Capitolo 2 - 𝔼uropa
Anche se sono già passati trenta minuti, sono ancora paralizzata dal nuovo insegnante, oltre che inquieta davanti alla sua autorità La sua aura sprigiona una sentore talmente dominante da riuscire a piegare qualsiasi cosa al suo cospetto. Per non parlare di quanto il suo fascino. È molto alto, più o meno come Nikandros, ma il suo fisico è completamente diverso dal dio greco che si spaccia da mortale. Non che lui non abbia un bel fisico, ma sono due generi di silhouette che farebbero perdere la testa a qualsiasi fanciulla.
Oltre la sua altezza, la sua stazza è più sottile rispetto a Nikandros, ma comunque tonica. Sicuramente è scolpito fino all'ultimo muscolo presente in quel corpo perfetto, ma se dovessi fare dei paragoni, credo che la corporatura della mia guardia del corpo mi susciti più interesse.
Vediamo; le sue braccia sono molto definite e presentano una buona massa. Le sue gambe sono lunghe e abbastanza grosse da tirare la stoffa dei pantaloni, anche il suo membro sembra di ottime dimensioni. Ora che ci penso, non sono mai riuscita a guardare quello di Nikandros, ma rimango nella speranza che occupi lo stesso spazio che occupa il suo corpo rigido.
La mandibola è ben definita, ma non spigolosa. Dalla ricrescita della barba deduco che è il classico uomo che opta per una rasatura totale. I muscoli tesi del suo collo sono percepibili ad ogni movimento e le sue spalle sono belle piene. Sicuramente fa qualche tipo di sport. Forse nuoto, data la schiena davvero ampia ed la sua poca massa grassa.
Torno sui suoi occhi dopo aver perlustrato tutto quello che ha da offrire. Sono di una tonalità scura, ma definitivamente, mi convinco siano marroni scuri. Li continuo a guardare, intenta a coglierne ogni sfumatura, fin quando il mio subconscio rallentato, mi sonda un segnale. Il nuovo insegnante mi stava fissando, muto. In attesa.
Rimango in silenzio, anche se il ritorno alla realtà mi colpisce crudele. Inalo aria che blocco nei polmoni, come se non volessi far sentire nemmeno il mio respiro, intanto che il cuore batte a ritmo accelerato, scaldando anche le guance lentigginose.
Se trattengo il respiro ancora qualche secondo penso che passerò a miglior vita per asfissia, anche se non sarebbe così male. Almeno non potranno imporre di vivere chiusa in delle mura.
«Dunque?» scandisce grave, muovendo il pomo d'Adamo. Tiene fra le mani dei fogli bianchi, ma le dita sono così rilassate da farli rimanere stesi, senza creare alcun solco. «Cosa?» domando, imbarazzata.
«La traduzione della frase che le ho chiesto, signorina.» mi guarda serio. Il suo viso non accenna alcun movimento espressivo. I suoi occhi scuri, risucchiano ogni barlume della mia poca sicurezza. Mi sento così sciocca in questo momento, da sentire l'imbarazzo ardere sulle mie gote e sul mio petto.
Decisamente, preferisco di gran lunga l'insegnante anziano di prima. Lui, coi suoi occhialetti scuri per la cecità, esponeva le sue lezioni più ai libri antichi sugli scaffali che a me. Non mi sono mai curata di prestare attenzione ad una singola sua parola, ma adesso... Dannazione, se avrei voluto averlo fatto.
Un senso opprimente mi stringe il torace, abusando della mia mente. Si sgretola ogni mio senso di tranquillità interiore, allarmando tutti i miei sensi. Le mani mi tremano sotto il tavolo imponente della biblioteca. L'adrenalina in circolo mi suggerisce di darmela a gambe e trovare un angolino nascosto dove piangere.
«Signoria, ha le capacità comunicative?» infierisce. E basta, dio santo, farmi sentire una delusione munita di arti ed organi. Perché i miei genitori hanno deciso di impormi delle lezioni effettive sotto ogni aspetto? Non basta sigillarmi in una stanza e la lasciare la mia vita, semplicemente, scorresse?
«Io-» la mia voce è flebile, nonostante il mio tenore alto. «Non lo so.» Concludo, distogliendo gli occhi dal professore, di cui non ricordo nemmeno il suo nome. Li poso sopra il dorso di una copertina rossa, nello scaffale subito dietro all'insegnate.
«Bene» Con un gesto lento e sicuro, posa i fascicoli sopra lo stesso tavolo a cui siedo. Staziona davanti a me, tenendo lo sguardo rivolto verso la sua azione. Si arrotola le maniche della camicia nera, rivelando i suoi avambracci definiti. La sua pelle è più chiara rispetto a quelle di Nikandros e sulla sua pelle, i peli si notano a malapena dato la poca foltezza, ma riportano, comunque, la stessa colorazione dei capelli: marrone scuro.
«Posso sapere il programma impostato?» chiede tenendo i miei occhi sotto mirino.
«Io... Non lo so»
«C'è qualcosa che sa?»
Questa volta, la mia totale sicurezza vacilla, rendendomi così piccola da sentirmi una creatura inutile. Non parlo, rimango con gli occhi puntati nei suoi, cacciando a forza le lacrime che minacciano di alluvionare le mie guance. Ingoio l'ammasso di acquolina che si continua a formare nelle pareti intere e rilasso la fronte, nonostante i muscoli si arricciano senza la mia volontà.
«No» gravo il tono, quasi da parare io la dominare della conversazione. «Le ho già detto che non lo so.»
«Capisco, signorina» si schiarisce la gola, intanto che un brivido colpisce ogni mio bulbo pilifero. «Possiamo partire, stipulando una scaletta degli argomenti-» incrocia le braccia «oppure posso lasciarla credere che sia lei a governare il dialogo, fin quando non le domanderò altro inerente al tema della lezione. E forse, quando si renderà conto della sua vulnerabilità rispetto alla mia posizione, comprenderà chi, tra noi due, sta realmente dettando le regole del gioco.»
Decisamente la persona più crudele che abbia mai incontrato in questi patetici quattro anni di reclusione. Sì, è vero che mi sono prostrata un po' troppo presuntuosa, ma non sapevo come reagire.Non ho mai avuto l'opportunità di incontrare persone del genere. Mi sento messa in una angolo e, per la mia età, è veramente umiliante. Dovrei essere in grado di mantenere una conversazione, perfino quando sono in difetto, ma gli unici insegnamenti che mi stanno tramandando i miei è la loro smisurata felicità, il loro immenso amore reciproco e la loro assoluta libertà.
Il mio cervello non è nemmeno di aiuto. Continua a suonare la stessa canzone, ripetendo quanto io abbia torto e che sarebbe il caso di dovere delle scuse, anche se il mio orgoglio soffoca la gola, costipando di pizzicotti.
Scelgo il mutismo.
Trascorsi meno di una manciata di secondi, il perfido uomo di fronte a me, continua ad asserire. «Ha deciso di non controbattere più?»
Ecco, in questi casi il controllo sulla natura sarebbe utile. Potrei chiedere alla pianta, sempre presente nello stesso punto, di avvinghiarsi attorno al suo corpo per immobilizzarlo, anzi, potrei farlo con Nikandros, così da poter fuggire fuori dal castello.
«Bene» mi deconcentra dal mio piano di fuga. «La lezione è terminata, domani redigeremo una scaletta per gli argomenti da trattare.»
«Domani?» domando stupita. Di solito le lezioni di greco antico le svolgo due volte a settimana, precisamente il martedì ed il venerdì.
«Sì signorina, i suoi genitori non l'hanno avvertita?» il suo tono stranamente più quiete, mi inebria della sua stessa tranquillità, sciogliendo i muscoli tesi delle spalle.
«N-no» penso che i miei genitori siano il connubio perfetto tra persone estremamente assenti e altamente protettive. Quindi è invertibile che io sia all'oscuro di ogni decisione loro prendano per me, come è inevitabile che io sia la ragazza più sorvegliata di tutta Tiro.
Annuisco al nuovo insegnante, anche se lo sguardo mi scivola verso il basso. Paciocco le mie dita, avvinghiando le une con le altre, lasciando che il barlume di sconforto, mi avvolga come una nube grigia. Ma sono abituata a questo genere di emozioni, quindi non perdo tempo a crogiolarmi. Rivolgo un sorriso ampio al professore, prima di spingermi in indietro con la sedia facendo leva con i polpacci. Il rumore stridente delle gambe della sedia, sopra il lussuoso pavimento, rimbomba nelle mura silenziose di questa biblioteca antiquata. Le alte scaffalature, colme di libri rilegati in pelle, sembrano quasi cospirare insieme per mantenere il silenzio.
Le grandi finestre ad arco lasciano entrare una luce calda che si riflette sui pavimenti di marmo lucido, il cui brillio si mescola con l'atmosfera lustra e maestosa. Ogni passo che faccio sembra echeggiare, un suono che si perde tra le volute di tendaggi pesanti, dando l'impressione che il tempo stesso si sia fermato in questo spazio. Arrivo di fronte all'uscita di questa, seppur bella, angosciante stanza. Acciuffo la maniglia a staffa dorata e lascio che l'aria fresca del corridoio, circondi il mio corpo. Prima di uscire, il pensiero di non aver salutato il professore, mi trafigge violento.
«Arrivederci. professor... » ecco, lo sapevo, potevo fare la parte della ragazzina diseducata invece della ragazzina con difficoltà di concentrazione. Rimango impalata, con ancora la mano stretta al metallo, ora caldo. Le guance si riscaldano sotto l'imbarazzo che sta solleticando il mio controllo. Porto un dito tra i denti ed inizio a specchiarmi le pellicine, per il fastidio di essermi messa in questa stessa situazione.
«Professor Manos,» dice ad alta voce, con una calma che suona quasi beffarda. «Theo Manos» ripete, scandendo il proprio nome come se volesse imprimermelo nella mente.
Non dico niente, ma lo ripeto più volte nella mia testa, sperando di ricordarmelo e rimanendo nella convinzione di riuscire a fare. Con un veloce cenno, esco da quella stanza, lasciando sbattere la porta sullo stipite. Appoggio la schiena al muro appena affianco all'entrata, tenendo gli occhi chiusi. Lascio andare un sospiro asfissiante, lasciando i polmoni quasi completamente privi di aria.
Spero che questo nuovo professore... Manos, sì, non mi abbia presa per una smemorata e, soprattutto, che non lo riferisca ai miei genitori. Non che mi importi davvero, ma la mia vita è già abbastanza miserabile, e aggiungere il peso dei loro pregiudizi la renderebbe semplicemente insopportabile.
«Europa.»
Sobbalzo, lasciando andare un gridolino lieve, mentre i miei occhi si aprono di soprassalto e puntano nella direzione del suono. Il cuore accelera all'improvviso, insieme all'ansia che scende dopo qualche istante, appena mi rendo conto di chi ho davanti.
«Nikandros» dico portando la mano sul petto, come se potesse aiutare il mio cuore a decelerare. «Mi hai fatto prendere un infarto.» Lui non si muove di un passo. «Chiedo scusa, non era mia intenzione» conclude.
Mi stacco lentamente dal muro freddo, portando avanti prima i fianchi, poi il petto ed infine la testa. Inizio a camminare, sfilando a fianco alla guardia, che mi segue appena la supero. Intanto che percorriamo la stessa ed identica strada, penso come poter approcciare Nikandros e far in modo che possa parlarmi.
«Allora» mi volto con una semi giro, facendo svolazzare appena la gonna. «Come mai fai questo lavoro?»aggiungo, camminando all'indietro, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, che restano ostinatamente fissi davanti a sé. «Informazioni personali» risponde freddo, senza degnarmi nemmeno di uno sguardo.
Rimango interdetta da quella replica così distante, quasi gelida. Mentre il suo volto resta imperturbabile, la mia espressione si increspa in un broncio involontario, un misto di irritazione e delusione che non riesco a nascondere. Ma, superata la prima ondata di disappunto, un sottile fastidio si insinua dentro di me. Non accetto la sua freddezza, la sua indifferenza. Come osa non rispondere alle mie domande, ignorando deliberatamente la mia presenza? E, cosa ancor più incredibile, come può non degnarmi nemmeno di uno sguardo?
Sono la persona più bella che il creato abbia mai generato. Il mio aspetto è una perfezione che è superiore al divino, la mia voce è melodia, il mio portamento regale. È impensabile che Nikandros non sia attratto da me, che non subisca il fascino del mio fisico, della mia grazia o anche solo della mia personalità.
«Capisco» controbatto dandogli le spalle.
Continuo il breve tragitto, con una sottile rabbia che scorre nelle vene.
Forse non sono effettivamente così bella come mi è stato detto. Eppure, non posso fare a meno di ricordare con chiarezza ogni volto che, incantato, mi osservava mentre passeggiavo nel parco con mio padre e mia madre.
Un ricordo in particolare, affiora nitido nella mia mente. Non avevo più di quindici anni e stavo girovagando in questa pianura verdeggiante insieme ai miei genitori. Gli alberi, alti e possenti, si ergevano come colonne di un tempio naturale. Le panchine di legno, sparse lungo i percorsi, invitavano al riposo, al silenzio, mentre il rumore delle foglie che si muovevano al vento si mescolava al canto lontano degli uccelli.
Al centro del parco, un'area giochi in legno scuro, scolpito con cura artigianale, ospitava i bambini che si rincorrevano tra scivoli e altalene, le loro risate che si intrecciavano con il mormorio del vento. La scena era di una serenità perfetta, sospesa tra la vita e il sogno.
Tutto era come sempre, se non per orma, nascosta dietro un tronco in un imponente albero. Sentivo i suoi occhi scavarmi l'anima, per quanto restavano fissi su di me. Senza avvertire i miei genitori, il desiderio di scoprire quella figura misteriosa, mi spinse a deviare dal cammino consueto. Man mano che accorciavo la distanza, il mio cuore accelerava il suo battito, e una sensazione ambigua di inquietudine e fascino mi pervadeva. Quando finalmente la figura si definì con nettezza, un brivido mi percorse la schiena. Era un uomo.
Aveva gli occhi chiari, azzurri come l'acqua cristallina del fiume Erymanthos. Non era troppo alto, ma certamente più di me, e la sua corporatura era snella; né muscoloso, né pasciuto. Rimaneva nella penombra e appena ero abbastanza vicina da notare quanto le sue pupille nere avessero prosciugato l'azzurro dell'iride, mi fece un gesto. Mi ha salutata.
Sorrise, appena ho ricambiato il saluto. «Sei molto bella» disse lentamente. I suoi occhi scivolarono su tutto il mio corpo, provocandomi un brivido viscerale. Il mio stomaco si contorse dalla trepidazione, anche se, in fondo all'anima, mi sono sentita davvero bella, importante. Per la prima volta, qualcuno mi ha desiderata a tal punto da cercare la mia attezione.
«Grazie.»
«Vieni qui, ti voglio vedere da più vicino. Tu sei Europa, giusto? La fanciulla che prenderà il posto di Madre Natura? Sei davvero bella, hai una pella così brillante, per non parlare dei tuoi occhi e... del tuo corpo.»
Ricordo che la sua mano stava iniziando ad avvicinarsi sempre più alla mia pelle. Passava le dita fra le ciocche, accarezzandole lentamente. Ma il tocco lieve si fece più audace, quando le sue dita sfiorarono la mia spalla nuda. I suoi occhi seguivano il percorso della sua mano e, poi, con una lentezza quasi esasperante, il palmo si posò sul mio petto. Sentivo il cuore battere all'impazzata, intanto che la mia testa sembrava essere circondata da un moto rotatorio.
Il mio corpo era paralizzato, nessuno mi aveva mai sfiorata. Ma non posso negare a me stessa, quale sensazione stava suscitando quella mano. In mezzo alle cosce, una leggera scarica elettrica ha fatto vibrare ogni cellula lì presente. Percepivo il suo desiderio di volermi, di toccarmi. Ed io, ero appagata da quel suo ardore, da volerne ancora di più.
«Hai tutti i brividi sul corpo, angelo, per caso ti sta piacendo come ti sto toccando?»
«Mmh.»
«Lo sai che potrei farti provare molto di più? Vuoi sapere come, angioletto? Lasciami scendere qua sotto... »
Ricordo che la sua mano ha iniziato a scivolare sempre più in basso, delineando i fianchi, fino ad fermarsi all'inizio della coscia. Infine, si sposta verso il centro delle gambe, inibendo ogni pensiero, eccetto per quella strana voglia di essere sfiorata, laddove la mia pelle pulsa come fuoco appena acesso.
Prima che lui potesse spegnere l'incendio, il rumore dei passi sordi che si avvicinavano verso noi, fece concludere tutto quanto. L'uomo dagli occhi azzurri, mi ha concesso un ultimo sguardi intimidatorio, insieme ad un sorriso beffardo ed inquietante. Pacato, si allontanò da me, interrompendo la sensazione ancora accesa.
Con un gesto misurato, quasi rituale, sollevò la mano e iniziò a tracciare nell'aria un ovale immaginario. Le sue dita si muovevano con precisione, come se seguissero una geometria invisibile che solo lui riusciva a percepire. Lungo la linea tracciata, una scia di luce dorata iniziò a manifestarsi, tremolante come il riflesso del sole sull'acqua. Ogni movimento della sua mano sembrava alimentare quell'energia, che si espandeva e si intensificavano, trasformando l'ovale in una finestra luminescente. Il bordo del portale pulsava, iridescente, come se fosse fatto di pura energia viva, mentre al suo interno prendeva forma una visione instabile, simile a un velo di nebbia che si dissolveva lentamente.
Appena i miei genitori afferrarono disperati le mie braccia, tirandomi verso loro, l'uomo scomparve all'interno di quella porta dorata, lasciando che il passaggio soprannaturale, esplodesse su stesso, alzando un vento erculeo.
Non sto a ricordare neanche della sfuriata fuori luogo dei miei genitori.
«Bene» esordisce Nikandros facendomi sobbalzare. «Siamo arrivati.» Mi apre la porta della camera, rimanendo nella sua solita posizione ad eccezione del suo braccio teso verso la maniglia.
Entro senza dire alcuna parola, tenendo la testa china. Avrei sicuramente voluto scambiare due chiacchiere con la mia guardia, ma la sua indifferenza glaciale mi ha lasciato un vuoto che faticherei persino a definire. La rabbia che inizialmente si è accesa in me, si è dissolta, trasformandosi in una pesante insicurezza che ora grava sul mio animo.
Un senso di inadeguatezza mi assale, insinuando il dubbio che vi sia qualcosa di profondamente sbagliato in me. Eppure, il pensiero più straziante non è tanto quello di non essere abbastanza, ma il sospetto che la mia stessa essenza possa essere irrimediabilmente manchevole.
Dopo il secco schiocco della porta che si chiude alle mie spalle, il silenzio, il silenzio manesco, mi avvinghia a sé, aggravando la mia disperata tristezza. Avanzo di un passo, ritrovandomi di fronte al grande specchio che domina la stanza. La sua cornice dorata, finemente lavorata, sembra quasi sbeffeggiare l'immagine riflessa. Il mio sguardo scivola lungo il mio corpo, scandagliando ogni dettaglio con una freddezza quasi chirurgica. Dalle cosce, appena velate dalla stoffa leggera della gonna, risalgo fino al seno, ricercando i difetti
Con le dita esploro la mia pelle, pizzicandola, tirandola, valutandone la consistenza come se fossi un oggetto da esaminare. Sollevo lentamente la gonna, lasciando che la luce cruda della stanza si posi impietosa sullo spazio tra le mie gambe. Le guardo così intensamente da dissociarmi dalla realtà, come se spazio e tempo si fossero ridotti in quella stessa area. Porto entrambe le mani a cingere la parte che mi appare più spessa, stringendola con un misto di frustrazione e speranza. Ma il sollievo dura solo un istante. I miei pollici non si toccano. Rimango delusa, un nodo mi serra la gola. Ancora una volta, non sono abbastanza.
Sento le lacrime minacciare la mia resistenza. Alzo lo sguardo, per evitare che possano rigarmi le guance, intanto che mi dirigo verso il letto. Appena sono davanti, mi volto di spalle, e mi lascio completamente andare, sprofondando nella trapunta morbida. Osservo il mondo al contrario e lascio che la mia mente si distragga.
Gli occhi vagano a destra e a sinistra. È da un po' che non rivoluziono la mia camera, ma devo ammettere che, tra i tanti spostamenti di arredo che ho fatto, questo è il mio preferito. Ho posizionato il letto al centro della stanza, di fronte allo specchio monumentale che riflette la mia immagine capovolta. L'ampia finestra, velata da tendaggi impalpabili in organza bianca, lascia filtrare una luce tenue, soffusa, che accarezza il marmo chiaro del pavimento, screziato da delicate venature rosate.
Sposto appena la testa, il mio sguardo si posa sulla toeletta accanto alla finestra. Sopra di essa, flaconi di profumi, spazzole d'argento e un vassoio di porcellana colmo di gioielli mi ricordano un'epoca in cui la bellezza era un rituale sacro, e non un fardello da sopportare.
Affianco alla libreria, distesa su un'intera parete, si erge il cavalletto che tanto desideravo quando ero più piccola. I miei disegni, presto si tramutarono in tele malinconiche intonse, in attesa di esser colorante da qualcheduno. Invece, al lato opposto, il violino di legno biacno, lucidato alla perfezione, giace muto da tempo. Non ricordo nemmeno di averlo mai suonato, o anche solo provato, qualche melodia. I miei genitori me lo regalarono dopo i primi sei mesi di reclusione, nella speranza potessi sviluppare una passione per la musica e che questa mi distrasse abbastanza.
Un sospiro mi sfugge mentre chiudo gli occhi per un istante. Il silenzio della stanza mi avvolge, denso e inamovibile. Ma non è davvero il silenzio a farmi compagnia, ma la solitudine. Muta e persistente, si insinua tra le ombre e si stringe attorno, impercettibilmente. E forse, in fondo, è l'unica cosa che mi sia davvero rimasta.
≿━━━━༺❀༻━━━━≾
:*✧-⭒-˖⁺. ༶ ⋆˙⊹ ☾⭒ ♉︎ ⭒☽ ˖⁺. ༶ ⋆˙⊹-⭒-✧*:
✨ Bene BITCHIES siamo arrivati anche alla fine del capitolo due. Ci ho messo un po' per scriverlo, di nuovo, ma credo sia venuto bene... DITEMI VOI. ✨
Cari Tori, vi lascio la vostra (nostra) costellazione
A dominare il Toro è il pianeta dell'amore, dell'attrazione e della bellezza: Venere.
Il toro è stato per secoli simbolo di forza, tenacia e potere, il che incarna alla perfezione le caratteristiche del segno.
In natura non è aggressivo, ma lo diventa quando si sente minacciato e ha delle reazioni istintive molto forti. E' questa la ragione per cui agli occhi degli esseri umani simboleggia alcune caratteristiche positive come forza, potenza, tenacia, volontà e determinazione.
◝(⑅•ᴗ•⑅)◜..°✿
:*✧-⭒-˖⁺. ༶ ⋆˙⊹ ☾⭒ ♉︎ ⭒☽ ˖⁺. ༶ ⋆˙⊹-⭒-✧*:
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro