Capitolo 1 - Tango o Bourrée
Prompt: sole-baracca-ti offro da mangiare-i miei migliori auguri
#MayIWrite #giorno10 #fuorichallenge
Una giornata davvero uggiosa.
Un cielo grigio perla, una pioggerella stupida.
Un clima da cappuccino e croissant. Peccato che, al villaggio olimpico i bar facciano schifo: l'unica possibilità è darsela a gambe e farsi un giro in centro, per arraffare qualcosa di buono in un café, sporcarsi il naso di zucchero a velo e poi tornare quatto quatto all'ovile.
Quando piove così, a Tooru viene sempre una assurda e infantile voglia di dolce e in quel preciso momento della sua vita, a ridosso del torneo olimpico di Parigi, quel pungolo goloso mal si sposa con il rigido programma di allenamento a cui deve attenersi.
Eppure, la sola idea di poter sciogliere sulla lingua una gemma di burro basta a scatenargli vere proprie reazioni pavloviane
Torna con la mente a una mattina di qualche anno prima, altrettanto piovosa e triste. Aveva provato la stessa sfrenata voglia di dolce mentre si trovava da solo nel terminal dei voli internazionali di Haneda.
Si rivede davanti alla vetrata che affacciava sulle piste lucide di pioggia. Aveva appena salutato Iwa-chan (il quale lo aveva prima picchiato con le lacrime agli occhi e poi lo aveva abbracciato forte) e al momento di imbarcare la valigia, per un istante lungo un'eternità, dentro di lui aveva tremato tutto, fino alle fondamenta: la decisione, il desiderio, la speranza, l'eccitazione, la curiosità, l'arcobaleno di pensieri e di emozioni che si era dipinto addosso da solo per mesi in vista della partenza. Tutti quei pilastri colorati si erano come piegati, deformati sotto un peso improvviso e difficile da sorreggere. Qualcosa gli aveva stretto il cuore, una sensazione mai sperimentata di puro dolore. Trasparente, cristallino, duro e tagliente, come un diamante.
La sua famiglia. Hajime. La sua squadra, i suoi amici.
La tranquillità della vita di tutti i giorni sacrificata per iniziarne una nuova, scardinata dal consueto, lontana dalle sue piccole e banali zone di conforto, quelle che da sempre costituivano il Piccolo Regno del Grande Re. Un piccolo regno splendente costruito su equilibri precari, su emotività e autocontrollo in perenne e difficile bilanciamento. Dentro di lui aveva ondeggiato tutto, come durante una scossa di terremoto, ma era stato solo un attimo e lentamente era riuscito a riprendersi. Del resto, decidere di partire era stato come sforzarsi di uscire da una specie di crisalide, cementata addosso alla sua pelle da anni di pacche sulla spalla, di complimenti, di riconoscimenti. Di rassicurazioni sulla sua bravura e sul suo enorme potenziale.
Anni anche di schiaffi e pallonate, da parte di Iwa-chan, che ogni tanto lo riportava sulla terra. Tutto era servito a farlo crescere, ma la metamorfosi che aveva subito lo aveva lasciato comunque tramortito, disorientato, con due grandi protuberanze sulla schiena che sentiva ancora deboli e ripiegate.
Emolinfa. Serve a gonfiare le ali delle farfalle, diceva il suo professore di scienze.
Ne avrebbe avuta abbastanza da quel momento in poi?La mattina della sua partenza il volo era in ritardo e Tooru si era messo a ciondolare per il terminal dell'aeroporto, infastidito dall'odore di gomma vulcanizzata del pavimento e dei bicchieri sporchi di caffè infilati nei cestini della spazzatura. E anche dal rumore delle rotelle dei trolley, dei tacchi, dalle voci, dai mondi che giravano attorno al suo, ciascuno con la propria rotta. E dalla pioggia.
Per ammazzare il tempo e per tirarsi su aveva preso qualcosa da mangiare in un piccolo corner di una catena francese internazionale e per quanto quel croissant fosse stato scongelato e scaldato soltanto pochi minuti prima che glielo servissero, lo aveva comunque divorato con avidità e la serotonina era andata velocemente in circolo. E poi, finalmente l'imbarco per Buenos Aires. Il tunnel fino all'aereo, il sedile accanto al finestrino, sull'ala.
Mentre il suo stomaco si sollevava e l'inerzia lo schiacciava allo schienale, mentre il ventre dell'aereo si richiudeva sul carrello e i flap si appiattivano, si era ripetuto a lungo, a occhi chiusi e a bassa voce, le parole che la notte prima, per farsi coraggio, aveva messo insieme in una specie di mantra estemporaneo, dedicandolo ai suoi affetti:
Il mondo è uno solo. Vedremo lo stesso sole e la stessa luna. Respireremo lo stesso ossigeno. Saremo solo un po' più distanti.
Durante quel lungo volo dal Giappone all'Argentina aveva dormito, scritto messaggi, mangiato, aveva riso, aveva pianto.
Era atterrato, aveva raggiunto la sua meta e si era messo in ascolto e osservazione pazienti, come un viaggiatore alle prese con un territorio inesplorato e abitato da una strana popolazione. Era stata dura, all'inizio, ma con il tempo era riuscito a trovare una sua nicchia ed aveva varcato le linee di un nuovo campo, sul quale i giocatori chiamavano la palla con una lingua diversa eppure facevano esattamente le stesse cose che era abituato a fare lui da quando era piccolo: sudare, correre, saltare, fare punto, vincere. Perdere, anche. E all'improvviso, tutto gli era apparso nuovamente naturale. La nuova maglia, quella dell'Atletico San Juan, se l'era finalmente sentita cucita addosso, con la misura giusta per lui.
Mentre viaggia a ritroso nel tempo, l'interno della sua camera squilla, riportandolo di nuovo a Parigi, alla pioggia, al desiderio burroso che lo divora.
"Oikawa."です, stava per aggiungere.
In un inglese stentato, la giovane receptionist all'ingresso della loro palazzina (Josiane... forse?) articola una frase che all'inizio Tooru non riesce a comprendere. Sta per interromperla quando sente nella cornetta le parole
"Ushijijimà Wakatoshì."
U-shi-ji-ji-mà... Tooru a quel punto la stoppa brutalmente.
"Disculpes?..."
"Misterr Ushijijimà... he left a message for you."
U-shi-ji-ji-mà, si ripete Tooru meccanicamente.
La nazionale è ospite in un'altra zona del villaggio, insieme alle altre compagini olimpiche giapponesi, Tooru ha però sentito solo Hajime e ha saputo da lui che la presenza di Wakatoshì era in forte dubbio per motivi personali.
La prima cosa che Tooru si era chiesto, di getto, era che razza di motivi personali potesse accampare uno che non aveva una vera vita oltre a quella biologica. Lui poteva avere motivi personali. Non un Nexus-6 come il mancino dello Shiratorizawa.
"Monsieur Oikawà? Allô?"
"Hai!... " Risponde di getto in giapponese. E poi "Oui... Yes..."
"You find the message at the rrreception!"
"Has he gone away?"
Josiane tagliò corto "Yes."
"Gracias..."
Afferra il cellulare
Tu
Ma Ushiwaka gioca??
Iwa-chan
Al 99% sì
Tu
Ma non aveva problemi personali?
Iwa-chan
Risolti, più o meno
Tu
E che problemi erano?
Iwa-chan
C....i suoi, direi
Tu
Sei sempre così affabile
Iwa-chan
E tu una pettegola
Comunque, arriva a Parigi domani direttamente da Varsavia.
Come domani??...
Iwa-chan
Ehi, che fai a pranzo? Kageyama voleva salutarti, e anche Hinata
Tooru allora taglia corto, impaziente di leggere quel messaggio lasciato da uno che ufficialmente non era neanche arrivato per lasciarglielo.
Tu
Ho altri impegni. Ciao ciao a Gamberetto. Dito medio a Tobio-chan
Poco dopo, al piano terra, Josiane gli porge un biglietto. Sopra c'è scritto solo un numero di telefono e la frase Mi piacerebbe incontrarti. Mi trovi a questo numero a partire dalle 15.Il numero però non sembra un cellulare ma un fisso.
Si rivolge alla donna. "Ehm, excusez-moi, is this a mobile number?"
"No, but I can scheck on the web. It's Paris, anyway."
Viene fuori che quello era il numero di una clinica privata al centro di Parigi. Tooru guarda l'orologio. Ha due ore di allenamento prima di pranzo e poi il pomeriggio libero. La voglia di dolce non lo ha ancora abbandonato, resta persistente sulla linea di fondo della sua coscienza, mentre sotto rete i suoi pensieri si affaccendano intorno alla decisione che deve prendere.
O meglio, l'ha già presa ma deve ancora capire perché l'ha presa: per curiosità? Perché era da anni che avrebbe voluto parlargli? E per dirgli cosa? Che lo stupido orgoglio aveva ceduto il passo a favore di una modesta sicurezza nelle sue capacità?
Ushijjimà! Meraviglioso, supera Ushiwaka, non vede l'ora di prenderlo in giro, lui che odia i nomignoli. Ecco, quello può essere un buon motivo per uscire con la pioggia. Oltre al croissant, beninteso.
****
Finito l'allenamento, una doccia al volo, una barretta proteica e si infila una tuta anonima e un k-way, e dopo aver calcolato il percorso più rapido per raggiungere la clinica, si avvia. Il cielo è sempre perlaceo ma più luminoso, ai limiti del fastidio. È come avere un neon acceso sulla testa.
Piove ma meno di prima.
Il quartiere in cui atterra è sul LungoSenna. Sono quasi le due e mezza e si trova ad affrontare una strana sensazione, quella di avere lo stomaco chiuso e di contemporaneamente di salivare per la fame. Fame ormai chimica.
Alle 15 in punto chiama quel numero.
"Ushijima."La voce è più profonda di quanto ricordi.
"Sono Oikawa..."
"Grazie per aver chiamato."
"Sono praticamente qui sotto."
"Grazie per essere venuto."
"Senti, ci vediamo..." Tooru si guarda intorno, improvvisamente in imbarazzo: dargli appuntamento al Café des Amoureux, proprio davanti alla clinica?
"Qui sotto, al Café des Amoureux." Conclude Ushijima.
Tooru ride debolmente, nervoso. "Va bene anche qualcosa di meno... complicato!"
Ma che nome del cavolo!!
"Non capisco. Cosa c'è di complicato? Aspettami lì. Arrivo."
Non capisce neanche Tooru che cosa ci sia di complicato ma qualcosa c'è. Da qualche parte, che striscia fra la tensione e la curiosità. E la fame chimica di burro e zucchero.
Il caffè è semivuoto ma quando Ushijima entra e lo raggiunge al tavolo, Tooru ha l'impressione che lo spazio intorno a loro si sia improvvisamente riempito. O forse rimpicciolito. Qualcosa gli preme addosso e sente che se anche a un certo punto decide di andarsene con una scusa qualsiasi, dovrà faticare per guadagnare l'uscita. Anche lui in tenuta sportiva senza loghi o bandiere, il mancino dei suoi incubi sembra ancora più alto e piazzato ma ha una strana espressione. Tooru mette da parte l'idea di prenderlo in giro chiamandolo alla francese. Ushijima ha una pessima cera, che gli spiana però i lineamenti e lo libera quel cruccio fisso che porta stampato in faccia dalle medie. Spiccano gli occhi verdi - più scuri forse. Più belli, anche. Nella migliore delle ipotesi è stanco, nella peggiore preoccupato.
"Non ho pranzato." Esordisce "Hai fame? Ti offro da mangiare."
"Prendo un cappuccino e un croissant!" Tooru risponde con entusiasmo ma non per l'offerta in sé quanto per la sostanza dopante che non vede l'ora di assumere.
"Ma non preoccuparti per me, ci penso io..." Si affretta infatti ad aggiungere imbarazzato per impedirgli di pagare per lui. Inascoltato, poiché Ushijima è già arrivato al bancone.
Poco dopo, una cameriera porta al loro tavolo un vassoio con il croissant, il cappuccino e un succo d'arancia più insalata per Ushijima.
Tooru osserva la sproporzione calorica tra le due ordinazioni. Deve aver fatto una faccia buffa perché qualcosa di molto simile a una risata bassa gli arriva alle orecchie. Solleva lo sguardo. Gli occhi stanchi di Ushijima, di un verde scuro e profondo, i lineamenti ammorbiditi e la curva delle labbra ancora socchiuse sulla risata che avevano appena regalato al mondo lo stupiscono profondamente.
Un Nexus-6 pericoloso perché straordinariamente vicino all'umano. Un Nexus-6 che ride come un essere umano.
Un test Voigt-Kampff, per favore, insieme al conto!
"Buon appetito." Dice Ushijima.
"Disapprovi?" Anche Tooru è divertito dalla situazione.
"Il picco glicemico ti terrà sveglio."
"Domani giochiamo con la Russia. Non chiuderei occhio comunque." Risponde Tooru.
Rimangono in silenzio per qualche istante. Poi Ushijima riprende il filo del discorso.
"Oikawa, come te la passi? Come stai?"
È strano avvertire quel sapore di burro e zucchero sulla lingua mentre due perle verdi lo fissano e una voce magnetica gli parla. È strano e piacevole. E intenso. E... stop.
"A mille. Non si vede?" Risponde allora Tooru.
"Abbastanza..."
"E tu?"
"Un po' sotto botta, ma mi passerà giocando."
"Perché il numero di una clinica?" Ushijima beve l'ultimo sorso di spremuta. Chiude gli occhi un istante, poi li riapre, più lucidi.
"Mio padre è in sala operatoria, in questo momento. Intervento al cuore.
"Tooru smette di masticare e manda giù il burro e lo zucchero.
"Oh... ti-ti faccio i miei migliori auguri, allora! Spero si rimetta presto."
"Grazie."
"Ma... Perché hai voluto vedere me e non uno dei ragazzi della squadra?"
"Perché ho capito che niente dura per sempre." Ushijima sospira.
È una specie di fremito che rivela la tensione e la preoccupazione che lo attanagliano, la paura che qualcosa vada storto, che quel caffè semivuoto passi alla storia come l'ultimo momento di normalità prima di un cataclisma. Tooru capisce che deve restare in silenzio.
"Possiamo... sparire... da un momento all'altro. Io volevo scusarmi con te per le mie parole, quel pomeriggio a Sendai. Ti ho criticato perché ero convinto che fossi sprecato per una squadra come il Seijoh, senza un vero asso..."
"Un vero asso... Come te?"
"Già. Volevo un alzatore che si dedicasse completamente a me. Volevo te, e me la sono presa con il tuo orgoglio quando avrei dovuto prendermela con me."
Ushijima lo avvolge completamente con le sue parole fatte di voce grave e lenta. Tooru non trova come rilanciare, come uscirne. Come evitare ragionamenti eccentrici e fuori fuoco, nel caffè degli innamorati. E resta ancora più immobile e all'angolo quando un dito di Ushijima gli sfiora il naso.
"Hai dello zucchero a velo."
"Ah..."Ormai non si guardano più, si studiano.
"Andiamo a farci un giro? È uscito il sole " Propone Tooru alzandosi quasi di scatto. Via dall'angolo, via dal dolce che nasconde l'amaro.
"Ok"
Si avviano sul LungoSenna, e camminano in silenzio finché non raggiungono una specie di baracca di legno che si affaccia sul fiume. Giungono note musicali. Una balera.
Si affacciano alla porta e vedono un gruppo di anziani che balla il tango. Per Tooru è una carezza sul viso, la musica che ormai ascolta ovunque in Argentina. Anche le foglie al vento suonano come il tango.
"Sono bravi" dice Ushijima.
"Conoscono i passi, ma non sono come gli argentini." sentenzia Tooru
"In che senso?"
"Il tango è un ballo di distanze che si colmano solo per un istante." Dice Tooru, quasi fra sé.
"Ma quell'istante vale tutta una vita. E il bello è che puoi riviverlo ancora, nota dopo nota, abbraccio dopo abbraccio. Distanza e vicinanza. Solo gli argentini sanno esprimere tutto questo."
Il mondo è uno solo. Vedremo lo stesso sole e la stessa luna. Respireremo lo stesso ossigeno. Saremo solo un po' più distanti.
"Esiste anche un ballo durante il quale non ci si avvicina proprio mai, ed è la bourreée." afferma Ushijima con convinzione.
"È un ballo di origini francesi ma va molto anche in Polonia."
"E tu che ne sai?" Chiede Tooru visibilmente colpito.
"Lo balla la mia padrona di casa. Se osservi i ballerini, nonostante non si tocchino sembrano carichi come magneti." Sono entrambi sulla porta, le braccia incrociate. Sembrano osservare e studiare fenomeni naturali anziché esseri umani che ballano. Poi Tooru si volta verso Ushijima e lo trova pensoso, appeso al suo viso. Se lo sente addosso, quasi. È strano capire all'improvviso e per la prima volta che gli è mancato. È strano ed è una novità assoluta.
"Wakatoshi. Tu quale preferisci fra i due?"
Ma sa già la sua risposta, che gli ride negli occhi verdi, ormai screziati dal sole.
(Continua...)
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