MIGLIORI AMICI II
«Ahia! Oh – oh, Manuel... Oh, i capelli, si sono – okay, aspetta. Oh, ti ho detto ahia! Ma te stai fermo?».
Manuel scoppia a ridere fragorosamente, il viso nascosto nell'incavo del collo di Simone.
Ha le lacrime agli occhi ed è tanto che non gli succede per le troppe risate, per la troppa contentezza.
Forse nemmeno dovrebbe scaturire in un gesto simile considerando che sono sdraiati su un letto ad una piazza e mezza, uno sopra l'altro, con le bocche che tentano di collidere, le braccia e le gambe di intrecciarsi, ma con scarsi risultati perché son finiti a tirarsi gomitate o colpi con le ginocchia e, di sicuro, ci rimedieranno dei lividi.
Sì, devono trovare l'esatta coordinazione, ci stanno lavorando.
Simone sbuffa e spinge il compagno con un palmo aperto sul suo petto. Ribalta le posizioni poiché non riesce più ad avere l'altro addosso e fa in modo che possa sistemarsi a cavalcioni sulle sue gambe distese, all'altezza delle cosce. Rimane per un attimo col busto sollevato, seduto, con i capelli scompigliati e il capo appena inclinato di lato, a fissare Manuel con sguardo sottile.
«Sei – assolutamente impacciato» commenta, ma non vi è acidità nella sua voce, anzi, utilizza un tono alquanto divertito «ma sei sempre stato così?».
Manuel si porta entrambe le mani a nascondere il viso e le troppe risate. Per rispondere, scopre soltanto un occhio: «Non che ricordi, vedi che er problema sei tu» lo prende in giro.
Simone corruccia le labbra in una smorfia e poi gli fa la linguaccia. Si china nella sua direzione, scosta l'ostacolo che gli impedisce di vedere il suo volto e blocca i suoi polsi ai due lati della sua testa; dopo si fionda sulle sue labbra, lo bacia avidamente e con attenzione, tenendo le palpebre strette e inspirando forte dal naso come se in quel modo potesse assimilare il suo odore e inebriarsi con esso.
«Pensavo...» biascica, spostandosi lentamente sul suo collo – e Manuel rimane immobile, lo lascia fare, si lascia maneggiare alla perfezione – «Pensavo che – a me piace questo... Limonare. Un sacco, mi piace un sacco, però mi sono un po' stufato di – di solo le mani».
Manuel spalanca gli occhi a quelle semplici frasi: non c'è nulla di esplicito, però è tutto comprensibile.
C'è soltanto una cosa che va oltre il loro limonare – per quanto squallido trovi quel termine – ed è la stessa che lo spaventa a morte.
«N-non...» balbetta «non dovevamo – andarci piano?».
«Ci andiamo piano da mesi» bofonchia Simone, prendendo a succhiare piano una porzione di pelle proprio sotto la linea del mento.
«Sono – stufo di aspettare, che dobbiamo aspettare?».
Manuel si deve sforzare di distaccare l'altro ragazzo – perché quella sensazione sublime, quel formicolio che sente ovunque e quel calore che si propaga in ogni sua cellula è difficile da mandar via; oscilla appena col bacino in modo che Simone gli lasci i polsi e, non appena è libero, lo prende per le spalle e lo scosta così da potersi guardare in faccia.
«Non – non lo so» mormora «è solo che––».
Simone aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Che cosa?» domanda.
Manuel esita, mordendosi piano il labbro inferiore e cerca di evitare il suo sguardo, mentre spera che il rossore che gli sta facendo ardere le gote sia poco visibile – ma l'intera stanza è illuminata soltanto da una abat-jour sul comodino lì accanto, quindi non dovrebbe essere difficile (almeno crede).
«So' in ansia, okay?» tenta di spiegare «Cioè, mica l'ho mai fatto. Metti che sbaglio qualcosa? O faccio qualche cazzata? Non è 'na cosa da niente, non so manco dove mette' le mani».
Simone trattiene una risata – gli pare di cattivo gusto ridere per un'insicurezza che, in fondo, trova tenera. Scuote leggermente la testa, si tira indietro e, in maniera goffa, abbandona il letto rischiando di inciampare nelle scarpe che hanno entrambi abbandonato sul pavimento.
Manuel solleva il busto e si mantiene in equilibrio sui gomiti piegati all'indietro. Da una simile posizione riesce soltanto a scorgere la figura del compagno chino sullo zaino abbandonato nell'angolo della camera.
«Che fai?» chiede, però il suo quesito non trova una risposta verbale. Piuttosto, Simone produce qualche rumore sordo trafficando tra le mille cianfrusaglie che si è portato dietro quel giorno.
Ci vuole qualche secondo prima che torni al punto di partenza, prenda posto seduto a gambe incrociate sul materasso e porga all'altro ciò che ha recuperato.
Manuel manda giù a fatica della saliva, fissando la confezione di preservativi e un tubetto di lubrificante alla vaniglia che spiccano sulle lenzuola beige.
Stavolta non crede che il suo diventar rosso possa essere celato e nemmeno riesce ad avere una reazione consona, rimane semplicemente in silenzio.
Simone, invece, è del tutto rilassato, sciolto e un sorriso sghembo si delinea sulle sue labbra.
«Volevano rifilarmi quello alla fragola» racconta «peró l'odore mi faceva un po' schifo, questo è meglio».
«Non hai – sentito niente di quello che t'ho detto, vero?».
«Sì, sì, ti ho sentito».
Lentamente, Manuel si tira su e assume pressappoco la stessa posizione di chi gli è di fronte.
Ride ancora, ma in maniera quasi isterica. «E... Tutto qui?».
Si aspetta una replica consistente, una sorta di rassicurazione che scacci – almeno in parte – le proprie insicurezze e lo sproni. Tuttavia, ottiene l'esatto contrario nel momento in cui Simone alza le spalle e ribatte: «Sì, che è la prima volta che lo fai con un ragazzo, che te la fai sotto perché pensi che sbaglierai qualcosa e blah, blah, blah. E quindi?».
«E quindi... Un po' de sensibilità?».
Simone corruccia la propria espressione in una smorfia. «Perché?» esclama «Tanto mica devi fare chissà cosa».
«'N che senso?».
«Beh, nemmeno devi infilarti questo» spiega ed indica la scatola dei profilattici «praticamente devi stenderti e al resto ci penso io».
Manuel spalanca la bocca e sgrana di nuovo gli occhi – come ci è finito nell'ennesima situazione paradossale deve ancora capirlo. «Stai dicendo...» bofonchia «Stai dicendo che devo stare sotto?».
«Tu hai detto che non sai dove mettere le mani».
«Questo non significa niente».
È ben consapevole del potere influente che Simone possiede, soprattutto su di lui, lo conosce fin troppo bene.
Tuttavia, su quell'aspetto non vuole dargliela vinta: non può e non vuole. È un concetto delicato per far decidere lui e, per una volta, si fa forza per imporsi.
«Poi pensavo fosse palese» attesta e afferra a malo modo la confezione dei preservativi, estraendone uno e rigirandolo tra medio ed indice.
«Che fosse palese cosa?».
«Che ci stai tu sotto».
Simone assume la medesima espressione esterrefatta – e indignata – che Manuel ha avuto stampata in faccia soltanto qualche secondo prima.
«Palese?» esclama, con voce stridula «Per quale motivo?».
«Lo sai» Manuel alza le spalle e il suo sguardo ricade dritto sul cavallo dei pantaloni del compagno – gli viene un po' da ridere anche perché non ha idea da dove stia trovando tutta quella sfacciataggine: non pensava avrebbe mai retto una conversazione del genere con lui.
Non pensava nemmeno avrebbe mai avuto una conversazione del genere con lui, per inciso.
Non ha il tempo di assaporare al meglio quel momento di relativa rivalsa poiché Simone gli strappa letteralmente via dalla mano l'involucro dal colore blu metallizzato.
«Sei uno stronzo» grida.
Manuel vorrebbe ridere, eppure si sforza di restare pressoché serio. Con uno slancio si riprende ciò che teneva fra le dita, di prepotenza. «Tu lo sei» ribatte.
Poi però Simone compie lo stesso gesto e di nuovo Manuel e finiscono col rubarsi quel quadrato dai bordi irregolari per un numero infinito di volte come due bambini con un giocattolo che desiderano entrambi.
È Manuel – ad un tratto – ad avere la meglio, bloccando uno dei polsi di Simone in una morsa, tirandolo a sé prima e in seguito spingerlo finché non sono sdraiati sul letto, aggrovigliati in maniera confusa e ancora in lotta per possedere il preservativo, lo stesso che tra i loro colpi e tentativi di schiaffi ricade a terra e viene perso.
Manuel ora sovrasta Simone, lo pressa e lo tiene bloccato contro il materasso senza dargli la possibilità di muoversi – ancora, non sa come ci stia riuscendo, sta succedendo e basta, il suo imporsi e specialmente su di lui, stenta a rendersene conto.
Gli deposita un bacio fugace sul labbro inferiore, col fiatone a causa di quella colluttazione goffa e insensata e scioglie la smorfia di disappunto dipinta sul suo viso.
«Io sto sopra e basta» afferma.
Simone sbuffa, alzando gli occhi al cielo. Forse si sta fingendo offeso, forse no considerando che la pianta del suo piede destro si sta strusciando sul retro di una coscia dell'altro ragazzo attirandolo sempre più verso di sé.
«Ti concedo tre tentativi» dice «se non ci riesci, mi fai tu quella cosa con la bocca e la finiamo lì».
«Questo se chiama ricatto».
«Si chiama prendere precauzioni e – piuttosto – raccogli quel coso da terra che ci serve».
Manuel obbedisce: si costringe in quel frangente sebbene ciò gli costi liberare Simone dalla stretta presa in cui lo ha costretto, ma si rende conto che ne vale la pena quando poco dopo cominciano a spogliarsi a vicenda senza quella foga e quei modi impacciati che li caratterizzano.
No, lo fanno entrambi con lentezza, con assente fretta, con le guance che si tingono di un pallido rosso e Manuel che tenta in modo disperato di trattenere il fiato per non andare in iperventilazione.
Simone se ne accorge e sorride, come se ciò gli ispirasse tenerezza e, perciò, poggia il palmo sopra la sua pancia e passa la punta delle dita sui radi peli scuri che tracciano una linea da sotto l'ombelico fino al pube. Gli dona un ulteriore fugace bacio sulla guancia e dopo si tira indietro, si mantiene sui gomiti e divarica appena le gambe.
Tentennante, Manuel – in ginocchio sulle lenzuola che, a contatto con la pelle nuda, risultano fredde – afferra il tubetto di lubrificante, lo fissa quasi fosse al cospetto di uno strano strumento di tortura e percepisce l'ansia montargli nel petto; sa che non dovrebbe sentirsi così, che ciò che sta per accadere è una cosa bella e non andrebbe rovinata con l'eccessiva agitazione.
Il punto è che non è in grado di liberarsi dall'ansia e quel briciolo di sicurezza che lo ha condotto a imporre per la prima volta una propria decisione si è già completamente dissolto.
Per un attimo, si perde in un mondo a parte, in una realtà parallela distinta da un marcato confine, lo stesso che Simone spezza frattanto che, con voce bassa, chiede: «Mi devo girare?».
Allora Manuel scuote appena la testa per riprendere il controllo dei propri pensieri. «Uhm, non lo so» balbetta «ti vuoi girare?».
«Boh, magari sei più comodo».
«Devi sta' comodo tu».
«Okay, mi giro».
Non ha davvero il tempo di rendersi conto di come la situazione si stia evolvendo: Simone si è già voltato.
Adesso è a carponi, del tutto esposto e Manuel si ritrova a fissare le sue natiche nivee, deglutendo rumorosamente. Non che sia una visione nuova – privo di boxer lo ha già ammirato – ma è probabile che la reazione e il cuore che batte all'impazzata sia dovuta alla nuova posizione, una in cui non l'ha mai osservato e che lo eccita.
Terribilmente.
In maniera inconscia, un suo palmo si posa sopra una di esse, accarezza la sua pelle e lo sente rabbrividire sotto quella lieve carezza.
«Manu?» lo richiama Simone ad un tratto.
«Che?».
«Ti muovi?».
Manuel annuisce per pura inerzia. È rimasto fin troppo tempo immobile, non avendo idea di cosa fare, da dove iniziare. Pensa sia opportuno aprire quel dannato tubetto, però si ferma prima di versarne solamente una goccia.
«Quanto ne devo mettere?» domanda, titubante.
Simone gira il capo quel che basta per scorgere la figura del compagno dietro di sé; sospira sommessamente. «Che ne so» borbotta «un po'».
«Se ne metto troppo?».
«Non muore nessuno».
«E se invece ne metto troppo poco?».
«Tu abbonda e vai sul sicuro».
Manuel muove nuovamente la testa in cenno di assenso, bofonchia un «Okay» che serve più come incoraggiamento a sé stesso e stappa il lubrificante.
Ne fa colare una dose esuberante sul palmo della mano quasi fosse una crema e, nel farlo, finisce per farne ricadere un briciolo anche sul sedere esposto di Simone. Si affretta a rimuovere il liquido corposo con la mano libera, ma fa più danno di quanto volesse riparare e spalma il tutto sulla pelle a raggiungere persino la coscia.
Simone, come ovvio, sente ogni cosa, arriccia il naso e torce ancor di più il capo per poterlo vedere meglio. «Manuel?» lo richiama «Non – credo vada messo lì».
«Lo so, lo so» si difende Manuel, cercando di rimanere calmo «Mi è caduto, ora faccio».
Ora fa.
Prima di quel momento, hanno guardato un video porno insieme - sì, okay, avrebbero potuto evitare, potevano informarsi altrove, ma è successo comunque.
Non che siano stati attenti a ciò che succedeva – perché ricorda di essersi ritrovato le dita di Simone a masturbarlo a nemmeno un minuto dall'inizio – però qualcosa ha appreso.
Pensa.
Spera, più che altro.
A trovare quell'anello di muscoli sensibili, tuttavia, ci impiega qualche secondo in più del normale, ignorando il secco «Stai per sprecare il primo tentativo» del compagno che, nel frattempo, è tornato ad infossare la testa nelle spalle, appoggiando la fronte sul cuscino.
Manuel cerca di non demoralizzarsi, di non tremare troppo. Ha bisogno del suo tempo, ma ha successo e il proprio dito medio si intrufola timidamente e cautamente dentro all'apertura anale di Simone.
Non impiega troppa forza o uno strattone energetico, piuttosto procede con lentezza disarmante, tanto che viene accolto senza incappare in alcuna resistenza.
Simone inspira dal naso e rilascia piano aria dalla bocca. I movimenti di Manuel sono lievi, studiati e calcolati come se non avesse mai fatto qualcosa di diverso, come se fosse un esperto.
È lo stesso Manuel a sorprendersi della fluidità che assume, del modo in cui aggiunge un secondo dito e continua a compiere affondi più o meno intensi.
Scopre che risulta addirittura più eccitante percepire l'altro ragazzo fremere per quello che sta facendo: è quasi avesse più controllo, equivale all'essere – per una volta – più incisivo, essere colui che prevale, colui che tiene le redini, che sa prendere una decisione, al passare da essere un burattino a reggerne le corde attraverso le quali esso viene comandato.
È strano ed è bellissimo perché può scegliere se accelerare o rallentare, se concedergli un orgasmo iniziando pure a toccarlo oppure ritrarsi e negarglielo. Può fare tutto ed è una cosa che lo inebria – per quanto sia egoistica – ed è un atto che forse non compirà mai poiché il piacere di Simone viaggia di pari passo col proprio.
È soltanto la consapevolezza di esserne in grado a mandarlo in estasi.
Continua ad estrarre e infilare la punta delle dita, cercando angoli sempre diversi per colpire la prostata – non pensa di riuscirci in quell'occasione, ma ci prova. Nel frattempo, si china in avanti, quel che è sufficiente a depositare un lieve bacio fra le scapole del compagno e poi sulla sua spalla destra.
Non ha idea del motivo per cui lo stia facendo, per cui si stia lasciando andare a gesti relativamente romantici e premurosi – immagina gli venga spontaneo, l'essere gentile.
Simone geme sommessamente in risposta, stritola fra le falangi il lenzuolo.
«Manuel...» biascica «Dovresti... dovresti metterlo».
Manuel ha il naso affondato fra i suoi capelli, sulla nuca, quando sospira: «Cosa?».
«Oh, non farmi dire pure questo».
No, non c'è bisogno di dirlo. Rimuove di malavoglia indice e medio, si scosta e recupera dalla confezione un nuovo profilattico – quello caduto sul pavimento non ha intenzione di cercarlo. Lo scarta, lo srotola e lo infila sul proprio membro già turgido – non ha ben chiaro quando sia successo, il momento esatto in cui ha raggiunto un tale livello di eccitazione, ma non ha molta importanza.
Ha distolto lo sguardo per compiere simili azioni e, riportandolo su Simone, lo vede girato a pancia insù, le gambe flesse e divaricate e le braccia pigramente appoggiate sulla pancia.
Dio, pensa che potrebbe restare semplicemente a guardarlo perché quella è una visione celestiale per i suoi occhi.
Come ovvio, il suo istante di magia viene spezzato dallo stesso Simone che gli ordina «Prendi un cuscino» e Manuel obbedisce, facendo strisciare quell'oggetto morbido sopra al materasso. L'altro ragazzo lo afferra malamente, solleva il bacino e lo piazza sotto al proprio sedere.
Manuel lo fissa, perplesso. «Nel porno lo fanno» è la spiegazione tempestiva che giunge «Beh, non in tutti, però è utile. Ti muovi?».
Non se lo fa ripetere ancora una volta – anche perché l'erezione ha cominciato a fargli male pur di esser soddisfatta.
Si protende in avanti – non senza qualche difficoltà. Simone apre appena di più le gambe per fargli spazio e lo tira verso di sé, stringendo il suo viso tra le mani e catturando le sue labbra in un bacio più avido rispetto ai precedenti.
Manuel lo penetra piano, con timore, dapprima solo con la punta, poi osa spingersi più a fondo. Rimane fermo a poco più di metà, premendo i palmi ai lati della testa dell'altro e cercando di non pesare troppo coi fianchi; pensa sia un modo per concedergli di abituarsi a tale nuova intrusione.
«Com'è?» domanda, notando i suoi occhi strizzati e la bocca schiusa.
Simone rilascia un gemito che non si capisce se di dolore e fastidio o di piacere; annuisce e basta.
«Va bene», sospira, sollevando piano le palpebre e poggiando i palmi sulle sue guance «va bene».
Manuel lo imita, scuotendo il capo. Fa leva sulle braccia e tenta una prima spinta col bacino. Lo fa piano, lievemente, una volta, due e dopo si ferma.
Simone si lascia scappare una risata. «Puoi – fare un po' più forte» dice, a bassa voce.
«Ti faccio male».
«Non mi fai male».
Manuel si morde il labbro inferiore e assesta uno scatto più deciso, più profondo che strappa un urlo all'altro ragazzo.
Non fa in tempo a preoccuparsi, a chiedergli se va tutto bene che Simone incalza con «Fallo di nuovo».
E così agisce.
Lo fa di nuovo, spinge col bacino e quel piacere nel basso ventre inizia a sentirlo, tutto il corpo gli formicola. Esso sale e le sue spinte aumentano, di ritmo e di intensità.
Simone si aggrappa alle sua spalle, solleva il capo per far collidere le loro bocche e soffoca l'ennesimo gemito imbarazzante che lo travolge.
Stanno sudando entrambi, hanno caldo entrambi, perché le loro pelli sfregano, si arrossano, le loro membra tremano e sono sensazioni totalizzanti, qualcosa che li annienta e li rimette insieme al contempo.
Manuel viene per primo, costretto nell'involucro di lattice che pare stringerlo più del dovuto. Si distacca e crolla al fianco di Simone controvoglia. Quest'ultimo è subito pronto ad allungare una mano e toccarsi lievemente per raggiungere pure lui l'orgasmo al quale è vicinissimo.
Manuel intercetta il suo braccio, gli impedisce di adempiere al suo scopo e va a stringere la sua erezione pulsante fra le dita, lo masturba con delicatezza e gli concede di venire in quel modo lento e soave.
Vorrebbe porgergli un quesito che è squallido e ridicolo, chiedergli se gli è piaciuto, se è stato abbastanza bravo perché le sue incertezze sono tornate di prepotenza e il controllo l'ha perso nel momento esatto in cui non gli è stato più dentro.
Tuttavia, resta in silenzio, gli occhi fissi sul soffitto e le orecchie piene del respiro affannato di Simone.
***
«Dai, andrà in gloria. Altrimenti in susanna».
Manuel non ha idea da dove quella battuta – si fa per dire – gli sia uscita.
Nell'ultimo periodo, ha sviluppato un repertorio piuttosto vasto di battute di quel calibro e le sfoggia in qualsiasi occasione, specie se è nervoso. È un modo per celare ogni ansia, del resto, e...
Beh, è anche un diversivo per far ridere Simone.
Già, Simone, colui che ha sempre ritenuto sicuro di sé, fiero, con nessun dubbio a fermarlo.
Lo stesso Simone che ha passato le ultime due ore a mangiarsi le unghie e fare su e giù per i corridoi della scuola, in attesa dell'interrogazione dell'esame di maturità, che si scioglie soltanto al cospetto di quella battuta che tecnicamente non è divertente, è soltanto ridicola in senso negativo, però ride comunque e gli tira un piccolo colpetto sulla spalla con la propria – sono seduti l'uno accanto all'altro su uno dei davanzali di marmo davanti alle ampie finestre dell'edificio, possono farlo.
Ha sempre pensato all'esame come un gioco, che tanto è sempre preparato, ha una media di voti altissima e gli hanno detto tutti di non preoccuparsi troppo, che, in pratica, è promosso solo con le prove scritte. Tuttavia, l'agitazione lo sta divorando comunque.
«Sono serio» ribadisce Manuel; gli rivolge una rapida occhiata «Andrai bene, andremo bene. Poi ce basta uscì da 'sto posto infernale».
Simone sospira. «Ho paura che mi scordo tutto all'improvviso e faccio scena muta, come un pesce» confessa.
«In quel caso, te suggerisco qualcosa io. Me metto dietro all'esterno e te faccio i segni».
Quel tentativo di rassicurazione non funziona molto come Manuel ha sperato, sembra piuttosto infondere una preoccupazione in più nell'altro ragazzo, che prende a torturarsi le dita.
Poco dopo scuote il capo. «Dici che ci mettono ancora molto?» domanda, distratto.
«Non lo so, a Laura l'hanno tenuta 'na vita. Tanto prima ce stanno Luna e Matteo, ne abbiamo ancora per un po'» indica con un cenno i compagni di classe a poca distanza nel corridoio, intenti a ripassare gli ultimi argomenti per il colloquio che segnerà la fine di una delle fasi della loro vita.
Simone annuisce, continua ad ispezionare l'ambiente che li circonda come se non lo conoscesse a memoria.
In seguito, salta giù dal davanzale con un balzo, fa solo un cenno del capo all'altro e, con le mani nelle tasche dei jeans, si allontana a passi piuttosto veloci.
Per qualche attimo, Manuel è confuso perché non è il prototipo di persona che capisce al volo ciò che qualcuno vuole comunicargli senza proferire parola.
Difatti, ci impiega dei secondi che paiono eterni per afferrare il concetto, mettersi in piedi e seguire Simone – con le guance che si son già fatte rosse.
Smetterà mai di arrossire per colpa sua? Crede di no.
Riesce a stento a seguire la sua figura perché Simone ha le gambe lunghe e cammina veloce, ragion per cui arranca a stargli dietro.
Con fatica, Manuel è in grado di vederlo entrare nel bagno dei ragazzi ed è lì che si dirige, aprendo con titubanza la porta.
«Simò?» lo richiama, ma nemmeno fa in tempo a varcare realmente la soglia che l'altro lo afferra per il polso, lo spintona e su quella porta ci va a sbattere con la schiena.
Si ritrova con la sua bocca sulla propria, la sua lingua avida contro i denti e a stento ha successo nel respirare.
Colto di sorpresa, ha bisogno di qualche istante per poter replicare in maniera corretta, arpionare i suoi fianchi con entrambe le mani e tirarselo addosso.
«Manu?» biascica Simone, strusciando le labbra sulla guancia dell'altro e aggrappandosi alle sue spalle «Devo rilassarmi o faccio un casino».
«Mh – e quindi?».
Solleva il capo con una velocità tale da rischiare di colpire con la fronte il naso di Manuel. Aggrotta le sopracciglia, sgrana gli occhi come ad indicare l'ovvietà. «Quindi potresti fare qualcosa» fa notare.
A Manuel scappa una risata – un misto tra il divertito e l'isterico perché tanto è abituato a simili richieste nei momenti meno opportuni. Anzi, è abituato alle richieste strambe di Simone in qualunque situazione.
«Siamo ner bagno della scuola» puntualizza.
«E allora? Abbiamo già fatto cose del genere in un bagno. Questo è pure più pulito».
«Sì, ma ce sta 'na commissione de prof de là che ce possono chiamare da un momento all'altro e...».
«Facciamo in fretta».
Simone sbatte le ciglia in maniera dolorosamente lenta. Sa come assumere un'espressione supplicante alla quale Manuel non sa resistere – non ne è capace, si fa fregare tutte le volte (e quello, invece, quando smette?).
Per l'appunto, Manuel alza gli occhi al cielo – come se poi gli dispiacesse.
«Tieni la porta chiusa» dice, frattanto che scivola verso il basso fino a ritrovarsi seduto sul pavimento in mezzo alle gambe appena divaricate di Simone che, intanto, appoggia i gomiti sulla lastra di legno con la vernice beige scrostrata che ha davanti e sorride soddisfatto – ad ottenere esattamente ciò che vuole è bravo, ma questo è già stato appurato in innumerevoli occasioni.
I jeans che Simone porta quel giorno non sono così stretti – non di più rispetto ai soliti, quelli che gli comprimono le gambe e son difficili da togliere. Questi sono più morbidi, accessibili – di sicuro più comodi.
Manuel sgancia l'unico bottone presente e tira giù la cerniera. Il cotone grigio dei boxer lascia già trasparire la sua mezza erezione e la massaggia piano con tre dita, percependolo fremere con quel piccolo e insignificante gesto.
Rimuove successivamente l'ultimo ostacolo di tessuto. Di norma, si perderebbe in una serie di preliminari che ha imparato a mettere in atto – a volte sono pure troppi tant'è che Simone finisce per lamentarsi e la sua impazienza viene a galla in modo prorompente.
Non ha idea del perché lo faccia, a volte agisce come...
Come farebbe un fidanzato, potrebbe affermare, però – di nuovo – a ciò che hanno non attribuito un'etichetta e non ha nemmeno mai provato ad accennare quel discorso.
Per adesso gli va bene così ed evita di esternare quel desiderio impellente che lo ha assalito una mattina, svegliandosi accanto a lui, di preparargli la colazione e portargliela a letto oppure quello di comprargli dei fiori.
È stupido, non deve e non può regalargli fiori.
Ed è stupido ragionare su determinate cose in tale istante mentre schiude le labbra sulla punta del suo membro e succhia dapprima piano, poi più forte accogliendolo un po' più in fondo nella propria bocca – cercando di essere cauto e non esagerare considerando che nella prima esperienza avuta, ha rischiato di soffocare per non aver respirato correttamente.
Col tempo, ha acquisito una certa fluidità – perlomeno, non gli viene da vomitare ogni volta che lo fa – e questo Simone pare apprezzarlo poiché mugola qualcosa di poco comprensibile, geme e strizza le palpebre.
«Dio, lo devi fare più spesso» bofonchia con voce strozzata.
Manuel riderebbe soddisfatto, se potesse. Non ci riesce bene, piuttosto continua la sua opera premendo con la lingua in punti che ha imparato a conoscere e portando l'altro al limite.
Prosegue con ritmo sempre più frenetico e tira indietro il capo soltanto alla fine, sostituendo la bocca con una mano che prende a masturbarlo docilmente fino a condurlo dritto all'orgasmo.
E Simone si scioglie, trattiene un urlo mordendosi l'interno della guancia e fa di tutto per non ricadere a terra dato che le gambe, d'improvviso, sembrano non reggerlo più in piedi.
Ora Manuel può lasciarsi andare alla sua risata liberatoria e appagata. «Se esci co' la lode» sospira «m'aspetto che ricambi».
«Se prendo la lode, faccio tutto quello che vuoi».
Il sorriso sul volto di Manuel si attenua perché, in fondo, ciò che vuole è semplice, ma al contempo complicato ed ha ancora i contorni frastagliati, qualcosa che deve comprendere meglio prima di esternarlo.
Così sussurra solo «Tutto quello che voglio», mentre Simone fa un passo indietro e si ricompone, abbottonandosi i pantaloni; tende una mano all'altro ragazzo e lo incita a sollevarsi.
Manuel accetta quell'aiuto. Vorrebbe baciarlo, fargli assaggiare quel sapore dolciastro che percepisce in bocca e magari sussurrargli io ti sento così, voglio sempre sentirti così, ma forse è squallido, fuori luogo e insensato.
Allora si sposta, va verso il lavandino, si sciacqua le mani e pure la bocca.
Simone lo aspetta, tenendo chiusa la porta con attenzione e Manuel desidera sapere a che sta pensando, a che punto sono di quel vediamo come va.
Lui non è capace ad afferrare i progressi e stabilire la loro direzione.
Magari deve solo smetterla di farsi domande.
Quando abbandonano quel bagno desolato – ma pulito – passano circa quarantacinque minuti prima che il cognome Balestra venga chiamato.
Due settimane dopo, sul tabellone che riporta i voti, accanto a quel cognome compare un cento con lode.
Manuel capisce, davanti al suo sorriso, che potrà davvero chiedere quel che vuole e pensa pure, magari in maniera ingenua, che, forse, una rotta il loro rapporto l'ha intrapresa.
***
Ci sono tante cose che Manuel ha pensato di non provare mai, non nei confronti del suo migl...
Rag...
No, ha deciso di non utilizzare etichette.
Beh, ecco, nei confronti di Simone.
Ha giurato di trattenere la rabbia se capita loro di discutere, le cose sdolcinate tipo prendergli la mano quando sono uno accanto all'altro – sul serio, deve evitarlo – e, tutto sommato, gli è riuscito piuttosto bene.
Fino ad ora.
Perché di ogni sensazione che ha provato disperatamente a reprimere, la gelosia non l'ha mai considerata, quel mostro verde troppo forte e troppo prorompente per essere placato, per esser tenuto chiuso in un angolo remoto del proprio cuore e testa.
Il problema principale, però, è che Manuel non ha un soggetto specifico che scatena quel moto di possessività: può essere chiunque, in qualunque momento e luogo.
Sono in vacanza in Grecia, con compagni di scuola della loro sezione e non – non li conosce tutti, in effetti, ed il problema è quello, principalmente; ha desiderato mettere le mani addosso e allontanare da Simone almeno la metà di loro, ecco qua.
Avrebbe voluto urlare contro Luca, quel ragazzino dalla faccia pulita e dai capelli incontrollabili, che un giorno ha osato sdraiarsi e poggiare la testa sulle gambe di Simone e lui lo ha addirittura imboccato dandogli un biscotto.
Ma come cazzo si permette?
Ha stretto i pugni, conficcando le unghie nei palmi, quando Elisa, la rossa dal carattere eccessivamente euforico ed estroverso, ha preso a giocherellare con le ciocche dei suoi capelli e Simone ha socchiuso gli occhi, segno che – evidentemente – apprezzava.
E ora non ha idea di cosa lo trattenga seduto sulla poltrona color panna mentre un film scorre sullo schermo piatto dell'appartamento su due piani che hanno affittato, cercando di risparmiare il più possibile, e a cui non presta attenzione: essa è focalizzata su Simone accomodato sul divano, con una gamba a penzoloni sulla coscia di Vittorio – che ha deciso di odiare, a priori – e ride e commenta la pellicola con quel tipo e a lui...
A lui nemmeno rivolge lo sguardo.
Col senno di poi, forse odia pure Simone.
Manuel sta tremando e fremendo perché vorrebbe alzarsi di scatto, urlare di smetterla – che tutti devono smetterla e che Simone è solo suo.
Solo suo.
Buffo.
Da quanto ha stabilito una simile proprietà? Magari è sempre stato così, magari...
Ah, non lo sa.
È pure 'na cosa tossica, smettila, cretino.
Sa soltanto che non resiste più e allora in piedi ci si mette sul serio, apre la bocca – pronto a quella scenata che si tiene dentro – ma poi tutti i pochi presenti puntano gli occhi su di lui e perde il coraggio di andare fino in fondo.
Si liquida con un semplice «Io vado a dormire», che suona un po' strano poiché sono appena le nove di sera e sì, è il prototipo di persona che viene avvolta dal sonno in ogni momento indipendentemente dall'ora e dal posto, però è facile notare quanto un simile atteggiamento stoni nel suo comportamento.
A Manuel, comunque, ciò che pensano gli altri non interessa in quel momento.
Procede a passo spedito verso la camera da letto che gli è stata assegnata all'inizio della vacanza, che deve pure dividere con Matteo, Simone e un tizio che non conosce – ma tanto sono tutti interessanti al film, visto che, a causa della pioggia, una parte di loro ha deciso di non uscire - con l'intenzione di rifugiarsi sotto le coperte come fa sempre quando è giù di morale.
Ogni suo progetto è reso impossibile, tuttavia: non fa neppure in tempo a chiudersi la porta alle spalle che essa viene bloccata dalla mano che riconosce appartenere a Simone.
Manuel rimane voltato, non osa girarsi nella sua direzione e capisce che in quella stanza ci son finiti chiusi dentro nell'istante in cui sente la chiave girare nella serratura e uno scatto a seguire.
Non dice nulla, tenta di regolarizzare il proprio respiro. Poi la voce di Simone riempie l'ambiente con un sonoro «Si può sapere che ti prende?».
Manuel esita nel rispondere perché spiegargli il moto di gelosia che percepisce nel petto, quell'opprimente sensazione che non è in grado di scacciare è assurdamente difficile e non crede sia il momento giusto per preoccuparsi anche di quello.
«Niente», borbotta «avevo sonno, l'ho detto giù».
«Non hai mangiato» puntualizza Simone «non vai mai a dormire se non hai mangiato».
«E se vede che non c'ho fame».
Manuel ci prova ad essere duro, impassibile, arrabbiato e pure menefreghista. Tenta di farsi scivolare ogni cosa addosso, ma Simone butta giù il muro sottile di indifferenza che ha appena cominciato a costruire, gli va davanti con frenesia per ritrovarsi faccia a faccia e, semplicemente, lo fissa.
Lo guarda dritto negli occhi, resta in silenzio, però è come se stesse urlando anche se non me lo dici, lo so che qualcosa non va.
Hanno imparato entrambi a leggersi, a capirsi senza parlare e, a volte, è una cosa che fa paura.
E Manuel un briciolo cede a causa di quell'espressione corrucciata che si trova davanti, a quelle labbra che vorrebbe baciare e quella pelle diafana che desidera accarezzare. Trattiene gli impulsi.
«Mi manchi» sussurra quasi fosse a corto di fiato.
Simone aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Ma se siamo sempre insieme» commenta.
«Sì, lo so, ma me manchi lo stesso».
«E come ti manco?»
Manuel si passa una mano sul viso: è nervoso, agitato, sta tremando e stavolta per motivi diversi.
«Mi manchi quando ci mettiamo tutti sul divano a parlare o vedere un film come stasera e tu ti siedi vicino a chiunque e non a me. Mi manchi quando siamo in spiaggia sui lettini e nemmeno mi guardi e non me chiedi de venì in acqua co' te ed è – è stupido, no? Lo so che è stupido, ma succede e non...».
Si interrompe per un attimo con una risata nervosa che gli fuoriesce di bocca e l'isterismo che lo corrode e dopo: «Okay, non – non dovevo neanche dirtelo, tu... Fai finta non sia successo».
Ma è successo.
Quello e mille altre cose e lo sanno tutti e due.
La reazione che potrebbe ottenere Manuel l'ha neanche immaginata: si aspetta qualsiasi cosa, di negativo, ovviamente.
Al contrario, Simone piega le labbra all'insù e abbassa lo sguardo.
«Mi dispiace» mormora «se ti manco, intendo».
«Succede e basta, non è – non è colpa tua». Manuel scuote appena il capo.
Gli sta facendo un discorso che fanno due fidanzati, due persone innamorate, ma è privo di senso, no?
Mica è innamorato di Simone.
Anche se è geloso di chiunque gli stia attorno.
Anche se gli piace baciarlo.
Anche se ci va a letto da mesi.
Anche se gli manca pur essendogli vicino.
No, non lo è affatto.
«Mi dispiace lo stesso» dice ancora Simone a bassa voce e posa i palmi aperti sul petto dell'altro ragazzo.
Si sporge nella sua direzione e gli lascia un bacio casto sulle labbra. «Non voglio mancarti» soffia.
Manuel gli circonda i fianchi con le mani e sposta le labbra sul lato del suo collo, dietro all'orecchio e bacia la porzione di pelle che vi trova.
«Se stai così va bene» biascica «sto bene».
«Allora stiamo così».
«Stiamo così».
***
Manuel è agitato.
Non dovrebbe esserlo perché di serate di quel genere ne hanno avute parecchie, a togliersi i vestiti e baciarsi e toccarsi. Il motivo per cui proprio quella sera si sente così irrequieto ed ansioso è del tutto sconosciuto.
Il cuore non ha smesso per un istante di battergli forte quasi a fargli scoppiare la cassa toracica e si è scorticato le dita a furia di sfregarle contro le nocche delle mani.
Sono sensazioni di stentato disagio che lo accompagnano pure seduto sul letto nella stanza che in quell'occasione sarà soltanto loro mentre aspetta che Simone lo raggiunga.
Vorrebbe baciarlo e stringerlo nell'esatto istante in cui la porta verrà chiusa a chiave, sperando che ciò sia sufficiente a farlo sciogliere e tranquillizzarlo.
Tuttavia, quel desiderio rimane inesaudito poiché, quando Simone varca la soglia, Manuel rimane nella stessa identica posizione, rivolgendogli solamente lo sguardo e un sorriso che non crede contenere entusiasmo – ed è strano perché ce l'ha, perché non vede l'ora di immergersi in un io e te.
Simone gli siede accanto, esita per qualche istante fissandosi le ginocchia. Dopo si sporge nella sua direzione e preme le labbra sulla linea del suo mento, trattenendosi in tal punto e inspirando forte dal naso per inebriarsi del suo profumo – non glielo ha mai detto che il suo odore gli piace tanto, un giorno troverà il coraggio di farlo.
Manuel, invece, glielo ha confessato un sacco di volte, ma lui i complimenti li fa sempre, magari in maniera involontaria e senza pensarci eppure li fa – e Simone se ne accorge sempre.
Manuel si gode per un attimo il suo respiro addosso, qualche secondo prima di permettersi di reagire, di voltare il capo e cercare la sua bocca, la sua lingua, la sua saliva, baciarlo a fondo infilando le dita fra i suoi capelli e tirandoli appena sulla nuca.
Coi mesi sono migliorati e adesso sono meno goffi e impacciati – spera sia così.
Lo spinge quel che basta per costringerlo a sdraiarsi e prega di non battere la testa, considerando che hanno i letti a castello e sono piuttosto bassi.
Lo sovrasta, lo blocca contro il materasso attorcigliando le gambe alle sue, lo afferra per i polsi, li porta ai lati della sua testa e li preme sul cuscino.
Simone mugola qualcosa di poco comprensibile e si lascia manovrare senza opporre resistenza, abbandonandosi completamente a lui.
«Simo?» bofonchia Manuel ad un tratto strofinando la punta del naso contro la sua guancia.
Simone ha già socchiuso gli occhi e reclinato appena il capo all'indietro. «Mh?» si lascia scappare in un gemito.
«Stai sopra tu».
È sufficiente quell'ordine velato, quel comando che non si aspettava, per fargli sbattere rapidamente le palpebre, corrucciare l'espressione in una smorfia incredula e cercare il suo sguardo, un faccia a faccia che l'altro gli concede nell'immediato.
«Pensavo...» balbetta «Cioè, la volta scorsa non – non è sembrato piacerti tanto».
Manuel si affretta a scuotere il capo in cenno di diniego. «Ha fatto solo un po' male all'inizio», spiega «però mi piace».
La risolve in tal modo; eppure, la vera ragione è più complessa, più intricata e...
In realtà, è terribilmente e spaventosamente semplice.
È che ha compreso il motivo per cui si è sentito così in ansia durante le ore che hanno preceduto la loro sera: che quella mancanza che gli ha confessato avere non è scomparsa, si è soltanto quietata per qualche istante e ha bisogno di farla cessare.
Crede ci sia un unico modo per farlo ossia avere Simone dentro di sé – in maniera fisica perché sotto tutti i rimanenti aspetti è una presenza già costante.
Ciò nonostante, Simone esita per un momento, si morde piano il labbro inferiore.
«Sei sicuro?» glielo chiede in un sussurro: vuole una risposta che non abbia alcun tentennamento.
Manuel lo comprende e annuisce più volte. A parole non dice nulla, si limita a baciarlo ancora una volta sulla bocca, a liberarlo dalla morsa in cui lo ha rinchiuso e a ribaltare le loro posizioni, portandosi l'altro a cavalcioni sopra le proprie cosce.
Simone deve stare chinato e curvare la schiena per non scontrarsi con le doghe del letto che è sopra di loro; gli prende il viso fra le mani e passa i pollici sulle sue guance.
Quell'imbarazzo ingenuo nel momento in cui si spogliano a vicenda è sempre presente – nessuno dei due crede andrà via tanto presto, nonostante ormai si conoscano senza abiti, sappiano a memoria quasi ogni piccolo dettaglio del corpo l'uno dell'altro.
Eppure, pare quasi ci sia qualche nuovo aspetto da scoprire ogni volta – per esempio, Simone si emoziona quando scopre una minuscola cicatrice sulle sue ginocchia e Manuel vedendo un neo scuro sulle sue spalle per la prima volta.
Non smettono mai di sorridersi a vicenda, di accarezzarsi, di far sfregare la loro pelle.
Ormai son rimasti nudi e Simone all'orecchio di Manuel mormora un flebile «Girati».
Quest'ultimo gli obbedisce lentamente: si volta, sollevando appena il busto e reggendosi sui gomiti piegati. Non si preoccupa di contorcere il capo per monitorare i movimenti dell'altro ragazzo: non percepisce il suo peso sul letto e immagina si sia allontanato per un momento, di sicuro per recuperare un profilattico e il tubetto di lubrificante che hanno nascosto in valigia.
Lo sente tornare poco dopo nell'attimo in cui una sua mano si poggia alla base della propria schiena, all'altezza del coccige, e successivamente le punte delle sue dita si spostano e gli solleticano le natiche.
Manuel socchiude le palpebre: le carezze di Simone lo inebriano, lo fanno stare bene.
È un tocco delicato, più esperto rispetto al proprio, specialmente nel prepararlo: sa muoversi meglio e ha timore a chiedergli come faccia per scoprire che quelle cose le ha compiute con qualcun altro e – beh, vorrebbe essere il primo ad essere toccato in quel modo da lui.
Adesso, tuttavia, lascia da parte l'angoscia e i mille dubbi poiché Simone ha preso a baciargli le vertebre che sporgono sulla schiena, appena più visibili in una posizione del genere; le sue labbra sono calde e delicate e, al contempo, il suo indice – già reso umido dal liquido corposo alla vaniglia – va a stimolare quell'anello di muscoli sensibili che si tende e contrae al tatto.
«Tutto okay?» sussurra allora Simone contro la sua pelle e per un istante ritrae la mano.
Manuel si affretta ad annuire: non vuole che si fermi, vuole che prosegua, quasi che lo annienti in quel preciso momento. «Tutto okay» replica.
«Possiamo ancora scambiarci e...».
«Simò, muoviti e basta».
È buffo pensare che soltanto qualche mese prima hanno discusso per decidere chi mai dovesse stare sopra e ora Simone desidera quasi impedirglielo – è soltanto preoccupato perché ha ben impressa in mente l'espressione sofferente dell'altro la volta in cui è stato lui la parte attiva e crede di avergli fatto abbastanza male; ha paura si ripeta, ecco tutto.
Però Manuel lo sprona e, dunque, si convince a proseguire.
Usa più lubrificante del dovuto, abbonda per far sì che ogni cosa scivoli liscia.
Titubante, infila un dito nella sua apertura, attende qualche secondo e solamente dopo inizia a muoverlo, lentamente e non troppo in profondità.
Continua a baciargli le spalle, le scapole, la linea della colonna vertebrale. E poi, d'improvviso, un sospiro sommesso abbandona la sua bocca durante tale attenta preparazione, un «Sei bellissimo» mai esternato in momenti precedenti, che gli viene fuori in maniera spontanea.
E Manuel, complice il piacere mischiato al dolore che lo coglie al basso ventre, l'erezione che ha cominciato a pulsargli e la testa improvvisamente leggera, non ha idea di come reagire.
Non sa che dire in risposta – non sa se essa esista.
Vorrebbe piangere e ridere insieme.
Vorrebbe urlare e stare in silenzio, a udire il respiro di Simone che si infrange su di sé, a percepire le sue dita – che son divenute due – che gli si muovono dentro.
Sei bellissimo.
Vorrebbe registrare quella frase per sentirla a ripetizione senza mai stancarsi.
Così geme sommesso, stritola gli angoli del cuscino fra le mani e nulla più. Il peso di Simone sul proprio corpo aumenta, ad un tratto, segno che gli si è sdraiato addosso e Manuel già freme; percepisce il suo membro turgido e umido sulla natica destra. Gli viene da supplicarlo, di spronarlo a fare più in fretta – quasi si vergogna a volerlo così tanto – eppure non può davvero trattenersi.
Simone pare capirlo con alcuna necessità di parlare perché rapidamente si infila il preservativo, solleva di poco il bacino e lo penetra con delicatezza, mantenendo una mano sul suo fianco per reggersi meglio.
È soltanto allora che Manuel crede di essere completo: è quella percezione di esser stato come un puzzle a cui è stato perso un pezzo e di averlo ritrovato, a formare l'immagine concreta della propria esistenza.
È diverso dalla prima volta in cui è stato sotto: è più bello, non gli provoca nessuna sofferenza. Con molta probabilità, in tale occasione aveva qualche dubbio a tormentarlo e, in modo inconscio, ha innescato un meccanismo di rifiuto come auto-difesa.
Adesso non succede, adesso va tutto bene.
Simone comincia ad assestare qualche spinta che risulta fiacca e per nulla energica; cerca la mano del compagno, la trova al di sopra del materasso e fa intrecciare le loro dita.
Ha il petto pressato contro la sua schiena e il bacino che si alza e abbassa tentando di raggiungere un ritmo pressoché regolare.
Manuel, invece, prende dei respiri profondi per non avere subito il fiatone e – soprattutto – per evitare di urlare. Socchiude le palpebre e torce appena la testa per intravedere il volto dell'altro ragazzo. Ci riesce a stento.
«Dimmelo di nuovo» sussurra, allungando il braccio libero e aggrappandosi ai capelli sulla nuca di Simone. Questo osa una spinta più vigorosa che fa gemere entrambi. «Che – che cosa?» soffoca.
«Che sono bellissimo».
Manuel è consapevole che è stupido porre una simile richiesta, che magari è pure infantile e privo di senso; però ha bisogno di farselo entrare nelle orecchie, di assimilarlo perché nessuno glielo ha mai detto, non ha nemmeno mai considerato possibile che qualcuno potesse pensarlo che è bello – non si è mai ritenuto degno di quell'appellativo.
«Sei bellissimo» ripete Simone e «sei bellissimo» lo fa di nuovo e allora i suoi affondi aumentano, divengono più veloci, sconclusionati mentre attira la sua bocca a sé e reclama un bacio che risulta difficile scambiarsi da come si trovano, ma ci riescono comunque anche se diviene un mordersi le labbra e far cozzare i denti.
Simone raggiunge l'orgasmo per primo, mascherando un grido con un verso gutturale e con un ultimo scatto con il quale si svuota all'interno dell'involucro di lattice. È stremato e scivola accanto a Manuel sfilandosi il profilattico e buttandolo sul pavimento – sperando di ricordarsi di raccoglierlo dopo.
Manuel non esita a mettersi su di un fianco e lo attira subito per scambiarsi un bacio più decente.
Nemmeno si rende conto della mano di Simone che scivola fino a raggiungere la propria eccitazione e lo masturba docilmente per concedere anche a lui di venire e convogliare verso quel piacere che non l'ha ancora avvolto e che lo fa nel giro di qualche attimo, che lo fa tremare e gli fa formicolare ogni singolo muscolo.
Tutti e due sono sudati, sfiniti, e Manuel pensa di volerci vivere con l'immagine davanti di Simone con i capelli appiccicati alla fronte e gli occhi socchiusi, assuefatto e tranquillo tanto quanto lo è lui.
«Non abbiamo fatto – troppo rumore, vero?» chiede, un sussurro, portando un palmo aperto sopra il suo stomaco piatto.
Simone abbozza una risata. «Non credo» risponde.
«Vabbè, tanto non ce sta nessuno che ce può sentì».
«Seh, se Matteo non va a dire in giro che facciamo versi strani».
«Ha sentito mezza volta. Che poi manco me ricordo perché facevamo versi strani».
«Beh, non riuscivi a dormire e allora io...».
«Oh – oh, okay, sì, me lo ricordo» ora ride pure Manuel, in maniera sincera, divertita, felice.
È felice e Simone gli manca un po' meno.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro