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Cap 11 - Aria pulita



🙏🏼 Se vi piace la storia e se desiderate che la continui, vi chiedo solo di riempire la stellina e di lasciare un commentino 🙏🏼


10 settembre 2023

«Susan! Eccomi, cara.» si sbraccia Garcìa sventolando entrambe le braccia. Il suo viso resta sereno e composto, mentre il suo corpo sembra aver bisogno di sprigionare un'energia troppo a lungo trattenuta.

«Papà!» due bambini dai riccioli biondi, identici, corrono verso di noi.

I loro piccoli passi svelti e disordinati risuonano sulla passerella di legno, mentre le scarpe da ginnastica si muovono velocemente sopra la superficie. Non appena ci raggiungono, saltano addosso a Garcìa, abbracciandolo con la stessa gioia e innocenza di chi non ha mai visto un'ora di stress nella vita.

«Susan, lui è Anderson, mio stimato collega.»

«Uh, molto piacere! Anche lei qui, eh?» saluta entusiasta quella che deve essere la moglie di Garcìa.

Anderson ricambia il saluto, stringendole la mano con un sorriso. Il suo entusiasmo è decisamente inferiore.

«E lei è...» Garcìà fa una pausa, sicuramente non ricordando il mio nome.

«Robbie Clark, signora. Sono una studentessa di Harvard. Molto piacere.»

«Oh, piacere mio, cara.» noto il suo sguardo, decisamente perplesso e incuriosito. Forse questa donna, a differenza dell'affabile marito, sta pensando a quanto assurda e fuori luogo sia questa situazione.

Non posso biasimarla. Incontrare due professori universitari, accompagnati da una studentessa del primo anno, ad una gita in barca per avvistamento cetacei, non capita certo tutti i giorni.

Mi limito a sorridere, mostrando volutamente un leggero imbarazzo e abbassando un po' lo sguardo.

«E noi siamo i suoi figli.» si presenta uno dei due piccoli. Il mio sguardo si solleva automaticamente e non posso fare a meno di sorridergli con dolcezza.

Anderson osserva il bambino in silenzio, senza dire una parola. Si limita a un piccolo e secco cenno con il capo. La sua postura non accenna a rilassarsi nemmeno per un momento. Non un accenno di sorriso. Credo che il mondo dei bambini non lo entusiasmi affatto.

Seguono almeno una decina di secondi di silenzio collettivo, evidentemente nessuno sa come portare avanti la conversazione.

Ho la sensazione che, ora, anche il buon Garcìa si senta piuttosto in imbarazzo.

«Sono gemelli?» rompo quel silenzio irritante.

«Sì, gemelli!» si illumina Susan. Immediatamente, capisco che parlare dei suoi figli metterà fine ad ogni genere di riserbo. Non mi sbaglio.

«Con questi occhioni azzurri e riccioli d'oro sembrano due angioletti. Ma, credimi, sono due piccole pesti!» mentre se ne lamenta li attira a sé, tempestandoli di baci.

Finalmente, ci imbarchiamo sulla fantomatica nave, pronti per la nostra gita turistica, che più turistica di così non si può.  Infatti, dubito che a bordo, oltre a noi, ci siano altri bostoniani. L'esperienza è tutto tranne che esclusiva: la nave è enorme, non particolarmente tenuta, e le guide urlano a tutto spiano con dei megafoni più grandi dei loro volti.

Ci sono tantissimi europei: francesi, italiani, spagnoli... poi, ci sono diversi asiatici. La maggior parte sono famiglie con bambini piccoli e super entusiasti per l'avventura. Del resto, vedere una balena nell'oceano, non è cosa da tutti i giorni.

Dopo una breve introduzione sui cetacei e sugli altri mammiferi marini che potresti incontrare, la barca inizia a solcare le onde, offrendo panorami spettacolari della costa di Boston e delle sue isole. Nonostante le condizioni e il mood dell'imbarcazione, l'oceano è sempre l'oceano: meraviglioso.

E se non fosse per la situazione surreale, sarebbe un momento decisamente piacevole e rilassante.

Garcìa e l'allegra famigliola si allontanano, sistemandosi sul ponte superiore della nave. Il ponte di superiore è il più ambito: qui è infatti possibile avere una vista panoramica a 360 gradi. Molti passeggeri scelgono di restare in piedi, altri si accomodano su panchine di legno verniciate di bianco. Con un po' di fortuna, questa è senza dubbio la postazione migliore per avvistare avvistare balene, delfini o altri esemplari marini.

Pur di allontanarci il più possibile da Garcìa, io e il caro professore ci accodiamo a prua, restando sul ponte inferiore della gigantesca imbarcazione. Questa zona, nonostante sia meglio protetta dal vento, regala una visuale decisamente peggiore rispetto ai piani alti. Infatti, io e Anderson siamo quasi gli unici a sostarvi. Ma, data la circostanza, oserei direi Per fortuna.

Per almeno un paio di minuti, restiamo in silenzio senza incrociare i nostri sguardi.

«Anders, mi dispiace ma...»

«Si merita una bella punizione, signorina Clark.» i suoi occhi verdi sono fissi sull'orrizonte.

Ridacchio tra me e me, sollevata e compiaciuta da questa sua risposta.

«Come quella di prima? Prima che Garcìa ci interrompesse.»

«No. Questa sarà una punizione esemplare.» mentre pronuncia la parola esemplare, ruota il volto verso di me. La sua espressione appare divertita e sadica al tempo stesso. O mio Dio.

Deglutisco e, nonostante mi sforzi disperatamente di non farlo, arrossisco. Il battito cardiaco aumenta e sento le mie guance in fiamme.

«Come hai iniziato a frequentare il Velvet?» domanda di punto in bianco, cogliendomi completamente alla sprovvista.

«Beh, direi che è una lunga storia.» appoggio le spalle sullo schienale del rivestimento della nave.

«Abbiamo esattamente tre ore e mezza di navigazione, Robbie.»

«E le sfruttureremo al meglio», aggiunge con lo sguardo più penetrante che abbia mai ricevuto, «ma riusciremo a trovare anche il tempo necessario per questa tua spiegazione.»

Spiegazione? Adesso devo dargli spiegazioni sul perché frequento il Velvet?

«Non sapevo di doverti spiegazioni.» faccio una smorfia.

«Adesso lo sai. Allora? Come hai iniziato?»

Quest'uomo è veramente irritante.

Ma tre ore e mezza di navigazione sono lunghe, trascorrerle discutendo con Anderson le renderebbe interminabili. 

Inoltre, nutro la certezza che finchè non accetterò di rispondere al suo interrogativo, lui non accetterà di rispondere ad altri miei bisogni.

«Ho conosciuto e mi sono iscritta al Velvet un anno e mezzo fa.»

«Chi te ne ha parlato?» mi incalza interrompendomi. È estremamente curioso. Mi domando perché gli importi così tanto.

«Un amico.» mento per tagliare corto io.

Anderson non commenta, si limita ad un'espressione corrucciata, chiaro segnale dell'aver perfettamente captato la cazzata appena sparata. Lo ignoro.

«Nessuno sa che frequento questo club. Tranne America, la mia migliore amica.»

«E tranne il tuo professore.» mi corregge con sarcasmo.

Sorrido spontaneamente.

«E cosa ne pensa America?»

Lo osservo con occhi straniti. Non mi sarei mai aspettata tutto questo interesse e tutte queste domande dettagliate. Cosa gli importa di cosa pensi America?!

«Pensa che sia una grandissima stronzata.» scoppio a ridere.

«Pensa che non mi faccia bene. Vorrebbe che smettessi.»

«Perché?»

Quanti perché ha intenzione di chiedermi? Di questo passo, dovremo prenotare un secondo whale watching per portare a termine questa conversazione.

«America pensa che sia un modo non sano per affogare il dolore. Pensa che, dopo la rottura con il mio ex fidanzato, io non mi sia mai ripresa.»

«E non è così?»

«No», scuoto la testa io, «Non è vero che non ho mai superato la rottura con Chrtistian, anzi. Ho semplicemente capito tante cose. Ho capito cosa voglio e cosa non voglio, tutto qui.»

«E cosa vorresti?»

«Non credo più nell'amore, Anders. Sono certa che non esista o, quantomeno, che non faccia per me. Diciamo che la vita mi ha insegnato la lezione, più e più volte.» pronuncio queste parole con un velo tristezza ma, al tempo stesso, con un sorriso. Un sorriso di accettazione e consapevolezza.

Mentre pronuncio queste parole, i miei occhi sono rivolti verso le onde del mare. Poi, volto la testa e osservo Anderson. Mi osserva in silenzio. Sembra colpito.

«Non hai più voglia di innamorarti, quindi? Non sogni una relazione, una famiglia... nemmeno in futuro?» il suo tono è così perplesso e sorpreso.

Scuoto la testa.

«No. Te l'ho detto, non fa per me.»

«Capisco...» risponde lui, ma i suoi occhi perseverano nell'essere perplessi. Ho l'impressione che Anderson stenti a credere a queste mie parole.

«Capisco che sia strano», aggiungo, «Voi uomini pensate che tutte le donne vogliano convolare a nozze.» scoppio a ridere.

«No, non è questo.» risponde lui.

«È questo, è questo», ridacchio io, «Pensate che solo voi uomini possiate desiderare una vita senza impegni, ma sessualmente attiva. Ma non è così.» scuoto la testa, continuando a sorridere.

«Però», le mie parole sembrano non volersi più interrompere, «non frequento il Velvet per il mero desiderio di fare sesso. Sai, quello lo si può trovare ovunque.»

«Cosa ti spinge, allora?» mi domanda con voce intensa.

«Il fatto di sentirmi libera. Di poter essere chi voglio, ogni volta che voglio. Non esistono regole, non esistono giudizi morali. Spesso ho la sensazione che, solo dietro a quella maschera, io mi senta davvero me stessa.»

Per un attimo, mi pento di aver affrontato questo discorso. O forse, più che pentirmene, mi domando cosa mi abbia spinto a parlare a quest'uomo con tale sincerità. Aprirmi in questo modo, non è proprio da me.

Lo vedo annuire, con un gesto secco del capo, e scegliere il silenzio: non un commento, non una parola, non un'ulteriore domanda.

«E tu?» ritengo sia giunto il mio turno di interrogarlo.

«Io ci vado perché mi piace e basta.» risponde secco lui.

«Nemmeno tu vorresti relazioni serie?»

«No.»

«Ne hai mai avute?»

«No.»

«E perché?» mi rendo conto di essere io, ora, la parte insistente.

«Perché non ho mai desiderato averne, Robbie.» il tono della sua voce si altera leggermente. Temo di averlo innervosito.

«Ho capito.» chiudo la conversazione, capendo che essa sta prendendo una piega sbagliata.

Ma Anderson riprende a parlare:

«Se c'è una cosa che odio, è che qualcuno mi dica quello che devo fare. Se c'è un cartello con scritto che qui non si può parcheggiare, io ci parcheggio. Se c'è un orario da rispettare, io arrivo qualche minuto prima o qualche minuto dopo. È più forte di me.»

Lo osservo intensamente, non capendo dove voglia arrivare. Cosa c'entra con il nostro discorso?

«Se la mia ipotetica partner mi chiedesse fedeltà, avvertirei immediatamente l'esigenza di tradirla. Con questi presupposti, pensare di avere una relazione mi sembra inopportuno. Tu non credi?» solleva un sopraciglio, la sua espressione è terribilmente enigmatica.

«Presumo di sì.» rispondo con un sorriso non troppo evidente, terrorizzata dall'idea che possa male interpretare la mia reazione.

«Dunque», oso, «E' questo l'unico motivo per cui frequenti il Velvet? Perché non vuoi una relazione seria?»

«No. Frequento il Velvet perché nessuno può dirmi cosa posso o non posso fare.»

Un dubbio mi assale. «Però, quando scegli la carta della sottomissione, sei costretto ad accettare ordini. Non è un po' un controsenso?»

«Sono io a scegliere la carta della sottomissione. Sono io a decidere e ad autorizzare l'altra persona a comportarsi in un determinato modo. Se non fosse per me, non avrebbe alcun potere decisionale. E questo mi tranquillizza.»

Tranquillizza? Anderson vive il sesso con angoscia? Da quel poco che lo conosco, mi sembra molto strano.

«Ti... tranquillizza?» inarco un sopraciglio.

Anderson sposta lo sguardo, prima rivolto verso il mare, su di me. La sua espressione è cupa ma enigmatica: non capisco se non sappia cosa rispondermi oppure se sia altamente irritato.

Non risponde alla mia domanda e riprende a fissare gli schizzi delle onde.

Osservo il suo profilo, mentre la luce del sole batte sulle guance rendendole leggermente dorate. Il vento fresco soffia tra i suoi capelli, di solito sempre ordinati, scompigliandoli leggermente. Osservandolo attentamente, non posso fare a meno di constatare che che, da un punto di vista estetico e oggettivo, ques'uomo rasenti la perfezione.

Ad un tratto, mi accorgo che la parte del suo corpo subisce delle leggere contrazioni. Inizialmente, penso sia a causa dei movimenti della nave, ma mi accorgo presto che sta tremando. Sembra un tremolio nervoso, un tremolio dettato dalla rabbia. Le mie domande lo avranno indisposto fino a questo puno?

«Perché stai tremando?» d'istinto, appoggio la mia mano sul dorso della sua.

Non l'avessi mai fatto. Lanciandomi uno sguardo gelido, a tratti oserei dire spaventato, Anderson la scosta bruscamente.

«Non farlo più, Robbie.» la sua voce è secca quanto irritata.

Deglutisco, sentendomi parecchio a disagio. «Fare cosa?»

«Non prendermi mai più per mano. Non toccarmi le mani e non sfiorarmele nemmeno. Perfavore.»

Mi domando quali e quanti problemi deve avere una persona per fare una richiesta tanto assurda.

«Perché ti infastidisce così tanto?» domando timidamente.

«Non mi piace e basta.» risponde secco lui.

Sono più che sicura che non sia così. Senza dubbio, esiste una spiegazione precisa a questo suo fastidio. Deve esistere.

«Non ti piace il contatto fisico?»

«No, Robbie. Non mi piace che mi si tocchino le mani. È tanto difficile da capire?» il suo tono ora è decisamente alterato ed io, che fino a questo momento mi sono sentita intimidita, torno ad essere la solita me di sempre: perdo la pazienza.

«Sentimi», ringhio, «Non so come tu sia abituato a rapportarti con le donne e, in generale, con le persone. Ma ti avverto, con me non funziona così. Se hai dei problemi, ne possiamo parlare con calma e con tranquillità. Ma non sognarti di rimproverarmi, trattandomi come una perfetta idiota, solo per aver fatto un banalissimo gesto come sfiorarti una mano!» alzo gli occhi al cielo e, con aria esasperata, mi alzo per allontanarmi.

Non appena faccio due passi, sento Anderson ridacchiare. Di scatto, mi volto. «Si può sapere cos'hai da ridere?!» gli urlo contro.

«Lei perde la pazienza troppo velocemente, per i miei gusti, signorina Clark.» inarca le labbra in un sorriso diabolico. Con una mossa leggera e piuttosto atletica, si alza in piedi e viene verso di me, fermandosi a pochi millimetri di distanza dalle mie labbra. Resto immobile e impassibile.

«Non ho mai avuto una studentessa così irriverente, signorina Clark. Cosa devo fare con lei?»

Quest'uomo è una vera rottura di coglioni: ha la capacità di farmi saltare i nervi e mandarmi in subbuglio gli ormoni a momenti alterni.

«Adesso vado al bar a prendere qualcosa da bere. Hai sete?» sussurra al mio orecchio, mentre il mio collo si riempie della classica pelle d'oca da brividi ed eccitazione.

«Non di cibo.» lo vedo fremere di fronte a queste parole.

«Lei è troppo impaziente, signorina Clark. Purtroppo, come le spiegavo prima, io amo fare l'esatto contrario di quello che mi viene chiesto. È più forte di me.» mi sfiora le labbra e, indietreggiando, inforca le scale dirigendosi verso la sala bar.

Cinque anni di college con Anders Anderson come professore mi manderanno fuori di testa.


SPAZIO AUTRICE 🖊️

Ciao lettori e ciao lettrici! Allora, cosa mi dite di Anderson? Io lo definirei: affascinante quanto rompi coglioni. 😂

Spero tanto che questa storia vi stia piacendo ❤️

Vi abbraccio forte forte,
Azzurra

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