Capitolo 1 - 𝔼uropa
«Nasci, stupida pianta. Nasci!»
Scaravento il vaso a terra, osservando i mille frammenti spargersi sul pavimento a maiolica della mia stanza. Sono passati vent'anni, e il mio sciocco dono di comandare la natura non si è ancora manifestato. Ogni volta che cerco di far crescere qualcosa, ogni volta che tento di piegare la terra o le piante al mio volere, tutto ciò che ottengo è il nulla, o cocci frantumati.
Ci sono due possibilità a questo mio fallimento. O sono io, indegna e incapace di far fiorire il potere che dovrebbe scorrere nelle mie vene, oppure, più crudele ancora, la nostra cara dea Demetra ha semplicemente finto di donarmi il controllo sul creato, lasciandomi con l'amara illusione che io possa essere dominatrice di un potere che non esiste.
«Probabile» dico ad alta voce. Alla fine sono la fanciulla che tutti quanti ucciderebbero per esserlo. O, almeno, questo è quello che continua a ripetermi mamma, fin dal primo ricordo di cui ho memoria.
Tutti a Tiro mi conoscono, l'unico mio problema è che io non conosco nessuno. Tutta colpa dei miei genitori. Mi hanno rinchiusa in questa maledetta stanza da quando avevo sedici anni, non che adesso ne abbia molti di più, ma comunque abbastanza da «capire il pericolo.» Imito questa frase, come farebbe mia madre, con quel tono autoritario che manda la mia testa su di giri. Per non parlare di mio padre. «Tsk.» Mi ricorda tutti i santi giorni che questi tempi avranno fine e che se sono confinata in queste mura è perché là fuori, il mondo è balordo.
Ho dissipato quattro anni della mia vita in questa stanza, hanno persino interrotto i miei studi, sostituendoli con delle lezioni private, prive di interesse. Sbuffo, appena ricordo che la lezione di greco antico sta per avere inizio. Con dei piccoli saltelli, mi dirigo nel piccolo stanzino che mi hanno adibito come "angolo per il giardinaggio" così da poter coltivare la passione per la natura, anche se più i minuti passano più coltivo rancore nei loro confronti.
Mi punge il torace appena poggio i piedi nudi, sul pavimento fresco. Mi alzo in punta e continuo la poca strada che mi distanzia, evitando di calpestare i cocci o la terra sparsa. Stringo il pomello dorato tra le dita, ma prima di aprire la porta, rimango ancora una volta incantata dalla vista che sorge oltre il vetro di questa finestra.
Il sole illumina la valle dietro il castello, spaccata perfettamente a metà dal fiume Erymanthos. I raggi colpiscono l'acqua cristallina, che lascia brillare bagliori laddove il fascio luminoso collide. L'erba di un verde talmente chiaro, da ricordare i prati fiabeschi, è contornata di alberi, alcuni da frutto. Da bambina ero troppo ingenua per capire, quanto avrei desiderato coglierne uno ed assaporarne i sapori. Ma come potevo aspettarmi un simile futuro. Non è stata colpa di me creatura, se tutti i desideri che in questi anni hanno marciato lungo le piaghe del mio subconscio, non posso essere soddisfatti.
Spalanco la porta, sentendo i muscoli contrarsi per lo sforzo inaspettato. L'aria terrosa della stanza, mi colpisce dritto nelle narici. Per essere un semplice sgabuzzino, è veramente ampio, quasi fosse un laboratorio, ma rimango comunque grata per questo angolino. Guardo la luce entrare da un grande finestra ad arco, più bassa rispetto alle altre; disegna una striscia dorata sulle pareti rivestite da pannelli di legno chiaro, levigati e lucidi.
Sempre rimanendo sulle punte, varco la soglia, calpestando il pavimento rivestito di piastrelle in gres porcellanato dai toni neutri. Mentre cammino, sfioro con le dita gli scaffali perfettamente disposti lungo le pareti. I vasi di ceramica smaltata, ordinati per dimensione e colore, soddisfano il mio bisogno di simmetria e controllo. È un piccolo mondo in cui tutto sembra essere al suo posto, un equilibrio che, per quanto fragile, riesce a infondere un senso di pace.
Raggiungo la scopa, che erge nell'angolo degli attrezzi, alcuni mai utilizzati, come il rastrello. Perché siano lì, ancora non mi è chiaro, forse per illudere ancora meglio la mia speranza che un giorno possa uscire da qui e utilizzarli.
Torno in camera, ma proprio mentre sto per varcare la soglia, il manico della scopa si frappone improvvisamente, spingendomi all'indietro. «Dannazione», impreco sottovoce, cercando di mantenere l'equilibrio mentre afferro l'asta di legno incastrata. Con un gesto deciso, la scastro dal suo posto, il rumore stridente che accompagna il movimento mi irrita ancora di più. Sono mesi... Anni che vivo rinchiusa qui dentro, e ogni minimo imprevisto sembra avere il potere di rovinare la mia giornata. Forse, perché, in fondo, lo uso come una scusa. Una scusa per ricordare a me stessa che, oltre alla solitudine, esistono altri sentimenti. La rabbia, ad esempio.
Mi dirigo verso il disastro, iniziando a spazzare il pavimento minuziosamente, giusto per dare uno scopo a questa giorna. Muovo la scopa a piccoli scatti, seguendo le oscillazioni con il corpo. Spingo i fianchi a destra, poi a sinistra, fin quando nella mia mente compare il sentore di una melodia, mai sentita, almeno non di questi tempi. La canticchio, auto suscitandomi un barlume di spensieratezza. Volteggio su me stessa, portando il manico al petto e poi puntando per terra. Il tonfo legnoso rimbomba per un istante troppo breve, nel mentre spingo l'attrezzo più che posso verso il basso, ci giro attorno, tenendo il braccio disteso.
Scosto i capelli setosi con l'altra mano, immaginando di lasciarli ondeggiare nelle onde dei venti di cui non ricordo più la sensazione. Immagino di essere il centro dell'attenzione di volti sorridenti e compiaciuti, che osservano i miei passi studiati, sotto il ritmo di una melodia modulata. Battono le mani a tempo e urlano complimenti.
Ma il mio scenario è interrotto dal suono rimbombante di nocche sulla porta. «Europa.» Voglio bene Thalina, la mia inserviente, ma quando interrompe i miei momenti di euforia, mi fa salire la bile di getto, come se volesse rubare gli unici attimi di felicità.
Placo subito questo impeto. Alla fine Thalina non ha nessuna colpa, esegue solo gli ordini che le sono stati assegnati.
«Entra pure» prima che appaia dalla piccola fessura aperta, sistemo la mia postura e la mia espressione, cercando di raffigurarmi triste, mentre spazzo i cocci dal pavimento. Anche se in questo momento sto recitando un copione dettato dalla mia mente, la mia realtà non è poi così diversa da quello che sto figurando.
Thalina appare in tutta bellezza. Quel viso l'ho studiato talmente tante volte che conosco a memoria ogni dettaglio, perfino quelli più nascosti, anche se lei si lamenta spesso delle sue imperfezioni. Dice che se un giorno avrà abbastanza soldi, vorrebbe acquisire un rossetto, così da spostare l'attenzione degli uomini sulle sue labbra e non sul suo viso.
Io la trovo stupenda. Non ha alcun bisogno di abbellire la sua natura; cattura l'interesse di molti uomini, anche se non se ne accorge. Ma come si fa a dar torto a questi ultimi, il suo corpo minuto ed il suo viso rotondo, la rendono un'adolescente in piena fioritura, nel corpo di una donna. E poi, quegli occhi, un colore così ambrato da ricordare il caramello appena sciolto, e le piccole occhiaie, di un viola chiarissimo, circondano il suo sguardo allungato, rendendolo ancora più seducente.
Ho provato a convincerla che il rossetto non è molto utile, quando le tue labbra sono carnose e rosee di natura. Chiunque vorrebbe lambirle, ne sono sicura, eccetto per mio padre. Lui è follemente innamorato di mia madre. Ricordo quando invitammo l'alta borghesia qui a palazzo, per inaugurare l'inizio dei matrimoni di stagione. Centinaia di bellissime fanciulle fiancheggiavano il loro perfetto fondoschiena innanzi a mio padre, ma i suoi occhi rimanevano incollati al viso di mia madre, mentre sorseggiava un calice di vino bianco.
«Cara, tutto bene?» irrompe Thalina delicata, riportandomi alla realtà.
«Sì sto bene. Ehm... è successo qualcosa?» chiedo con un tono tremendamente basso.
«Euri, cara, la lezione di greco antico»
Dannazione, me ne sono già scordata. Anche se la mia vita è immersa nell'immensità del nulla più assoluto, dimentico spesso gli impegni che aggravano la mia solitudine, con un bel macigno di noia totale.
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo, sollevando le ciocche che giacevano sul mio viso. «Sì, ovvio. Mi preparo.» il mio tono snervato è consumato da un nodo alla gola, pronto a sciogliersi in lacrime infantili. Thalina annuisce, porgendomi solo un accenno di sorriso. Prima che svanisca dietro la porta, sbircio fuori dal corridoio, ma come ogni singolo giorno, la mia "guardia" è ancora ferma immobile con le gambe divaricate e le mani dietro la schiena. Sfiato ancora. Ho scoperto la presenza di quell'uomo, circa quattro anni fa, che sono gli stessi anni di quando mi hanno reclusa.
La prima settimana da ergastolana, non l'ho passata così male, ma probabilmente non avevo nemmeno capito cosa mi stava aspettando. Passati i primi sette giorni, la mia voglia di permanenza perenne in queste mura si è conclusa. Ed ecco come ho conosciuto l'omone dietro la porta di legno bianca; volevo uscire dalla stanza, così spalancando la porta, convinta di trovare il solito corridoio, mi ritrovo la scultura di un dio greco. Gli ho domandato così tante volte quale sia il suo dono, quale sia la sua posizione nell'Olimpo da prosciugare ogni briciolo della sua pazienza. Alla fine ha confessato di essere un semplice mortale, ma, complimenti alla mamma per il bel lavoro.
Nikandros, mi pare si chiami. È uomo veramente alto e di grosse stazze, le sue braccia potrebbero eguagliare le dimensioni della mia faccia, per non parlare delle sue cosce. Sono convinta che quei muscoli potrebbero spremere un cocomero senza alcuna fatica.
Non gli ho mai chiesto l'età, anche se questa domanda ha iniziato ad incuriosirmi da un anno a questa parte. Sì, ammetto che è proprio un bell'uomo, anche se le linee del suo viso sono totalmente diverse da quelle dei fanciulli che mi hanno forzato a conoscere. Sono, squadrate e vissute, la barba ispida incornicia perfettamente quel suo sguardo felino e scuro. Non sono riuscita ancora a comprendere bene il colore dei suoi occhi, forse marroni o forse neri. Potrebbero essere anche castani, solo che nell'ombra in cui staziona non si percepisce alcuna sfumatura. Ma comunque, rimane uno degli uomini più attraenti che io abbia mai visto fin'ora.
Intanto che la riflessione su Nikandros continua a scorrere lungo le viscere delle mio cerebro, mi vesto meccanicamente. Anche se la lezione si svolgerà a palazzo nella solita vuota e triste biblioteca. È primavera, quindi opto per una semplice gonna rosa tenue a costine, lunga abbastanza da coprire le ginocchia, già rivestite da calze a maglia scure, così che "il candido colore della tua pelle possa rimanere nascosto". Imito il mio pensiero, ricreando le espressioni di finto buonismo di mia madre.
Abbino l'ampia gonna a campana, con una maglia dalle maniche lunghe e scure, totalmente nera. È così patetico pensare che questo capo sia il migliore presente nel mio armadio. Aderisce perfettamente al mio busto, evidenziando la vita stretta ed il seno prosperoso, oltre a lasciar libera la pelle sopra le clavicole. Uno scollo decisamente da monaca, ma meglio dei colletti stringenti sul collo.
Mi posiziono allo specchio prima di uscire, con i piedi uniti, ancora senza scarpe. Lascio scorrere lo sguardo lungo il mio corpo, partendo dal basso. Una smorfia di disprezzo esce incontrollata dalla mia faccia. Non mi piaccio per niente vestita in questo modo. Sembro veramente... Grossa. Osservo le fanciulle che vengono a palazzo per svolgere gli insegnamenti per le buone maniere e mi sento così invidiosa, da disprezzarle con ogni mia cellula. Se perdessi un po' di peso, la gonna potrebbe cascare dritta lungo i fianchi, invece di incurvarsi... Ci penserò.
Afferro la maniglia dorata, posta su bordi di legno, che incorniciano lo specchio sui quattro lati, e la tiro senza alcuno sforzo. Questo scivola verso sinistra, lungo la parete vuota, scoprendo la scarpiera nascosta dietro di esso. Nonostante il quantitativo invidiabile di calzature, scelgo il solito paio di scarpe. Una ballerina nera in pelle, decorata con un semplice fiocchetto sottile in raso, posto sul bordo innanzi.
Ancora una volta, tiro l'anta, sbattendola contro il fine corsa, involontariamente. Lo schiocco riecheggia nella stanza, spezzando il solito silenzio che domina la stanza. Con le dita a rastrello, sistemo il ciuffo, dando un po' di volume. Le lascio scorrere lungo i filamenti marroni, districando quei pochi nodini che si creano nel mosso naturale.
Le nocche violentano la porta, ancora una volta «Europa, mia cara, oggi non hai proprio voglia di fare lezione, eh?» Thalina mi parla da dietro la soglia. Il suo tono è allegro e anche se non vedo il suo volto, so di per certo che sta sorridendo.
«Arrivo» allungo la o, intanto che mi precipito sulla porta. La apro con foga e mentre sorpasso la soglia, immagino sia il primo passo verso una libertà consentita. «Eccomi» rivolgo un sorriso sincero a Thalina e lei ricambia. Mentre percorro la stessa strada per la biblioteca, passo davanti a Nikandros, che guarda dritto verso l'uscio aperto, sempre nella stessa posizione. Non ci siamo mai parlati, anche se io vorrei. Insomma, mi piacerebbe conoscere altre persone che non siano la mia inserviente, i miei genitori o i miei insegnanti privati.
Cammino con la schiena dritta e spalle belle larghe. Potrei percorrere questa strada anche ad occhi chiusi e riconoscere ogni dettaglio anche senza vederlo. Dai quadri di famiglia, incorniciati con cornici dorate e ghirigori elaborati, che si susseguono lungo le pareti come una galleria di volti. Ogni volta ho l'inquietudine di essere osservata da quegli occhi immobili.
Conosco ogni consolle che si alterna lungo il corridoio, ognuna ornata da vasi di porcellana colmi di fiori freschi, il cui profumo dolce riempie l'aria. Il tappeto persiano, invece, si estende lungo tutto il percorso e attutisce ogni rumore. È un dispiacere nascondere il pavimento in marmo, così lucido da riflettere la luce calda dei lampadari di cristallo che pendono dal soffitto, nonostante il tessuto pregiato rende il tutto disgustosamente lussuoso.
«Come stai oggi, Euri?» mi domanda Thalina intanto che attraversiamo la galleria. Alzo le spalle, ma devo sforzarmi a cacciare indietro le lacrime pronte a sgorgare. Mi mostro indifferente e impassibile. «Sono sempre nella stessa cella» cerco di smorzare la mia angoscia interna con un riso forzato, anche se ogni volta che rispondo a questa domanda, il mio cuore si stringe in una morsa dolorosa.
«Dai, tesoro, questi tempi finiranno.» Mi consola.
«Sì, ovviamente, una volta morta non c'è più bisogno di rinchiudere la mia carcassa. Almeno lo spero.»
Un attimo di silenzio assoluto, mi costringe a voltare lo sguardo verso Thalina, che è rimasta con la bocca schiusa per le parole dette. Ma, poi, scoppia in un riso contagioso, sciogliendo il mio timore di aver esagerato con l'umorismo e mi unisco alle risate.
Colgo ogni suo movimento, le sue mani morbide, portano dietro l'orecchio una ciocca dei suoi capelli ramati, scoprendo la sua guancia paffuta rosata. Il suo sorriso è perfetto, come i suoi denti perfettamente dritti e bianchi. Mi sono chiesta più volte se anche io figuro come lei nella vita reale. Ho fatto svariate prove allo specchio, ispezionando se gli angoli del mio sorriso sono appuntiti come i suoi.
La camminata finisce appena le porte imponenti di legno, sempre bianche, ergono innanzi a noi. «Bene» incide Thalina fermandosi bruscamente «ti lascio alla tua lezione.»
«Sì» giro gli occhi al cielo, incrociando le braccia. Lei osserva ogni mio movimento, corrugando la fronte e le sopracciglia, nell'osservare la tristezza muta.
«Europea» richiama la mia attenzione adagiando l'indice sotto il mio mento, posando i suoi occhi sull'arco incurvato verso il basso, formato dalle mie labbra. Poi mi guarda dritto negli occhi. «Lo so... No, anzi, non so cosa si provi, ma posso prometterti che questi giorni avranno una fine.»
«Lo dici solo per non vedermi triste.» Il nodo alla gola minaccia di aprire le dighe dei miei occhi, ma serro i pugni, incidendo le unghie sulla mia carne per impedire che le lacrime sgorghino. «Non mi lasceranno uscire fin quando non sceglierò uno di quei fanciulli raffinati e anticonformisti come futuro sposo. Giusto perché, così, possa passare da questa reclusione ad un altra.» La tristezza che provo è stappata dalla rabbia, ormai familiare. Sale lungo le mie vene, bruciandole dall'interno, fino a scoppiare nella psiche insatbile.
«Ti prometto-» la voce di Thalina attraversa i miei timpani, sottile e lontane, soffocata dalle voci impetuose della mia collera silenziosa. Non riesco a comprendere il motivo per cui stanno opprimendo la mia vita, soprattutto a quest'età. Dio, se li detesto così tanto. Se loro subissero il mio stesso destino, non se ne starebbero tutte le cene a ridere spensierati. Hanno pure il coraggio di invitarmi nelle loro conversazioni "divertenti".
«Va bene, Europa?» la mano di Thalina posa sopra le mie spalle rigide.
«Sì, certo. Grazie.» Le rivolgo un lieve sorriso, fingendo di aver ascoltate le sue promesse che non si realizzeranno mai. Apro una delle due ante davanti a me, stringendo la maniglia lucidata a specchio. Alzo la gamba, ma non faccio in tempo a varcare la soglia che mi chiama, ancora.
«Tesoro» mi fermo tenendo il tallone puntato e la punta in alto, pronta a scendere «non sarò io a scortarti, finita la tua lezione, oggi.»
Il cuore manca di un battito e la pelle si inonda di brividi. Sta dicendo che posso tornare in camera mia, da sola? Assurdo pensarlo, per alcuni potrebbe essere anche una sciocchezza, una consuetudine, ma per me significa un appiglio verso la libertà. Prima che possa cedere a questa appagante sensazione lascio che Thalina finisca di parlare.
«Ci sarà Nikandros.»
Come non detto, la delusione pervade i miei sensi, ma affiancata da uno strano sentore. I miei genitori hanno deciso di affidarmi ad un uomo, pure bello, da mio canto. O semplicemente perché Nikandros è un uomo impenetrabile, ma rimango speranzosa che possa nascere un rapporto amichevole tra noi. Forse, con il tempo, mi parerà le spalle e mi permetterà di uscire.
Questa volta sono io a fermare Thalina, prima che si volti per camminare. Le afferro il polso; lei balza, inaspettata per l'azione improvvisa. «Perché non ci sarai?» le domando. Sono veramente entusiasta di parlare con un'altra persona, addirittura un uomo, che non sia lei, ma la mia preoccupazione nei suoi confronti è comunque reale.
«Ho trovato un nuovo lavoro, che mi permette di guadagnare più oro.» Spiega seria. «Non perché i tuoi genitori non mi liquidano abbastanza, ma con l'arrivo di un altro trovatello in famiglia, le spese stanno salendo sempre più.» È sempre così gentile e pacata quando parla. Egoisticamente parlando, sarei voluta essere io la trovatella e avere la fortuna di essere cresciuta da una mamma come lei. Gentile, dolce e comprensiva. Tutt'altro che come la mia.
«Capisco. E che lavoro è?» domando ingenuamente, aspettandomi le solite sue cordiali risposte. «È complicato.» Rimango un po' perplessa. Intreccia le dita delle mani, guarda verso il basso e mantiene le sopracciglia aggrottate verso il basso, come se non volesse rivelare la sua nuova posizione lavorativa.
«Okay, ma un giorno me lo spiegherai.» Per fortuna, non sono una persona impicciona, almeno non per il momento. Lei torna a guardare dritto nei miei occhi. Le sue pupille strette lasciano riflettere i bagliori dei lampadari cristallini, rendendo ancora più visibile il colore delle sue iridi.
«Signorina, vuole anche prendersi un tè?»
La voce profonda alle mie spalle, rizza i bulbi dei miei capelli e irrigidisce ogni mio muscolo. Tengo la schiena girata, come se alle mie spalle sia un demone a parlare e non un uomo.
«Buona lezione, cara» Thalina mi bacia velocemente sulla fonte, appigliandosi alla mia nuca. Lo schianto rende il mio equilibrio instabile, e la sua mano che scivola via lungo i capelli, mi fa oscillare all'indietro. Mentre le ginocchia cedono, lei fugge via nel corridoio, diventando una sagoma sempre più piccola.
«Ora possiamo iniziare?» la roca tesse brividi lungo le mie pareti uditive. Mi volto lentamente, scoprendo a chi appartiene una voce tanto bassa, quando seducente. Con lo sguardo segue le forme del suo corpo, fino a trovare un paio di occhi scuri, circondati da folte ciglie.
«Voi siete... ?»
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Hi bitchies!!!
Ho finalemnte iniziato il nuovo capitolo di questa stupenda saga.
In che senso non ti è piaciuto? Sai quanto ci ho messo per scriverlo? Troppo, amo, meglio che non sai.
Vorrei chiedervi, per vostra gentil cortesia, se avete trovato errori grammaticali o lessicali (si può dire così, giusto?) potete avvertirmi.
A tutti i Toro ♉: sappiamo tutti che siete bellissimi, perché governati da Venere... ma perché tirarsela così tanto?
È vero che è più facile per i Toro instaurare rapporti con hanno di Ariete, Gemelli, Bilancia e Sagittario? Anche se con Ariete, l'attrazione è più che peccaminosa... zozzerelloni!
Al prossimo capitolo!!
◝(⑅•ᴗ•⑅)◜..°✿
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