due donut. Uno al cioccolato e uno al caramello.

Improvvisamente venni investita da uno sciame di ricordi, fitto e rumoroso. Io e Viola sedute allo stesso tavolino che ci scambiavamo gossip succosi sulle tresche universitarie. Mi si inumidirono gli occhi, ma cercai di ricacciare indietro la tristezza.

Odiavo piangere, mentre mangiavo. Rovinava tutto il sapore del cibo.

Decisi di chiamare mia madre. Quando Viola non era disponibile, mi piaceva parlare con lei.

Certo, magari avrei evitato di dirle della fine del mondo, del mio futuro marito e della sparizione di Viola...

«Pronto?»

«Ciao mamma», biascicai, sbocconcellando un pezzo di donut.

«Bianca! Quale onore...»

«Non cominciare», la ammonii subito. Sapevo dove voleva andare a parare. Si lamentava perché, da quando mi ero lasciata con Francis, la chiamavo molto di meno.

È solo che mi sentivo particolarmente in colpa. Lei aveva pagato il matrimonio, e anche il viaggio di nozze. La famiglia di Francis non era benestante, quindi si era fatta carico di tutto da sola. Senza chiedere niente a nessuno.

Dal momento in cui il matrimonio era finito per causa mia, mi faceva sentire in colpa parlare con lei.

«Dico soltanto che mi manca sentire la tua voce».

Quel tono, in quel momento così delicato per la mia psiche, mi fece venire di nuovo da piangere. Cosa che feci.

Una donna da sola che piange al telefono, mentre mangia due donut.

Potevo essere il soggetto perfetto di quei quadri surrealisti.

«Che succede, piccina?» chiese, amorevole. Il tono era preoccupato, e potevo percepirlo, ma lei cercava sempre di mascherarlo per darmi il tempo di sbloccarmi e riuscire a parlare con lei.

«Mi sento una schifezza. Me ne stanno capitando di tutti i colori, e mi sento come se stessi urlando in mezzo a una tempesta».

Credo che quella fosse la prima volta che dicevo chiaramente come mi sentivo a mia madre. Lei anche dovette fare la stessa riflessione, perché rimase zitta per qualche secondo.

«Pensi che venire un po' a casa con me possa aiutare?»

Forse sì. Non ci avevo pensato, effettivamente.

Magari allontanarmi da tutto quel casino, e dalla teiera, poteva giovarmi.

Forse la teiera aveva su di me lo stesso effetto che aveva l'anello su Frodo.

«Devo prima risolvere un problema con Viola. Poi vengo. Te lo giuro», dissi, ed ero seria.

Non potevo allontanarmi senza prima aver ritrovato Viola. Magari poi saremmo potute tornare nel nostro paesino d'origine insieme. Io e lei.

Mia madre annuì, e ci salutammo. Grazie al cielo non indagò su quale fosse il problema che riguardava Viola.

Aveva imparato a conoscerla anche lei, con gli anni, quindi non si poneva più molti quesiti quando qualcosa riguardava la mia migliore amica.

Decisi di alzarmi dal tavolino, e, improvvisamente, mi fu chiaro quello che dovevo fare.

Avrei trovato Spike Tempest, e mi sarei fatta ridare Viola.

Miles non era affidabile, era pur sempre il fratello del rapitore pazzo.

Non potevo basarmi solo, e unicamente sulla sua parola.

Li avrei stanati.


Tornai a casa mia, e accesi subito il PC.

Nonostante non ci fossero menzioni su Spike, pensai che forse non valeva la stessa cosa per Miles.

Lo cercai su Google, e infatti, decine di informazioni relative al fratello del mio peggior nemico mi si avvicendarono davanti gli occhi.

Miles Tempest era presente su svariati social network, e tutti quanti mi regalavano una nuova informazione su di lui.

Fortunatamente aveva anche Facebook.

Facebook è il social pattumiera, e funziona così: crei un account che sei un ragazzino, ci inserisci dentro qualsiasi informazione relativa alla tua persona, pensando che serva ad arricchire il tuo profilo, e poi, quando cresci, ti scordi completamente che lì, sul nonno di tutti i social, hai lasciato quella informazione privata e importantissima.

Nel mio caso, quella informazione era l'indirizzo di casa di Miles e Spike Tempest.

Bingo.

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