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Capitolo X

La taverna non era affatto il posto ideale per una giovane fanciulla.
Luogo di malavitosi, loschi ceffi, contrabbando e sinistre, raccapriccianti forme di baratto.
C'era chi vendeva denti umani, limati a dovere al fine di renderli aguzzi e appuntiti, per piccole zanne di cuccioli di drago, ad esempio; oppure, chi spacciava ciocche di capelli dalle sfumature vermiglie per crini di unicorno o leggendarie chimere.

Se volevi sbarazzarti di qualche brutto impiccio, però, era proprio lì che dovevi recarti.
Bastava una semplice parola d'ordine, appena bisbigliata all'orecchio giusto di un qualche misero garzone, per introdurti al nero mercato dei veleni, infatti.
Dieci monete d'oro, un tè alle erbe, due letali gocce trasparenti, inodore e... PUFF!
Le mogli di ciascun marito fedifrago risolvevano ogni loro problema, senza lasciare alcun tipo di traccia, assolutamente soddisfatte dell'affare.

A tutto quel marcio, inoltre, andavano aggiunte cascate di alcol.
Di schiumosi boccali e ricolmi bicchieri di cristallo tintinnante il locale risuonava ovunque.
Le pozze di liquido giallastro che si allargavano sul pavimento in legno di faggio, sapevano di rum nella maggior parte dei casi.
In altre occasioni, invece, il loro puzzo pungente era in grado di fornirti indizi differenti: ciò che entrava dal cavo orale, in effetti, prima o poi doveva anche uscire.
E gli sfinteri, si sa...
Con l'ebbrezza in corpo peccano spesso in termini di efficienza.

Una delle bettole più in voga era "La Moissisure".
Gli avventori che si beavano lì dentro, tra i piaceri del buon vino e dell'oppio, erano tutti, indistintamente uomini di malaffare: ladri, assassini, aguzzini, ricattatori, usurai, sgradevoli proprio come la muffa sulle pareti, appunto.
Ma almeno nessuno poneva fastidiose domande, lì dentro: chiunque, piuttosto, preferiva evitare di parlare di sè, tenendo lo sguardo abbassato e fisso sul calice di un verde assenzio; alcuni cantavano ubriachi, altri volevano solo dimenticare per una sera quanto fosse meschina e orrida la propria esistenza forse, annegando le nefandezze compiute nella migliore sostanza d'abuso messa a disposizione dall'oste, unico e vero depositario assoluto dei loro reciproci segreti.
Chi si sarebbe mai immaginato di trovare un individuo per bene in quella lurida topaia?

La nuova cameriera di fresco assunta, ero certo che se lo stesse proprio chiedendo, nel frattempo che raccoglieva una dozzina di scellini abbandonati alla rinfusa, sul desco appiccicoso, dall'ennesimo cliente di passaggio.
Una mancia misera.
Fuor di dubbio.
Ma sarebbe durato poco.
Appena il tempo di accumulare il denaro sufficiente per acquistare un biglietto di fuga di qualsiasi maledetta corriera. Essa l'avrebbe condotta in salvo, lontano da quella strillante stamberga.
Così rifletteva, strofinando con decisione il tavolo dall'unto e isolandosi mentalmente dal restante baccano.
Quando una rugosa e viscida mano afferrò di prepotenza la sua.

"Quali altri servigi ha da offrire un faccino avvenente come il vostro, milady?", proruppe un vecchio bavoso in un baritonale rutto.
"Nessuno! Non importunatemi, per cortesia. Cerco soltanto di lavorare...", rispose lei, provando a divincolarsi.
Tuttavia, l'uomo le pizzicò una guancia.
"Sono ben disposto ad accordarmi sul prezzo...", sibilò, arrogandosi il diritto di strisciare la sua schifosa lingua sulla sua gota sinistra.
Alito pestilenziale.

"Lasciatemi! Vi prego!", squittì lei, sudando freddo.
Ciò nonostante, nel trambusto dilagante nessuno parve prestarle il minimo ascolto.
"Scommetto che sei vergine... La tua carne è tenera e profuma ancora di succoso miele", la schernì lui, mentre il suo palmo vagava nauseante sulle curve sinuose di lei, che fremeva dalla paura come una foglia.
"Vi... Scongiuro...", balbettò, singhiozzando.

"Mi pare che la donzella sia stata abbastanza chiara con voi, verme!", tuonò qualcuno al suo fianco.
Uno sconosciuto incappucciato sedeva serafico su uno scricchiolante sgabello a poca distanza. Il suo viso era nascosto, ma dalla postura a braccia conserte sul petto sembrava conservare un'aria tranquilla, di assoluta imperturbabilità.
"Fatevi gli affari vo...!", berciò il bastardo, barcollante dall'ubriachezza, alzando la veste della sua povera vittima.

Eppure, venne interrotto.
Il suo palmo sbattuto violentemente sulla mensa era stato trafitto da un pugnale alle travi, alla stregua di un trofeo di caccia attaccato con un chiodo alla grezza parete.
"Quale accidenti di monito ti è sfuggito dal mio precedente avviso? MAIALE!", gli gridò dritto nei timpani il salvatore, afferrandolo per il collo e stringendogli la gola, nel tentativo di soffocarlo.
La canna di una pistola era già poggiata sulla sua tempia.
Lo avrebbe ucciso.
Ne era consapevole.
Feccia come quella andava estirpata dal mondo, elaborava mentalmente.
Il Male era già troppo.
L'ossigeno non doveva mai più attraversargli i polmoni.

"LILITH!", la strattonò qualcuno da una spalla.
Lei mollò la presa, ritrovando subitanea lucidità.
"Phil...", lo salutò lei, con tono piccato.
L'oste sfilò la lama dall'arto del suo gemente consumatore.
Ne rimanevano brandelli, ormai.
Le ossa erano esposte ma con una pacca amichevole e un augurio di pronta guarigione egli lo accompagnò ugualmente all'ingresso, fingendo che non fosse mai accaduto niente di spiacevole.
Era diventato un esperto di vicende simili, d'altronde.
Al minimo sentore di baruffa, eccolo intervenire placando gli animi di ciascuno e riappacificando le parti.
"La Moissisure" andava protetta da qualsiasi zuffa. Era la sua bambina.
Costi quel che costi.

"Phil, io...", continuò Lilly, vedendolo tornare senza sterco al suo seguito.
"Non qua! Hai combinato già un gran casino! Seguimi!", tuonò lui, asciugandosi la fronte madida col suo inconfondibile grembiule lercio.
Era un omaccione nerboruto che si faceva largo a spintoni e falcate tra la folla. A confronto Lilly, che lo accompagnava a stretto giro, poteva benissimo passare per una delle sue figlie più piccole.
Meglio non destare sospetti.

I due si chiusero in uno sgabuzzino nel retrobottega. Phil fu l'ultimo a varcarne la soglia e a sbarrarne l'entrata.
La sua espressione era truce, allorquando fulminò lei.
"Siete degli attaccabrighe di prima categoria! Quante volte vi ho detto di avvisarmi prima di arrivare? Fate scoppiare sempre degli enormi macelli! MALEDIZIONE A VOI! Dove sono Maurice e Jonathan?!"
Lilith fece ciondolare una collana dinanzi ai suoi occhi.
Lo sguardo di lui si addolcì.

"Sono sola... Almeno per il momento, si intende. E questa è da parte del tuo caro amico Drake. Ci servono altre informazioni, bello mio. Sputa il rospo!"
Phil prese il ninnolo.
"E come sta il vegliardo? Tutto bene, mi auguro..."
L'ambiguo silenzio che calò, pur tuttavia, non era altrimenti interpretabile.
Le sue iridi puntarono quelle di lei, inumidendosi. Le labbra gli si schiusero in stupore. Infine, tirò su con il naso.
"Quando? QUANDO, SANTO CIELO?"
"Due settimane fa... È morto sereno, Phil. Se ne è andato nel sonno, senza soffrire. È il tipo di commiato che ci auguriamo tutti, in fondo... No? È stato fortunato", svagò lei con il capo chino, per non cedere alla tristezza.

"Al funerale di Talbot mi aveva assicurato di stare bene. Lo aveva giurato! Sono un leone, Phil. Cazzo!", sbottò lui, scaraventando un pugno di stizza contro lo sbriciolato muro.
Al forte impatto, una colonna tremò pericolosamente.
"È stato un padre per noi... Ma se vogliamo onorare la sua memoria, dobbiamo impegnarci a proseguire. Il dolore ci rallenta..."
Phil conservò gelosamente il prezioso gioiello in una scatolina, poichè non era un pagamento come gli altri, quello.
Era l'ultimo. Non ce ne sarebbe stato un altro, dopo.
Forse, fu per questo motivo che realizzò tutto con lentezza. Ogni movimento, ogni gesto... Quasi desiderando conferirgli un estremo, importante significato, impregnandolo di sacralità.

Lilith restò a scrutarlo, ammutolita, senza l'ardire di disturbarlo.
Aveva un'immane fretta.
Ciò nonostante, rispettò quella sorta di rito, decidendo di non manifestare alcuna forma di urgenza.

"Non conosco molto di loro...", mormorò lui, d'improvviso, rivolgendole la schiena.
Una torcia illuminava di taglio la sua espressione contrita.
Null'altro.
"Chi?"
Con un fazzoletto in tessuto egli si soffiò rumorosamente le narici, sedandovi la sua commozione.
"Ho sentito poco. Discorsi affrettati, confidenze, confessioni da banco... Niente di particolarmente entusiasmante, insomma. Hanno cominciato a comprendere di essere braccati, a quanto pare. Tra i Demoni, le vostre imprese fanno notizia, scalpore!"
"Parla, Phil! Per Dio!"
L'omaccione si voltò, severo.

"Sorge un castello a Nord-Est di Lathor. È... Spettrale, se appare davvero come raccontano. Gargoyle, fantasmi... Fasci luminosi che si accendono nella notte, in mezzo ad una landa desolata. Scompare una miriade di gente in quelle zone, villaggi interi caduti nel baratro dell'oblio. Siete arrivati troppo tardi, questa volta"
"Siamo stati impegnati su altri fronti. Il dono dell'ubiquità ancora non ci appartiene, purtroppo. È prerogativa del Creatore. Desolata", lo rintuzzò lei con una lesta stoccata di cinismo.
"Non fare la saccente con me. Lo detesto! Rimangono in pochi, Lilith! Bisogna colpire! Ora, che sono deboli!"
"Perchè pensi che mi sia rivolta a te, allora? Hai notizie di qualità. Conosci perfettamente dove mandarci..."
"Al Diavolo, per intenderci? Perspicace. Siamo in tema d'altronde, no?"
"Beh...", sghignazzò sommessamente lei.

"Da quanto ho appreso, però, il Diavolo di turno è più organizzato del previsto. Il castello non è affatto un rudere dissestato, cara mia. Eh, no! Risulta abitato e animato da magia potente. Stanno bollendo qualcosa in pentola, quei mostri... Sicuro!"
"Nulla di diverso dal già noto, suppongo... Streghe, incubi deformi, aborti riesumati dalle tenebre... È sempre la stessa filastrocca", proruppe lei con spavalda noncuranza.
"Io non ne sarei altrettanto convinto..."
"Su, Phil! Non ti crucciare!", lo rabbonì lei, osservandolo incupirsi.

"Dì a quell'impiastro di tuo fratello, piuttosto, di non abbassare la guardia. Con Spyras ci ha quasi rimesso le penne, il farabutto disgraziato. Non metterà mai giudizio! E io pretendo di raggiungere il Padre Eterno prima di seppellire tutti voi. Mi sono spiegato, Lilly? LO ESIGO!"
"Jonathan e io, saremo prudenti anche per lui, Phil. Non ti torturare. Ce la caveremo..."
"Mmm... Lo spero...", mormorò, sbloccando i chiavistelli della porta.
Poi, si fermò.

"Aspetta qui, a proposito. Vi preparo qualche leccornia per il viaggio. Dovrebbe trattarsi di circa 23 giorni di cammino serrato, a seconda dei vari punti di vista. Giungerete a destinazione con la luna piena. Ci sarà qualche Sabba in corso, ritengo... Le meretrici, concubine del Demonio vanno matte per quel rituale di fuoco e sacrifici. E voi Arcanisti, avrete pure la pellaccia dura, ma la fame... Eh, Eh! Piega anche le inamovibili montagne, cara mia. Mica bazzecole!"
"Ti ringrazio molto, e... Phil!"
"Sì?"
"Dai questi alla ragazza...", continuò lei, porgendogli un sacchetto ricolmo di danari.

L'uomo ne pesò il valore, facendolo saltellare a più riprese all'interno della sua callosa mano.
"Arya è stata informata dei pericoli di questo mestiere...", precisò lui.
"La libero da qualsiasi precedente debito. Mi prendo in carico io, le sue spese. E fammi un favore... Non assumerne altre. Nessuna si merita un trattamento simile"
"Perchè? Ritieni che con i miei garzoni usino maggiore dolcezza e prudenza, per caso? Oh, Oh, Oh! Sei nel torto, mia ingenua Lilly. Una bestia si dimostra tale... Sempre!", sentenziò.
Quelle parole le fecero accapponare le braccia.

All'uscita da "La Moissisure", Lilith respirò intensamente.
Si sfilò il cappuccio, si acconciò una bassa coda di cavallo e indossò con fierezza il suo amato cappello provvisto di piuma.
"Siamo vicini al tanto agognato traguardo, maestri...", sussurrò in direzione del cielo.

Eppure, delle risa sguaiate attrassero la sua attenzione, in quell'istante.
Sbuffò, innervosita.
Nel cortile sul retro, Maurice era impegnato a sbaciucchiarsi tra un alto cumulo di paglia e fieno con l'ennesima spasimante di turno.
Nulla di allarmante.
La sorella era abituata.
"Mau! Perdona l'interruzione ma dobbiamo muoverci. Ti do due secondi per rimetterti in piedi e renderti presentabile. Partiamo!"

Ebbro di vizioso amore, Maurice la canzonò, estasiato.
"Theodora, tesoruccio...Ti presento la mia graziosissima sorellina", recitò, sollevandosi le braghe impolverate e spazzandosi di dosso un pò di fuliggine.

Tesoruccio...

Lilly ruotò le pupille verso l'etere, trattenendosi dal vomitare.
"Enchantè..."
"Piacere mio", bofonchiò.
"Tuo fratello è un vero portento, sai?"
"Sei almeno... La Trecentesima che me lo conferma. Donna in più, donna in meno... Poco importa. Però, ti avverto... Non ti affezionare. Si dimenticherà di te in un battibaleno"
"Lilly!", la rimproverò lui.
"È la verità, fratellone del mio cuore. Hai l'ardire di negarlo? Comunque... Ti aspetto con John. Sbrigati!", tergiversò lei, indispettita.

Jonathan le andò incontro, aiutandola a sorreggere il carico delle vettovaglie.
Era gentile. Educato. Modesto.
A quelle congetture, Lilith arrossì.
Capitava sin dal loro primo incontro. Era un'emozione per lei impossibile da controllare, soprattutto di recente.
"Dunque? In marcia, Lilly?", la invitò lui, con un cortese, splendido sorriso.
Nascosto il proprio rossore dietro una maschera di finta indifferenza, lei annuì con foga, imbarazzata.

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