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Cap 1 - Philosophia



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La filosofia

In greco antico: φιλοσοφία / In latino: philosophía.
Composto di φιλεν (phileîn), ovvero amare
e σοφία (sophía), ovvero sapienza.
Dunque, la filosofia è amore per la sapienza.






1° settembre 2023


Decine di studenti hanno già lasciato l'aula, mentre sulla grande lavagna elettronica è rimasta la definizione di Filosofia, in greco antico φιλοσοφία, ovvero l'amore per la sapienza.

La lezione termina ed io prendo coraggio. Senza pensarci ulteriormente, prendo la mia borsa e mi dirigo verso la cattedra.

Le scale che separano i banchi dalla postazione dei professori mi sembrano infinite. Senza dubbio, le aule di Harvard sono di grandissime dimensioni, ma ho la sensazione di percepire la distanza maggiormente del dovuto.

Mentre percorro, un gradino alla volta, la lunga scalinata, mi guardo attorno. È il mio primo giorno ad Harvard e non posso fare a meno di notare come questa stanza evochi un senso di storia e prestigio. Lo spazio è luminoso e ben arredato. Le pareti sono adornate da grandi finestre che lasciano entrare la luce naturale, con una vista sui giardini curati o sugli edifici storici del campus.

Al centro, è presente una cattedra dove siede il professore, circondato da una tecnologia discreta ma all'avanguardia, tra cui un proiettore e una lavagna digitale.

L'atmosfera è quella di una discussione intellettuale stimolante, con i banchi disposti in modo da favorire il dialogo, più che una semplice lezione frontale.

«Chiedo scusa, posso rubarle un minuto?» domando.

«Prego, mi dica.» risponde lui, senza sollevare lo sguardo dai libri che sta meticolosamente riordinando. Ogni suo gesto è preciso, quasi meccanico, come se fosse immerso in un rito che non tollera interruzioni.

Attendo qualche secondo, giusto il tempo che si decida a sollevare il suo volto.

Ha tutta l'aria di essere un uomo impeccabile. Indossa una camicia bianca perfettamente stirata, accompagnata da un completo grigio chiaro che sembra cucito su misura. I suoi capelli, castano ramato, sono tagliati con ordine, così come la barba, che segue la linea perfetta del suo viso. Un profumo fresco, dolce ma al contempo delicato, pervade l'aria intorno a lui. Profumo che si mescola al fresco della sala.

Così come il suo look, anche la sua fisicità sembra rasentare la perfezione: è alto, spalle larghe, fisico muscoloso ma atletico e ben proporzionato. Ogni suo movimento è misurato, come se sapesse, esattamete, dove e come collocarsi, dentro e fuori da quella stanza.

Nell'esatto istante in cui il suo sguardo si solleva dalla scrivania, percepisco il suo sangue gelare.

I suoi occhi, verdi come il colore dei laghi che si vedono in Canada, si bloccano su di me. Le pupille si dilatano, le palpebre restano immobili e le sue mani iniziano a tremare. Tremano in un modo quasi impercettibile, ma io lo noto subito.

Decido che, da modesta studentessa quale sono, non permetterò mai di mancare di rispetto al mio professore: questa situazione terribile ha tutto il diritto di essere gestita e risolta da lui. Nel modo in cui desidera. Nel modo che ritiene essere il più adatto, il migliore possibile.

Con il tono pù flebile che io abbia mai sentito, lo sento sussurrare:

«Noi... Noi ci siamo già visti, non è vero?»

La domanda è, ovviamente, di pura circostaza. Entrambi conosciamo benissimo la risposta.

«Già.» rispondo con un tono di voce simile al suo.

«E non a lezione.» aggiunge lui. Come se ci fosse bisogno di questa specificazione.

«Dunque, singorina...?»

«Clark.» rispondo secca.

«Signorina Clark, le andrebbe di seguirmi un secondo nel mio ufficio? Così possiamo discuterne con più calma e in maniera più approfondita.»

Mentre pronuncia questa frase, si alza in piedi e raccoglie tutte le sue cose. Il suo tono ora è decisamente più vigoroso. Sembra volersi assicurare di essere sentito dagli ultimi studenti rimasti in aula. Probabilmente, il suo intento è quello di far risultare la nostra conversazione il più normale, calma e trasparente possibile.

Annuisco e, senza voltarmi verso il resto dei miei compagni di corso, lo seguo nel suo ufficio.

Una volta giunti a destinazione, mi invita ad accomodarmi. Mentre obbedisco, lui chiude la porta con un gesto rapido, quasi brusco, e subito il suo volto cambia espressione.

«Cosa ci fai tu qui?!»

La sua voce, da flebile e pacata, si trasforma in qualcosa di molto simile alla disperazione. Subito dopo aver pronunciato queste parole, si accomoda sulla poltrona al di là della sua scrivania. Quest'ultima, ora, è l'unica barriera presente tra di noi.

«Cosa ci faccio io? Cosa ci fai tu!» mi innervosisco leggermente.

«Sei un professore?! Deve essere uno scherzo.» continuo sconcertata.

Lui sgrana gli occhi. Ora, sembra infastidito anche lui.

«Si! Si! Sono un professore. Il professor Anderson, docente presso l'università di Harvard! Docente del corso monografico Filosofia Antica, per l'esatezza.» alza la voce.
Pronuncia queste parole tutte d'un fiato, quasi trattenendo il respiro.

Restiamo in silenzio per qualche istante.

«Io sapevo solo che fossi Anders.»

«Come vedi, almeno io il tuo nome me lo ricordo.» aggiungo facendo una smorfia.

Senza volerlo, mi rendo conto di aver assunto il tono e di essermi calata nella parte della ragazza permalosa. Mi osserva per qualche secondo. Di fronte a questa mia affermazione, sembra abbastanza perplesso. Poi, sospirando, risponde:

«Certo che mi ricordo il tuo nome, Robbie. Non sapevo quale fosse il tuo cognome. E per potermi rivolgere a te in aula, ovviamente, ho dovuto chiedertelo.»

Rimango in silenzio. Mi sforzo di non sorridere. Il fatto che si ricordi di me, purtroppo, mi provoca piacere e soddisfazione. Vorrei poter dire il contrario, tuttavia è così. Ad ogni modo, decido di arrivare al dunque:

«Beh, professor Anderson, cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo comportarci?»

Lui, con le mani sulla fronte, si massaggia le tempie e sospira.

Percepisco che non ha nulla sotto controllo. Così, senza nemmeno rendermene conto, lascio che l'ansia e lo sconforto prendano il sopravvento.

«Io non posso cambiare facoltà!» sbotto.

«Non ti immagini gli sforzi che ho fatto per permettermi di studiare qui! Inoltre, questo corso di studi è il mio sogno. Non puoi chiedermi questo!» Il professor Anderson, o forse dovrei chiamarlo Anders, di colpo sembra riuscire a trovare la forza di prendere in mano la situazione. Lo percepisco subito, ancora prima che parli. Lo percepisco dal modo in cui mi guarda. Come spesso accade quando si tratta di sensazioni a pelle, non mi sbaglio. Infatti, Anderson tenta di tranquillizzarmi:

«No, no. Robbie, ascolta. Dobbiamo solo fare una cosa, una cosa soltanto.»

Annuisco, restando in attesa di ulteriori istruzioni.

«Dobbiamo solo fingere che non sia mai accaduto nulla. Nulla. Solo questo. Pensi di farcela?»

La sua domanda, mi coglie alla sprovvista.

«Beh... penso di sì.» rispondo con l'unica risposta possibile da dare.

«Fantastico! È tutto risolto. Credimi, non avremo nessun problema.     Devi solo promettermi che, entrambi, rispetteremo questo accordo alla lettera. Ciò vuol dire non parlarne con nessuno. E quando dico nessuno, intendo nessuno. Posso fidarmi?»

Quest'ultima domanda, non mi piace per niente. Cosa crede? Che lui voglia nascondere l'accaduto mentre per me dovrebbe essere qualcosa per cui vantarmi?

Decido di rimetterlo subito al suo posto. Mi sistemo con cura la minigonna grigia, cercando di fare in modo che non si sollevi troppo. Sono consapevole di come ogni piccolo movimento possa attirare attenzione indesiderata. Poi, con un gesto deciso, accavallo le gambe e incrocio le braccia, cercando di mantenere un'apparenza di calma. Ma il mio sguardo tradisce l'irritazione che cresce dentro di me. Con tono serio e al tempo stesso carico di un'impazienza sottile, domando:

«Tu sei il professore trentenne, probabilmente sposato. Io sono la studentessa bella e giovane. Dimmi: secondo te, chi dei due dovrebbe andare in giro a vantarsene?»

Alla mia domanda provocatoria segue un ulteriore suo sospiro. Un sospiro, presumo, di sconsolazione mista a rassegnazione. Poi, commenta:

«Comunque, per l'esattezza, ho ventinove anni.»

La sua fretta di correggere il mio errore è più rivelatrice di quanto sembri. Quasi fosse una questione di orgoglio, o peggio, una forma di difesa.

Adesso che ci penso, mi domando: ma come diamine fa ad essere un insegnante universitario?! Rispetto agli altri suoi colleghi, è giovanissimo. Ha appena dieci anni più di me, ed io sono solo al primo anno di college. Strano. Davvero strano.

Mentre mi perdo tra questi pensieri, il professor Anderson, a questo punto credo sia più adatto chiamarlo così, sembra voler tagliare corto:

«Signorina Clark, è tutto a posto. Mi creda. Cerchi solo di studiare, frequentare le mie lezioni e preparsi per l'esame che avremo tra quindici giorni. Non c'è motivo di preoccuparsi.»

Nonostante si sforzi di sembrare calmo, so che non lo è. Tuttavia, non posso fare altro che fingere altrettanto.

«Va bene, professore. Mi fido di lei.»

«Benissimo.» ricomincia ad impilare i suoi libri. Lo fa con una rapidità e con una finta disinvoltura che, onestamente, trovo abbastanza ridicole. Si comporta come se questa situazione fosse, ad un tratto, estremamente semplice e facilmente archiviabile. 

«Adesso, deve proprio scusarmi, ma devo scappare. È stato un piacere, signorina Clark. Ci vediamo alla prossima lezione.»

«Arrivederci, professore.»





SPAZIO AUTRICE 🖊️

Ciao bellissimi/e! Spero stiate bene :)
Mentre termino Legame Primario, mi è venuta un'altra idea (forse un po' bizzarra) per un nuovo racconto. Ho provato ad aspettare ma è stato più forte di me ed ho voluto a tutti i costi iniziarla!

Cosa troverete?
Una storia d'amore proibita tra le mura di Harvard - Parecchia suspance - Parecchio spicy - Un po' di filosofia

Cosa ne pensate? Come vi sembra l'inizio? E i protagonisti? Scrivetemelo nei commenti così mi faccio un'idea se proseguirla o meno :) Vi abbraccio e vi auguro un felice Natale!

Azzurra ❤️

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