CHAPTER 69 || #shake my hand
• 16 anni dopo •
❝<<Non ci posso credere>>
<<Neppure io. Davvero ti tingi i capelli?>>
<<E a te chi te l'ha detta questa cosa?>>
<<Tuo marito. Il mio papà preferito>>
Kuroo spostò lo sguardo su Shōyō, seduto accanto a lui e sorridente più che mai. Indossava un abito elegante nero dai girighori in oro, i capelli riccioluti tre dita sotto le orecchie — seduto sul suo grembo si trovava un grazioso bambino dai capelli aranciati e dagli occhi color ambra davvero molto simili ai suoi, il bimbo giocava con le sue mani nel mentre che un cipiglio curioso si disegnava sul suo volto. <<E comunque no, non intendo quello. Ti rendi conto? Quello sulla pista da ballo in abito da sposo è mio figlio Tōya. Il mio bambino. Il mio bambino preferito abbracciato a quel- quel- Kageyama>>
Shōyō inarcò un sopracciglio; questa volta colpito nell'orgoglio. <<Non ero io il tuo bambino preferito?>>
<<Tu sei il mio figlio problematico>>
<<Cuore infranto>>
Tobio si sporse verso il suocero; si era ritirato dal mondo della pallavolo da ormai sei anni ereditando un posto privilegiato nell'amministrazione del branco — tuttavia, non aveva smesso di allenarsi e nei weekend allenava i piccoli pulcini di Tokyo. <<E io che dovrei dire che Dalai si è fatto ingravidare a quindici anni da quel Tsukki-bastardo>>
<<Io sono qui, Kageyama-san. E mi chiamo Yukino>>
<<Sta zitto Yukino>>
<<Scusi Kageyama-san>>
Shōyō lo ricordava bene quel giorno. Non ci voleva credere.
E non perché aveva vinto una scommessa contro suo marito, ma perché proprio con Yukino. Cioè, quel Yukino. Insomma, Dalai e Yukino erano quanto più diversi potessero essere due persone — il secondo un misto di pacatezza e timidezza dei genitori, il primo una fotocopia caratteriale sputata di Shōyō.
E quando Dalai si presentò a cena e spiattellò il test di gravidanza dinanzi gli occhi del suo padre alpha, Shōyō non seppe se essere fiero di avere un figlio così diretto e schietto o essere letteralmente incazzato perché Dalai aveva fatto sesso senza usare le precauzioni adeguate.
Dalai e Tobio non si erano parlati per mesi.
Tobio non si era presentato a nessuna ecografia.
E quando Shōyō tentava di parlare del bambino e di Dalai, Tobio gli chiedeva di chiudere il becco.
Tadashi aveva proposto a Dalai di trasferirsi da loro.
Ma Dalai era stato irremovibile.
Voleva stare a casa sua. E far rosicare suo padre.
Era stato testardo, così testardo da entrare in camera da letto — qualche giorno dopo il parto — e piazzare il bambino in braccio a suo padre Tobio dicendogli di prendersene cura perché lui doveva studiare per il ritorno a scuola.
E dopo quella notte Tobio non si era più separato dal nipote.
Dalai era ritornato ad essere il suo secondo figlio prediletto.
Haruiki ad essere il loro figlio preferito con un brillante futuro come biologo. E i gemelli, beh, erano i gemelli. I gemelli dell'apocalisse.
Shōyō sospirò sonoramente ruotando gli occhi al cielo; il bambino portò la testa indietro, contro il petto del nonno, ridendo sonoramente e battendo le mani rumorosamente. Shōyō spostò lo sguardo dal nipote, ovviamente lasciandogli un bacio sulla punta del naso. Quel bambino era troppo tenero per non essere baciato in continuazione. <<Perdonalo Yukino. È solo geloso perché il bambino ama me e non sopporta lui. E soprattutto perché questo patato qui è la mia fotocopia sputata>>
Kuroo schioccò le dita dinanzi le facce dei due coniugi Kageyama, che si voltarono entrambi a fissarlo. Il bambino che stringeva l'indice di nonno Tobio nel suo pugnetto. <<Stiamo parlando di mio figlio, okay? Smettetela voi due e concentriamo su questo>>
Shōyō sospirò sonoramente. <<L'hai letteralmente accompagnato all'altare poche ore fa. E ricordi quando sei andato a ripescare Haru in Africa durante il suo apprendistato come medico missionario perché l'avevi fatto lasciare con tuo figlio? Stavi per pregarlo in ginocchio di ritornare con Tōya. Quindi, smettila. E goditi il matrimonio del tuo bambino>>
Tadashi si avvicinò al tavolo del suo consuocero, gli sorrise allegramente allungando le braccia davanti a lui. Shōyō gli sorrise a sua volta e gli porse il bambino; e il piccolo di casa Kageyama-Tsukishima si ancorò al collo del nonno scoppiando a ridere subito dopo. <<Quanto mi sei mancato, piccolo raggio di sole>>
Yukino inarcò un sopracciglio. <<Papà ma se questo weekend Dalai e il bambino sono venuti a dormire da noi>>
Tadashi scacciò quella constatazione con un cenno della mano. <<Non è la stessa cosa>> Lasciò un bacio sulla punta del naso del bambino, che rise nascondendo la faccia dietro le manine. Quel bambino rideva sempre, era adorabile.
Shōyō annuì. <<Dobbiamo comprare una casa e andarci a vivere tutti quanti insieme>>
Tobio sospirò ruotando gli occhi al cielo. <<Sento Kei dal cesso urlare dalla frustrazione. E poi, senza offesa Tadashi, ma non ce lo voglio tuo figlio in casa mia. Non voglio diventare un'altra volta nonno>>
Tadashi ridacchiò e Enmei si sporse dalle sue braccia mugolando in direzione del padre alpha. Sbadigliò per poi piagnucolare con gli occhi arrossati; il piccolo raggio di sole aveva sonno, aveva saltato la pennichella delle quattro del pomeriggio. Era resistito già tanto. <<Tutto troppo tranquillo. Dove sono i vostri gemelli dell'apocalisse?>>
Shōyō indicò i figli dall'altra parte della sala; stranamente non stavano né combinando guai né infastidendo gli invitati con le loro domande moleste. <<Sono stranamente calmi questa sera. Anzi, sono stranamente calmi da quando è nato Enmei>>
I gemelli dell'apocalisse, Kazuki e Katsuki Kageyama, erano nati il 22 dicembre di dieci anni prima. Sei anni dopo la nascita di Dalai.
La gravidanza era stata complicata. I medici avevano date poche speranze di completare la gestazione.
Miwa si era proposta come madre surrogata. Erano nati due settimane prima la data confermata dal ginecologo, ma erano stati sin da subito reattivi nel riprendersi. Se Tobio e Shōyō avessero anche solo lontanamente pensato di arrivare a quota sei di figli, quei due gli avevano fatto passare proprio la voglia.
Tadashi ridacchiò. Yukino con il bambino tra le braccia dall'altra parte della stanza — dove la musica arrivava più attenuata — che cercava di farlo addormentare. Dalai che si era avvicinato e gli stava accarezzando i capelli — due cose bastavano per far addormentare Enmei: le mani tra i capelli e la ninna nanna brasiliana che Shōyō aveva cantato ai figli quando erano in fasce, e che i figli avevano imparato a memoria. <<Anche Kei è cambiato da quando è nato Enmei, lo sai che adesso non vede l'ora di venire con me a fare shopping nei negozi per bambini? Quando Yukino era piccolo preferiva farsi piuttosto sparare ad una gamba>>
Shōyō soffiò una mezza risata. <<Il signorino qui, quello che- — virgolette immaginarie. — -non ne voglio sapere nulla di quel moccioso, devi vedere come se lo porta in ufficio la mattina o in palestra nei weekend. Gli fa anche il latte la notte e gli cambia i pannolini. Quando i ragazzi erano piccoli? Scappava dalle sue responsabilità>>
Tobio sbuffò sonoramente. <<Ma stai zitto. Che tuo figlio questa me la deve ancora scontare>>
Tadashi ridacchiò, sedendosi al posto precedentemente occupato da Kuroo. Lo stesso Kuroo che adesso stava ballando sulla pista da ballo assieme a suo figlio Tōya. <<E Haruiki? Dalai mi ha detto che all'università sta andando alla grande>>
Shōyō annuì entusiasta. Il suo bambino era fenomenale, una perla rara, forse l'unico tra quei tre testoni che avrebbe portato a casa una laurea; anche perché Dalai aveva affermato di voler lavorare nel mondo dello spettacolo, mentre i gemelli volevano andare su Marte per fare risse con i marziani che volevano invadere la terra. <<All'università sta andando alla grande. È il primo del suo corso. Si sta anche frequentando con una ragazza del corso di farmacia, dice che è ancora troppo presto per farcela conoscere. Ma adesso Haru gli ha messo in testa di andare a fare due anni all'estero, io gli ho detto no e lui mi ha detto tutto saccente — cercò di imitare la voce del figlio. — Ma tu non sei andato in Brasile da solo a sedici anni? Che ingrato!>>
Tadashi rise. E Shōyō rise con lui.
Ce lo avrebbe mandato a studiare biologia marina all'estero, ma poteva essere in ansia, giusto? Stavano parlando pur sempre degli sconfinati Stati Uniti, dove il tasso di criminalità era molto alto e Haruiki dava confidenza pure ai muri.
Tobio era stato d'accordo sin da subito nel mandarlo a studiare all'estero per fargli fare esperienza. Così come lo erano stati i gemelli, che avevano deciso di utilizzare la stanza del fratello maggiore come una stanza cinema. Dalai ci era rimasto male, lui era quello più legato ad Haruiki.
<<Yukino tra un anno andrà all'università. Ha deciso di studiare lingue straniere e di fare l'università a Londra — Tadashi sorrise mestamente. — È l'unico figlio che abbiamo. La casa sarà così vuota senza di lui, e poi ho quest'ansia assurda di avercelo così lontano da me. Ho paura che gli possa succedere qualcosa>>
<<Compratevi un criceto. Di sicuro avrà più cervello di lui e non si scoperà il figlio degli amici di famiglia dei suoi genito- — poi un'improvvisa consapevolezza, come un fulmine a ciel sereno. Yukino. Università. Londra. Quello stronzo avrebbe lasciato suo figlio qui da solo con suo nipote. — Yukino tra un anno andrà a studiare a Londra? — Tadashi annuì. — YUKINO TSUKISHIMA. VIENI QUI, COGLIONE DEL CAZZO>>
Shōyō rise. <<Vuoi ancora andare a vivere insieme?>>
Tadashi rise a sua volta. <<Ovvio. Guarda che drama>>
<<Hai ragione. Dobbiamo divertirci in qualche modo>>
<<Esatto>>
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Lev osservò sua figlia ballare con Dalai.
Ci aveva sperato, insomma, Dalai era un bel ragazzo, un bravo ragazzo, era figlio del suo migliore amico.
Sarebbe stato fantastico. Ma Dalai si era innamorato di Yukino.
E sempre Dalai si era fatto ingravidare da Yukino.
E Yukino si stava nascondendo da Tobio.
Morisuke osservò sua figlia sorridente. Masha aveva lunghi capelli castani e occhi felini verdi; era sempre sorridente, era svampita con le persone a cui voleva bene ma era determinata e intelligente. Molto attenta e arguta. Era un loro giusto mix. Era il loro capolavoro. <<Ogni giorno diventa sempre più bella>>>
Lev annuì. Sì, sua figlia diventava ogni giorno sempre più bella.
Lev l'amava ogni giorno sempre un po' di più.
Masha andava ancora al liceo ma aveva già le idee chiare su cosa studiare all'università: legge, come suo padre.
Morisuke ne era orgoglioso.
Dopo Masha, Lev e Morisuke non avevano più avuto figli.
Più per problematiche tempistiche che per vere e proprie problematiche.
Dopo la nascita di Masha, Morisuke si era concentrato sul lavoro e sull'apertura di un proprio studio legale mentre Lev sulla bambina e sul suo lavoro: aveva aperto un brand ed era costantemente impegnato tra shooting e interviste varie.
Avevano però preso un gatto.
E un criceto. Due criceti.
Il primo lo aveva mangiato il gatto.
Fu Lev a rompere il silenzio in cui erano caduti dopo quella constatazione sulla figlia. <<Tesoro? Lo credevi possibile?>>
<<Cosa? Che Dalai si fidanzasse con Yukino? In effetti, sin da bambini si vedeva che sarebbe nato del tenero tra lo->>
<<No, non quello>>
<<E cosa?>>
<<Che io e te saremmo arrivati a questo punto. Nessuno credeva che una volta usciti da quel programma saremmo sopravvissuti a questo>>
Morisuke sorrise alzando un angolo della bocca. <<Io invece ci credevo, ci ho creduto fin dall'inizio. Quando sono sceso per te avevo già capito che saremmo stati insieme per sempre>>
Lev gli sorrise dolcemente.
Morisuke gli sorrise a sua volta.
Si alzò e gli porse una mano. Lev inarcò un sopracciglio.
Yaku si inchinò leggermente in avanti, sorrise dolcemente — una mano in avanti verso il marito e un'altra dietro la schiena. <<Mi concede questo ballo?>>
Lev gli sorrise a sua volta guardandosi attorno come se stesse cercando qualcuno in particolare. Si voltò nuovamente verso il marito storcendo il naso. <<Non lo so. Mio marito potrebbe scoprirci e potrebbe arrabbiarsi con me. È un avvocato molto famoso e se divorziamo potrebbe portarmi via la bambina... e soprattutto la macchina di lusso e la casa delle vacanze a Tenerife>>
Morisuke rise; Masha li guardava sorridente dall'altra parte della sala — Dalai con in braccio Enmei e Yukino accanto a loro, che li osservavano sorridenti a loro volta. Enmei non era riuscito a dormire a causa della musica alta e quindi lo stavano distraendo portandolo in giro. <<Non credo che suo marito ritornerà così presto. Le va'?>>
Lev annuì sorridente. <<Non me lo faccio ripetere due volte>>
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Bokuto bevve un sorso di vino bianco.
Akaashi seduto accanto a lui smanettava con il cellulare.
Reiki saettò lo sguardo tra i suoi due genitori.
I suoi fratelli in terrazza a parlare con Taisho e Takao.
<<Quindiiiii... volete divorziare per davvero?>>
Akaashi annuì.
Bokuto annuì a sua volta.
Il primo continuava a smanettare con il cellulare.
Bokuto continuava a sorseggiare il suo vino.
Reiki annuì. Non tanto convinto della cosa.
I suoi genitori avevano iniziato a litigare da qualche settimana perché papà Keiji lavorava troppo in ospedale, e a papà Kōtarō quella situazione non andava particolarmente a genio.
Reiki portò lo sguardo alle sue spalle. I suoi tre fratelli stavano infastidendo Taisho e Takao.
Benjiro era nato quando lui aveva quattro anni.
Due anni dopo era arrivato Kota.
E un anno più tardi Shiro.
Al compimento della maggiore età, Kōtarō gli aveva chiesto se avesse voluto ricevere il suo cognome. E Reiki lo aveva guardato e lo aveva abbracciato saltandogli al collo e sorridendo entusiasta.
Certo, che lo voleva.
Ovvio che voleva il cognome dell'uomo che l'aveva cresciuto con tanto amore e tanta premura.
Reiki riportò lo sguardo sui genitori — a mali estremi, estremi rimedi. <<Ricordate che vi avevo parlato della specializzazione?>>
Bokuto annuì. <<Diritto privato, giusto?>>
Reiki annuì a sua volta. <<A dire il vero, volevo studiare diritto privato a casa dei nonni>>
Akaashi inarcò un sopracciglio portando lo sguardo sul figlio. <<Perché? I nonni si sono trasferiti ad Osaka>>
Reiki scrollò le spalle.
Bokuto spostò lo sguardo su Akaashi.
E Akaashi fece lo stesso.
Kōtarō alzò entrambe le sopracciglia. <<Guarda che io e papà scherziamo. Non vogliamo davvero divorziare, ti prego Reiki non andare dai miei genitori ad Osaka>>
<<Ah, no? Era uno scherzo?>>
<<Keiiiiijiiiii lo so che mi ami>>
Keiji sorrise dolcemente, si sporse nella sua direzione e lo baciò a fior di labbra. <<Sì, ti amo tantissimo>>
Reiki sorrise dolcemente. Chiodo scaccia chiodo.
Era questa la tattica che usavano lui e i suoi fratelli.
Facevano una stronzata grandissima, quasi pericolosa.
Litigavano tra loro, urlavano e se ne uscivano con idee strampalate.
E i loro genitori dimenticavano perché litigavano.
Si sarebbero amati fino alla fine dei tempi.
Si erano trovati. Non potevano più separarsi.
Reiki lo sapeva. Ma era sempre meglio ricordarglielo ogni tanto.
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Tōya aveva la testa poggiata sulla spalla di suo padre.
Quel ballo tra padre e figlio lo aveva tanto sognato.
Aveva iniziato a sognarlo quando aveva visto suo padre ballare sulla pista da ballo abbracciato a zio Yo Yo.
Ne era stato geloso. Forse per la prima volta era stato geloso del suo zietto preferito.
Okay, adesso zio era un parolone.
Forse più onii-chan.
Dopo la nascita di Dalai e il suo ritorno in Giappone, Shōyō era diventato a tutti gli effetti un membro della loro famiglia. Testurō era diventato suo tutore legale. Non lo aveva adottato, non gli aveva dato il cognome, ma Testurō sarebbe stata la prima persona ad essere avvertita in caso di pericolo, la prima dopo Tobio.
I genitori di zio Yo Yo non si erano fatti più vivi.
La sorella di Shōyō aveva provato a mettersi in contatto con lui ma Shōyō non ne aveva voluto sapere nulla.
Testurō aveva detto a Tōya che Shōyō era molto arrabbiato e che nulla lo avrebbe fatto cambiare idea sul comportamento pessimo della sua famiglia. Papà Kenma gli aveva detto anche che Shōyō prima o poi avrebbe ascoltato le parole di quelli là e avrebbe saputo perdonare.
Tōya alzò la testa nell'esatto momento in cui Kuroo l'aveva abbassata. Entrambi sorrisero dolcemente.
Testurō gli baciò la fronte.
Tōya sorrise ancora più raggiante.
<<Grazie per tutto papà. Grazie per aver dato una possibilità ad Haru>>
<<Se ti fa del male->>
<<Sì, sì, lo so. Gli tagli le palle>>
<<Secondo te perché Tobio e Shōyō non hanno avuto più figli?>>
Tōya sbatté le palpebre un paio di volte.
Scoppiò a ridere.
E Testurō si disse che, sì, sarebbe andato tutto bene.
Se Tōya rideva così sarebbe di certo andato tutto bene.
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Atsumu era seduto al suo tavolo.
Suo fratello ballava con suo marito.
Le sue nipotine parlottavano con Tadashi e Shōyō.
Volevano diventare modelle, e non c'era giorno nel quale non chiamassero uno dei due per chiedere consigli.
Tutto era perfetto quel giorno.
Kōrai era dall'altra parte della stanza.
Suo marito accanto a lui. Sua figlia che si rincorreva con i gemelli dell'apocalisse.
La madre dello sposo alpha ballava con lui.
Le lacrime agli occhi e le mani sulle guance del figlio.
Il padre dello sposo alpha ballava con la figlia.
L'unica femminuccia di casa Kageyam era bellissima con i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, gli occhi blu vispi e il vestito bianco da damigella che le arrivava a sfiorargli la caviglia.
Atsumu spostò poi lo sguardo sulla persona che gli interessava davvero. Suo marito.
Kiyoomi stava ballando sulla pista da ballo.
Il loro bambino tra le braccia.
Hiro aveva sei anni ed era la fotocopia sputata del suo padre omega.
Dopo la nascita di Dalai, Atsumu si era deciso a prendere in mano la situazione. Doveva fare qualcosa.
E così era andato a fare una scenata a casa di Kiyoomi.
L'omega di tutto punto gli aveva richiuso la porta in faccia.
E Atsumu era stato tutta la notte, sotto la pioggia, ad urlare il nome di Kiyoomi... e a riempirlo di insulti.
Atsumu, dopotutto era Atsumu.
E Kiyoomi non voleva rischiare una denuncia dai condomini.
Così se l'era sposato. Due anni dopo quella sera, ovviamente.
Avevano aspettato per un bambino.
E da sei anni, Hiro aveva riempito le loro vite.
Kiyoomi si voltò a guardarlo. Lo stesso fece Hiro.
Entrambi sorrisero. E Atsumu non poté che sorridere anche lui.
Hiro gli fece cenno di andare da loro.
Kiyoomi lo guardava con gli occhi colmi d'amore — una ciocca di capelli neri caduta davanti gli occhi.
Li amava.
Cazzo!, se li amava.
౨ৎ ˖ ࣪⊹🌻⊹₊ ⋆୨ৎ
Yukino era seduto sul cornicione del balcone, le gambe penzoloni verso l'esterno che andavano avanti e dietro.
Dalai lo guardò con un sorriso dolce stampato in viso.
Non sapeva il come e il quando si fosse innamorato di lui, ma da un giorno all'altro quando aveva iniziato a passare del tempo con il suo migliore amico il suo cuore non faceva altro che battere all'impazzata.
Enmei non era in programma. Assolutamente no.
Ma Dalai era in calore. I suoi genitori erano via perché i gemelli si erano fatti male e si erano spezzati entrambi una gamba.
E Yukino era stato l'unico che l'aveva aiutato.
Ai contraccettivi non ci avevano pensato.
In quel momento non avevano pensato a nulla.
Esistevano solo loro.
Dalai gli lasciò un bacio sul retro della nuca.
Yukino si voltò verso di lui sorridendo dolcemente.
Enmei era stato portato via dai nonni omega, e il bambino come il ruffiano che era non si era di certo tirato indietro.
<<Perché sei qui? Vuoi suicidarti?>>
Yukino scrollò una spalla. <<Tuo padre ha saputo di Londra>>
Oh, merda. Oh, cazzo. No no no no. <<Non gli hai detto che io e Enmei verremmo con te, vero?>>
<<Sono ancora vivo, no?>>
Entrambi risero sonoramente.
Dalai si sedette accanto a lui, le gambe penzoloni e che andavano avanti e dietro. Poggiò la testa sulla spalla del fidanzato sospirando debolmente e osservando la luna brillare alta nel cielo.
Forse si era innamorato di Yukino quando una sera lo aveva riaccompagnato a casa dopo le lezioni pomeridiane. La luna era alta nel cielo perché il sole era calato prima, e faceva freddo. Tanto freddo.
Dalai sapeva che se suo padre avesse saputo che al raggiungimento della maggiore età lui e Enmei avrebbero raggiunto Yukino a Londra, beh, lo avrebbe ammazzato. E neppure Kei ne sapeva nulla.
Quei due erano troppo innamorati del bambino per staccarsi da lui.
Solo Tadashi e Shōyō sapevano tutto di quello che i due volevano mettere in atto. Li stavano anche aiutando a trovare il modo adatto per dirlo ai due alpha brontoloni.
Ed era proprio per quello se avevano dato vita a quell'idea bislacca di comprare una casa dove vivere tutti insieme per spupazzarsi il nipote, perché volevano passare più tempo che potevano con il bimbo.
Yukino si voltò a guardare il padre di suo figlio.
Lo amava, lo amava da impazzire.
Ma non glielo aveva mai detto.
Per loro era stato naturale.
Quella notte. Enmei.
Tutto era stato deciso tacitamente.
Yukino continuò a guardarlo e guardarlo e guardarlo.
E capì una cosa importante: esiste quel momento in cui guardi una persona e capisci di aver trovato il tuo posto, e non è questione di chimica o di attrazione o di istinto, no, semplicemente è amore. È guardarsi, sorridersi e capire di essersi sempre cercati.
<<Stringi la mia mano>>
Dalai lo osservò curioso. <<Perché?>>
<<Perché così ti sento più vicino>>❞
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