MIGLIORI AMICI
Le volte in cui Manuel ha casa libera – del tutto libera – sono uniche e non rare.
Di solito, sua madre lavora da casa e, nell'ultimo periodo che i suoi nonni hanno fatto loro visita a Roma, non ha mai più trovato un attimo di pace.
Oltretutto, lui è in quell'età dove lo riempiono di domande dello stesso genere ossia quindi quest'anno la maturità? Stai studiando? E dopo che farai?
E dopo che farà?
Manuel non lo sa per nulla e, fino al ripetersi costante di quel quesito, non ci si è mai focalizzato più di tanto.
È a metà anno scolastico e non ha le idee ben chiare per qualsiasi direzione.
Per un po' ha pensato di iscriversi all'università, studiare filosofia, ma è pure pressoché sicuro che non avrà sbocchi lavorativi certi in quell'ambito e questo lo fa tentennare.
Ma, del resto, qualunque facoltà potrebbe mai scegliere al mondo d'oggi rimane una incognita, il futuro.
Si è pure buttato su altre attività, di recente - ad esempio, ha iniziato a suonare la chitarra da autodidatta ed è piuttosto bravo; non così tanto da sfondare nella musica, però quantomeno potrebbe arrotondare esibendosi in qualche locale la sera, se proprio gli va male.
È pur sempre una prospettiva, seppur minima.
Certo, è un adolescente e chi mai a diciotto anni ha un progetto preciso – delle volte non ce l'hanno nemmeno i trentenni, non è da biasimare.
Eppure, Manuel ha fisso questo tarlo, di poter dare una risposta ai nonni o a chiunque glielo chieda.
A quel punto, un po' invidia Simone, il suo migliore amico, che ha già ben in mente il piano di studi per il futuro, il lavoro che farà e persino la città dove andrà presto a vivere - Milano, che schifo, ma come fai a lasciare Roma per Milano?
Pare sempre piuttosto sicuro su ogni cosa che fa, ogni decisione che prende e si chiede come faccia.
Una volta, ad esempio, Simone gli ha addirittura che lo ha scelto, che lo ha visto con quell'aria un briciolo altezzosa, schiva, ma persa, che lo ha ritenuto chiuso in un mondo che non esiste e che lo ha voluto subito al suo fianco.
Manuel non ha mai creduto si potesse scegliere anche una persona, ma con Simone è tutto una sorpresa e una scoperta – perché, prima di conoscerlo, lo ha sempre ritenuto chiuso in sé stesso, timido, e invece, conoscendolo, ha capito che ha un carattere prorompente ed è proprio l'esatto contrario di come credeva.
Lo credeva un perfettone, invece è uno che ha solo le idee chiare, che, però, a volte perde le staffe e, soprattutto, diviene imprevedibile.
Se ne è accorto dalle risposte piccate che, delle volte, dà ai professori durante una interrogazione o ai compagni di classe.
Come direbbe Luna, una loro compagna, è proprio un Ariete - non che il segno zodiacale possa essere una giustificazione.
E a Manuel, molto spesso, piacerebbe tanto essere esattamente come Simone.
«Sì, sì, arrivo!».
Manuel ha in mano un sacchetto di patatine ancora integro quando corre a piedi scalzi all'ingresso per andare ad aprire la porta alla quale stanno bussando vigorosamente.
Suppone sia sua madre che ha dimenticato qualcosa – succede quasi sempre, del resto, il che lo fa sbuffare e lo scoccia in particolar modo.
«Che hai scordato stavolta?» esclama, con un finto sorriso che svanisce nel momento in cui quella porta la spalanca e davanti si ritrova Simone, con una sigaretta spenta in bilico fra le labbra, un berretto di lana bordeaux in testa che gli spinge un riccio di capelli corvini sulla fronte.
Manuel lo fissa, aggrottando le sopracciglia, anche se non è la prima volta che Simone si presenta a casa sua senza alcun preavviso, ragion per cui non dovrebbe esserne sorpreso.
«Che ci fai qui?» gli esce di bocca.
Non è una domanda che trova risposta poiché l'altro subito lo sovrasta con: «Oh, mi fai entrare o no? Fa freddo».
Simone non aspetta una replica o un invito a varcare la soglia, agisce e basta come se stesse facendo ingresso nel proprio appartamento.
«Stavi mangiando?» domanda mentre già si dirige verso la cucina, tanto che Manuel annaspa prima di chiudersi la porta alla spalle, sbuffare e seguirlo accennando una corsa al fine di raggiungerlo.
Lo vede già seduto al tavolo, con la sigaretta adesso intrappolata fra le dita, il filtro che viene picchiettato sul legno e ancora il cappotto addosso.
Manuel sospira, alza il pacchetto di snack che ha in mano. «Non avevo voglia di cucinare» spiega.
«Se ordinassimo una pizza? Ho una fame allucinante».
In realtà, vorrebbe dirgli che non ne ha molta voglia, che vorrebbe stare da solo durante quella serata, recuperare le serie tv che ha lasciato indietro e magari addormentarsi davanti al computer – tutto, pur di non pensare all'assente destinazione della sua vita.
Ciò nonostante, Simone ha questo strano e micidiale potere di convincerlo e guidarlo verso ciò che vuole lui.
«Mh, sì, dai» risponde, annuendo anche.
Povero scemo.
Il fatto di essere terribilmente influente... Sì, invidia pure quello a Simone.
Lui non ci riesce, mentre a Simone basta sgranare i grandi occhi scuri per convincere chiunque a fare qualunque cosa.
Funziona così per tutto, pure quando compie qualche torto: lui sbatte le ciglia, chiede scusa e tutto si risolve.
Cazzo di Simone.
In terza liceo non era così tanto sicuro, se lo ricorda bene - un po', non così tanto, ecco.
Poi nell'estate tra la terza e la quarta, qualcosa è cambiato dopo una permanenza di due mesi in Scozia, da sua madre Floriana ed eccolo lì, più sicuro che mai.
Ma che, fanno dei corsi specifici in Scozia?
La pizza la ordinano sul serio.
Ci impiega all'incirca trenta minuti ad arrivare a seguito della chiamata effettuata da Manuel, periodo durante il quale Simone si sposta e prende posto sul divano a tre posti in cucina, davanti al pc aperto e poggiato sul tavolino da caffè in vetro che vi sta davanti; ha aperto un dibattito su quale telefilm vedere, attestando che tutti quelli scelti dall'altro non siano degni di essere chiamati con simile appellativo e, alla fine, hanno optato – ossia, Simone ha concluso – di vedere Breaking Bad perché è rimasto indietro con gli episodi.
Manuel ha nascosto il fatto di averne soltanto sentito parlare, che avrebbe potuto aver intenzione di cominciarla, invece ha finto di essere quasi in pari con tutte le stagioni ignorando che finirà con rovinarsi la sorpresa – e quella serie, in definitiva, non la comincerà mai dal principio.
Quindi, adesso sono entrambi sistemati sul divano, seduti ad una distanza ridicola tanto che le loro spalle di tanto in tanto si sfiorano.
Simone è intento ad osservare le scene che si susseguono – e ha il vizio di commentare ogni fotogramma con evidente entusiasmo; Manuel, invece, non ci sta capendo nulla, a stento comprende i nomi dei personaggi e si limita ad annuire alle affermazioni costanti dell'altro ragazzo.
La cena la divorano in breve tempo, abbandonando i cartoni sporchi a terra.
«Oh, posso fumare?» esclama Simone ad un tratto, bevendo un sorso dalla bottiglia di birra che tiene in una mano.
Manuel sbatte le palpebre – per un attimo è stato assorto, è finito in un mondo tutto suo e si è distratto (gli capita piuttosto spesso).
«Dio, non dovevo farti inizia' co' sta roba» commenta «mo' sei peggio di me».
«Posso o no?».
Simone posa la bottiglia sul tavolo, accanto al computer su cui le scene si stanno ancora susseguendo. «Se è un problema vado fuori, fa niente».
«No, va bene, non me dà fastidio. Basta che apriamo la finestra dopo se no mi' madre rompe i cojoni».
«Sicuro?».
«Seh, so' sicuro».
Simone abbozza una risata frattanto che recupera il pacchetto di Marlboro rosse dalla tasca posteriore dei jeans, sfila una sigaretta, la posiziona fra le labbra e la accende. «Manu?» esclama poi «Ma tu – tutto okay?».
Manuel si lascia scappare un sospiro sommesso. Quella è una domanda semplice alla quale potrebbe rispondere con un sorriso falso che sa fare tanto bene, scuotere il capo in cenno d'assenso e dire sì.
Non è complicato, anzi, però il suo istinto lo guida verso la direzione opposta. «Più o meno» mormora, osservando distratto le immagini sullo schermo.
«Cioè?».
«Cioè niente. So' solo – pensieri».
«Pensieri di che?».
«Da quando fai lo psicologo, scusa?».
Simone sbuffa, aspira del fumo e poi lo soffia nella sua direzione per dispetto.
Manuel agita appena le mani per scacciare la nebbia di tabacco che lo ha avvolto. «Ma sarai cojone» si lamenta - manco gli dà fastidio, i suoi vestiti sanno di tabacco, solo che in quel momento non gli va.
«E io t'ho chiesto cos'hai e non mi hai detto niente».
A quel punto, Manuel potrebbe – e dovrebbe – cambiare argomento in maniera repentina per evitare un dialogo che, di certo, non ha voglia di intraprendere perché andrebbe a concludersi con frasi come a volte penso che vorrei essere te e sarebbe alquanto imbarazzante.
Così rimedia, mormorando: «Pensieri da tipo crisi di mezza età. Lo so, a diciott'anni non c'ha senso, eppure...».
Simone annuisce, distratto. «Mh» biascica mentre prende un'altra boccata di fumo «Capito, uhm. Hai provato a farti una sega?».
Manuel spalanca gli occhi e la bocca – e ufficialmente il telefilm non ha nemmeno più un briciolo della sua attenzione poiché essa si sposta sull'altro ragazzo che lo guarda con le palpebre socchiuse così come le labbra e attende una eventuale replica che va a coincidere con: «Che – che cosa?».
«Una sega» ripete Simone «sai, i mille pensieri privi di senso e roba del genere. Con una sega, di solito, passa tutto».
«Ah, e te ne sai qualcosa?» ribatte Manuel, stizzito.
Non che non abbia mai fatto qualcosa del genere – ovvio che lo ha fatto: è un adolescente in piena crisi ormonale, del resto – e nemmeno dovrebbe sentirsi in imbarazzo al solo sentire pronunciare una simile parola; quindi, non ha idea del motivo per cui sia diventato tutto rosso e le proprie orecchie vadano a fuoco.
Forse perché ne sta parlando con Simone e...
Oh, che cosa altamente stupida.
«Beh, con me funziona» Simone attesta. Butta la cenere della sigaretta nella bottiglia di birra ormai vuota; il mozzicone è già a metà ed è probabile che accenderà un'altra a breve.
Manuel è in procinto di aprire bocca di nuovo – sì, cambiare quel dannato discorso, lo deve fare subito – ma Simone lo blocca nell'immediato: «Vuoi che faccio io?» dice.
E a quello non sa come reagire, non sa che cosa mai significhi, non capisce cosa...
Beh, non comprende cosa stia succedendo per quanto la situazione sia surreale e, ancora, imbarazzante.
«Voglio che fai – che?» balbetta.
«Ma sei scemo?» sbotta Simone «Stiamo parlando di seghe».
«Già. E perché ne stiamo parlando?».
«Per farti rilassare!» sbuffa di nuovo; la sigaretta l'ha finita e la butta nel contenitore di vetro con noncuranza. Come previsto, ne accende subito una nuova e la lascia pendere dalla labbra mentre bofonchia: «Vuoi o no?».
Manuel aggrotta le sopracciglia, perplesso: ha davanti il suo migliore amico – Dio – che gli ha appena chiesto se può fargli un servizietto – Dio – ed è molto propenso a concederglielo – Dio!
Perché glielo vuole permettere? Non lo sa.
È da gay farsi fare una sega dal proprio migliore amico?, pensa, per quanto ovvia sia la risposta – che poi lui è etero – eterissimo – sta frequentando una ragazza, perciò deve dirgli di no, deve desistere, non deve neppure farsi venire un minimo dubbio e...
«Ma sei sicuro?» invece domanda, deglutendo rumorosamente.
Simone annuisce soltanto e la sua espressione è seria – molto, troppo seria.
Non pare stia scherzando, Manuel ne è certo – lo conosce a memoria, ha imparato a farlo in modo inconscio, gli è venuto naturale leggerlo, cogliere ogni sua minima sfumatura e non lo sta prendendo in giro adesso.
«Okay» esclama – ed è una parola semplice, normale, una che dice in continuazione eppure, nell'attimo in cui essa si leva nell'aria pare fuori contesto come se stesse appesa ad un filo sottile e potesse provocare un gran rumore cadendo e frantumandosi sul pavimento, se mai ciò sia possibile.
Manuel ne è cosciente – la sua mente si è annebbiata per chissà quale ragione, ma quello ancora lo realizza; lo è lui così come il suo intero corpo che prende a tremare pur non avendo freddo.
Al contrario, ha caldo, sta sudando e percepisce la t-shirt leggera che indossa che gli si sta incollando alla pelle.
«Però spegni quella» aggiunge, con un cenno rivolto alla sigaretta fumante fra indice e medio dell'altro ragazzo.
Simone contorce la bocca in una smorfia. «Scherzi?» si lamenta «L'ho appena accesa».
«E io sto pe' abbassarme i pantaloni. Poi va a finire che me bruci».
Simone rotea ancora gli occhi, infastidito da quella richiesta che, comunque, accontenta premendo il mozzicone consumato a metà sul lato della bottiglia di vetro della birra così da essere in grado, eventualmente, di riaccenderlo più avanti.
Manuel, nel frattempo, sta per tirar giù i pantaloni della tuta che indossa insieme ai boxer blu che ha sotto, ma l'altro lo precede con «Faccio io» al cospetto del quale lui sussulta – perché prova l'impulso di dirgli di fermarsi, che quella situazione da strana sta passando a ridicola.
Ce l'ha sulla punta della lingua un sonoro smettila, ce l'ha osservando il suo volto concentrato, i ciuffi di capelli scuri che gli ricadono davanti agli occhi e le labbra schiuse.
Ed ecco che glielo sta per intimare se non fosse per una nuova sensazione che lo assale, il brivido che gli scorre lungo tutta la schiena causato dalle dita gelide di Simone che si sono intrufolate sotto al tessuto che lo ricopre senza il bisogno di rimuoverlo e che lo stanno toccando.
Manuel sussulta ancora una volta e Simone si lascia scappare una risata, sussurrando in seguito: «Vedi che sono bravo».
Vorrebbe chiedergli se l'ha già fatto altre volte e non su sé stesso, considerando che sa come muoversi, sa dove premere con più pressione e dove meno, è fin troppo esperto per essersi esercitato esclusivamente in solitaria.
Ci sono tanti quesiti che vorrebbe porgergli, ma non ce la fa, avvolto da un piacere istantaneo che parte dal basso ventre e pian piano raggiunge ogni fibra del suo corpo. Butta la testa all'indietro, la sua bocca si spalanca in un muto gemito frattanto che strizza le palpebre e cerca di regolarizzare il proprio respiro.
«Oh – oddio» esclama ad un tratto anche se vorrebbe trattenersi.
Non è in grado di compiere nemmeno quello, non è capace di trattenere un urlo strozzato quando Simone stuzzica la punta del suo membro con l'indice, tracciando con il polpastrello dei piccoli cerchi tutto attorno; dopo riprende con forza a sfregarci il palmo contro mentre la mano libera va a pizzicare i testicoli alternando carezze lievi a strizzate appena più vigorose.
Manuel viene con Simone che ancora lo sta masturbando, fra le sue dita, finendo per sporcarle tutte di quel liquido bianco e appiccicaticcio.
Ha il cuore che gli batte forte nel petto, tanto che crede stia per esplodere e rotolare sul pavimento; il fiatone gli impedisce di parlare – e non saprebbe neanche che dire considerando ciò che è successo.
Che cosa è successo?
Simone si ritrae con lentezza. Recupera uno dei tovaglioli di carta che hanno usato per la pizza e si pulisce le mani, distratto.
Con la medesima naturalezza, riprende la sigaretta che poco prima ha dovuto spegnere, se la porta fra le labbra e la riaccende, aspirandone il fumo. «Meglio?» chiede, tranquillo.
Manuel è – stranito?
In realtà non ha idea di come dovrebbe sentirsi in quel momento, dopo qualcosa che ha accordato e a cui ha acconsentito.
«Mh-m» mormora, sbattendo piano le palpebre. «Simó?» sospira poi, ma viene stroncato da un sonoro: «Metto un altro episodio?».
Nota come Simone non lo stia neppure guardando, il modo in cui fa finta di aver partecipato ad un evento normale che accade tra due migliori amici.
Manuel vorrebbe quantomeno parlarne, discuterne, eppure anche questa volta si blocca, annuisce.
«Okay» mormora. Si tira su dai cuscini del divano, aggiustandosi un po' l'elastico dei pantaloni.
Si allunga a recuperare dei pezzi di crosta della cena che ha lasciato da parte, ormai freddi, e ne addenta un pezzo mentre l'ennesimo episodio di una serie che non ha seguito riparte sullo schermo del computer di fronte a lui.
***
Succede altre volte.
In un mese, almeno cinque.
A volte sono a casa di Manuel oppure da Simone.
Una persino nel bagno di una discoteca con tutti i loro amici sulla pista da ballo, a pochi metri di distanza o con sconosciuti che avrebbero potuto vederli.
Ma sembra essere una sorta d'opera del destino perché Manuel si sente triste, afflitto, e Simone – irrimediabilmente – è nei paraggi e inizia a toccarlo.
Però non lo guarda quasi mai e questo lui lo ha notato. Non ci è stato a rimuginare troppo. Ha pensato che, forse, si vergogna e allora evita di farlo. Ha cercato di non farci troppo caso, di farselo pesare meno addosso.
Quella sera sono chiusi nella camera di Simone: questo in piedi davanti alla scrivania a rigirare ripetutamente i fogli sparsi che vi ha lasciato sopra in maniera alquanto disordinata per cercare gli appunti di algebra e Manuel seduto a gambe incrociate sul letto - anche se non ha tolto le scarpe - la chitarra in grembo e le dita che pizzicano distrattamente le corde rilasciando qualche nota casuale che non segue nessuna precisa melodia.
Da quella posizione può osservare la figura dell'altro ragazzo: le gambe muscolose e toniche fasciate da un leggero pantalone di cotone grigio – immagina sia il suo pigiama – la maglietta bianca a maniche corte che gli lascia scoperte le braccia e rendono evidente le macchie appena più scure che compaiono sui gomiti; poi c'è la parte bassa del suo collo, la leggera sporgenza che mette in risalto l'inizio della colonna vertebrale. Salendo, trova i capelli ricci, scuri e arruffati, e le orecchie ad una delle quali, di recente, ha messo un cerchietto argento.
Manuel non si è mai accorto di conoscere a fondo ogni minuscolo dettaglio del suo migliore amico e non sa se chiamarlo ancora in tal modo oppure trovare un'etichetta diversa.
Forse neppure serve catalogarlo, è solo questione di abitudine porre un rapporto per forza in un sottoinsieme quasi fosse di vitale importanza.
Prende un respiro profondo e spera di non essere diventato rosso sulle guance – perché si è accorto di essersi focalizzato troppo sul suo fondoschiena (per quale assurdo motivo? Sono etero, dannazione).
Fa appena in tempo dal momento che, finalmente, Simone si gira vittorioso tenendo mano un pezzo di carta stropicciato. «Trovato» esclama, prima di buttarsi di peso seduto accanto al compagno, facendo traballare tutto il materasso.
Manuel tenta di ignorare il proprio cuore che prende a battere più forte a causa della vicinanza ormai pari a zero che li divide – e di mettere a tacere ogni pensiero non consono che comincia a ronzargli in testa.
Si concentra sulle righe e gli scarabocchi che scorge sul foglio.
Dovrebbero studiare, è lì per quello, ma sono insieme da almeno due ore e non ha memorizzato un singolo concetto - e ha perso tempo a strimpellare, tra parentesi.
Simone prende a leggere ciò che c'è scritto sugli appunti, ma si accorge che l'altro non lo sta per nulla ascoltando. Così sbuffa. «La vuoi mettere via la chitarra o no?» si lamenta.
«Pensavo te piacesse» sì giustifica Manuel.
«Mi piace, ma se vuoi prendere otto in matematica, non ti serve a molto».
Deve annuire, per forza di cose. Rimuove lo strumento e lo pone in equilibrio accanto al letto, sperando non cada. Fa un solo cenno col capo all'amico, per invitarlo a riprendere quei concetti scolastici ai quali, tuttavia, non bada molto.
Viene facilmente distratto dal telefono di Simone appoggiato sul materasso che si illumina e fa comparire sullo schermo tre notifiche di Telegram.
Lo vede allungare un braccio con poca attenzione e bloccare l'apparecchio, premendo il tasto laterale.
Ha una domanda che gli preme sulla punta della lingua, che cerca di trattenere perché farebbe uscire fuori un sentimento che non dovrebbe provare.
Ci prova, con tutte le sue forze. Tenta di focalizzarsi sulle cose che Simone sta spiegando, nonostante lui non ci capisca nulla di matematica.
Tuttavia, con troppa facilità si arrende e si ritrova a chiedere: «Chi è?».
Si considera un'idiota solo per aver posto quel quesito è già inizia a temere l'eventuale replica.
Sono secondi di assoluta ansia che lo divorano almeno finché la risposta non sopraggiunge: «Niente di importante».
«Sicuro? Puoi rispondere se vuoi».
Simone aggrotta le sopracciglia e gli lancia un'occhiata furtiva. «Sono qua con te», dice «posso rispondere dopo».
«Magari è quella tizia, quella... non mi ricordo il nome».
Simone scrolla le spalle, appoggiando la schiena al muro dietro di lui e flettendo le gambe al petto. «Ma chi, Marta?».
«Eh» Manuel finge di aver già sentito quel nome – che poi lo ha sentito per davvero, solo che il suo cervello lo ha volutamente cancellato dalle informazioni ricevute.
«Boh, credo di non sentirla da – un mese, più o meno» Simone replica con assoluta tranquillità, aggiungendo «Tu non uscivi con quella – Valeria, mi pare?».
«Mh, no. Non eravamo – in sintonia, tipo».
«Bene».
«Bene».
«Troverai qualcun altro».
«Già. Anche tu».
È un botta e risposta al quale segue un attimo fin troppo lungo di assoluto silenzio – e Manuel potrebbe giurare di percepire persino il respiro di Simone farsi pesante, esattamente come il proprio.
Sta succedendo qualcosa di strano che non sa decifrare perché si sente come se gli avessero tolto un peso di dosso a sapere che il suo migliore amico è libero e non frequenta nessuno ed è cosciente del fatto che non dovrebbe sentirsi sollevato da una notizia del genere.
Da quando è passato dal voler essere come lui a volere semplicemente lui?
Perché lo vuole, giusto?
Dio, non crede di sapere più nulla.
Finisce per isolarsi nel suo mondo, a porre una spessa lastra di vetro per separarsi un attimo dalla realtà ed è la stessa che Simone manda in pezzi poco dopo con un accennato: «Proviamo un esercizio?».
Manuel deve scuotere la testa per riprendere un minimo di controllo, ma i risultati sono scarsi poiché dalla bocca gli fuoriesce «Che?» e nemmeno capisce a cosa l'altro si stia riferendo.
Simone abbozza una risata.
«Tutto okay?» chiede, ricevendo un cenno d'assenso col capo che però non è sufficiente a convincerlo che tutto davvero vada bene.
Allora si sposta, striscia in avanti col sedere facendo leva sui talloni così da essere più vicino all'altro ragazzo. «Sei in ansia?» sussurra.
Manuel manca giù a fatica della saliva – e sa a cosa porterà un simile quesito, inizia sempre così. E potrebbe dirgli che no, non è in ansia, che possono tranquillamente concentrarsi sulla matematica e...
E invece no, replica «Un po'», rivolgendogli uno sguardo supplicante nascosto tra le ciglia lunghe e scure e Simone, semplicemente, capisce.
Lo fa perché, in maniera lenta, una sua mano già si è posata sulla coscia di Manuel, pizzicando appena la stoffa dei pantaloni.
«Magari...» biascica «Magari posso provare a fare una cosa».
A quel contatto pressappoco inesistente, impedito dai vestiti, Manuel freme e stringe il labbro inferiore con gli incisivi osservando il volto di Simone che però tiene gli occhi puntati in basso e, ancora, non lo guarda.
«Cosa?» dice, strozzando tale parola in gola.
«Quella cosa, ma... ma con la bocca».
«Vuoi farmi un––».
«Sì».
Nessuno dei due dà una specifica definizione di quella cosa ed è assurdo come Simone non si sia fatto il minimo problema a pronunciare sega e sembri farsene con pompino. Però entrambi rimangono in silenzio e pare andare bene così.
Manuel non riesce a ribattere in qualche modo perché dire subito sì lo farebbe risultare patetico; quindi, esita, trattenendo il respiro.
Simone inclina leggermente la testa di lato. «Posso?» sibila con tono rauco.
A quel punto, Manuel il controllo nemmeno ce l'ha più e non ci prova a tenerselo stretto – e sì, è davvero patetico.
Annuisce, frattanto che solleva il bacino quel che basta per calare pantaloni e boxer insieme che ferma poco a metà polpaccio. Si ferma soltanto per mormorare «Non c'è nessuno in casa, vero?», a cui corrisponde un «No, siamo soli» che lo fa rilassare in via definitiva.
Nel frattempo, Simone scivola giù dal letto ritrovandosi in ginocchio sul pavimento.
Sfila lentamente le scarpe di Manuel senza slacciarle e le allontana distratto; in seguito si sbarazza degli indumenti che l'altro ha già, in parte, rimosso.
Si ritrova così stretto fra le sue gambe a penzoloni sul materasso, davanti al suo membro ancora rilassato che sfiora appena con le dita senza osare qualcosa di più di qualche carezza.
Manuel lo fissa, tremando un po' per il freddo, un po' per cose che ancora non comprende. «L'hai mai – fatto prima?» sussurra.
Simone scuote la testa in cenno di diniego «No», biascica «però voglio provare».
«Sicuro?».
«Sicuro. A te va?».
«Sì. Sì, mi va».
C'è ancora un momento di esitazione prima che qualche gesto avvenga.
Simone è titubante ad abbassare piano il capo, ma ogni impedimento si scioglie e svanisce nel momento in cui schiude le labbra e succhia leggermente la punta del principio di erezione di Manuel.
Quest'ultimo si ritrova a trattenere il respiro: sente la sua lingua cominciare a muoversi in maniera circolare, la sua bocca accoglierlo a scatti e più in profondità. È una sensazione di calore e benessere quella che lo avvolge sebbene Simone, ad un tratto, scopra i denti e gli faccia un po' male.
Non è un atto fluido e sicuro, è l'esatto contrario poiché c'è inesperienza, ma a Manuel non importa perché...
Beh, perché sta bene, perché percepisce il respiro di Simone su di sé, la sua bocca che lo ingloba nella sua totalità, le sue dita che si piazzano sulla base del proprio membro e si stringono attorno ad essa.
Lo guarda e lo venera al contempo ed è assurdo.
Per istinto, solleva una mano, la porta fra i suoi capelli e li tira indietro, scoprendo la fronte. La lascia lì, a mantenere le ciocche, a tirarle appena e a guidare i suoi movimenti a volte più veloci e poi dopo più lenti.
Geme sommessamente senza provare a trattenersi e crede di perdere del tutto le redini quando Simone sbatte le palpebre, solleva lo sguardo e i loro occhi si scontrano, si incontrano, si fondono.
È la prima volta che accade durante qualcosa di così intimo, durante cose che continuano a fare consciamente o meno.
È la prima volta che sono faccia a faccia e consapevoli di ciò che stanno compiendo.
Manuel darebbe tutto per sapere quali pensieri l'altro stia elaborando, se coincidono coi propri, se crede che quel desiderio e bisogno fisico che gli comprime lo stomaco sia giustificato e, soprattutto, giusto.
Prega affinché lo sia, affinché Simone non smetta – non smetta mai – e non gli dica che è tutto sbagliato.
Non lo sopporterebbe.
Buffo come sia diventato una dipendenza quel contatto in un tempo da considerare ridicolo.
Probabilmente, si rende conto, la brama di essere come lui non c'è mai stata e l'ha sempre solo voluto.
Già, deve esser stato così.
«Simó...» bofonchia Manuel ad un tratto «sto per––» e lo tira un po' indietro, per suggerirgli di spostarsi, che sta per raggiungere l'orgasmo, è vicinissimo, e sarebbe meglio se si ritraesse.
Ma Simone emette un verso strano che è molto simile ad un lamento e, invece di discostarsi, continua a muovere la testa e la lingua più sinuosamente, si spinge talmente a fondo da far grattare la punta dell'erezione contro la gola e quasi si provoca un conato di vomito.
È a quel punto che Manuel viene, con la mano ancora intrappolata fra i suoi capelli e un «Simó!» che urla e poi sussurra in una cantilena che lo porta allo stremo delle forze.
Simone si distacca solamente dopo dei secondi che Manuel non calcola.
Ha la vista annebbiata dal piacere che lo ha appena avvolto; scorge la sua figura un briciolo sfocata, ci impiega un po' a delineare i contorni.
Quando finalmente ha successo, lo nota con le labbra umide, schiuse, arrossate e gonfie.
Le proprie dita rilasciano in modo lento le ciocche che hanno tenuto ben salde; le sposta finché non raggiunge la sua bocca e ci passa il pollice sopra pizzicando la carne.
Forse il pensiero di baciarlo non l'ha mai colpito così tanto come in quel preciso istante, mentre la propria erezione si affievolisce e Simone è ancora in ginocchio davanti a sé, sotto il suo totale controllo.
È la prima volta che Manuel sente di avere qualche potere su di lui, essere addirittura in grado di impartirgli un ordine se mai volesse – e per quanto tale percezione sia illusoria.
L'istinto cerca di avere la meglio e lo porta a sporgersi nella direzione dell'altro per compiere – probabilmente – l'errore più grande della sua vita.
Tuttavia, Simone lo precede: repentino scatta in piedi rischiando di capitombolare a terra.
«Devo andare in bagno» annuncia, con voce strozzata. Dopo corre via senza degnare Manuel di uno sguardo.
***
Per due settimane non si parlano e a Manuel sembra di impazzire.
Simone va a scuola e si gira dall'altra parte se prova a rivolgergli parola.
Simone non risponde ai suoi messaggi, alle sue chiamate ed è pressoché convinto abbia fatto finta di non essere in casa quando è andato a bussare alla sua porta e sua nonna Virginia gli ha spudoratamente mentito.
Non si parlano e Manuel non capisce il perché.
O meglio, il motivo potrebbe anche saperlo, ma non crede che la soluzione più logica sia il silenzio.
No, quello non aiuta mai; quindi, vorrebbe intavolare un bel dialogo con lui, domandargli che è successo, se si rende conto di ciò che hanno fatto per circa un mese – la stessa cosa che vorrebbe rifare anche adesso, in ogni istante, magari ricambiando pure il favore.
Però Simone non gliene dà occasione e, di conseguenza, ogni cosa risulta più difficile.
Anzi, Simone lo evita proprio perché quella sera – in una classica uscita fra amici nei pressi di Trastevere – non lo ha nemmeno salutato ed evita accuratamente il suo sguardo.
E Manuel non riesce a comprenderlo.
Ora è seduto su dei gradini di pietra. Accanto a lui c'è solamente Matteo, quasi nella stessa posizione, con le gambe flesse e i gomiti appoggiati sulle cosce.
Il resto della comitiva è distante – Simone compreso; riescono a vederli dalla parte opposta del luogo, ma non a sentire quel che dicono. Sarebbe impossibile farlo a causa del chiacchiericcio sommesso che riempie ogni angolo dell'intera piazza e il ronzio dei motori degli scooter che vanno e vengono in modo del tutto disordinato.
«Oh, Manuè!» esclama Matteo ad un tratto.
Manuel sbatte le palpebre ed è costretto a distogliere l'attenzione da Simone che ride e scherza tranquillo in compagnia di Giulio e Aureliano, come se nulla lo stesse tormentando – o magari è solo bravo a fingere? O non gli importa niente? O è solamente stronzo?
Non ne ha idea.
«Oh, cosa?» balbetta, distratto.
Matteo ha la mano bloccata a mezz'aria. «Vuoi?» dice, porgendogli quella canna appena girata che regge tra indice e pollice. Manuel contrae il viso in una smorfia. «No, grazie».
«Sicuro? Te rilasseresti un po', c'hai 'na faccia».
Gli viene quasi da ridere: un modo per rilassarsi ce l'avrebbe pure, ma di sicuro non è fumare.
Ovviamente ad alta voce non rivela nulla. «Che faccia?» chiede, invece.
«Che ne so» ribatte Matteo, portandosi poi ciò che ha offerto all'amico fra le labbra e dandole fuoco con l'accendino. Prende una boccata di fumo, lo soffia verso l'alto. «Sembra che vuoi ammazza' qualcuno» spiega.
Qualcuno lo vorrebbe uccidere per davvero, una persona a caso che dista qualche metro da dove si trova. Tuttavia, tace ancora e scuote il capo in cenno di diniego.
Matteo prosegue, imperterrito, a far conversazione.
«Ma Valeria?» domanda «Mica sei annato in bianco pure con lei, eh?».
Ad essere sinceri, a quella ragazza tanto carina e cordiale, Manuel non ci ha più pensato da parecchio. Crede di non averlo fatto neppure quando ci è uscito insieme o quando lei gli si è buttata addosso e ha premuto le labbra sulle proprie; non ha sentito nulla.
È probabile pensasse già ad altro, che rivolgesse la mente al medesimo individuo che adesso lo manda su tutte le furie.
«Non me interessava più di tanto» risponde con semplicità e ottiene uno sbuffo sonoro di Matteo come netta reazione. «Daje, sei 'na pippa, Manuel!».
«Non vedo il motivo per cui devo stare con qualcuno se non me trasmette niente» si difende Manuel, ma la replica da parte dell'amico è repentina: «Seh, lo dici perché non te l'ha data».
Di solito si offenderebbe di fronte ad un'attestazione del genere – sebbene sappia che Matteo ha sempre battutine di pessimo gusto e incalzi di quel calibro per chiunque; stavolta, però, la sua affermazione non lo tocca per nulla, magari perché troppo distratto da altro, da preoccupazioni diverse che non riguardano un individuo di sesso femminile.
Così fa una smorfia, resta in silenzio.
Raccatta la bottiglia di birra piena a metà che ha in precedenza abbandonato sul gradino di fianco a sé e ne beve un sorso.
Quel discorso lo mette da parte e per qualche secondo – minuto, probabilmente – non proferisce parola.
Vorrebbe essere abbastanza brillo per dare la colpa di ciò che gli sta per uscire di bocca all'alcol, ma quella birra è l'unica cosa che ha buttato giù in tutta la sera.
Il punto è che non ce la fa più a trattenere ogni evento passato dentro e allora lo sputa fuori, tutto insieme e con, forse, la persona meno indicata: «So' stato co' Simone».
Matteo, ovviamente, non afferra subito il concetto – perché messa così quella frase pare normale e quindi «Sei sempre con Simone» commenta «anche se nell'ultimo periodo pare ignorarti».
Manuel, allora, si volta verso di lui, lo fissa con l'espressione più seria che riesce a trovare . «No, non hai capito» rimarca «Sono stato con Simone».
Matteo contorce il viso in una smorfia: non è chiaro se stia assimilando meglio l'informazione appena ricevuta oppure stia ancora tentando di comprenderla.
Ciò nonostante, dopo qualche attimo di titubanza, quasi urla «Ti sei scopato Simone––».
Manuel è abbastanza rapido da portargli una mano sulla bocca e impedirgli di gridare e sbandierare ai quattro venti il suo piccolo segreto.
«Che te urli?» lo rimprovera e si guarda attorno per appurare di non aver richiamato l'attenzione di nessuno – per sua fortuna, non è successo.
Matteo ha spalancato gli occhi e ora passa lo sguardo dal ragazzo di fronte a sé a Simone che sta dalla parte opposta della piazza.
Lo fa ripetizione, una, due, almeno dieci volte. «Quindi» dice, cercando di essere calmo e pacato «Voi due – oddio, voi due avete...».
«Non abbiamo scopato» lo interrompe Manuel e su quell'ultima parola si morde il labbro inferiore.
Evita di aggiungere che, in realtà, gli piacerebbe: ha già rivelato abbastanza. «Mi ha solo fatto...» aggiunge «Cose. Abbiamo fatto cose».
«Cose – cosa?».
«Dai, quelle cose».
Matteo aggrotta le sopracciglia. «Vi siete fatti seghe a vicenda?» propone.
E non ci può fare niente, Manuel odia quella definizione, gli dà un po' fastidio. Si sforza di scuotere il capo e precisare «Beh, lui ne ha fatte a me. E parecchie e poi l'altro giorno...».
«Che?».
«No, niente, lui ha fatto anche – beh, con la bocca, sai...».
A tal punto, Matteo si porta le mani tra i capelli: non si capisce se sia sconvolto, sorpreso oppure se aspettasse questa cosa da chissà quanto tempo e quella che mostra sia euforia.
«Oddio» dice «Ti ha fatto un pompino!».
La reazione a cui Manuel si trova al cospetto lo fa sbuffare e realizza che sì, ha proprio scelto la persona sbagliata con la quale confidarsi.
«Non c'è bisogno che te agiti» esclama, roteando gli occhi «tanto non credo si ripeterà e – e comunque lo ha fatto solo perché gli facevo pena. Nulla di serio».
«Oh, Manuel, il più delle volte fai pena anche a me, ma sinceramente non penserei mai a farte 'n pompino per consolarti».
Manuel serra le labbra.
Lo sa che quello che ha appena detto Matteo, in fondo, è la verità e la farebbe ben presente a Simone – se solo gli parlasse.
Per il momento, però, non è possibile farlo e non ha il coraggio di alzarsi in quel preciso istante, attraversare la piazza, raggiungerlo e affrontarlo.
No, non crede ne sarà mai in grado. È cosciente, poi, che in una discussione Simone avrebbe sempre la meglio perché è bravo a usare le parole, a rigirare una questione per portarla a proprio favore e, alla fine, lo porterebbe a sentirsi in colpa.
«Adesso che succede?» domanda Matteo, in seguito, e ha rimosso la maschera di sorpresa, facendosi serio.
«Non lo so» risponde Manuel «lo hai visto, non – mi evita e non capisco perché. Ha cominciato lui, l'ha voluto lui. Io non gli ho chiesto un bel niente».
«Simone è strano» Matteo lo afferma come fosse la cosa più normale del mondo – in fondo, lo è sul serio. Rivolge un'occhiata al ragazzo poco distante da loro, con il berretto di lana in testa, che ora tiene una sigaretta fra le dita e soffia il fumo verso l'alto.
«Magari dagli ancora un po' di tempo» continua «poi – boh, non lo so, verrà lui da te».
«Solo questo?» dice Manuel, dispiegando sulle labbra un falso sorriso – non che pretendesse consigli di alto livello da lui – «M'aspettavo più battutine a riguardo».
«Volevo farla sul verrà da te, ma me so' trattenuto».
Una risata gli viene comunque strappata per quanto non sia convinta.
No, sarebbe impossibile considerando che la persona che gli impedisce di farlo sul serio dista soltanto qualche metro che pare più simile a centinaia di chilometri o, forse, addirittura in un altro mondo.
***
Durante la terza settimana, Manuel adotta la stessa tecnica di Simone: lo ignora.
Smette di chiamarlo, di mandargli messaggi ed è il primo a cambiare lato del corridoio o della strada se lo incrocia a scuola.
È più difficile in classe, ma si è ingegnato.
Lo fa di proposito e gli viene anche male perché passa molto tempo a fissare il telefono con la conversazione aperta, in procinto di scrivergli. Poi ci ripensa e butta il cellulare sul letto, tra le coperte.
Fra di esse ci sta pure lui, steso sul materasso a fissare il soffitto, inerme. Probabilmente dovrebbe studiare: ha un compito di matematica tra due giorni e quelle dannate funzioni non gli vengono, il risultato è perennemente l'opposto di ciò che dovrebbe essere.
Deve esercitarsi, lo sa, e se solo quel coglione di Simone gli parlasse, gli chiederebbe ripetizioni o direttamente di passargli il compito.
Gli pare quasi di esser stato catapultato dentro ad una trama scadente di un film per adolescenti – il fatto che si tratti della sua vita rende il tutto alquanto avvilente.
D'improvviso, la vibrazione del telefono lo fa sussultare. Ci impiega qualche secondo a rintracciare l'apparecchio, prenderlo in mano e strizzare gli occhi per scorgere quel che appare sullo schermo. Si tratta di un messaggio.
Stronzo
Sei a casa?
Ah, è lo stronzo, pensa.
L'idea di non rispondere lo travolge nell'immediato, ma Manuel è irrimediabilmente debole e cede dopo poco poiché la risposta è pressoché istantanea.
Sì. Xk?
Stronzo
Dio, non sai scrivere in maniera normale?
Simó, che vuoi?
Stronzo
Aprimi.
Dv sei?
Stronzo
Sotto casa tua. Apri.
Manuel scatta in piedi con ancora il cellulare fra le mani.
Deve rileggere quel messaggio un paio di volte per rendersi conto che gli sia effettivamente arrivato e non se lo stia soltanto immaginando.
Sbatte le palpebre con lentezza, scuote la testa e si avvicina alla finestra.
Sbircia attraverso le tende e sì, Simone c'è davvero sotto casa sua, per quel poco che può osservare.
Esita ad obbedire e desidera quasi rispondergli di andarsene, che non lo vuole vedere. Lo scrive addirittura, picchiettando con le dita sul touchscreen.
Ciò nonostante, tre minuti e ventidue secondi dopo, Manuel va ad aprirla quella porta e Simone si ritrova nella sua camera, loro due faccia a faccia e un silenzio opprimente a circondarli.
«Che vuoi?» domanda di nuovo Manuel – stavolta a voce alta – mantenendo l'espressione più dura e seria che riesce a trovare.
Simone rimuove il cappuccio dalla testa e passa distratto le dita fra le ciocche disordinate.
«Tua madre quando torna?» rigira il quesito e, di riflesso, Manuel sbuffa e ancora: «Che vuoi?».
Non ottiene una replica – non verbale, perlomeno. Simone gli si avvicina a passo lento, tenendo gli occhi dritti nei suoi e lui non osa indietreggiare.
Gli permette di ridurre la distanza finché non rimangono pochi centimetri a separarli e l'altro non è in grado di allungare una mano, afferrare l'elastico dei suoi pantaloni della tuta e tirarlo appena.
A Manuel occorre poco per capire quale sia l'obiettivo di chi gli sta di fronte e, se desse retta al proprio istinto, cederebbe e si lascerebbe toccare.
Il punto è che deve prendere le redini della situazione, per una volta deve essere quello forte e stabile, impedendo a Simone di decidere e avere il controllo su ogni singolo aspetto.
Così lo afferra per il polso, stringe la presa e un po' forse gli fa male. Lo strattona per allontanarlo.
«No» sibila.
Simone ci riprova, tenta nuovamente un approccio, ma viene bloccato.
Allora sbuffa. «Perché?» cantilena «Pensavo ti piacesse».
«Mi piace» Manuel lo confessa con fin troppa enfasi e scuote appena il capo per alleviarla. «Mi piace» ripete, più piano «peró tu non – non puoi venì qui, fare cose e poi sparire pe' settimane. Cristo, non sono il tuo giocattolo».
«Non sono sparito» si giustifica Simone, scrollando le spalle «avevo solo – impegni, ecco».
«Che impegni, uh? Talmente tanti da non rispondere una mezza volta al telefono? O a scuola? Semo vicini de banco, te lo vojo solo ricordà».
«Stai facendo l'isterico».
«Tu vieni da me, me confondi e poi te dissolvi nel nulla. Me incasini e dopo te ne sbatti il cazzo. Quindi, se voglio fare l'isterico, ne ho tutto il diritto».
Manuel non ha idea da dove stia trovando il coraggio di urlare tutte quelle frasi, la forza di non nascondersi e sottomettersi come accadrebbe di solito fra loro – perché spesso basta un'occhiata da parte di Simone per farlo indietreggiare e ammutolire.
Stavolta non ne ha voglia e sostiene il suo sguardo duramente, deciso, impassibile.
«Si può sapere che vuoi?» esclama ancora «Hai dato tu inizio a tutto questo, io manco c'avevo pensato» – è una bugia, ci ha pensato più volte, ma è un dettaglio – «Potevi startene fermo e – e non sarebbe successo, saremmo ancora normali, ma no, no, no, Simone deve sempre incasinare tutto e f––».
Il flusso delle sue parole viene interrotto d'improvviso e a Manuel sembra di non respirare più, non quando la bocca di Simone si preme con forza e vigore contro la propria, quando sente la sua lingua leccargli il labbro inferiore e i suoi denti scontrarsi a ridosso dei propri incisivi.
Non crede di capire cosa stia succedendo, sa solo che Simone gli è addosso, gli stringe il viso fra le mani e lo spinge finché lui non ricade di peso sul materasso, seduto, con l'altro a cavalcioni sulle cosce.
Si stanno baciando, lo stanno facendo per davvero.
Ed è strano perché i gesti di entrambi sono impacciati: c'è troppa saliva, troppa foga che li porta a mordersi l'un l'altro, tutto troppo.
Eppure, va bene ed è bellissimo come se quel desiderio bruciante li stesse consumando e facendo ardere.
Simone si distacca solo per un attimo – per riprendere fiato, probabilmente – e «Fammi un succhiotto» ordina, biascicando e strusciando una guancia contro quella di Manuel.
«C-che?» mugola quest'ultimo, con le palpebre socchiuse e cercando di nuovo le sue labbra.
«Un succhiotto» ribadisce Simone «vuoi un disegnino?».
Manuel è ancora più confuso e non sa se sia a causa del caldo che improvvisamente sente, al fatto che Simone abbia iniziato a mordicchiarli il lobo dell'orecchio o – o tutta la situazione, nella sua assurda totalità.
Tuttavia, annuisce di rimando, in automatico, e si fionda su quella porzione di pelle nivea alla quale il compagno lo sta invitando.
La stringe piano tra i denti, ci passa la lingua sopra, poi succhia, lecca ancora e sì, ci rimarrà un bel segno. In realtà, non si capacita di come riesca a compiere un atto simile, prima non ha mai avuto successo finendo solitamente per riempire il partner di turno con eccessiva saliva e nulla che fosse lontanamente sexy.
Beh, non crede di esserlo neppure in quel momento eppure, quando solleva e allontana il capo, ammirando così il cerchio irregolare che spicca sul collo niveo di Simone, non può trattenere un sorriso sincero, estremamente soddisfatto da sé stesso.
Tale contemplazione dura poco poiché Simone lo bacia di nuovo, con più foga, più a fondo, lo fa finire sdraiato completamente sul letto e Manuel non ha più idea di dove mettere le mani che vagano un po' ovunque, dalle cosce, al sedere, ai fianchi, ai capelli dell'altro ragazzo – e immagina sia uno brutto spettacolo visto da fuori.
E tutto peggiora e precipita nel momento in cui Simone comincia a creare una frizione piacevolmente dolorosa tra i loro bacini.
Manuel percepisce la sua erezione contro e la propria scalpitare, racchiusa dal tessuto dei boxer e della tuta.
Non ha mai provato una simile sensazione, mai.
Con una ragazza non è mai stato così – così... Intenso.
Ecco, forse è la parola giusta da usare.
È intenso.
È selvaggio, è devastante, è totalizzante, è incasinato e...
Dio, Simone sta continuando ad incasinargli la vita pur rendendogliela al contempo estremamente bella – è possibile?
«Manuel? Manuel, vieni a darmi 'na mano, c'ho la spesa!».
È una voce squillante e acuta quella che porta Simone a sobbalzare, tirarsi su in uno scatto e inciampare sui lacci sciolti dei propri anfibi, cadendo rovinosamente a terra.
Manuel tenta di stargli dietro, si alza da letto e lo aiuta a rimettersi in piedi.
Ha capelli arruffati e l'espressione stralunata come se qualcuno lo avesse svegliato di soprassalto – un po' è ciò che è successo.
«C'è tua madre!» sibila Simone fra i denti mentre tenta di ricomporsi un minimo, spiegando i vestiti che ha indosso che si sono stropicciati.
Manuel ci impiega qualche secondo a realizzare e riprendere il contatto col mondo reale – gli pare di esser stato catapultato in un sogno, del resto e «Sì, mà, mo' vengo» urla, per farsi sentire.
Nel frattempo, Simone è riuscito nella sua piccola impresa. Si morde piano il labbro inferiore.
«Esco dalla finestra» annuncia e già si sta dirigendo verso di essa per aprirla e saltar fuori.
Prontamente, Manuel lo ferma tenendolo per un polso e scuotendo la testa. «Ma sei scemo?» lo rimprovera, fissando gli occhi nei suoi «Col tuo equilibrio finisci spiattellato sul marciapiede in tre secondi».
«Beh, ce sta tua madre di là, mica posso usare la porta».
«Sei sempre qua, t'ha visto uscire 'n sacco de volte dalla mia stanza e te conosce. Che problema c'è?».
«Che ho un succhiotto appena fatto sul collo, ecco che problema c'è».
A quello Manuel non ci ha davvero pensato e adesso, con appena più luce, riesce a vedere il segno rossastro che spicca sulla pelle dell'altro e va bene, sua madre non sarà certo un'esperta – vuole credere sia così – ma è palese che si tratti di qualcosa di fresco e non datato.
La prima cosa che gli viene in mente, dunque, è allontanarsi di qualche passo, aprire l'armadio e recuperare una sua vecchia sciarpa rossa di lana.
È piuttosto logora, la possiede da quando aveva undici anni, più o meno, ma non ha mai avuto il coraggio di buttarla via.
«Metti questa» propone, tornandogli vicino e porgendogli l'accessorio.
Simone contorce il viso in una smorfia. «Mi stanno male le sciarpe» si lamenta.
«A nessuno stanno male le sciarpe».
«A me sì».
«Mettila e basta».
Uno sbuffo è la risposta secca a quell'ordine impartito male e tutt'altro che autoritario. Manuel ne è comunque contento e nota con piacere che tale indumento sta molto meglio a lui che a sé stesso.
«Sto uno schifo» commenta Simone, schioccando la lingua sul palato e scuotendo a ripetizione il capo.
Manuel ignora quei gesti scontenti; gli si avvicina come un magnete attratto da una calamita e gli deposita un casto bacio sulle labbra, più delicato e lieve rispetto al precedente. Il perché lo ha fatto rimane un mistero esattamente come il motivo per cui è accaduto soltanto dieci minuti prima.
«Ti chiamo più tardi» sussurra «Rispondimi, per favore».
«Sì, sì, ti rispondo» Simone replica, ormai già fuori dalla porta della stanza.
«Prometti?» domanda ancora Manuel, ma l'altro è troppo lontano e nemmeno più lo sente.
***
Simone non ha promesso, però alle telefonate ha risposto.
Lo ha fatto anche con i messaggi.
È rimasto e non è sparito e allora Manuel è sollevato. Non del tutto tranquillo, ma sollevato sì, perché una parte dei suoi pensieri si è alleggerita e svincolata, quindi – sotto certi aspetti – l'ansia lo ha abbandonato.
Eppure esiste un tarlo che continua a tormentarlo e non riesce a scacciarlo via.
Quel quesito ossessivo che gli martella in testa a suon di che sta succedendo?
Qualcosa sta succedendo.
Perché se prima reputava improbabile un bacio con Simone, ora che l'ha avuto è nettamente più confuso rispetto a prima.
Non capisce il motivo per cui desideri così tanto altri baci, per cui lo voglia toccare, sentire la sua pelle, annusarlo persino, mettere le mani fra i suoi capelli e tirarli, udirlo gemere e, forse, pure gridare il proprio nome.
È stupido e al limite dell'imbarazzante, ne è del tutto consapevole.
Il punto è che non crede che possa trattenere ancora a lungo ogni impulso che ha nei suoi confronti e vuole sapere se – non ha idea di cosa voglia effettivamente sapere.
Probabilmente soltanto se tali sensazione avvolgono anche Simone oppure se riguardano soltanto lui.
Tutto qui.
Quando Simone gli comunica di raggiungerlo a Villa Borghese, Manuel è timoroso, agitato e il cuore nel petto gli batte ad un ritmo incredibilmente forte.
È sul luogo con le mani affondate nelle tasche dei jeans e il capo basso.
Trova l'altro ragazzo già lì, accomodato su una panchina, le gambe incrociate e una sigaretta fra indice e medio.
«Ehi» mormora, appropinquandosi a lui e sedendogli accanto.
Tende a tenere lo sguardo distante dal suo profilo, dal suo corpo in generale per non cedere a quei desideri brucianti.
Simone ricambia il saluto con un leggero cenno del capo.
Seguono dei secondi di assoluto silenzio tra loro, riempito solamente dagli schiamazzi di bambini che giocano e richiami dei genitori abbastanza distanti da loro – tanto che è difficile stabilire con precisione da quale direzione provengano.
«Volevo farti venire a casa» mormora Simone, ad un tratto, e butta il mozzicone di sigaretta quasi del tutto integro e ancora acceso a terra; soffia il fumo verso l'alto e «Però con mio padre e mia nonna, non—non mi pareva il caso».
Manuel annuisce di rimando, ancora non osando guardarlo. «Sì, tranquillo» sussurra «nemmeno io avevo casa libera».
«Dovremmo trovare un posto, no? Che sia – libero, quando ci serve».
Fa di nuovo cenno di sì con la testa. Pensa che magari potrebbe intavolare il discorso in quel preciso istante, domandargli che diavolo sta succedendo e che diavolo stanno facendo.
Apre la bocca per agire in quella maniera, ma la richiude nell'immediato e in un tempo ridicolo decide di lasciar perdere.
È come se Simone gli avesse letto nel pensiero, tuttavia, poiché passa davvero poco prima che «Manuel?» lo richiama «Ma che stiamo facendo?».
E una risposta Manuel non se l'è preparata: sperava l'avesse lui – Simone pare sempre avere una soluzione ad ogni cosa ed è alquanto strano osservarlo dubbioso e alla deriva.
«Non – non lo so» balbetta «Cose, immagino».
«Cose» ripete Simone, fissando la ghiaia a terra e smorzando una risata. «A me piace toccarti» confessa nella maniera più spontanea e genuina possibile «e mi è piaciuto pure baciarti. E tanto».
«Sì, è piaciuto anche a me».
«Vorrei ribaciarti ora».
Soltanto a tal punto entrambi si voltano, all'unisono, e i loro occhi si incrociano e si fondono l'uno con l'altro.
È strano perché forse dovrebbe esserci tensione mista ad insicurezza e un briciolo di malinconia.
Manuel, però, ha addosso soltanto dolcezza e – e qualcosa che non sa decifrare. Vorrebbe dirgli di farlo, di baciarlo in quel preciso istante: ha appurato che il desiderio che lo ha attanagliato per giorni è ricambiato e pare non riuscire più a trattenerlo.
Ma lo fa, resta in silenzio e si limita a fissarlo.
«Non credo mi piacciano i ragazzi» aggiunge allora Simone, mordendosi piano il labbro inferiore «Cioè, non ne sono sicuro. Nel senso, non me lo sono mai chiesto, non prima di—di tutto questo. Forse un po' quando ero in Scozia, ma ho lasciato perdere quasi subito».
«E io te piaccio?» Manuel si ritiene al limite dell'infantile a porre una domanda del genere, ma gli è uscita di bocca spontaneamente – e adesso è convinto che le proprie guance si siano tinte di rosso mentre lui trattiene il respiro e tenta di non svenire.
Simone, di riflesso, sorride e tenta di camuffare tutto con una smorfia «Ti ho detto che mi piace toccarti e baciarti» fa notare «secondo te? Mi piaci. Ovvio che mi piaci».
E ora Manuel è convinto che le gote gli stiano andando a fuoco, probabilmente perché mai nessuno gli ha confessato una cosa simile, lui non è mai piaciuto davvero a qualcuno - perlomeno, nessuno glielo ha mai detto ad alta voce, le cose sono solo capitate. Invece qualcuno glielo sta dicendo in quel preciso istante e si tratta di Simone.
Di Simone, il suo migliore amico che forse sta diventando pian piano qualcosa di più.
«Magari possiamo – possiamo continuare a fare queste cose» propone, a voce così bassa da essere a stento udibile «e poi vedere come va».
«Vedere come va?».
«Sì, senza – senza programmare o pensare niente».
Una replica da parte dell'altro ragazzo non la ottiene, solamente un'assenza di suono che risulta comunque eloquente – perché Manuel i silenzi di Simone li conosce a memoria.
Allora si lascia scappare una risata appena accennata, si sbilancia un briciolo verso destra per far scontrare le loro spalle.
Un gesto rapido, veloce, che nessuno può sul serio fraintendere e che, però, significa molto di più di un semplice sfioramento o contatto involontario.
E Simone questo lo sa.
Lo sa e sorride anche lui, perfettamente consapevole.
E poi...
Poi si vedrà.
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