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Capitolo 9:

Scendemmo giù in palestra, c'era: un sacco da box, dei guantoni, un poligono di tiro per esercitarsi con la pistola, e un piccolo ring per fare lotta libera.

<<Un poligono di tiro?>>, chiese fermandosi a guardarlo meglio, <<Si, è per esercitarsi con la pistola...quando sei qua l'unica cosa che hai da fare è allenarti.>>

<<E perché con me non ti alleni?>>

<<Perché non sono da sola.>>, risposi arrossendo, lui sorrise.

Si avvicinò al tavolo dove c'erano delle armi, la mia bambina era in mezzo, si riconosceva perché c'era incisa la lettera 'M' sull impugnatura.

E lui prese proprio quella, <<Hai preso proprio la mia, lo sai?>>, gli chiesi sapendo già la risposta, <<Certo che lo so.>>, rispose facendomi l'occhiolino, nessuno aveva mai toccato la mia pistola, lo dice la parola. Era mia. Mia soltanto.

Lui rise, <<Seriamente sono il primo ad usarla?>>, mi chiese continuando a ridere, <<Già, ma nemmeno tu la userai.>>, risposi, andai lì e gliela tolsi dalle mani, <<Non te la rubo..>>, disse cercando di riprendersela, <<Ne sono sicura, ma sai la prudenza non è mai troppa.>>, risposi allontanandomi, <<Sai usare una pistola?>>, chiesi, andando verso il poligono, <<Si.>>. Ne prese un'altra e venne vicino a me, <<Non sei una spia giusto?>>, confermai perché chi è quella persona che sa usare una pistola senza che sia un qualche agente speciale?

Rise ancora, <<No, ma ho imparato ad usarla per precauzione.>>, rispose sorridendo, si mise in posizione, tolse la sicura, mirò alla testa e sparò. Fece un centro perfetto.

<<Wow...>>, sussurrai, <<Grazie grazie.>>, scherzò alzando le mani, mi misi in posizione io, tolsi la sicura, mirai al cuore e sparai. Centro perfetto anche io.

<<Anche tu non scherzi eh?>>, gli sorrisi.

<<La tua specialità?>>

<<Mhm...risolvere i piani forse, o forse soltanto sparare.>>. Mi brontolò la pancia, <<Inizio ad avere fame...>>. Prima di salire mi accorsi che c'era un piccolo armadio, andai ad aprirlo, dentro c'erano dei miei vestiti: dei pantaloncini corti e una canottiera, almeno potevo cambiarmi, e poi c'erano dei pantaloncini di Richy. Quando veniva a trovarmi d'estate a volte venivamo qui, per fare delle missioni o solo per rimanere da soli.

Li presi e glieli diedi ad Axel, <<Dovrebbero andarti.>>, risposi cercando di non pensare che appartenevano a Richy, <<Certo.>>, rispose non facendo domande, presi i miei vestiti, mi chiusi in bagno e mi cambiai, mi stavano ancora bene, poi andò lui e si mise i suoi pantaloncini.

Salimmo le scale, chiamai mia madre, non l'avevo chiamata da ieri, era preoccupata ma ormai era anche abituata a sapere che io rimanevo fuori a dormire molto spesso senza avvisarla, le avevo detto che ero da un'amica, ora bastava solo tornare Milano prima di due settimane.

Il perimetro era messo in sicurezza, potevamo uscire ma non mi fidavo ancora ad andare in giro. Sarebbero potuti tornare non vedendo più la loro squadra, e questa volta avrebbero finito il loro lavoro.

Mangiammo dei panini e poi iniziammo a parlare, cioè lui parlava io mi limitavo a pensare.

Mi sdraiai sul sacco a pelo guardando il soffitto, quel soffitto scuro illuminato soltanto da quella lampadina attaccata proprio sopra di noi.

Tra di noi era calato il silenzio, <<Non ti sei fatto sentire dai tuoi...non sono in pensiero? Ormai sei via da quasi due giorni...>>, chiesi, lui non rispose, mi aspettavo una risposta, anche stupida ma lui rimase zitto.

Passarono i minuti ma non disse niente, forse voleva dire qualcosa di troppo lungo, o forse aveva litigato con loro prima di uscire e trovarci, e non voleva dirmelo.

<<Io sono qua da solo.>>, rispose spezzando il silenzio, mi alzai mettendomi a sedere e mi girai a guardarlo confusa.

Cosa voleva dire che era da solo? Suo fratello e sua nonna che fine avevano fatto?

<<In che senso sei da solo?>>

<<Non sono qua nè con mio fratello nè con mia nonna.>>. Mi sentivo presa in giro, per l'ennesima volta qualcuno mi aveva mentito.

Non mi guardava negli occhi, il suo sguardo era rivolto al pavimento.

Mi alzai e mi chiusi in bagno. Lui non parlò, gli occhi iniziavano a bruciarmi, sarei scoppiata a piangere da un momento all'altro, ma trattenni le lacrime.

<<Mia, non volevo mentirti...>>, disse attraverso la porta, <<Non volevi, ma l'hai fatto ugualmente...>>, sussurrai, mi lasciai scivolare lungo la porta, mi coprii il viso con le mani e cercai di calmarmi.

Basta, ne avevo abbastanza di tutto questo, l'ho portato qui, per proteggerlo, qua dove avevo portato solamente le persone che conoscevo bene. Le persone di cui potevo veramente fidarmi e che conoscevo da anni o se non altro bene.

L'ho fatto entrare nella mia vita, nella mia vita da spia. Gli ho raccontato praticamente tutto di me, sapeva tutto, leggeva i miei pensieri. Per lui ero come se fossi nuda, tutto quello che non dicevo lui lo sapeva. Ero pronta però ad ascoltare le sue spiegazioni, le volevo perché sapevo che lo aveva fatto per un motivo. O almeno lo speravo.

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