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Cap 10 - Tempismo perfetto



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10 settembre 2023

Sento il suo respiro a un millimetro dalla mia nuca.

Senza preavviso, la sua mano si posa sul mio collo stringendolo con forza non indifferente.

Oscillo tra l'eccitazione e il terrore. Quest'uomo potrebbe regalarmi l'ennesimo orgasmo memorabile. Oppure potrebbe uccidermi. Chissà.

«Dimmi che vuoi che molli la presa e lo farò immediatamente.» sussurra al mio orecchio mentre la sua lingua, lentamente, mi accarezza il lato destro del collo.

«Allora?» mi domanda insistendo.

Vorrei dirgli di togliermi le mani di dosso. Vorrei dirgli che il suo comportamento da psicotico del cazzo mi ha stancata. Vorrei dirgli che non sono il tipo di ragazza che si lascia abbindolare da un uomo che non sa quello che vuole e dai suoi capricci.

Vorrei farlo. Ma non riesco.

Anderson molla la presa. Il palmo della sua mano, seguito dalle sue dita, si distende e si allontana.
Lo sento fare un passo indietro. Credo si sia posizionato, su per giù, a mezzo metro di distanza da me.

Siamo immersi nel buio più completo e non riesco a vederlo. Eppure, lo sento.

«Per quanto mi riguarda, il silenzio non è mai stato sinonimo di assenso. Significa che non vuole che continui. Libera di andarsene, signorina Clark.»

«No.» reagisco d'impulso, voltandomi di scatto. Continuo a non vedere nulla.

«Signorina Clark, ho un'irrefrenabile voglia di darle una bella lezione. Una lezione che non dimenticherà facilmente, glielo assicuro. Ma non toccherò mai una donna senza il suo esplicito consenso.»

«Consenso accordato, professore.» rispondo e protraggo una mano, cercandolo nel buio.

«Consenso accordato? Mi sembra un atto di carità. Rettifico quanto detto prima: non toccherò mai una donna senza il suo esplicito consenso e senza il suo esplicito desiderio.»

«Cosa dovrei fare? Dovrei supplicarla?» domando e, nel frattempo, mi chiedo come sia possibile che l'eccitazione stia avendo la meglio sul nervosismo. Anderson è un uomo veramente stancante.

«Sì. Mi supplichi di scoparla a ruoli invertiti rispetto al nostro ultimo incontro. Mi supplichi di farlo e, mi creda, non se ne pentirà.»

E ora? Assecondo il mio organo del piacere o il mio organo pensante? Fanculo.

«La supplico.» mormoro.

Sento la sua mano avvicinarsi e sfiorarmi, delicatamente, le ciocche di capelli. Poi, in una frazione di secondo, ogni forma di delicatezza svanisce.

Mi ritrovo piegata, a novanta gradi, sulla scrivania dell'ufficio. Con una mano, Anderson riprende a stringermi il collo. Con l'altra, mi sfila brutalmente le mutandine da sotto la minigonna.

Le sue dita, morbide e affusolate, iniziano a massaggiarmi sapientemente il clitoride.

«Oh, signorina Clark, mi sembra che qui non ci sia bisogno di alcun preliminare. È già perfettamente pronta.»

«Sì...» confermo con un gemito, non vedendo l'ora che si arrivi al dunque.

«Perfetto. È questo il momento giusto per insegnarle la lezione.»

Mentre pronuncia queste parole, Anderson sfila la cravatta dal mio collo e, con incredibile mastria, mi lega i polsi con essa.

Come è possibile che riesca a muoversi con tale disinvoltura nel buio totale? Davvero sorprendente.

«Succhia.» sento qualcosa sfiorare le mie labbra, non sono certa di cosa sia. Purtroppo, non il suo membro.
Sembra un oggetto di plastica. Un dildo? Troppo piccolo.

«Cos'è?»

«Nessuno ti ha dato il permesso di fare domande. Sbaglio?» noto che è definitivamente passato a darmi del tu. Significa che il gioco è ufficialmente iniziato. Sono in estasi.

Socchiudo le labbra e obbedisco. Sono quasi certa si tratti di una penna. Probabilmente, la sua. Per quanto insolito possa sembrare, lo trovo incredibilmente erotico.

«Brava.» mi incoraggia lui.

Ad un tratto, sento la penna sfilarsi dalla mia bocca ed entrare, senza il minimo preavviso, tra le mie altre labbra.

Con essa, proseguendo con il massaggio clitorideo, Anderson inizia a masturbarmi in un modo che solo Dio sa come. Sto letteralmente impazzendo.

«Non ti fermare.» supplico.

Di risposta, Anderson si interrompe immediatamente.

«Chi da gli ordini qui?»

Senza volerlo, mi ritrovo a sorridere.
«Mi perdoni, professore. Se vuole punirmi, è giusto che lo faccia.» cantileno con un sorriso stampato sulle labbra.

Sento Anderson sospirare. «Cosa devo fare con te...»

Un rumore improvviso mi fa sobbalzare.

Contro la porta, sento qualcuno sferrare tre colpi netti. Poi altri quattro.

«Anderson? Apri, sono Garcìa.»

Mentre io ancora non riesco a realizzare cosa stia succedendo, Anderson mi slega i polsi e, con una delicatezza che mi sorprende, mi rimette le mutandine.

Provo una strana sensazione: un mix di sollievo e straniamento, come se fossi nel bel mezzo di un sogno dal quale non riesco a svegliarmi.

La luce si accende e con essa anche il peso della realtà. Mi trovo gli occhi verdi del professore fissi su di me, vispi e penetranti come lame.

«Anderson, ci sei?»

Lui sospira mentre si passa nervosamente una mano tra i capelli.

«Non aprire!» suggerisco, usando solo il labiale e scuotendo la testa, illudendomi di avere una qualche voce capitolo.

Lui mi guarda con qualche secondo, sembra incerto sul da farsi. Mi dico che, forse, sta prendendo in considerazione la mia proposta.

Niente da fare. Alla fine, con un altro lungo respiro, sussurra:

«Non posso, Robbie. Mi ha visto entrare poco meno di un'ora fa. E potrebbe aver visto entrare anche te.»

Altamente innervositi, ci scambiamo uno sguardo rapido, cercando di ricomporci. Ogni nostro movimento, a differenza di poco fa, sembra una mossa strategica in una partita che non siamo pronti a giocare.

Vedo Anderson riporre la penna precedentemente utilizzata sulla scrivania: non era la sua, era la mia.

Come ha fatto, in così poco tempo e senza luce, ad estrarla dalla mia borsa?! Un brivido di piacere mi attraversa la schiena mentre ripenso al ludico utilizzo di quell'oggetto.

Mentre mi avvicino alla scrivania per riprenderla, la mano di Anderson afferra bruscamente il mio braccio destro, bloccando così ogni mio altro possibile movimento.

«Cosa fai?!» mi rendo conto di aver alzato il tono di voce più del dovuto. «Ridammela, quella è la mia penna.»

Con un sorrisetto pervertito, Anderson afferra l'oggetto e se lo infila in bocca. Dopo averlo fatto, ruota gli occhi verso il cielo, mimando una teatrale espressione di estasi.

«Questa la tengo io. Avere la possibilità di sentire questo sapore, ogni volta in cui lo desidero, servirà molto più a me che a te. Non credi?»

Senza darmi il tempo di reagire o di ribattere, infila la penna nella tasca dei pantaloni.

«Arrivo, dammi un secondo. Non trovo la chiave.» abbandona la presa del mio braccio e, indietreggiando, mi strizza l'occhio sinistro sorridendo.

«Da quando ti chiudi a chiave? Se è funzionale per evitare rotture di coglioni... fammelo sapere.» La voce che arriva da fuori è quella di un altro professore, uno che suppongo possa essere un collega di Anderson. Il suo tono sembra rilassato e innocente, ma c'è un'ombra di sarcasmo che non sfugge alle mie orecchie.

«Lascia parlare me.» mi ordina Anderson con tono fermo mentre si avvicina all'ingresso dell'ufficio.

La porta si apre e davanti a noi appare un uomo sulla cinquantina o poco più. È di statura media, con un leggero sovrappeso che non sembra disturbarlo affatto. Anzi, gli conferisce una sorta di aura di simpatia, quella che potresti trovare in un vecchio amico che non ha fretta di fare una buona impressione. Il suo viso è rotondo, morbido, quasi infantile, e la montatura degli occhiali che indossa ha la stessa forma: rotonda, discreta, ma non troppo elegante.

«Buongiorno.» saluto cercando di fingermi disinvolta, ma la mia voce tradisce una punta di insicurezza che non riesco a mascherare.

«Oh.» risponde lui, evidentemente sorpreso. Mi fissa intensamente per qualche secondo, come se volesse scrutare ogni dettaglio della mia espressione.

«Ho interrotto un colloquio?» domanda poi.

Almeno avessi interrotto un semplice colloquio, stronzo.

Come da prescrizioni, rimango in silenzio, nel tentativo di sembrare la studentessa calma e composta che probabilmente vorrei essere. Aspetto che sia Anderson a parlare, a dare una spiegazione. Ma, prima che possa aprire bocca, Garcìa (così immagino si chiami, considerando che questo è il nome che ho appena sentito) si concentra sul suo orologio e scuote la testa.

«Ma questo non è orario di colloquio. Siamo in pausa pranzo. Non è possibile ricevere gli studenti a quest'ora.» osserva.

La sua voce non è accusatoria, eppure questa sua affermazione mi fa andare nel panico.

Cazzo. E adesso? Che diavolo raccontiamo? Se venisse fuori la verità, sarei completamente fottuta. Non posso rischiare l'espulsione da Harvard, non posso. Non ora, non così.

Il mio sguardo cerca disperatamente quello di Anderson, ma lui non ricambia. Resta fermo a fissare Garcìa senza dire una parola.

Perché non dice niente?!

Devo fare qualcosa, devo dire qualcosa! Ma cosa?!

Mi guardo attorno, nella dannata ricerca di non so cosa.

I miei occhi vagano sulla scrivania di Anderson, cercando un indizio, una chiave, una via di uscita. E poi, come un lampo nella nebbia, la vedo: un volantino.





"Avvistamento balene scontato del 70% per i membri di Harvard. Partenza ore 15.30 da Boston Harbor."





Ok. L'idea è talmente assurda che mi stupisco io stessa di averla avuta. Ma è l'unica cosa che ho.

Senza pensarci troppo, prendo il volantino e lo tengo tra le mani, picchiettando sullo sconto come se fosse l'oggetto che salverà la situazione. O, forse, la mia intera vita.

«Ho sentito che il professor Anderson era diretto verso il porto di Boston, per la gita di avvistamento balene. Dovendo raggiungere una mia amica, gli ho chiesto se volesse dividere un Uber.» dico tutto d'un fiato, sfoggiando un sorriso che so essere un po' troppo forzato.

Lo sguardo di Anderson, finalmente, si sposta su di me. Mi sembra passare dal totale shock all'ira più pura. Mi sembra che gli occhi gli stiano per uscire dalle orbite. E ha tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiato. Che cavolo ho appena detto?

Un tour delle balene, smezzare un Uber...?! Sono una povera idiota. Come ho potuto dire una cosa del genere? Come ho potuto anche solo pensarla?!

Giro la testa verso Garcìa, cercando di mascherare la mia disperazione. La sua espressione è perplessa ed inizia a sgranar gli occhi con una certa incredulità.

E proprio quando penso che tutto sia perduto, lui esclama:

«Incredibile! Che coincidenza!» prende in mano il volantino come se fosse la cosa più normale del mondo.

Fisso Anderson, lui fissa me. Entrambi rimaniamo in religioso silenzio.

«Ci sto andando anche io!» esclama, battendo una pacca sulla spalla di Anderson che, con aria disperata, socchiude gli occhi e fa un respiro profondo. Ho la sensazione che stia cercando di raccogliere tutte le sue forze per non esplodere.

«Sto per raggiungere la mia famiglia, mia moglie e i miei figli. Possiamo prendere l'Uber tutti e tre insieme. Così, durante il tragitto, ti parlerò di quanto dovevo. Grandioso!» Il suo entusiasmo è così genuino che mi sorprende.

Giro la testa verso Anderson e, scuotendo leggermente il capo, lo guardo con occhi colmi di scuse. Lui sembra impassibile.

«Che tempismo perfetto, vero?» si rivolge al collega con un mezzo sorriso. Percepisco tutto il suo sarcasmo.

«Altrochè!» risponde sorridente Garcìa.

«Signorina Clark, prego. Non vorremo certo fare tardi.» mi invita ad uscire Anderson, aprendo la porta con un gesto deciso.

«È iscritta al corso di Filosofia? Che anno frequenta?» mi domanda Garcìa, rivolgendosi a me per la prima volta.

«Il primo. Ho appena iniziato.» rispondo sorridendo educatamente.

Garcìa sembra compiaciuto e divertito.

«Deve stare attenta. Sa, con il professor Anderson...»

«Garcìa.», lo interrompe bruscamente lui, «Ti prego. Mi sta venendo il mal di testa con tutte queste chiacchiere inutili.»

Garcìa annuisce in silenzio, incassando il rimprovero appena ricevuto. Sembra intimidito.

«Andiamo.» ci fa strada Anderson, attraversando il corridoio a passo spedito.

Non appena è di spalle, il suo collega mi lancia un'occhiata divertita e, alzando gli occhi al cielo, mi sussurra: «È un tipo veramente lunatico!»

Non rispondo, ma non riesco ad evitare di sorridergli.

Direi che il mese di settembre è iniziato alla grande.



SPAZIO AUTRICE 🖊️

Carissimi lettori e carissime lettrici, eccomi qua! Finalmente vi lascio il nuovo capitolo :) Cosa ne dite?

Ps: Vi capita mai, durante momenti di panico, di straparlare e inventare scuse ridicole come quella di Robbie? A me sì ahahah
Comunque, poveracci... proprio una bella sfiga 🙈

Un abbraccio grande grande,
Azzurra
❤️

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