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Polvere di suoni

Era seduta lì, come non avesse altra casa, come se quel freddo fosse la sua unica speranza.
Proprio il freddo, poi. Era settembre, uno di quei mesi instabili, così incerti da essere difficilmente affrontabili da chi non riesce a vivere neppure un'estate nel modo giusto. Eppure era lì. I borsoni degli atleti erano sparsi sulle scalinate come una timida costellazione blu e bianca, il sole percorreva i gradoni facendo risaltare la polvere causata dai passi dei corridori sfiniti, spossati dagli allenamenti troppo intensi. Qualcuno già stava facendo la solita attività di riscaldamento.
Quello sport era una vera sfida per Isabella e lei lo odiava. Pensava che la corsa fosse il passatempo più inutilmente stancante del mondo. Ad ogni modo, il campo sportivo era vicino a casa sua ed era l'unico luogo che potesse raggiungere autonomamente. Lo odiava, quel campo, lo odiava in ogni suo tratto, sentiva che non era la sua vita ma ci andava lo stesso .
Aveva iniziato a correre per tenersi in forma, per vedere dove arrivassero i suoi limiti e si era accorta che erano molto ristretti.
Si prese la testa tra le mani. Ma cosa stava facendo?
Isabella era consapevole di non volere per sé una sfida, non in quel momento della sua vita, eppure iniziò a correre insieme agli altri.
Tutti andavano molto veloci e lei era già quasi senza fiato. Li lasciò andare avanti, osservando ogni filo d'erba accanto ai quali correva. Non cambiavano mai, in nessun giorno in cui li osservava: così lei. Le sembrava di non crescere e di non migliorare mai.
Assorta in questi pensieri, non vide la realtà, ovvero che il riscaldamento era già finito. Ovviamente ebbe l'occasione di fare un'altra figuraccia. Non era proprio il posto per lei. Lo sapeva, lo sapeva davvero.
Le ragazze che si allenavano con Isabella non le rivolgevano la parola, eppure tra loro ridevano quasi sguaiatamente.
I ragazzi, neppure a pregarli... Loro non la ritenevano degna di uno sport così duro. Isabella era troppo arrabbiata con se stessa per sopportare continuamente questa umiliazione e quel giorno avrebbero dovuto provare i 120 m di velocità.
Isabella non era mai stata brava in quello sport ma forse perché non riusciva a renderlo parte della propria personalità, così anch'essa incerta.
Così si avviarono vero la partenza. Loro in sei davanti, lei dietro di loro da sola. Peggiore distribuzione non ci sarebbe potuta essere.
Però camminava quasi sorridendo, sentiva che per una volta avrebbe riso lei.
Non sguaiatamente come loro, non si sarebbe lamentata della propria esistenza attraverso parolacce come facevano loro, non avrebbe sbuffato per pigrizia: stavolta no. Continuava a pensare ai loro sguardi e febbrilmente cercava in sé la forza di correre.
Arrivarono alla partenza. Non era una gara ma Isabella sapeva che questo dettaglio non aveva importanza. Per lei almeno no, in quel momento no.
Erano tutti pronti e per una volta anche lei.
Però loro sbuffavano, dicevano che si annoiavano. Almeno Isabella sopportava in silenzio ma loro, loro facevano gare da tempo, loro avevano ormai quello sport nel sangue, l'avevano portato avanti loro! Lei pensò che lo facessero solo per farsi vedere.
Abbassò la testa e le parve di perdere il respiro ed alo stesso tempo di immagazzinare in sé più aria di quella necessaria.
Loro avevano già dinamicamente piegate le ginocchia. Atletici, così atletici e lei così incapace, fuori luogo, inesperta...
Come una scossa elettrica, un brivido energico le attraversò la colonna vertebrale. Odiosa sensazione di determinazione insensata: lei la definì così in sé. E poi uno di loro disse: "Oooo-oooh!" e scattarono: a Isabella parve quasi a rallentatore.
I suoi piedi da terra si staccarono indecisi, non era quasi consapevole di quel che stava facendo eppure sì, correva.
Nelle sue gambe sentì tirare forti le articolazioni, vogliose di raggiungere risultati che andavano oltre le reali possibilità che avevano.
Isabella strinse i denti. Basta.
A cosa serve temere? Proprio ora poi... Questo si diceva.
Le altre le erano davanti, tutte. Non poteva sopportare di essere sempre fuori luogo anche in quell'ambiente.
Strabuzzando follemente gli occhi per la fatica, accelerò.
Non avrebbe mai pensato di poterlo fare ed invece lo fece quasi d'istinto, quasi per orgoglio. Chiuse gli occhi ed ascoltò solo il battito frenetico del suo cuore che pareva sul punto di esplodere,
Superò tutti miracolosamente senza sapere cosa stesse facendo, eppure non era una gara.
Non era nulla ma lei si era messa alla prova.
Superò per prima la linea del traguardo, piegandosi sulle ginocchia che le tremavano. Aveva rischiato di perdere il respiro.
Le altre non volevano guardare il risultato di quella corsa sfrenata e insensata, che Isabella aveva fatto contro il tempo e contro le proprie possibilità.
E lei stessa se n'era resa conto. Non sapeva neppure perché l'avesse fatto. Sì, era arrivata prima ma gareggiava da sola contro quell'ambiente. Le sembrava di aver perso tutto, più di sempre. Si credeva capace di essere forte, di sconfiggere il mondo ostile ma aveva capito che era lei a vederlo ostile.
Un'altra volta era fuori luogo e stavolta l'aveva voluto lei. Si avviò verso l'uscita dopo aver raccolto dalle scalinate il suo zaino malconcio.
Tra la polvere poteva solo udire le voci felici delle altre persone che parevano contente della loro realtà.
Doveva e voleva cambiare. Lo decise in quell'istante.
Il cancello di metallo si chiuse pesantemente dietro le sue spalle. Isabella non si voltò e sorrise. Isabella in quel momento, incredibilmente, comunque sorrise. Sarebbe migliorata. Avrebbe accettato la realtà, la sua realtà, e sarebbe migliorata. Senza ripensamenti.

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