CHAPTER 12 || #as if it were the dead himself who had called him
❝Joshua aprì la porta d'ingresso nel mentre che slacciava il guinzaglio di Noodles, che immediatamente con la testa china si diresse alla sua ciotola dell'acqua.
Stava ascoltando gli Arctict Monkeys a tutto volume con delle cuffie rosse che gli aveva regalato sua madre per il compleanno, gli aveva detto che isolavano dai rumori esterni. Ma a giudicare da come suo nonno si stava sgozzando con la faccia rossa come un pomodoro, di certo quelle cuffie non erano per nulla isolanti.
Joshua sospirò sonoramente abbassandosi le cuffie sul collo, ruotò gli occhi al cielo mentre entrava in sala da pranzo. Sicuramente c'entrava il morto.
Erano anni che suo nonno non parlava d'altro. A quanto pareva era il suo argomento preferito.
Aveva cercato in ogni modo di convincere sua nonna a far riaprire il caso, ripeteva che dovevano venir prese in considerazione altre strade, che con le nuove tecnologie molti casi del passato potevano trovare una risposta anche dopo anni. Sua nonna sembrava sempre un po' scettica, tergiversava, diceva al marito di prendere in considerazione l'idea che il morto fosse andato via per davvero. Sua madre annuiva d'accordo e il nonno, dopo qualche secondo di silenzio, metteva la cena su un vassoio, mandava le due donne a fanculo e andava a mangiare sul divano con la televisione spenta e lo sguardo perso ad osservare un punto fisso davanti a lui.
Suo nonno lo detestava. Joshua lo sapeva.
Lo vedeva come quell'entità che era andata a sostituire di prepotenza la memoria del morto.
Al nonno non era mai andata giù che la foto del morto fosse stata sostituita con una sua, come non era andata giù che lui avesse utilizzato i vestiti del morto di quando era piccolo, che avesse giocato con i suoi giochi e che avesse dormito nella sua stanza.
Quella stanza adesso era diventata un mausoleo. Il nonno un giorno entrò in camera con uno scatolone mentre lui stava studiando, ci infilò dentro tutte le sue cose portandole poi nella stanza della madre. Pulì la stanza del morto sistemando tutto così come lo aveva lasciato quel giorno. Chiuse la porta a chiave. Quella chiave era off-limits per tutti. Nessuno poteva toccarla, nessuno poteva entrare in quella stanza.
L'unico a poter entrare in quella stanza era proprio il nonno.
A dirla tutta, il nonno gli faceva un po' pena.
Sua madre e sua nonna non avevano mai voluto parlargli del morto. Quando aveva chiesto spiegazioni sua nonna scappava via e andava a fare la spesa al kombini dei Miya, mentre sua madre semplicemente gli diceva in modo freddo, quasi aggressivo di farsi gli affaracci suoi perché quelli non erano fatti che gli dovevano interessare.
A suo nonno non aveva mai chiesto. Perché suo nonno stava soffrendo. Certe notti lo vedeva piangere stringendo forte al petto un kimono bianco del morto. Ripeteva sempre tra le lacrime che fine avesse fatto, dove fosse andato con la sua paura del buio; respirava a pieni polmoni l'odore impresso sul kimono, piangeva e sorrideva, ripeteva che sembrava uno sposo con quel kimono il giorno del suo sedicesimo compleanno. E piangeva e singhiozzava e lui lo spiava, seduto contro il muro con le gambe strette al petto e la testa contro la parete cercando di capire chi fosse il morto.
Sua nonna ne parlava sempre come se il morto fosse stato la persona più egoista del mondo — perché aveva lasciato la famiglia in cattive acque, perché non aveva voluto sposare il primogenito dei Miya, perché aveva tolto un padre al figlio, perché aveva lasciato sua sorella, i suoi genitori, lavorare quando avrebbero potuto vivere di rendita grazie ai Miya.
Sua madre invece ne parlava come se il morto fosse sempre stato un egocentrico, che amava stare al centro dell'attenzione divertendosi a saltare da un alpha all'altro senza ritegno. Sua madre gli diceva che non doveva fare come il morto, che non doveva svendersi come aveva fatto lui: stava per sposarsi ma aveva già l'amante.
Suo nonno. Suo nonno parlava del morto come la persona più buona e brava di questo mondo; quando beveva tanto saké si divertiva a fare paragoni tra sua madre e il morto, dicendogli che mentre la madre a scuola e negli sport faceva schifo, ed ecco perché si ritrovava a fare la cameriera, il morto eccelleva in entrambe le categorie tanto da vincere una borsa di studio. Ed era bello, bello come il sole. Quando suo nonno lavorava al comune come usciere erano tanti gli alpha di famiglia a chiedergli di poter far sposare il morto con il proprio figlio. Quelle volte da ubriaco lo guardava, gli sorrideva dolcemente con un angolo delle labbra alzato e gli occhi lucidi, gli scompigliava i capelli con una mano e gli diceva che lui doveva diventare come il morto, aspirare anche lui a vincere una borsa di studio e diventare medico.
Poi un mattino era arrivata la notizia che il caso era stato riaperto. E non come allontanamento volontario ma bensì per omicidio.
Sua nonna boccheggiò incapace di formulare una frase di senso compiuto. Mentre suo nonno corse dai Miya e aprì una bottiglia di spumante — Joshua la trovò una cosa strana: suo nonno non comprava mai lo spumante neppure a capodanno, era sempre sua madre a portarlo a casa dopo il lavoro.
Sua madre si arrabbiò. Joshua la sentì per tutto il giorno blaterare tra sé e sé che era una mancanza di rispetto per il morto, che non lo avrebbero mai trovato perché non c'era nessun cadavere da trovare.
Joshua entrò in sala da pranzo quasi in punta di piedi. Suo nonno era seduto al suo solito posto, una mano sotto il mento e un'altra chiusa a pugno sopra il tavolo. Era incazzato, con la faccia rossa per lo sforzo di urlare. Sua nonna stava cucinando la cena di quella sera; era sempre sua madre a cucinare, quindi questo voleva dire che era ancora impegnata con il lavoro. Era strano, però. Sua madre scopava con il proprietario del locale dove lavorava quindi non aveva mai urgenze sul lavoro. <<Ti rendi conto di quanto cazzo siano incompetenti i nostri agenti di polizia? Hanno rilasciato Kageyama sulla fottuta parola>>
Euiko sospirò sonoramente. Stava dando le spalle al marito e non sembrava intenzionata a voltarsi per guardarlo e avere per l'ennesima volta quella discussione. <<Haruiki non ci sono prove che Kageyama abbia ammazzato Shōyō, come non ci sono prove che Shōyō sia morto ammazzato. Perché non accetti l'idea che Shōyō sia semplicemente scappato via come tutti gli adolescenti della sua età? Chissà dove si sarà andato a cacciare quel disgraziato. È venuto su così perché l'hai viziato troppo>>
Haruiki scosse la testa con diversi cenni negativi. Joshua, seduto ad una sedia di distanza da lui, notò che il nonno non aveva dato conto di quello che gli aveva detto sua moglie. Era come se stesse ragionando ad alta voce, come spesso lo sentiva fare quando si credeva da solo in casa. <<Shōyō non sarebbe mai andato via in questo modo. Non avrebbe mai lasciato casa senza prima avermelo detto. Lo conosco troppo bene. È mio figlio. L'ho praticamente cresciuto io perché tu eri troppo impegnata a mettere su in malo modo Natsu>>
Joshua vide sua nonna voltarsi verso il marito con una mano sul fianco e le sopracciglia leggermente aggrottate. Sua nonna era una bella donna, dai capelli pel di carota lunghi fino alle spalle; erano ondulati, sembravano delle onde del mare. <<Finiscila con questa storia. Quello sciagurato è scappato chissà dove a combinare chissà che cosa. L'unica cosa di cui mi dispiace è non sapere che fine abbia fatto quella povera creatura che portava in grembo>>
Joshua si schiarì la gola grattandosi il retro della nuca in imbarazzo.
Sua madre, i suoi nonni lo avevano sempre tenuto fuori da quella storia e lui era felice di restarne fuori. Non conosceva il morto e non aveva intenzione di conoscerlo, quindi quando disse che non aveva fame perchè doveva studiare per il test di matematica del giorno dopo, non era proprio una bugia. Il giorno dopo aveva davvero un test, al quale si era già prontamente preparato.
Quindi, quando uscì dal bagno e sentì i suoi nonni ancora litigare sul morto e sulla madre, l'unica cosa che avrebbe voluto fare era infilarsi sotto le lenzuola con i capelli umidi di doccia, infilarsi le cuffie e vedere in streaming un film Marvel.
Ma Joshua non aveva messo in conto di essere un ragazzino di diciassette anni. Molto curioso, per giunta.
Non aveva messo in conto che il morto aveva avuto la sua stessa età quando aveva deciso di scomparire senza lasciar traccia. In fondo capiva quel gesto, anche lui aveva immaginato molte volte di compierlo.
Non aveva messo in conto che suo nonno aveva lasciato quella porta socchiusa.
Joshua si guardò attorno. Ma i suoi nonni continuavano ancora a litigare su chi fosse stato il genitore peggiore, su chi avesse viziato di più chi.
Sua madre era ancora dispersa a lavoro.
Noodles sonnecchiava acciambellato ai piedi del letto della sua camera — un tempo era una vecchia lavanderia-ripostiglio-dispensa.
Entrò nella camera del morto.
D'istinto. Come se fosse stato il morto stesso a chiamarlo.
౨ৎ ˖ ࣪⊹🌱⊹₊ ⋆୨ৎ
I suoi genitori erano bloccati all'aereoporto di Osaka.
Prima di vedere lui, volevano vedere Miwa e i bambini.
Parlare con l'avvocato che adesso non lo rappresentava più.
Aveva ringraziato Terushima offrendogli una birra che l'uomo aveva accettato volentieri, aveva chiamato il suo di avvocato, Oikawa, e l'aveva riempito di insulti affermando che doveva ringraziarlo perché era solo merito suo se era riuscito ad adottare quei tre gemellini filippini in così poco tempo, invece il solo ringraziamento che aveva ricevuto era stato essere stato abbandonato in una fottuta centrale di polizia; gli aveva riattaccato il telefono in faccia senza sentire spiegazioni come il moccioso che era sempre stato. Era ubriaco.
A dir la verità era in questo stato di allegria e perfezione illusoria da quando era stato rilasciato.
Si era detto che avrebbe bevuto per festeggiare il rilascio. Questo il primo giorno.
Si era detto che avrebbe bevuto alla faccia di Hinata-san. Questo il secondo giorno.
Si era detto che avrebbe bevuto alla memoria di Shōyō. Questo il terzo giorno. E così, per una settimana trovando sempre più motivazioni plausibili al suo problema con l'alcool.
Quando bussarono alla porta dei suoi genitori, Tobio era certo che fosse Atsumu con i due cartoni di pizza e la cassa da sei di birra del kombini dei suoi genitori, che gli aveva chiesto gentilmente di portargli perché era, sì, stato rilasciato ma Daichi lo stava controllando con dei ridicoli appostamenti fuori casa sua. Comunque, quella dei Miya era in assoluto la sua birra preferita.
E quando Tobio aprì la porta allegro a causa di tutto l'alcool che aveva ingurgitato tutto il giorno per una motivazione o per un'altra, si sarebbe aspettato di vedere chiunque ma non Shōyō.
Shōyō, il suo Shōyō, gli stava sorridendo con i due cartoni di pizza in una mano e una scatola da sei di birra del kombini dei Miya nell'altra.
Aveva i riccioli dorati che gli incorniciavano il viso e gli occhi ambra allegri, felici come non lo vedeva da anni, colmi d'amore per lui.
Indossava una felpa rossa aperta e una t-shirt bianca, dei jeans neri larghi e le sue inseparabili sneakers rosse. Indossava anche la sua immancabile tracolla giallognola ricoperta da spille colorate che comprava da Ukai-san ogni pomeriggio dopo scuola. Il suo fottuto profumo, quanto cazzo gli era mancato!
<<Ma che cazzo ci fai tu qui?>>
Shōyō semplicemente gli sorrise allegro. Non parlò.
Fece un passo avanti. Due passi. Tre passi.
E lo baciò. Tobio lo strinse contro di sé fortemente con la paura che potesse svanire ancora. E lui non fosse un grado di riafferrarlo.
Quella notte fecero di nuovo l'amore dopo ventisei anni.❞
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