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Capitolo 1

Salvatore era ormai accanto a me, mi sorrideva, un sorriso bellissimo, certo, ma c'era certamente qualcosa sotto e quel qualcosa mi spaventava.

"Ciao mmh.." mi salutò ed esitò nel dire il mio nome, nemmeno quello sapeva.
"Martha, mi chiamo Martha" completai la frase al sui posto.
"Ciao Marta" lo guardai male e ripetei "Martha" scandendo bene l'h.
Lo vidi roteare leggermente gli occhi, poi si sedette su una gradinata affianco a me, in modo da essere alla mia altezza.
"Cosa stai facendo?" mi domandò fingendosi interessato, ma uno che ti parla guardando il telefono non può essere interessato.
"Sto studiando matematica" risposi, con altrettanto disinteresse, lui alla parola 'matematica' sembrò illuminarsi.
"Matematica? Oh, io faccio schifo in matematica" finalmente mise in tasca il telefono.
"Cosa non capisci?" continuai i miei esercizi nonostante il suo sguardo fisso su di me mi mettesse in imbarazzo e non poco.
"Tutto- rispose incerto- è sbagliata quell'espressione" lo guardai confusa, come poteva correggermi se non sapeva niente?
Mi prese il quaderno dalle mani, senza chiedermi il permesso ovviamente, e iniziò a scrivere mentre io lo osservavo.

I suoi occhiali tondi, che gli ricadevano sul naso, gli davano un'aria intelligente, e probabilmente lo era, ma io non potevo saperlo, i suoi capelli erano sempre scompigliati, ma riusciva a sistemarli semplicemente passandoci la mano attraverso, gesto che le ragazze amavano.
Era molto magro, il suo viso incavato ne era la prova, non aveva quelle bellissime guanciotte che le nonne prendono fra le dita tirandole e facendoti male, io sfortunatamente le avevo.

La sua labbra rosee e fine erano contornate da un leggero strato di barba.

Salvatore era un bel ragazzo, ma non così tanto da far (s)venire qualsiasi essere di sesso femminile, e forse anche maschile, grazie ad uno sguardo, o almeno per me non lo era.

"Ecco, adesso è giusta!" esclamò soddisfatto, guardai ciò che aveva scritto interrompendo i miei pensieri.
Con mia grande sorpresa mi accorsi che aveva ragione, era giusta.
"Tu sei bravo in matematica" dissi, lui scosse la testa.
"No, ho solo avuto fortuna, cioè, è uno dei pochi argomenti che so" rispose nervosamente, un po' troppo nervosamente, ma non ci feci caso, mi limitai ad annuire riprendendo i miei compiti ignorandolo.

Dopo poco, fortunatamente, la campanella suonò e lui si alzò.
"Vuoi che ti accompagni in classe?" adesso che era in piedi era molto, molto, molto più alto di me e mi sentivo uno schifo.
"No, faccio da sola, come ho sempre fatto" risposi freddamente e mi avviai verso la mia classe, che era nell'altro lato del corridoio quindi non capisco a cosa mi servisse il suo aiuto.
Sbuffò quasi infastidito dal mio tono e se ne andò.

Un po' mi dispiacque vederlo andare via, dopotutto era bello avere qualcuno con cui parlare, anche se era strano che proprio lui, Salvatore Cinquegrana, mi rivolgesse la parola.

Le lezioni passarono velocemente, soprattutto perché a me la scuola piaceva, era l'unica cosa che riempiva un po' la mia giornata e poi ero affascinata dall'idea di imparare cose nuove.
Durante la ricreazione Sascha venne da me, di solito non lo faceva, ma ero comunque felice di vederlo.
"Hey sorellina" mi diede un bacio sulla guancia facendomi sorridere.
"Ascolta, oggi non posso riaccompagnarti a casa, devo restare a scuola due ore in più"
"Tranquillo, andrò da sola" mi sembrò dispiaciuto, e non poco, ma non era nulla di così grave: avrei fatto un po' di strada da sola, cosa sarà mai?
Sascha a volte era un po' troppo attaccato a me, capisco la sua preoccupazione ma dopo anni in queste condizioni ho imparato a gestirmi.
Dovrebbe avere più fiducia in me.

A fine giornata, quando uscii da scuola, cercai di dirigermi nel modo più tranquillo possibile, verso casa, anche se ero tutto tranne che tranquilla;
essere sola mi faceva sentire a disagio, non ero abituata ad essere senza Sascha.
Sì, so che avrei dovuto abituarmi, che dovrei essere forte e mostrare a tutti che posso farcela, ma mi mancavs.
Mi mancavano le sue battute di merda e i suoi discorsi senza senso sulle cose che aveva da studiare e non aveva voglia di farlo.
Può sembrare strano, ma in questi momenti mi accorgo di quanto sia vero che ti accorgi quanto sia importante una persona solamente quando non c'è.

Inizia a sentirmi psicologicamente male, vedere tutti camminare, saltare, correre e poi sentire le mie braccia doloranti per via della carrozzina che dovevo spingere faceva male, molto.
Cercai di distrarmi con la musica, ma l'unica vera distrazione sarebbe stata avere qualcuno che mi parlasse, che volesse stare con me.

Ho un'amica a distanza, vive a 500Km da me, mi prometteva sempre che ci saremmo viste, mi sarebbe piaciuto davvero tanto averla accanto in quel momento.

"Hey, anche tu fai questa strada?" mi voltai in direzione della voce, di nuovo lui.
"Faccio questa strada tutti i giorni, Salvatore" risposi, in modo scortese, era un mio difetto.
Quando stavo male trattavo di merda le persone, anche se non lo meritavano, era la mia forma di difesa.
"Perché fai l'acida in questo modo?" mi affiancò.
"Non sto facendo l'acida, lo sono" ribattei, appoggiò una mano sulla carrozzina spingendola, in modo da farmi fare meno fatica.
"Perché continui a ronzarmi intorno? Che cosa vuoi da me?" lo guardai male, lui mi sembrò ferito dal mio tono ed io mi sentì immediatamente in colpa, tolse la mano ed andò avanti visibilmente infastidito.

Sospirai, avevo allontanato l'unica persona che voleva parlarmi, perfetto.

Abbassai lo sguardo sentendo i miei occhi inumidirsi.
Cercavo sempre di dimostrarmi forte, non volevo che gli altri vedessero che, a volte, non stavo bene, ma appena rimanevo sola spesso crollavo.
Mi asciugai le lacrime, alzai lo sguardo sicura ed andai avanti, notando però qualcosa di strano.
C'era Salvatore seduto per terra che si teneva il piede con la mano imprecando.

"Stai bene? Che succede?" gli chiesi appena arrivai accanto a lui.
"Sto benissimo, ho solo messo male il piede" rispose a denti stretti.
"Salvatore, si vede che ti fa male, ti aiuto" mi offrii di aiutarlo, mi fulminò con lo sguardo.
"Come vorresti aiutarmi?" il suo tono era esattamente come quello usato da me in precedenza.
"Pensi che non possa aiutarti solo perché sono su una sedia a rotelle?" chiesi a mia volta, lui annuì, così io andai avanti lasciandolo lì.

Non capisco come facciano le ragazze ad andargli dietro, è insopportabile.

"Buona fortuna Cinquegrana!" gridai in modo che mi sentisse.

Non lo stavo guardando, ma proprio come stamattina, sentivo il suo sguardo.

"Martha..." mi chiamò a bassa voce, ma riuscii a sentirlo così mi fermai, senza però voltarmi.

"Mi aiuti?" sorrisi soddisfatta e mi voltai avvicinandomi a lui.
"Riesci ad alzarti?" guardandolo doveva avere davvero molto male.
Gli porsi la mano e lui la prese facendo pressione sull'altro piede.

Si alzò, imprecando, ma si alzò.

"Male?" gli chiesi, rispose mugolando e si appoggiò alla carrozzina.
"Adesso vado avanti piano, se ti fa male dimmelo okay?" dopo la risposta affermativa da parte del ragazzo andai lentamente avanti seguita da lui che saltellava lamentandosi di tanto in tanto del dolore.
"Dovresti dirmi dove abiti però, almeno so dove portarti" dissi interrompendo la sua interminabile scia di 'Ahia'.
"Abito affianco a te" rispose, ero sorpresa, non l'avevo mai visto.
Forse perché non uscivo di casa.
"Oggi un paio di ragazze mi hanno guardata male, è colpa tua" lo rimproverai scherzosamente.
"Colpa mia?" non capiva, ovviamente.
Quando fai parte dei fighi non puoi capire cosa significa essere una sfigato.
"No...in realtà è colpa mia, insomma non capita tutti i giorni di vedere il più figo della scuola parlare con..beh, me" spiegai con un sorriso malinconico in volto.
"Cos'hai tu che non va?" non capivo se era ironico o se me lo stava chiedendo seriamente.
"Io? Nulla, sono solo una sfigata di cui non sapevi nemmeno il nome e che non cammina, non ho assolutamente nulla che non va"
Non rispose subito, probabilmente la prima parte della mia frase lo aveva fatto sentire in colpa, o forse gli facevo troppa pena.
"Il fatto che tu non possa camminare non ti rende una sfigata, ti rende una sfigata il fatto che tu sia sola e non è colpa tua, sono gli altri che non si avvicinano a te, che non ci provano nemmeno a parlarti, non hai nulla che non vada bene" rispose, non mi aspettavo quella risposta, non da parte sua.

Io lo avevo trattato di merda e lui se n'era uscito con la cosa più bella che mi abbiano detto da quando sono nata, faccio schifo come persona.
Nessuno dei due parlò fino a quando non arrivammo davanti casa sua.

"Siamo arrivati" dissi e lo guardai, mi accorsi che guardava in modo disperato le scale davanti all'ingresso di casa sua.
"Uhm, c'è qualcuno in casa che può aiutarti?" gli chiesi.
"No, sono tutti al lavoro fino alle 19, come cazzo faccio ad arrivare la senza morire?" il modo in cui ingigantiva la situazione mi divertiva e allo stesso tempo mi dispiaceva per lui, non potevo lasciarlo così.
"Vieni a casa mia, ti farai venire a prendere la, non dovresti avere problemi e fatta su misura per...per me..." sussurrai l'ultima parte, lui mi guardò come se fossi la sua salvatrice e mi ringraziò.

Avrei passato la giornata con lui e non avevo ancora capito che cosa l'avesse spinto a parlarmi.


Due capitoli in un giorno, prima Nineteen e ora Survive.
Dovete aspettarvi anche Two souls e Reject? Forse, ma non prometto nulla.
Chi mi conosce meglio, e sono pochi, saprà perché sto scrivendo così tanto.

Allora, vi sta piacendo questa storia? Io sinceramente, e stranamente, sono abbastanza soddisfatta quindi spero piaccia anche a voi.
Non la aggiornerò periodicamente fino a quando non avrò terminato Reject, infatti questo capitolo non sarebbe dovuto uscire, ma odio non pubblicare i capitoli pronti.

Fatemi sapere che ne pensate! :)

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