Sweet little lies.
tw: molto brutta.
Al terzo corridoio imboccato per errore, con un'infinità di depliant tra le mani che minaccia di cadere ad ogni passo, Simone si arrende al fatto che in quel dispersivo polo universitario pare destinato a restarci ancora a lungo.
Ha seguito svariati corsi d'orientamento nel pomeriggio, lasciandosi convincere dal padre a presenziare all'open day, quantomeno per avere un'idea generale di come funziona la facoltà e magari fare pure la conoscenza anticipata di qualche docente.
Guarda che ai tempi miei tutta questa efficienza mica ce l'avevamo!, gli aveva detto Dante col solito tono di chi scarica sulla generazione successiva le mancanze della propria, e Simone, un po' per una sorta di senso di colpa atavico, un po' per non sentirlo più blaterare – che dei monologhi nostalgici sui duri anni settanta possedeva ormai un sapere ai limiti del traumatico – aveva sbuffato leggermente, ma poi si era deciso ad andare.
Si ritrova perciò incastrato in un'ipotetica trappola senza via di fuga, circondato da persone cosi veloci nel passare da un'aula all'altra che forse potrebbe fermarle solo se adoperasse una delle tecniche di placcaggio imparate praticando rugby.
Quell'estrema sicurezza che tutti hanno nel muoversi, poi, lo intimidisce molto, come se sapessero bene cosa stanno facendo e solo lui fosse il cretino che non ha nemmeno il coraggio di prendere in disparte uno studente a caso e con tutto il garbo che gli è proprio come cazzo si esce da qua dentro? - chiedergli - me lo puoi dire come si fa prima che mi metta ad urlare?
Ed è così preso a disperarsi, a cercare cartelli o altri segnali che gli indichino il modo per fuggire da un posto la cui ispirazione nel realizzarlo deve essere certamente stata il labirinto di Cnosso, che proprio non si rende conto dell'enorme porta scorrevole verso la quale, a passo convinto, si dirige.
Almeno non fin quando il tumpf della sua stessa testa contro il vetro risuona sordo per tutto il corridoio.
Non ha manco il tempo di pensare a come ora dovrà per forza trovare l'uscita da quest'incubo – non fosse altro perché, dopo una figuraccia di tale portata, non potrà più mettervi piede senza sentirsi un perfetto imbecille – che già una voce lo richiama all'attenzione costringendolo, con un palmo premuto sulla fronte e dei mugolii di dolore stretti tra i denti, a voltarsi.
"Ao ma non t'ha avvisato nessuno che è rotta?" gli sta dicendo quello che è chiaramente il frutto di tutte le sue fantasie erotiche messe assieme "guarda! Devi fare ciao ciao con la mano sotto il sensore se vuoi che si apra!"
E Simone, osservandolo alzare un braccio verso il soffitto mentre ne sente gli occhi addosso, crede che ciao ciao sia esattamente quello che ha appena cominciato a fare il suo cervello.
A vedere la scena dall'esterno, in realtà, non dovrebbe nemmeno stupirsi — che se c'è una cosa che ha capito nel tempo impiegato per scoprirsi non solo non attratto dalla sua ex ragazza, ma proprio non attratto dalle ragazze e basta, è che alla presenza di un potenziale soggetto per cui perdere la testa, riuscirà sempre a dimostrare una terribile abilità di mettersi in ridicolo — eppure, in quel frangente, con un belloccio che lo guarda come se fosse scemo, il desiderio di sprofondare appare comunque più forte che mai.
"Oh tutto apposto?" insiste quello preoccupato davanti alla sua paralisi facciale "non è che me svieni tra le braccia, piccolé?"
E mentre comincia pure a blaterare su come aveva già presentato il problema in consiglio di dipartimento, che qua non c'ascoltano mai finché non ce scappa 'na mezza tragedia, borbotta, Simone pensa solo che piccolé è proprio il modo in cui gli piacerebbe essere chiamato anche in altri contesti e che quelle stesse mani che ora vede agitarsi per aria vorrebbe sentirsele attorno al collo o in posti che è meglio non menzionare neanche.
Prova allora a ricomporsi, accennando un sorriso e temendo però di mostrare più un'espressione da squilibrato che altro.
"Sto bene, si..." bofonchia poi con gli occhi bassi per la vergogna "non- non lo sapevo della porta, ma adesso me ne ricorderò assolutamente..."
Il ragazzo sembra allora acquietarsi e anzi "assolutamente... ma come parli?" chiede divertito.
Non c'è cattiveria nella domanda, solo un tono scherzoso, che se Simone avesse facoltà intellettiva forse la capirebbe pure per quel che è, un intraprendente per quanto inopportuno tentativo di flirt, ma le sinapsi al momento non vogliono saperne di connettersi e il massimo che gli offrono sono delle scuse balbettate con tanto di guance rosse a peggiorare il tutto.
Si maledice allora tra sé e sé, coinvolgendo nell'anatema pure il padre, artefice primario di questa umiliazione pubblica e non necessaria alla quale è stato sottoposto, e non raggiunge il principio del suo stesso albero genealogico solo perché il tipo – che invece di andarsene continua inspiegabilmente a stargli accanto – riprende a parlare, la mano sporta verso di lui e un nome proferito giusto per dare ulteriore concretezza a ciò che per Simone stava comunque iniziando ad occupare un posto apicale nella classifica dei pensieri fissi.
"Mi chiamo Manuel, sono un rappresentante degli studenti."
"Simone" replica, e sono già innamorato perso, vorrebbe aggiungere, ma guardando i vari depliant scivolargli da sotto il braccio nel ricambiare il saluto, l'unica descrizione accurata che può fornire di se stesso sembra essere un onesto quanto rassegnato "e sono un disastro ambulante."
L'altro, questo slancio di autoironia, deve chiaramente ritenerlo piacevole, perché prima ride di gusto e poi, senza perder tempo, si china per aiutarlo, ignorando la stupida porta che intanto ad un soffio da loro continua ad aprirsi e chiudersi come impazzita.
Simone non può biasimarla.
Anche lui, davanti a questo ragazzo dallo sguardo profondo e la voce di miele con la quale tieni piccolé, sorride mentre gli ripassa i fogli raccolti da terra, non sa bene come comportarsi.
Che Manuel si è rimesso in piedi e gli parla di nuovo, affrontando discorsi evidentemente importanti – a giudicare dall'espressione seria che ha assunto e dalle mani che fa gesticolare per aria – e Simone, pur di non aprire bocca e far capire che non lo sta ascoltando o, peggio, pur di non confessargli che vorrebbe solo essere sbattuto contro la prima parete utile, si ritrova a torturare il labbro inferiore ed annuire convinto a qualsiasi cosa dica.
Solo quando stringe l'ennesimo depliant tra le mani – movimento studentesco: in piazza per difendere i nostri diritti! – si accorge che il "ci vediamo domani allora Simo, ti aspetto!", dell'altro prima sparire nello stesso nulla da cui ha fatto la sua comparsa, non era purtroppo riferito ad un appuntamento romantico.
*
Che stia facendo la cazzata della vita – spacciandosi per matricola universitaria quando ancora deve sostenere la maturità – Simone lo sa benissimo da solo, non serve mica che Giulio e Monica, dall'alto della loro relazione perfetta, glielo ricordino sempre, grazie tante.
Sono due anni che li guarda stare assieme scambiandosi promesse d'amore eterno e, per quanto possa esserne contento, che le tribolazioni dell'amico se le ricorda molto bene, adesso vorrebbe anche lui raggiungere quel tipo di pace emotiva.
O perlomeno abbandonare il pensiero che lo tormenta da mesi secondo cui il massimo che può capitargli è una scopata con un compagno indeciso sulla propria sessualità, che poi dal giorno successivo farà pure finta di non conoscerlo finché non verrà bocciato e Simone allora dovrà per forza di cose toglierselo dalla testa.
Non gli è rimasto granché da quella esperienza comunque, solo un cuore spezzato da ricomporre e un outing involontario da parte della sua ex per il quale lei ancora sta chiedendo scusa.
Ci pensa, mentre arriva nel piazzale indicato per la manifestazione, che magari anche oggi prenderà l'ennesima fregatura da aggiungere ad una già lunga lista, eppure questo dubbio, per quanto assillante, non riesce a farlo desistere dal guardarsi attorno e, nella vasta platea di astanti, cercare subito la figura di Manuel.
E se la minima interazione di ieri gli aveva fornito una vaga idea sul tipo di soggetto che si trovava davanti, vederlo adesso all'opera, in quello che chiaramente è il suo elemento, diventa per il più piccolo un'esperienza quasi mistica.
Manuel non urla come Simone si sarebbe aspettato, né compie particolari sforzi per attirare un'attenzione che colleghi e altri già rapiti gli concedono, piuttosto parla con calma sconvolgente, nessun fervore a turbarne gesti e discorsi, ma una piena consapevolezza del posto che occupa al momento e di come niente possa sottrarglielo.
Le parole cautamente scelte e soppesate paiono gonfiarsi oltre la sua stessa persona, fino ad assumere vita propria, per dare valore alle richieste avanzate e alle critiche mosse a un sistema universitario marcio, dice, che ci riconosce solo per quanto produciamo.
Simone ne rimane folgorato.
Nel coinvolgimento emotivo da cui viene travolto, scopre d'improvviso un interesse inedito per questioni che sembrano più essenziali che mai e si chiede allora quante scelte differenti avrebbe compiuto se questo sindacalista in erba lo avesse incontrato prima, magari nelle vesti di rappresentante d'istituto del suo stesso liceo dove i soprusi su base sociale sono all'ordine del giorno e lui affanna ogni volta per non scivolare in quel guano di classiamo e raccomandazioni.
Non è più solo l'aspetto estetico del ragazzo ad attrarlo – per quanto, la morbida giacca di pelle e l'anacronistico jeans a zampa a dargli un look da nostalgico degli anni di piombo, rimarranno scolpiti nella sua testa ad imperitura memoria – ma anche la spiazzante proprietà di linguaggio e l'infinita sicurezza palesata nell'adoperarlo, tutti elementi che portano Simone a realizzare quello che, già dal principio, era l'unico epilogo possibile per questa storia:
Sono fottuto.
La manifestazione, dopo l'intervento di Manuel, inizia ad andare piuttosto a rilento, anche perché il microfono è passato a studenti che saranno pure più agguerriti, ma di sicuro sono meno impattanti, e mentre quelli strepitano di battaglie puramente ideologiche, Simone prova ad approfittare della piazza che si svuota per muovere qualche passo in direzione del sottopalco.
Non sa bene cosa fare una volta lì, che c'è Manuel bloccato in un angolo a parlare con un gruppo di ragazzi, la concentrazione sul volto e una sigaretta mezza spenta tra le labbra, e non vorrebbe avvicinarsi, ma un po' gli dispiace andarsene così, senza nemmeno salutare quello che – dopo un pomeriggio di profonda analisi – è diventato ormai, nelle fantasie più fervide, il futuro padre dei suoi figli.
A toglierlo dall'impasse comunque ci pensa inaspettatamente il ragazzo stesso, quasi che lo sguardo imbambolato del più piccolo l'avesse sentito bruciare su di sé al punto da intercettarlo subito.
Sorride in quel modo tutto particolare che già il giorno precedente aveva rimescolato i pensieri di Simone e non lo perde di vista intanto che si congeda dai suoi interlocutori.
Lo fa con gentilezza, chiamando per nome ognuno di loro e rimanendo deciso nei toni, come se i discorsi intrattenuti finora fossero stati importanti, ma adesso ha altro per la mente e il resto può passare in secondo piano, diventare sfondo indistinto dietro l'unica interazione verso cui ha interesse.
"Piccole'! Ce l'hai fatta!"
Tanto basta a far tremare le gambe di Simone, che Manuel gli ha pure buttato del fumo in faccia e lui vorrebbe solo avere sottomano uno di quei giornaletti adolescenziali che sfoglia sempre Laura in classe, giusto per poter consultare un attimo la rubrica 8 segnali per capire se lui ci sta provando con te! e, nel caso, lanciare un urlo.
L'altro comunque pare non accorgersi della crisi interiore che lo attraversa – o se lo fa decide di non dargli peso, salvandolo così da un imbarazzo che il piccolo già sente propagarsi sul viso e parte del collo – e continua indisturbato a parlargli, interpellandolo poi per sapere come gli è sembrato il suo discorso e ascoltando con sincera curiosità la risposta che Simone tenta di dare senza impantanarsi.
Manuel annuisce spesso, talvolta lo interrompe, ma solo per fare domande più precise, o assicurarsi di aver capito bene cosa stia cercando di dire e lui, dal canto suo, in questo dialogo così interessato trova un filo di serenità al quale aggrapparsi per scacciare l'ansia che di solito lo governa in tali situazioni.
Sono ancora in mezzo alla gente, la piazza attorno a loro sempre più vuota e gli schiamazzi sempre più lontani, ma Simone nemmeno se ne accorge, troppo preso, forse per la prima volta in vita sua, a parlare senza pensare che lo sta facendo.
E quando allora è Manuel stesso a fargli notare che il sole sta tramontando e sono rimasti solo loro lì, il più piccolo in questa informazione ci legge un chiaro quanto mortificante invito a chiudere l'argomento, che magari per lui è stata un'esperienza inedita quella di oggi, della quale vorrebbe pure parlare per ore, ma per l'altro sono invece situazioni all'ordine del giorno che–
"Che ci vuoi venire al baretto qua all'angolo con me?"
Oh.
"Oh."
"Non sei obbligato, solo che me dovrei vede' con due amici... soggetti un po' particolari, eh, ma secondo me co' sto bel faccino che te ritrovi freghi pure loro... che dici Simo'?"
E Simo', guance bollenti sotto le dita di Manuel che le pizzica piano e cuore che rimbomba nelle orecchie, "si- si volentieri" mormora, prima di pensarci troppo.
Il baretto all'angolo si rivela un posto molto suggestivo, con le luci soffuse e locandine di vecchi film alle pareti, che – Simone non se ne sorprende – Manuel conosce a menadito.
Glieli racconta come fossero foto di famiglia la cui storia alle spalle ha vissuto personalmente e il piccolo non può fare a meno di ascoltato estasiato, assorbire queste informazioni e ripromettersi di andare poi a cercare le pellicole nella videoteca vicino casa per vederle.
Non lo farebbe per impressionarlo, ragiona intanto che quello mantiene un dialogo fitto, ma perché, come successo durante la manifestazione, si ritrova a ritenere interessanti anche argomenti cui prima non avrebbe mai dato peso.
Manuel è chiaramente abile nel mettere a proprio agio il prossimo e Simone ne è grato, che il momento in cui ha visto i due amici – Chicca e Matteo, scoprirà poi – accedere nel locale, ha sentito subito la sua solita ansia tornare prepotente a fargli visita, solo per venir presto azzittita dalla naturalezza con cui l'altro l'ha introdotto, non facendolo mai sentire esterno ad un gruppo già assestato e rodato quale loro sono.
Matteo lo interpella molte volte, passando da un argomento all'altro, senza però permettere che la conversazione si trasformi in un inopportuno terzo grado, quanto più portandola ad essere l'ennesimo modo per coinvolgerlo e renderlo, con somma sorpresa di Simone stesso, capace di fornire ottimi spunti di riflessione per i vari discorsi.
"'Amo capito perché Manuelito parlava sempre de te ieri" dice ad un certo, interrompendo il piccolo che aveva preso parola e nemmeno si era accorto di essere diventato il centro dell'attenzione.
Manuel dal canto suo sgrana gli occhi, sgomita quel tanto che basta perché un po' della birra nel bicchiere di Matteo si rovesci sul tavolino e viene salvato dall'imbarazzo quando Chicca "Simo" esclama di colpo "te non c'hai mica detto cosa studi!"
Della storia di come, dopo tante tribolazioni ed incertezze, Simone abbia scelto di iscriversi a Matematica, è talmente sicuro mentre la inventa che se ne convince da solo.
Più tardi tornando a casa in motorino – il freddo ad avvolgerlo e la voce di Manuel che lo incita a stringersi di più a lui – gli viene in mente che forse, tutte quelle illazioni su una presunta teatralità nei modi ereditata dalla nonna paterna, non sono poi tanto false, ma lì per lì, non ha tempo di pensarci, troppo distratto dal galante accompagnatore che, nel placare la sua lotta contro i lacci del casco, approfitta per lasciargli un pizzico sulla guancia e un buonanotte piccole' da cui rimane fulminato come un imbecille.
**
Alla scusa delle lezioni solo il pomeriggio Manuel pare credere con la stessa facilità con cui Simone inizia ad illudersi che l'intera pantomima, tenuta precariamente in piedi per miracolo, possa essere portata avanti per giorni, settimane, mesi, insomma il tempo che gli serve per conseguire la maturità e iscriversi per davvero a quel corso di studi.
E nel frattempo che conduce la sua nuova vita da matricola universitaria, non abbandona però quella attuale da liceale, scoprendosi anzi mosso da un fervore mai saputo prima nel presenziare e intervenire alle riunioni di istituto.
Gli amici stessi glielo fanno notare, Dante pure, ma, in verità, anche da solo se ne accorge: si agita in lui il desiderio di contrastare certi atteggiamenti classisti e ingiusti ai quali per quasi cinque anni ha fatto buon viso solo per non ritrovarsi compromesso a sua volta.
E' pure consapevole che, l'incolumità riservatagli in tutto quel tempo, sia dovuta al cognome che porta, alla totale mancanza di merito che gli deriva nell'essere il figlio del professore più ben voluto e al contempo più osteggiato dell'istituto.
Lo ha visto spesso il padre battagliare con colleghi, genitori e, se del caso, persino alunni, e ognuna di quelle volte si è chiesto perché su questioni che nemmeno lo sfioravano si sia speso come se lo logorassero dall'interno e cosa lo spingesse a farlo.
La coscienza sociale, amore di papà – gli aveva risposto senza battere ciglio – che se i diritti, anche quelli più piccoli del quotidiano, non li abbiamo tutti allora è meglio chiamarli privilegi, no?, ma a quelle parole non era stato in grado di dare il giusto valore, di capire quanto ciò che per lui era la normalità, per altri compagni sembrava invece quasi inaccessibile.
Il bacio di uno di loro con il proprio ragazzo, il volto di un altro coperto dall'acne giovanile, persino la matricola che va a farsi il caffe alle macchinette vicino alla classe dei ripetenti, tante situazioni che mai prima aveva visto come preoccupanti cominciavano a disvelarsi sotto i suoi occhi nella loro ambiguità.
Ed è proprio nella foga di rendersi utile che quella mattina si fa quasi menare da un bulletto da strapazzo, per poi essere soccorso da Monica, che si affretta a tamponargli il naso gonfio, e da Giulio che all'uscita gli risolleva il motorino spinto a terra.
Vorrebbe ringraziarli come si deve, rassicurarli sul fatto che sia tutto sotto controllo, ma "a breve passa Manuel a prendermi" annaspa mentre sale in vespa "e io sono ancora dall'altro lato della città!"
Un attimo dopo è un puntino microscopico inghiottito dall'infernale traffico romano.
Non ha avuto molte esperienze amorose in vita sua Simone perciò non ha ben chiaro se, fra i rituali di corteggiamento attuati dai giovani, intrecciare le dita sotto il tavolo di un bar mentre ci si sorride come cretini e tutti intorno conversano come se nulla fosse, sia ritenuto significativo di qualche cosa di specifico o meno.
In realtà è piuttosto certo che pure Chicca abbia capito quanto avviene difronte a sé, a giudicare dagli sguardi divertiti con annesso occhiolino che ogni tanto gli rivolge e per i quali a lui non resta che mordersi il labbro e piegare la testa per nascondere il rossore del viso.
Si sente così ben voluto all'interno di questo gruppo, così accettato pur senza nessuno sforzo particolare per integrarsi, che gli fa fisicamente male non poter presentare Giulio e Monica, non poter dire davvero come trascorre le sue mattinate, cosa studia e quanto sia terrorizzato della maturità ormai imminente.
Più di tutto lo angoscia il doversi azzittire tutte le volte in cui un aneddoto del quotidiano sovviene alla mente, che sia il buon voto preso al compito di francese o il bulletto di turno contro il quale si è scagliato.
Anche quel pomeriggio infatti avrebbe così tanto voluto raccontare a Manuel – che insistentemente chiedeva – la verità, dirgli di non preoccuparsi, di non innervosirsi, ma allo stesso tempo le premure dell'altro, le mani subito volate sul suo viso per scrutarne il naso un po' gonfio, l'offerta di riparare lui lo specchietto spaccato della moto, lo confondevano, lo lusingavano.
"Piccole'" gli aveva detto con una voce ferma che a Simone rimescolava l'ordine degli organi in corpo "se qualcuno ti disturba tu me lo devi dire" e lui annuiva piano incapace di replicare.
"Simo'" insisteva stringendogli appena il mento fra le dita "me lo devi dire, hai capito? Nessuno ti deve toccare a te..."
Ci pensava poi con imbarazzo crescente al fatto che da Manuel invece si sarebbe fatto toccare volentieri, anche in quel momento se l'altro avesse voluto, all'ingresso di un'università che nemmeno frequentava in mezzo a studenti che non conosceva.
Le carezze sul viso, le dita intrecciate di nascosto, i baci all'angolo della bocca e le mani costantemente sui fianchi o sulle gambe, sono tutte cose piacevoli, riflette, ma allo stesso tempo equivoche, in grado di metterlo in uno stato di confusione totale, di renderlo incerto su come comportarsi a sua volta.
E se ne accorge Manuel della distrazione che l'ha colto, non fosse altro perché, al discorso iniziato da un po' alla tavolata, il piccolo non si è reso affatto partecipe, offrendo al massimo qualche cenno sporadico col capo e stringendosi meglio vicino a lui.
Lo richiama allora con un hey quasi sussurrato, tutto bene? e Simone, con la mano ancora stretta alla sua e il cuore che batte all'impazzata, "tutto bene" risponde e per giusta misura gli si accoccola ancora di più addosso ignorando i versi divertiti di Matteo e degli altri.
Si ripromette poi di prendere parte a qualunque dibattito stiano portando avanti, non tanto per un reale interesse, ma per evitare di indurre ulteriore preoccupazione in Manuel che continua a buttargli occhiate incerte e a passargli una mano sulla schiena a mo' di conforto.
All'inizio non capisce benissimo di cosa si parli, che si sente ancora come se fosse appena uscito da un'apnea continuata e tutto fosse troppo sfocato per riconoscerlo, ma poi piano piano si riabitua, alle voci, ai gesti e alle parole di chi lo circonda.
"Ci arrivano certe matricole in associazione" sta dicendo uno dei ragazzi accanto a Chicca "che sembrano dei bambini sprovveduti... escono fuori da qualche scuola da ricchi che li ha serviti e riveriti e pensano che tutto il mondo aspetti loro, poi te li vedi davanti e ti accorgi che non sanno manco trovarsi il culo con le mani."
Il vuoto allo stomaco e la sensazione di freddo addosso, Simone li avverte prima ancora di effettivamente provarli, intanto che quello scoppia a ridere sciorinando aneddoti a detta sua allucinanti e gli altri gli vanno dietro, placati in parte solo da Chicca la quale cerca di ricordare che anche loro sono state matricole spaventate e hanno fatto una buona quota di figure di merda.
Si rivolge proprio a lui raccontandolo, devi sapere Simo, parte e procede poi a raccontare le disavventure che lei e i cari Gianni e Pinotto, come chiama i due amici, hanno vissuto i primi mesi, attenta ad enfatizzare tutte le volte in cui più che sprovveduti sono sembrati, a detta sua, dei deficienti patentati.
Matteo si sganascia fino alle lacrime, è vero – conferma – eravamo proprio dei deficienti e Simone allora un po' si tranquillizza, ride con loro e aspetta la conferma di Manuel su tali fatti che però tarda ad arrivare.
Sembra, anzi, diventato serioso, un'espressione contrita che non gli ha mai visto in faccia e l'evidente necessità di dissentire che non stenta a rendere nota.
"So due cose diverse Chi'" replica infatti "noi eravamo ingenui e non ce capivamo niente perché venivamo da na scola e da na situazione dove certe cose non le sai, so tutte nove... te senti che te le devi quasi merita', no? E allora per adeguatte un po' fai qualche danno innocente..."
Chicca annuisce, ma non parla, come se sapesse che Manuel non ha terminato il suo discorso e volesse attenderne la conclusione per dirsi, nel caso, d'accordo.
Quello intanto si fomenta poco alla volta, costringendo Simone a staccarsi appena, poi completamente, e lasciarlo libero di muovere anche le braccia, quasi che solo la bocca non gli bastasse ad esprimersi.
"Sti ragazzini che vengono mo a fa' orientamento, o peggio quelli che se vogliono iscrive al movimento universitario, arrivano qua con una macchina che costa quanto casa mia, imbellettati manco fossero loro i professori e poi non sanno sta al mondo, non conoscono nulla, sembra che hanno vissuto in una bolla tutti gli anni di quelle scuole da raccomandati del cazzo che hanno frequentato!"
Sussulta sul posto Simone, un po' per la mano di Manuel che batte sul tavolo all'improvviso, un po' perché più lo sente parlare più gli si rivolta lo stomaco.
Prova quindi a dissociarsi di nuovo, a sviscerare quel discorso nella sua testa, pensando a tutti i motivi che potrebbero motivarlo.
Non direbbe che si tratti d'invidia: è chiaro che Manuel sia un ragazzo brillante e consapevole dei propri mezzi, al punto tale da non cercarne altri al di fuori di sé per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Forse vi è più una rabbia soffocata, un senso di giustizia così forte a pervaderlo che si palesa anche in modi poco gradevoli.
Si, deve essere questo, si convince, ma nel frattempo l'altro sta continuando la sua crociata contro gli istituti privati e chi li frequenta, che saranno la nostra futura classe dirigente, dice, una manica di classisti senza la minima percezione dei problemi reali, e Simone ci sta davvero provando a non reagire, a non recepire tutto sul personale, ma gli pare che il dibattito stia trascendendo troppo e allora nemmeno se ne accorge quando a sua volta batte il pugno sulla superficie di legno e "basta!" esclama "basta cazzo!"
Il gruppo si ammutolisce, Manuel che ancora parlava rimane a bocca aperta con le sopracciglia aggrottate e lui, ormai spoglio di qualsiasi calma, rilascia il peso di quanto tenuto dentro per settimane come una bomba pronta ad esplodere.
"Faccio pure io una di quelle scuole del cazzo" attesta sotto gli occhi sconvolti di tutti "sono pure io uno di quei coglioni che si è presentato in facoltà con mesi di anticipo solo perché, come dite voi, non sa trovarsi il culo con le mani... Volevo arrivarci preparato all'università" continua abbassando un po' la voce "dare l'idea di sapere cosa sto facendo, farmi conoscere per quello che sono... ma alla fine ho detto una bugia e ho sbagliato tutto... poco male comunque... tanto qui avete già decretato che quelli come me sono solo degli stronzi, e forse avete pure ragione, ma non è che voi con i vostri pregiudizi del cazzo siete messi meglio."
E non lo lascia a Manuel il tempo di dire qualcosa, che già lo sa che le sue non saranno parole d'affetto e che dopo oggi non lo vorrà più vedere, piuttosto mormora un flebile scusate, destinato al gruppo quanto agli altri presenti nel locale che hanno assistito alla scenata e, prima ancora che Chicca possa afferrarlo per il braccio, scappa via.
***
Dei suoi amici Simone ama molto il fatto che, pure quando avrebbero tutte le ragioni possibili per rimproverarlo, rinfacciargli magari l'evidente stupidità tenuta in certe situazioni nonostante i consigli, scelgono invece di approcciarsi a lui con un rispetto ed una discrezione quasi commoventi.
Gli stessi che mantengo io nei loro confronti, pensa intanto che alle dieci di sera inoltrate si accomoda sul lettone di Monica e comincia il racconto dettagliato di quanto accaduto fino anche a scoppiare in lacrime che si era ripromesso di non versare.
"Manuel non mi vorrà più vedere" lamenta petulante, salvo aggiungere "e anche io non voglio vedere più lui... sto cretino!" e ricominciare a piangere in un caos emotivo che passa dalla rabbia alla disperazione nell'arco di pochi secondi.
Monica se lo stringe forte, sfogati, sfogati che ti serve, dice contro la sua spalla e fulmina con gli occhi Giulio il quale, camicia ancora sbottonata e mani nei capelli per la disperazione, borbotta un e devo capire quando lo potrò fare pure io!
"Scusate se sono piombato qui..." ripete Simone ignaro del loro alterco silenzioso "voi dovreste stare un po' da soli e invece ci sono sempre io tra i piedi..."
"Ma cosa dici? Tu non ci disturbi mai Simo!" insorge una, mentre "parla per te" risponde l'altro.
Neppure si accorge poi del telefono che continua ad illuminarsi, ma, sfinito dai pianti, poco dopo si addormenta nell'esatto centro del letto, Monica da un lato a coprirlo premurosamente e Giulio da quello opposto a lanciargli quanti più anatemi possibili.
Ci impiega comunque dieci chiamate e sei messaggi, uno più minaccioso dell'altro, per trovare il coraggio la mattina successiva di richiamare Chicca e, aspettandosi una lavata di capo infinita per le bugie dette, riceverne una invece per essere andato via senza salutare e per averla fatta penare tutta la notte.
"Ma lo sai io e Matteo quanto ce semo angosciati? Abbiamo pure concordato che se non ci rispondevi entro mezzogiorno correvamo alla polizia!"
Simone si scusa, la mortificazione evidente nella voce che trema, e il pensiero – di cui si vergogna perché già come sta andando è più di quanto possa chiedere – fisso a Manuel che, al contrario degli amici, non l'ha cercato nemmeno per sbaglio.
"Non sappiamo nemmeno dove abiti, chi sono i tuoi amici più stretti... non lo fare più per favore che ti ho sognato almeno venti volte schiantato con la moto in qualche angolo sperduto di Roma!"
"Giulio e Monica..." borbotta piano Simone, tanto che Chicca come? Non ti capisco risponde di rimando.
"Giulio e Monica" ripete allora "sono i miei migliori amici e vengono al Liceo Da Vinci, la scuola da fighetti come me che tanto vi stanno sul cazzo..."
L'altra a questo slancio di vittimismo non ci sta e, alzando i toni quanto basta per far trasalire il piccolo, rende chiaro che della scuola dalla quale lui proviene non le interessa, "che te me sei stato simpatico da come t'ho conosciuto" dice "e non me so mai fatta il problema che fossi de n'altra estrazione sociale o ste puttanate qua... te credi che con Matteo non li abbiamo visti quei golfini che porti? A noi non ce ne frega proprio niente, sei 'n bravo ragazzo e ti vogliamo bene..."
Simone sorride appena, anche io vi voglio bene, mormora, ma dopo si incupisce di nuovo, il labbro inferiore stretto fra i denti e le mani che prendono a tremare un po'.
"...E Manu?" pigola pianissimo quasi che avesse paura di pronunciarlo il nome "Manu che dice?"
Chicca sospira, si concede qualche secondo di silenzio per lui agonizzante e "Manu... Manu l'hai capito com'è, no? E' testardo Simo'... mo la deve un po' sbollire sta cosa" e forse percependo la delusione dall'altro capo del telefono "ma io ieri gliele ho cantate! Fa dei discorsi da cretino certe volte che je vorrei da na pizza in faccia!" aggiunge divertita.
Simone ci prova a scherzare pure lui, ma il dispiacere è troppo forte, quindi la flebile risata che prova ad emettere viene più fuori come un singhiozzo mal trattenuto.
L'amica ribadisce il discorso, deve sbollire, te l'ho detto, ma una speranza prima di riattaccare la offre comunque.
"Ci tiene assai a te... 'na cosa esagerata! E forse è più il dispiacere per averti ferito senza volerlo ieri che la rabbia per la tua bugia a bloccarlo dal cercarti."
"E io- io che posso fare?"
"Aspettarlo...? Se vuoi, eh! Tanto quello torna, non ti preoccupare."
E nei giorni che seguono fa esattamente quello: aspetta.
Certo, una volta tentando uno squillo di telefono a Manuel – e riattaccando subito dopo per la vergogna – un'altra scrivendogli un breve messaggio di scuse a cui non riceve risposta, un'altra ancora sfrecciando in moto fino all'università solo per guardarlo arrivare bello come il sole e sempre circondato da ragazze e ragazzi in egual maniera.
Gliel'aveva domandato una delle prime sere in cui erano usciti insieme se fosse molto corteggiato, che mi pare che ti vengano tutti dietro, borbottava senza riuscire a celare un'insensata gelosia, e Manuel ne aveva riso.
"Un po' si"
"Più maschi o più femmine?"
"Se la giocano..."
Se ne rendeva conto allora che non gli piaceva per niente l'idea di poter avere rivali su entrambi i fronti.
E pure quella mattina, mentre lo osserva spigliato e disinvolto parlare con chiunque gli capiti a tiro, il magone non accenna a diminuire.
Me ne devo fare una ragione e me lo devo dimenticare, si dice e, con tale pensiero e un ritardo mostruoso addosso, risale in sella e scappa verso scuola.
****
Quando si era iscritto al liceo, Simone ricorda di aver vissuto il primo giorno con il tipico terrore di chi non conosce l'ambiente e perciò si sente spaventato da tutto.
I futuri maturandi gli sembravano dieci anni più vecchi e, visti nei loro modi così convinti di porsi, tanto padroni dell'istituto quanto del mondo, si domandava come ci sarebbe arrivato lui a fine carriera accademica.
A mani in faccia con un bulletto del cazzo, non era proprio la risposta che si sarebbe fornito.
In sua difesa, nel momento in cui succede, sta tranquillamente uscendo dai cancelli con Monica e Giulio e se li guarda pure camminare stretti l'uno all'altro.
Gli sembra di vederli muoversi ad un metro dal suolo, fluttuare sopra ogni cosa leggeri e contenti come solo due innamorati possono essere.
Chissà se capiterà anche a me prima o poi – pensa allora – essere cosi felice da non sentire la terra sotto i piedi, e appena un attimo dopo si ritrova fracassato al suolo in seguito ad uno spintone alle spalle.
Gli amici accorrono subito in suo aiuto, lui stesso non si fa trovare impreparato e, allo stronzo che gli si butta contro per menarlo, risponde con una gomitata in pancia.
"Balestra tu oggi m'hai proprio rotto il cazzo!" sbraita quello alludendo forse allo scontro già avvenuto nei bagni per salvare un povero ragazzino la cui testa stava per finire nel cesso.
Monica urla di smetterla, Giulio cerca di separarli, ma lui comunque né le prende le mazzate, né riesce a darle, che prima ancora di poter fare qualsiasi cosa, il peso che gli grava addosso è sparito senza sapere come.
Ci impiega un attimo a rendersene conto del tipo allontanato fino a cadere qualche metro più in là e di Manuel, il suo Manuel, che alla velocità della luce gli arriva vicino, gli si inginocchia accanto e "Piccole'" dice agitato "ma che cazzo combini?"
Simone, intanto, si sente un po' come i personaggi dei fumetti soccorsi dal supereroe di turno e non sa nemmeno bene cosa rispondere, travolto dall'adrenalina a mille per tutti quegli ultimi eventi e dal viso dell'altro ad un centimetro dal suo.
Neppure nel tragitto che da scuola serve per tornare a casa parla molto, complice forse anche la scenetta con il padre, comparso all'uscita per sincerarsi delle sue condizioni e subito pronto a salutare il nuovo arrivato con pacche sulla spalla e festosi "oh! finalmente conosco il ragazzo di mio figlio!", che al piccolo fanno solo desiderare di diventare parte dell'asfalto.
All'ingresso della villa però, mentre ancora Manuel sta parcheggiando la moto, gli pare di ritrovare la voce tutta assieme.
"Non c'era bisogno mi accompagnassi" inizia e "non c'era nemmeno bisogno mi aiutassi con quello stronzo, me la potevo gestire benissimo io."
E si stupisce da solo della sua stessa reazione, che fino a poche ore prima avrebbe fatto qualunque cosa per rivedere l'altro, eppure sul momento prova solo tristezza, come se, ad essere stato difeso, gli avesse confermato tutte le idee di ragazzino incapace che ha di lui.
Manuel, invece, triste non sembra per niente, anzi è con una certa rabbia che "si, s'è visto come te la gestivi bene Simo'..." borbotta avvicinandosi.
Simone allora fa un passo indietro, ma poi ci ripensa e ne fa due avanti, gli occhi spiritati da un nervoso improvviso e le mani strette in pugni che batte sul petto davanti a sé.
"Ma cosa cazzo ne sai?" bercia "ma chi t'ha chiesto nulla?" e, prima che quello possa anche solo provare a rispondere, prende a sproloquiare sempre più agitato.
Glielo dice così che sono settimane che gli pare di uscire pazzo a vedere tutti i problemi della sua scuola, che si è messo d'impegno e sta cercando in tutti i modi di recuperare a cinque anni di totale indifferenza, e che non è uno sprovveduto, o almeno non si sente tale, ma che comunque le parole di Manuel l'hanno ferito perché un fondo di verità ce l'ha letto lo stesso.
Manuel lo lascia parlare, nemmeno reagisce quando Simone ad un certo punto gli dà dello stronzo, e appena si calma un poco, chiedendogli pure scusa per aver mentito, lo prende dai polsi e se lo stringe addosso.
"Piccole', ti ho perdonato il secondo stesso in cui sei uscito dal pub e io ho pensato di averti perso."
"Però non mi hai cercato mai... manco una volta Manu"
"Ma ti ho pensato sempre"
"Si, avrai pensato chissà in che guaio si è messo sto sprovveduto mo..."
Manuel scuote il capo, si stacca un po' dall'altro il tanto che basta per prendergli il viso fra le mani e "Senti" sospira vicinissimo alla sua bocca "io non mi preoccupo per te perché sei uno sprovveduto... io mi preoccupo per te perché mi piaci. Tanto. Ti è chiaro questo?"
Un po' sprovveduto forse lo sono, pensa il piccolo intanto che sgrana gli occhi, fa segno di sì con la testa e "anche tu- anche tu mi piaci" mormora piano.
Non ha tempo di pensare a niente Simone, non mentre Manuel lo pressa contro il materasso quasi a fare delle lenzuola una sindone, le spinte assestate a travolgerlo e lui che disperato, passivo come mai in altri frangenti saprebbe essere, si lascia modellare alla forma che di sé l'altro pretende.
"Sei così bravo per me, così caldo" gli viene detto e per ringraziare dei complimenti pensa bene di avvampare ancora di più e stringersi gambe tremanti e piedi incrociati a quei fianchi che non gli lasciano tregua nemmeno per respirare, prendendo la stessa cadenza furibonda che fa tremare il letto e contorcere il suo stomaco.
"Manu, Manu" trasforma poi i lamenti in comandi e del compagno ne richiede anche la bocca, che tanto, le labbra aperte in racconti dettagliati dell'evento, Simone è troppo stordito per ascoltarle, ed è solo della stessa lingua scesa ben prima a divorargli le carni che sente di avere necessità.
Manuel allora rallenta i movimenti fino a fermarsi, lo guarda dall'alto con due occhi innamorati che gli fanno scalpitare il cuore e lo bacia come se fosse la prima volta che lo fa, come se non avessero trascorso i mesi precedenti a scoprire ogni modo possibile per sfiorarsi e appartenersi.
"Amore mio" gli dice dopo con tutta la dolcezza che gli è propria, ma nel frattempo dà una spinta e un'altra e un'altra ancora e "amore mio ti piace così? Ti piace se ti fotto così?" chiede ritrovando il ritmo.
Simone annaspa dei piccoli ah strozzati, annuisce a bocca spalancata e, travolto da un calore che gli irradia le viscere, si lascia andare in lacrime ad un orgasmo fortissimo.
Il caldo di luglio avviluppa entrambi nella sua morsa asfissiante ma a nessuno dei due pare importare intanto che si accoccolano ancora uniti sul materasso.
"Ti rendi conto che mi sono diplomato?" mormora dopo un po' il piccolo con una punta di incredulità nella voce.
L'altro gli accarezza la testa delicatamente "mh... pure con il massimo" ricorda fiero, ma poi "che c'hai? sei preoccupato per l'università piccolé?" domanda.
Simone non deve rifletterci neanche.
Intrecciata le dita a quelle di Manuel, scuote piano la testa e "no" conclude "no, se ci sei tu con me."
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nota dell'autrice:
anche oggi qui a scrivere della mia ossessione per Manuel comm nu masaniello qualsiasi... comunque questa era nelle bozze da un secolo e non mi decidevo mai a terminarla.
Ora l'ho fatto ed è venuta fuori peggio del previsto.
Me ne scuso 🙏🏼
Baci alle mie bellissime paffute del cuore e anche a voi! ♥️
P.s: il titolo viene da un brano dei meravigliosi Fleetwood Mac.
Ciao! 🧚♀️
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