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Cap 14 - Pessima idea


🙏🏼 Se vi piace la storia e se desiderate che la continui, vi chiedo solo di riempire la stellina e di lasciare un commentino 🙏🏼



11 settembre 2023

Robbie POV

Con passo veloce mi dirigo verso l'ufficio di Anderson, decisa a non accettare più alcun tipo di giochetto. Ho intenzione di ottenere quello che voglio, senza attendere un minuto di più. Se è vero che una normale attesa aumenta il desiderio, un'attesa interminabile rischia di spegnerlo definitivamente.

Mentre attraverso il lungo corridoio dell'università, sento il suono delle mie scarpe rimbombare sul pavimento di marmo appena lucidato. Il mio respiro è sempre più profondo e il battito del mio cuore sempre più accellerato. Imbocco la scala che conduce al piano dell'ufficio del professore e, con una leggera corsetta, salgo i gradini.

Non appena giunngo a destinazione, mi trovo costretta a bloccarmi.

Proprio davanti alla porta dell'ufficio di Anderson, c'è un uomo: alto, spalle larghe, vestito in modo formale e ha un'aria che trasuda una certa tensione.

Non è né uno studente, né un professore del mio corso.

Non appena riesco a vedere chiaramente il suo volto, lo riconosco subito: è l'uomo con cui ho visto discutere Anderson qualche giorno fa. Non ho il minimo dubbio. E adesso è lì, immobile, con le mani infilate nelle tasche della giacca scura. Anche lui, esattamente come me, sta aspettando l'arrivo del caro professore.

Il mio istinto mi dice di non farmi vedere. Mi apposto dietro l'angolo e, continuando a scrutarlo attentamente, cerco di non farmi notare.

Anderson non tarda ad arrivare. Lo vedo sbucare dalla stessa scala percorsa da me pochi minuti fa: cammina con il solito passo deciso, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, la giacca appoggiata sulle spalle e un'aria leggermente pensierosa. È sexy da morire.

Non appena si accorge della presenza del misterioso ospite, la sua espressione muta drasticamente: il suo volto si indurisce, le labbra si serrano in una linea sottile e i suoi meravigliosi occhi verdi, per una frazione di secondo, ruotano verso il soffitto.

Anderson e il suo presunto acerrimo nemico si fermano uno di fronte all'altro.

«Cosa c'è?» Anderson esordisce con questa domanda secca. Il suo nervosismo è più che evidente.

Chi diavolo è questo tizio? Cosa potrà mai essere successo di tanto grave?

L'uomo non risponde subito. Inclina leggermente la testa, osservando il mio professore con un sorriso, quasi impercettibile, che non ha nulla di amichevole.

«Pensi ancora di poterti liberare di me così facilmente?»

Anderson sospira, guardandosi rapidamente attorno, come se volesse assicurarsi che nessuno stia ascoltando la conversazione.

Trattengo il fiato, accostandomi ancora di più alla parete.

«Non ho tempo per questo.» taglia corto Anderson, facendo per aprire la porta dell'ufficio.

Allungo il collo, cercando però di tenere la schiena attaccata al muro. Ahi. Grande, Robbie. Come minimo ti prenderai uno strappo o un bel torcicollo. Tutto per cosa? Per non essere in grado di farti gli affari tuoi.

L'altro uomo, gli afferra il braccio bloccandolo. Il gesto è rapido, deciso, carico di una tensione che mi fa stringere, involontariamente, le dita contro la stoffa della mia giacca.

«Oh, ma dovresti trovarlo, invece. Dopo tutto, il tuo ruolo qui è stato ottenuto con...»

Con?! Accidenti. Non riesco a sentire.

Anderson si scosta bruscamente, scuotendo il braccio per liberarsi dalla stretta. Il suo volto è una maschera di contenuta esasperazione.

«E' una minaccia?»

L'uomo ride velatamente. «Anders, sei sempre così tragico.»

L'ha chiamato per nome.

Mentre mi mordo il labbro, le parole di quell'uomo iniziano a risuonare nella mia mente.

Mezzi discutibili? Di cosa sta parlando? Anderson è troppo giovane per il ruolo che ricopre, lo sapevo. Ma ha pagato qualcuno per ottenerlo? E se avesse fatto qualche favore sessuale? Magari c'entra con la sua iscrizione al Velvet! Oddio. Sarebbe veramente assurdo.

Anderson lo fissa, tenendo le mani chiuse a pugno lungo i fianchi.

Per qualche secondo, entrambi restano in silenzio. Un silenzio angosciante, carico di risentimento.

«Sparisci.» sibila infine Anderson, liberandosi dalla presa e facendo un passo deciso dentro l'ufficio. Poi, improvvisamente, si blocca.

«Sei venuto solo per questo? Per insinuare qualcosa che non puoi dimostrare?» domanda senza voltarsi e dando, così, le spalle all'acerrimo nemico.

L'uomo sorride ancora. Poi, senza dire altro, sorpassa Anderson ed entra nell'ufficio. La porta si chiude ed io, nonostante tenti di avvicinarmi ulteriormente, smetto di sentire qualsiasi parola.

Che incredibile giramento di palle! Invece di sorprendere il mio professore con un escamotage piccante, ora mi ritrovo con una domanda bruciante nella mente: chi è davvero Anders Anderson? E cosa sta cercando di nascondere?

Dopo una quindicina di minuti circa, la porta si spalanca e vedo le ombre di entrambi gli uomini uscire dall'ufficio e allontanarsi.

Sporgo leggermente la testa e, con mia immensa sorpresa, noto che hanno dimenticato la porta aperta.

No, Robbie. Torna da dove sei venuta. Scendi, fatti una passeggiata nei bellissimi giardini di Harvard, prenditi un caffè e, soprattutto, fatti i cazzi tuoi.

Nulla da fare, è più forte di me.
Nonostante la mia razionalità provi a fermarmi, non riesco a fare a meno di agire. Dopo aver ascoltato quella conversazione, ho la vera e propria sensazione che una sorta di forza invisibile mi stia spingendo verso quella dannata porta.

Non so nemmeno cosa mi aspetto di trovare nell'ufficio di Anderson. Che senso avrebbe frugare nei suoi documenti? Un professore non nasconderà mai i suoi segreti tra le carte degli studenti.

Non ha il minimo senso, Robbie. Questa è una grandissima stronzata.

Non c'è verso. Il pensiero di non farlo, di tirarmi indietro, mi fa letteralmente impazzire.

Sono sempre stata una persona curiosa, desiderosa di andare a fondo nelle varie questioni. Questa volta, però, sento che la mia curiosità rischia di diventare una trappola. Mentre la ragione si dibatte, l'istinto mi dice di entrare. Ed io sono quella che, nel bene e nel male, da sempre ascolta l'istinto. Su questo non c'è dubbio.

Il piano è semplice: aspettare che Anderson e suo padre imbocchino le scale e, più veloce della luce, imbucarmi nell'ufficio. Non si accorgeranno di nulla.

Con l'orecchio teso, sento i lori passi allontanarsi e il suono delle loro voci affievolirsi. Mentre i battitti del mio cuore che, al contrario, avverto aumentare a dismisura.

Prendo un respiro profondo. Poi, un secondo più profondo ancora. Il mio corpo è teso come una corda di violino: i muscoli sono contratti e i palmi delle mie mani sudano e tremano contemporaneamente. Il mio corpo mi sta lanciando un chiaro segnale, mi sta letteralmente dicendo: Stai facendo una grandissima cazzata, ma ormai hai deciso di farla. Quindi, vai.

Mi accerto che nessuno stia guardando. Ho una manciata di secondi, giusto il tempo per sgattaiolare nell'ufficio, senza destare sospetti.

Appena entrata, mi volto di scatto verso la porta: Anderson l'ha lasciata aperta e si è portato via le chiavi.

Merda. Non posso nemmeno chiudermi dentro. Posso solo sperare che nessuno entri.

Mi sento avvolta da un silenzio opprimente e schiaccinate. L'ufficio di Anderson mi sembra infinitamente più freddo della prima volta in cui ci sono stata.

Lancio una rapida occhiata verso la libreria, poi verso gli scaffali. Ogni singolo oggetto è disposto con ordine meticoloso, quasi maniacale. Ogni cosa sembra al suo posto, perfettamente incasellata, ordinata, come se il caos fosse nemico di quella stanza. Non c'è nulla che distragga l'attenzione, nulla che esprima un minimo di disordine.

Non capisco per quale motivo io sia così certa che qualcosa, nascosto in qualche angolo invisibile, debba esserci. Quello che sto facendo è semplicemente ridicolo.

Inizio a frugare nei cassetti, prestando incredibile attenzione a non spostare un foglio di troppo. Cosa trovo? Una montagna di scartoffie, fogli di ogni genere e buste trasparenti.

Improvvisamente, i miei occhi cadono sulla poltrona della scrivania e un piccolo brivido mi corre lungo la schiena.

La cartella di Anderson. La cartella di Anderson è lì, sulla scrivania. La riconosco subito: nera, di pelle, quella che porta sempre con sé.

Un secondo brivido mi percorre la schiena mentre la prendo in mano. Non è solo la curiosità che mi spinge, è la sensazione inspiegabile che, in quella cartella, ci sia qualcosa di fondamentale.

In questo preciso momento, il rischio di essere scoperta diventa quasi un dettaglio secondario, un dettaglio che si dissolve nell'istante in cui il mio dito scivola sulla superficie liscia della cartella. La apro con cautela e, una volta posati i miei occhi assetati di curiosità su di essa, un fremito mi attraversa: dentro c'è una cartella psichiatrica.

Oddio.

L'esclamazione mi scivola dalle labbra in un sussurro. Poi, un sorriso beffardo, quasi di rimprovero, mi si disegna sul volto senza che io lo possa trattenere. Cosa mi aspettavo? Dopo tutti i comportamenti di Anderson, davvero mi stupisco del fatto che vada da uno psichiatra?

La mia mente è in subbuglio, le mie mani tremano e i miei occhi vagano in cerca di raccogliere il maggior numero di informazioni possibili.

Mi accovaccio sotto la scrivania per essere più discreta, anche se so che l'intera situazione è un atto di autolesionismo. Chiunque potrebbe entrare da un momento all'altro, e io sono lì, nascosta, con una cartella che potrebbe mandare all'aria la mia intera. Ma non posso fermarmi. La tentazione è troppo forte.

Due, tre, quattro passi decisi. Li sento distintamente.

Merda merda merda!

Ogni passo che si avvicina mi fa sussultare, mentre ogni singoloi singolo battito del mio cuore si mescola al rumore dei passi. Maledizione. Non avrò mai il tempo di mettere tutto a posto!

Mi trovo paralizzata con questa maledetta clinica. Vorrei alzarmi e fare qualcosa, ma il corpo non risponde. Ogni muscolo è bloccato, come se la paura fosse più forte di ogni altra cosa.

No Robbie, non è questo il momento di farsi prendere dal panico. Devi agire. Ma dove mi nascondo? Dove posso sparire in fretta, prima che qualcuno apra quella porta?

Mi guardo intorno freneticamente, ma ogni angolo sembra una trappola. Non c'è tempo. Di scatto, mi alzo in piedi, appoggiando stupidamente la cartella sulla scrivania e non riponendola nella cartella. Mi appoggio allo schienale della poltrona di Anderson, decidendo di fingere di averlo aspettato. Del resto, il mio obiettivo era proprio quello di fargli una sorpresa, giusto?

La mia mente si riempie di pensieri caotici, immagini di un futuro che si trasforma in una spirale di conseguenze.

Conseguenze che, infatti, non tardano ad arrivare.

«Che cazzo stai facendo?»

Anderson preme l'interruttore della luce, illuminando pienamente la maledetta stanza.

Grazie al cielo, è solo. Posso ancora provare a giocarmela.

Lentamente, mi avvicino a lui, sistemandomi nervosamente le ciocche di capelli.

Dissimula, Robbie. Dissimula.

«La lezione è stata decisamente interessante, professore. Sono qui per un approfondimento.» sussurro civettando.

L'espressione di Anderson, sembra rilassarsi e ammorbidirsi lentamente.

Si volta e, dopo aver chiuso la porta a chiave, si avvicina a me.

Senza proferire parola, mi affera per i fianchi e, finalmente, avvolge le mie labbra in un bacio intenso e desideroso. La sua lingua si insinua rapidamente all'interno della mia bocca, prima accarezzando e poi avvolgendo la mia. Se le mie labbra principali sono al settimo cielo, le mie labbra secondarie sono letteralmente in estasi.

Nemmeno il tempo di rilassarmi e abbandonarmi completamente a questo fin troppo bacio, che Anderson mi allontana bruscamente.

«Pensi che sia scemo?»

Sbatto le palpebre confusa. «Cos...»

«Che cazzo stavi facendo, cretina?!» sbotta prendendo in mano la cartella clinica.

Ecco. Cretina è il termine giusto.

«Di cosa stai parlando?» mento spudoratamente e ridicolamente.

«Robbie. Non farmi incazzare.» ringhia fermandosi a un millimetro dal mio volto.

I suoi occhi verdi, improvvisamente, non ricordano più il pacifico paesaggio canadese. Sono molto più simili a vetri taglienti e affilati.

«Come ti è saltato in mente di frugare nelle mie cose? Che cazzo di problemi hai?!»

«Anders, lasciami spiegare...»

Sbatte violentemente il fascicolo sulla scrivania, facendomi sussultare.

«Coraggio.» si siede sulla poltrona al di là della scrivania, mentre io resto pietrificata.

«Sono tutto orecchie.» mi incoraggia, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo. I pezzi di vetro tagliente che hanno preso il posto dei tranquilli laghi canadesi, non smettono di fissarmi. Nemmeno per un secondo.

Credo che questa sia stata, ufficialmente, l'idea peggiore presa in tutta la mia vita.





Anders POV

Questa ragazzina ha proprio una bella faccia tosta.

Pensava davvero, grazie al suo bel visino, di potersi prendere gioco di me?

Ci sono due tipologie di persone che odio: quelle che pensano di potermi dire quello che devo fare e quelle che pensano di potermi prendere per il culo.

In entrambi i casi, le mie reazioni non sono delle migliori. E temo che la signorina Clark se ne accorgerà molto presto.

«Allora?» domando spazientito.

Adesso cosa fa? Interpreta la parte del povero agnellino spaventato?
Sono un docente universitario, signornina Clark. Di scenate e pianti esistenziali ne ho visti fin troppi. Mi creda.

«Mi dispiace.» risponde improvvisamente. La sua risposta secca mi spiazza. Non ha intenzione di provare a giustificarsi?

«Anders, non ho voglia di dirti ulteriori cazzate.»

Questo potrebbe essere un buon inizio. Brava. Un punto in più per te, Clark.

«Sono entrata nel tuo ufficio in cerca di non so che cosa e ...»

So benissimo che fatica a sostenere il mio sguardo, quindi cerco di non toglierle gli occhi di dosso. Nemmeno per una frazione di secondo.

«E?» la incalzo.

«E ho tirato fuori questo cavolo di fascicolo dalla tua cartella, va bene?!» sbotta esasperata. «Ho fatto una cazzata, lo so. È gravissimo. Non mi sarei mai dovuta permettere di fare una cosa del genere.»

Quando termina di parlare, fisso attentamente e intensamente il suo sguardo. Cerco di indagare e scavare all'interno dei suoi occhi.

Cosa noto? Noto che sembra sincera, ma non dispiaciuta. Non è nemmeno spaventata. Più che altro, sembra imbarazzata.

Se non fosse una frequentatrice del Velvet, mi ricorderebbe una bambina con le treccine bionde beccata con le mani in un barattolo di marmellata. Ma il ricordo di lei in tacchi a spillo e maschera sul volto, oscura completamente questa immagine.

Noto le sue palpebre sbattere più del solito.
A cosa stai pensando davvero, Robbie?

Sa di aver sbagliato, certo, eppure non percepisco il suo turbamento di fronte a questa situazione. Come è possibile? Qualsiasi persona sana di mente, sarebbe terrorizzata dal fatto di essere cacciata da Harvard o, peggio ancora, di beccasi una bella denuncia.

Prendo in mano sia il fascicolo che la situazione:

«Comunque, se ti interessa tanto, questo fascicolo non è mio.»

Vedo i suoi occhi illuminarsi di una curiosità improvvisa e incredibilmente intensa. Curiosità che sembra aver preso il posto, completamente, del precedente stato di disagio. Ribadisco: questa ragazza, nonostante si trovi in questa situazione limite, non è affatto spaventata. Incredibile.

«Ah. E...»
No, non può essere. Non può farmi davvero questa domanda.

«E di chi è?»
Ha realmente il coraggio di chiedermelo!

Come capita rarissime volte in vita mia, resto senza parole. Sono basito. Dopo alcuni secondi, sforzandomi di raccogliere le parole più adatte, rispondo alla sua domanda con un secondo interrogativo:

«Stai scherzando?» la mia voce è ferma e secca, mentre le mie pupille puntano le sue, sforzandosi di non mollare la presa nemmeno per un istante. La vedo arrossire e vedo ricomparire la parvenza di disagio e imbarazzo.

«Quello che è successo è estremamente grave. Non credo di avere altra scelta se non quella di sporgere denuncia e di segnalare l'accaduto al rettore.» bleffo.

Gli occhi della ragazzina spavalda si allargano e ho l'impressione che, seppure in maniera impercettibile, diventino leggermente lucidi.

«Ma, Anders...» si interrompe. Un tremolio pervade la sua voce e un discreto rossore compare sul suo volto.

Finalmente, è spaventata. Obiettivo raggiunto. Bene.

«In ogni caso», decido di cambiare subito discorso, «Come ti dicevo, questa cartella clinica è di mio padre. Vedi?» picchietto l'indice sul primo foglio, indicando il nome presente sull'intestazione:

Philip Anderson.

«Oh.»

«Già. Ti tranquillizza la cosa?»

«In che senso?»

«Beh, leggendo la diagnosi, ti sarai preoccupata a pensare che fossi io. Insomma... Scoprire di essersi fatta scopare dal proprio professore, per giunta con queste problematiche, a me avrebbe preoccupato. A te no?» inarco un sopraciglio, cercando di cogliere anche il più piccolo segnale dalla sua espressione.

«In realtà, non sono riuscita a leggere nulla. Sei entrato prima che potessi farlo.» ammette arrossendo e abbassando lo sguardo. Percepisco subito la sua sincerità e, involontariamente, un piccolo sorriso mi sfugge. Lei lo nota subito e sfrutta l'occasione.

«Mi dispiace, Anders. Non so cosa mi sia preso.»

«Lo so io, perfettamente: volevi farti i cazzi miei ma, sfortunatamente, non ci sei riuscita.»

La sto indisponendo, innervosendo e facendo preoccupare visibilmente. La cosa mi piace parecchio.

«Cosa dovrei fare, secondo lei, signorina Clark?»

«Mi punisca. Ora.»
Robbie Clark, sei proprio una bella stronza.

«Non sarebbe una punizione adeguata. Ti piacerebbe troppo.»

«Rendila meno piacevole, allora.» sussurra avvicinandosi a me.

Si meriterebbe di essere mandata a faculo immediatamente. Dopo quello che ha fatto, dovrei cacciarla fuori da questo ufficio, da questo corso e da Harvard. Si è permessa di frugare tra i miei documenti, voleva impossessarsi di chissà quale informazione e, cosa più grave, ha pensato di potermi prendere per il culo.

Considerando i nostri trascorsi, mi sembra evidente che non mi possa fidare di questa ragazza. La sua presenza qui è altamente rischiosa per me e per la mia posizione. Dovrebbe essere allontanata immediatamente.

Vorrei trovare la forza di farlo.
Vorresti, Anders? O dovresti?

Per quanto, solitamente, il mio autocontrollo rasenti la perfezione, questa volta lo sento vacillare. Le mie parole escono sincere:

«Devo usare tutto il mio autocontrollo per non scoparti su questa scrivania. Per farti vedere che hai pensato di fottere la persona sbagliata. E per dimostrarti che, adesso, sarai tu ad essere fottuta.» mentre pronuncio queste parole, fissandola intensamente ed avvicinandomi a lei, percepisco la sua eccitazione. Sono certo che, anche questa volta, se dovessi infilare la mano sotto quella minigonna la troverei assolutamente pronta.

«Non usarlo, allora.» le sue labbra sfiorano le mie, provocando in me una piena erezione.

La afferro per i fianchi e, voltandola, la sbatto con forza contro la scrivania. Sfilo con foga la cintura, slaccio i pantaloni e, finalmente, mi insinuo dentro di lei.

Le piace da impazzire.



SPAZIO AUTRICE 🖊️

Buona domenica bellissimi e bellissime! Ecco a voi il nuovo capitolo, devo dire che sono molto soddisfatta 🙏🏼🥹

Cosa dite circa l'intrudizione del POV di Anders Anderson? Fatemi sapere cosa ne pensate!

Vi abbraccio fortissimo ❤️
Azzurra

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