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Prologo

"Nonno! Ci racconti una storia?"
Stavo riposando davanti al fuoco del camino. Il crepitare dei ceppi in via di esaurimento, dati in pasto alle fiamme, e il loro flebile scoppiettio in scintille ardenti mi aveva ipnotizzato, accompagnandomi dolcemente verso il sonno.
Con il sopraggiungere della vecchiaia capitava sempre più di frequente. La stanchezza, infatti, aveva preso il posto del vigore che da fanciullo mi contraddistingueva. Le membra erano diventate pesanti, il respiro affannato, i movimenti ardui da compiere.
Ma non mi lamentavo.
Poichè la mia vita era stata felice, in fondo: alla soglia dei miei 65 anni, ormai, la saggezza mi faceva sorridere dell'imprudenza dimostrata in giovane età. Tuttavia, non mi rimproveravo di nulla, dal momento che ogni singola scelta presa in passato mi aveva condotto sino a quel preciso istante, lo stesso in cui ha inizio la vicenda che sto per narrarvi.

Io che stropiccio i miei occhi poco lucidi e irrimediabilmente appannati, proseguendo con lo sgranchirmi le ossa scricchiolanti insieme alla mia schiena nodosa, per poi rispondere, sospirando, ai miei due nipoti che mi osservano con languidità, mentre mi dondolo sulla sedia in legno.
"Cercavo di dormire, bambini", esordii, schiarendomi la voce, un pò impastata.

Al di là dei vetri, la fitta oscurità avvolgeva già l'intero villaggio di WoodHole, conosciuto dai suoi stessi abitanti come 'Il Buco', appunto: un luogo non mappato in alcuna cartina geografica, non raggiungibile e a malapena individuabile tra la folta boscaglia.
Al sopraggiungere della notte, si cominciava a parlare sommessamente nei vicoli o nelle strade, preferendo ritirarsi a casa il prima possibile.
Nonostante il freddo pungente, le luci delle candele venivano spente di fretta, i fumi degli sbuffanti comignoli soffocati, mentre calde coperte di lana erano prelevate dalle profondità più recondite degli armadi.

Dentro, vivere per nascondersi.
Fuori, nascondersi per vivere.

Questo, il nostro motto.
Monito perpetuo della nostra misera esistenza.
"Garrett... Non farti pregare, come ogni sera. Te ne prego", disse Emma, chiudendo le tende impolverate dinanzi alle finestre e serrando i chiavistelli dell'ingresso a doppia mandata.
"Ho terminato le idee...", commentai.
Lei smise di affaccendarsi e mi osservò, severa. Troppe rughe le segnavano il volto, adesso, sfigurandola. Le sue gambe, che facevano capolino da una logora veste, si erano incurvate accorciandone l'altezza di un tempo, sotto l'inesorabile carico e gli spietati cambiamenti corporei che imparavamo, giorno dopo giorno, a condividere.
Perchè me ne stupii?
Forse, la colpa era di quegli sguardi sfuggenti che ultimamente ci scambiavamo, quando nel silenzio delle stanze si incrociavano per sbaglio i nostri passi, fattisi incerti e claudicanti. Avevamo ben poco di cui parlare, se non niente, addirittura.
L'incessante quiete che aleggiava intorno alle nostre persone, sapeva esprimere meglio di chiunque altro lo stato di perenne ansia e paura in cui tutti, indistintamente, annegavamo.

"Hamond, Rowan... Correte subito a letto, da bravi. La nonna arriverà a rimboccarvi le lenzuola", li invitò senza distogliere le sue acquose iridi da me.
Li sentii lamentarsi con qualche rimostranza, ripetendo insistentemente quanto fosse presto.
Non era ancora buio.
Per quale ragione dovevano già coricarsi?
In seguito, però, sconfitti, salirono la rampa di scale e, obbedienti, si ritirarono, sbuffando.

"Devi smetterla di avere questo atteggiamento. Mi hai stancata, ora!", mi sgridò.
"Persisterai ancora col prenderli in giro?"
"Sono piccoli, Garrett!"
"Non più di quanto lo fossimo noi, quando la nostra realtà si è dissolta al vento", le ricordai con calma.
"La senilità ti ha reso... Spregevole! È questa l'unica verità!", ribattè, dosando il tono della voce.
In seguito, marciò in direzione della credenza. Il sonoro impatto dello sportello contro l'anta, eppure, non riuscì a mascherare ulteriormente il suo malcelato nervosismo.

"Le loro domande si fanno insistenti, Emma...", spiegai.
"E tu continua a mentire", sbottò lei di colpo, interrompendomi, a quel punto.
"È sbagliato. Se volessero uscire da qui, non saranno in grado di affrontare niente"
"Glielo impediremo. Stiamo ricostruendo una nuova società, grazie al duro lavoro di ciascuno. Non ci sarà bisogno di inoltrarsi verso l'esterno in futuro, esponendosi ad un immotivato pericolo. Qua troveranno tutto ciò di cui necessitano"
"Le voci girano. Se non li informeremo noi, ci penserà presto qualcun'altro. Finiranno per odiarci. Non c'è spazio per le favole!"

"E per quale motivo con gli incubi o gli orrori dovrebbe risultare diverso, invece?"
L'accusa attraversò la distanza che ci separava veloce come un dardo, scoccato da un abile arciere.
Sentimmo delle grida sinistre provenire dal nostro cortile interno.
La prima volta che le udimmo, ci avevano spaventato.
Era accaduto appena la settimana precedente e le nostre elucubrazioni si erano subito proiettate al peggio: ci avevano scoperti.

L'indomani mattina, però, trovammo il nostro pollaio completamente disfatto.
Una volpe aveva ammazzato molte delle nostre galline durante la notte, ma nessuno di noi avrebbe potuto salvarle. Con il calare delle ombre, era assolutamente proibito allontanarsi dalla propria abitazione.
Sbarrando le palpebre, avrei quasi potuto vederla, in quegli attimi, mentre seminava il panico tra le chiocce innocenti, i pulcini o le uova, con il muso, gli artigli e i canini insanguinati.
Gocce amaranto a insozzare la paglia, ossa rotte, colli spezzati in mezzo a zanne affamate.
Le vittime chiamavano aiuto.
Continuavano a strepitare, implorandoci di essere salvate. Sbattevano le ali, scappavano, provavano a difendersi.
Pur tuttavia, appariva inutile.
Così, alla lunga, si arresero.
Alcune neanche tentavano di sottrarsi all'efferato incursore, ora. Attendevano semplicemente, sperando di non trasformarsi nel prossimo bersaglio di sorta.
Somigliava tanto alla nostra identica situazione di topi in gabbia.
"Perchè quelli sono reali", conclusi.

"Dunque, ragazzi! Mi servono dei nomi per i nostri personaggi. Coraggio! Spremete le meningi e suggeritemene qualcuno. Si comincia!", proruppi, incedendo nella loro camera e accomodandomi sulla poltrona in pelle, posizionata presso l'angolo.
"Che bello, nonno! Sono contenta!"
"Ci sarà dell'avventura?", chiese Hamond, incuriosito.
"Ovviamente. Sarebbe noioso, in caso contrario", ammisi, accennandogli un sorriso di reciproca intesa.
"E pure del romanticismo?", gli fece eco, Rowan, speranzosa.
Sospirai.
"Sì, principessa. Inserirò anche quello...", le promisi, cercando di reprimere il fluire incontrollabile delle mie riflessioni in merito.
Emma spalancò l'uscio, trasportando un vassoio con latte e biscotti, e poggiandolo con cautela sul comodino, rattristata.
"Bleah! Non sopporto gli sbaciucchiamenti...", ammise il maggiore in una smorfia.
"Io li adoro!", esclamò la minore, coprendosi le gote appena imporporatesi a causa di un ingenuo e infantile imbarazzo.
"Sei una sciocchina, Rowan", la apostrofò il fratello.
La faida tra i due, a suon di offese, stava per scoppiare. Percepivo alla perfezione quando il litigio era imminente.
"E tu sei uno...", lo rimbeccò lei, dalla cima del suo orgoglio ferito.

"Ehy, Ehy, Ehy! Niente bisticci o me ne vado!", li minacciai.
Entrambi si scrutarono in cagnesco.
Successivamente, sistemarono i cuscini e aspettarono, trepidanti, il mio esordio.

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