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CHAPTER 13 || #the gold

❝Tobio borbottò in disapprovazione quando toccò ripetutamente il posto accanto a sé. Era freddo. Ed era vuoto.
Si alzò di scatto mettendosi seduto sul letto.
Ma una fitta alla testa dovuta alla sbronza della sera prima gli fece maledire sé stesso per il brusco movimento.

Si passò entrambe le mani sulla faccia.
Si guardò attorno. La camera dei suoi genitori era sottosopra, i suoi vestiti gettati sul pavimento alla rinfusa. Non ricordava nulla della notte precedente... solo Shōyō.

Era Shōyō quello che aveva bussato alla sua porta.
Era Shōyō quello che gli aveva portato le pizze e le birre.
Era Shōyō quello che gli aveva sorriso.
Era Shōyō quello che l'aveva baciato fino a perdere il respiro.
Era Shōyō quello con cui aveva fatto l'amore tutta la notte.

Era Shōyō. Era lui.
Non poteva essersi sbagliato.
Il profumo era il suo. I baci erano i suoi.

Prese un respiro profondo decidendo di alzarsi dal letto. Si abbassò sul pavimento alla ricerca dei suoi boxer.
Li trovò prima del previsto. Inarcò un sopracciglio quando vide sotto al letto un braccialetto. Lo riconosceva molto bene.
Era il braccialetto della foto. Quella a casa di Hirohito.
Si abbassò stendendosi sul pavimento, allungò il braccio fino a quando non riuscì ad afferrarlo. Sì, era proprio quello della foto.

Tobio osservò il braccialetto d'argento attentamente.
La montatura era sottile e come pendente c'era un orsacchiotto.
Proprio come quello della foto.
E proprio come gli aveva descritto Atsumu quella sera.
Tobio notò l'argento consumato in più parti. Doveva essere abbastanza vecchio e tenuto in condizioni terribili.

Lo poggiò sul comodino del padre.
E si infilò le mutande.
Doveva bere del caffè e cercare di farsi passare la sbornia.
Aveva tutto il giorno per pensare a quello che era successo la notte precedente.

Conosceva Shōyō. Lo conosceva bene.
Da non sapere che quel braccialetto glielo aveva lasciato come prova della sua presenza.
Un modo per confermargli che in quella casa lui c'era stato. E di certo, Shōyō non si era soffermato solo a lasciargli quel braccialetto.

Andò in soggiorno. I pensieri confusi e i ricordi annebbiati dall'alcool.
Sul tavolino dinanzi il divanetto un solo cartone di pizza consumato e sei lattine di birra vuote.
Tobio, preso dal panico, cercò in ogni angolo della casa quell'altro cartone di pizza. Un'altra prova lasciatagli da Shōyō.
Perché Shōyō era davvero stato a casa sua quella notte.
Perché era con Shōyō che aveva fatto l'amore.
Perché era Shōyō che aveva baciato.

Era ubriaco, sì, ma non così ubriaco da essersi immaginato tutto.
E poi, se pure avesse immaginato di fare l'amore con Shōyō... dove avrebbe potuto prenderlo quel braccialetto?
Come avrebbe potuto averlo lui se Shōyō lo aveva legato al polso la notte in cui era scomparso?

Poi un ricordo. Un ricordo di quella sera.
Lui era riuscito a convincere Shōyō a smettere di piangere.
Lui era riuscito a convincere Shōyō ad andare a casa sua per cercare di parlare in modo maturo.
Poi la paura e una consapevolezza. E se avesse fatto lui del male a Shōyō?
E se l'avesse ammazzato proprio lui quella notte? Perché non ricordava nulla?

౨ৎ ˖ ࣪⊹🌱⊹₊ ⋆୨ৎ

Sua madre era a lavoro.
Suo nonno dall'avvocato.
Sua nonna dai Miya a fare la spesa e spettegolare un po'.
Nessuno sarebbe tornato prima dell'ora di pranzo. Ormai Joshua li conosceva bene quasi quanto le sue scarpe preferite.

Entrò nella camera del morto.
Suo nonno era stato troppo concentrato ad inveire contro la polizia e quel Kageyama da non essersi accorto di non aver chiuso la porta a chiave.
Il che rappresentava una novità. Ma Joshua era l'unico ad essersene accorto.
Sua madre era stranamente di buon umore. E sua nonna con lei.
L'unico che sembrava avere tutti i problemi del mondo era il nonno.

Quel giorno si era dato per malato per non andare a scuola.
Non che a sua madre interessasse la sua istruzione — gli ripeteva sempre che a lei non importava cosa facesse o meno a scuola perché era un fallito che non avrebbe frequentato l'università e non avrebbe concluso nulla nella sua vita, che non aveva punti di credito necessari per vincere una borsa di studio e le capacità per entrare in un'università della capitale mediante test d'ingresso.
Era come lei. E come lei era destinato a passare il resto della sua vita a Miyagi come un escluso, un perdente.
Joshua sapeva di non eccellere in tutte le materie scolastiche, ma aveva punti di credito sufficienti per vincere una borsa di studio.
Si era deciso che una volta finito il liceo, come il morto, anche lui sarebbe andato via cercando di non fare più ritorno a Miyagi. Odiava quella città del cazzo.

Quando entrò nella camera del morto si disse che l'aveva fatto perché aveva bisogno di alcuni appunti scolastici di massima urgenza — suo nonno ripeteva, ribadiva che il morto era bravissimo a prendere appunti scolastici perché aveva una bellissima calligrafia.
Quando entrò in quella stanza un forte odore di arancia gli salì dritto su per le narici.
Quando la sera prima aveva tentato di entrare in quella camera e curiosare in giro, suo nonno aveva deciso di smettere di litigare con la nonna e andare a fare una doccia. Joshua con un piede nella stanza e un altro fuori aveva chiuso velocemente la porta ed era scappato nella sua stanza rintanandosi sotto le coperte.

Era una camera bella, spaziosa, luminosa. Joshua non la ricordava così ma forse perché era solo un bambino quando ci aveva dormito la prima volta.
Il letto era rifatto. Il copriletto era arancione con delle eleganti cuciture in bianco che richiamavano il disegno di diversi fiori.
La scrivania era ordinata con i libri di scuola al loro posto, sotto la mensola; sulla mensola si trovavano in ordine alfabetico — una cosa che Joshua si sorprese fare anche lui — tutti i quaderni di scuola, un quaderno di teoria e uno di esercizi per le materie scientifiche e un quaderno di bella e una di brutta per le materie letterarie. Sotto la finestra si trovava una piccola libreria, colma di romanzi e manga accatastati ingialliti dal tempo — un'altra cosa che lui e il morto facevano e avevano in comune era sottolineare frasi e parole dei romanzi che leggevano per poi indicarle con dei post-it colorati.

L'armadio era colmo di vestiti. Tutti sistemati ordinatamente.
Le magliette appese erano suddivise in colori e messe dalla più lunga alla più corta. I pantaloni erano sistemati nell'apposito cassetto; gli abiti da cerimonia erano appesi e messi in una busta ordinata per non farli stropicciare. La divisa di scuola messa su una gruccia e appesa su un chiodo che sporgeva da un'anta dell'armadio.
Nelle mensole superiori dell'armadio c'erano diverse scatole di plastica etichettate come corredino mio da bambino :) e vestiti miei da bambino che non mi sento pronto a dare in donazione :). In un'unica scatola bianca, posta sulla mensola che divideva gli abiti appesi dai cassetti sottostanti, c'erano diverse polaroid che ritraevano un ragazzo dai capelli tinti di biondo — che Joshua aveva già visto camminare per Miyagi — e il morto, che adesso aveva un volto. Era bello, bello come il sole, come lo aveva descritto suo nonno.

Nelle polaroid sorridevano sempre. In altre si baciavano.

Erano al parco, fuori scuola, nel giardino retrostante del kombini dei Miya, al lago, sulla grande roccia, a pattinare, al palazzetto dello sport. Il teppista tinto di biondo in alcune foto lo guardava come se la sua esistenza dipendesse solo dal morto. E in altre era il morto che lo guardava in quel modo. C'erano poi diverse lettere d'amore che quel teppista, Miya Atsumu, aveva scritto allo zio; c'erano diversi regali che Atsumu gli aveva fatto, persino un fiore — tenuto rigorosamente in una bustina trasparente — essiccato a causa del tempo. In un'altra bustina trasparente due test di gravidanza positivi, poi c'erano le foto di un'ecografia e un documento medico che certificava la paternità di quell'Atsumu. Su quella carta d'ospedale c'erano appiccicati due post-it azzurri e una grafia ordinata, sicuramente di Atsumu, che recitava: "perdonami per il dolore e l'umiliazione che ti ho arrecato ma non sono stato io. È stato mio nonno a richiedere questo test quando tua sorella gli è andata a riferire di Kageyama e dell'altro bambino. Ti prego, perdonami amore mio. Ti amo. Non vedo l'ora di trasferirci alla capitale, non vedo l'ora di vivere la mia vita solo con te e il bambino. Ti prego, ti supplico di accettare il mio perdono".

Successe tutto in un attimo, una questione di secondi.
Sua madre era ritornata a casa prima del previsto. Era allegra. Cantava ad alta voce.
Joshua entrò in panico. Gettò tutto nella scatola e chiuse l'armadio.
Corse alla porta della camera ma dallo spiraglio vide che sua madre stava salendo le scale, chiuse la porta cercando di fare il meno rumore possibile per poi andarsi a nascondere sotto il letto. Era sporco di polvere lì sotto, suo nonno evidentemente l'unico posto che dimenticava di pulire era quello.
Poi Joshua colpì con una mano una scatola. Accese la torcia del telefono. Sua madre continuava a cantare allegra, poteva sentirla da oltre la porta chiusa.
Era una scatola semplice arancione; con fatica l'aprì e con sorpresa, tanto da fargli alzare entrambe le sopracciglia, notò diversi quaderni cartonati piccoli dai diversi colori. Sulla copertina del primo quaderno che riuscì a prendere, scritto con un pennarello nero, I miei flussi di pensieri #17.

Joshua aveva trovato l'oro.
E sapeva che sarebbe stato importante.❞

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