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Capitolo V- Convivenza

Mi risveglio a causa di un raggio di sole e il canto di alcuni uccellini.

Il pavimento sporco è freddo e ci metto un paio di secondi prima di accorgermi che non sono nella mia stanza, ma in un altro edificio.

Mi siedo di scatto e l'emicrania torna come per darmi il buongiorno. Mi premo una mano sulla fronte, mentre impreco sotto voce.

Le immagini di ieri sera mi riempiono la testa.

<<Ah, sei sveglia>>dice qualcuno alla mia destra.

Il mio sguardo si posa sulla figura vestita di rosso e sulla sua testa che ha delle piccole corna. È davanti alla finestra e osserva il cielo che si sta tingendo di rosa e di arancione.

Si gira verso di me e vedo che il suo viso spigoloso, vicino all'angolo della bocca, è sporco di rosso.

Il suo sorriso è sempre uguale a quello che ho visto più volte nei miei incubi, ma stranamente non lo trovo più inquietante come prima.

Accenno un sorriso.<<Questo deve essere uno scherzo>>

Le sue mani si intrecciano dietro la schiena e avanza. Si ferma solo a pochi passi da me .<<Mia cara, credi davvero che sia uno scherzo?>>

Si accovaccia e il suo viso, fatto non sicuramente di pelle, è vicinissimo al mio. Sento il suo profumo invadermi le narici, se si può definire così: metallo e sangue, ma anche qualcos'altro, più dolciastro e nauseante.

I suoi occhi di un rosso scarlatto mi osservano, mi contemplano come se fossi un esperimento.

<<Voglio delle risposte>>pronuncio, sputando quelle poche parole.

Passa qualche secondo di silenzio e più passava il tempo, più quell'essere allargava notevolmente il suo sorriso.

Dio, ma come diamine fa?!

<<Al momento non te ne posso dare>>dice, volgendo il suo sguardo da un'altra parte.

<<Come sarebbe a dire?! Mi hai tormentato per due anni!>>

Mi posa un dito sulla bocca.<<So che vorresti insultarmi, ma dobbiamo parlare di una cosa più importante>>

Tolgo la sua mano dal mio viso.<<E sentiamo, di cosa dobbiamo parlare?>>

Mi prende un braccio e mi tira su la manica, proprio dove quello squilibrato mi ha conficcato il pugnale. Ma al posto di trovarmi un buco o un taglio profondo, vedo che si è formato un simbolo, simile ad un tatuaggio. Un cerchio con dentro un rombo e le linee di quest'ultima figura, si estendono fino a toccare l'estremità della circonferenza.

<<Che cos'è?>>chiedo con tono gelido.

Le sue dita mi sfiorano l'avambraccio, chiudendo gli occhi come volesse assaporare quel momento.

Dalle sue labbra sottili proviene un suono simile ad un grugnito.<<È il mio sigillo>>

<<E questo cosa può significare?>>chiedo guardandolo in malo modo.

Mi lascia il braccio e osserva un punto del muro della stanza.<<Sei legata a me>>

<<Come se fosse il problema principale!>>

<<Perchè tu non sei me e non capisci la gravità della questione>>

<<Spigamela allora>>

Mi mostra un espressione neutra, priva di emozioni e senza quel sorriso che mi ha tormentato per due lunghissimi anni.<<Vuoi sentire il lato positivo o negativo?>>

<<Non potresti dirmelo e basta>>

<<Il tuo atteggiamento mi sta facendo venire i nervi>>dice e le sue corna si ingrandiscono notevolmente e i suoi occhi diventano due pozzi di catrame.

Sento il cuore martellare nel petto e inizio a sudare freddo alla vista della forma più cattiva di quell'essere.

Alza una mano per attaccarmi, mi copro con le braccia ma non sento nessun colpo squarciarmi la pelle. Sento una risata, una di quelle sincere.

Abbasso lentamente i miei arti superiori e lo vedo nella sua forma normale, non quella che fa paura, almeno la versione meno paurosa.

<<Non ridevo così tanto da secoli>>dice asciugandosi le lacrime.

Divento rossa in viso, mentre lui continua a schernirmi e a ridere a crepapelle.

Dopo alcuni minuti, prende un bel respiro e torna ad essere serio.<<La situazione è più grave di quanto credessi e per colpa di quei tre non ho potuto prendermi la tua anima>>

Lo guardo come se stesse parlando arabo, ma lui continua il suo monologo, utilizzando concetti più semplici in modo che io potessi capire.<<Vedi mia cara, io sono un demone, uno dei più potenti presenti all'inferno o come lo chiamate voi esseri umani. Il nutrimento principale sono le vostre anime e per vivere dobbiamo cibarcene. Il problema è che quei tre citrulli hanno sbagliato a pronunciare incantesimo e mi hanno legato a te>>

<<Ah perché prima non lo ero, visto che mi disturbavi mentre dormivo?>>

Si mette una mano sulla faccia. <<È molto più complicato di così, io volendo potevo lasciarti perdere prima del rituale, ma a causa di quel simbolo, io sono legato a te, alla tua anima e al tuo corpo>>

<<Non ti sto seguendo>>

Ci pensa un attimo prima di rispondermi.<<Forse voi lo chiamate convivenza>>

Memorizzo ciò che mi ha appena detto e quando capisco le sue parole, le mie guance si tingono di rosso per la rabbia.<<Assolutamente no!>>

<<Ci sono anche i lati positivi>>dice sghignazzando.

Io prima o poi lo ammazzo seriamente!

<<E quali sarebbero?>>

Si mette due dita sotto il mento.<<Non avrai più incubi>>

<<Wow, adesso sono molto più tranquilla! Come se non avessi un demone che vaga in camera mia>>

Mi rimostra il suo sorriso inquietante<<Purtroppo dovrai abituarti e l'unica soluzione che avrei in mente è quella di ucciderti, ma i miei poteri potrebbero risentirne e non potrei avere la tua anima>>

<<Quindi siamo costretti a stare insieme tutto il tempo?>>

<<Sì, a meno che non ti procuri un anello o qualsiasi oggetto che porti sempre, in modo che posso ritirarmi all'interno>>

<<Sei diventato un genio della lampada?>>

<<Se vuoi che vaghi per tutta la casa e tua madre si spaventi, fai pure>>dice sghignazzando.

Incrocio le braccia al petto, mentre i raggi solari illuminano parzialmente il suo viso liscio e simile ad avorio.

Sbuffo.<<E va bene, l'oggetto ce l'ho già addosso>>

<<Allora fammelo vedere>>dice porgendomi la mano.

Estraggo il mio ciondolo sotto la felpa e glielo faccio vedere. È la tipica targhetta dei militari e apparteneva a mio padre, l'uomo che amavo di più al mondo.

Non morì andando in Mozambico e di certo non per un'arma da fuoco. Ma per una malattia: il cancro.

Mia madre, quando compii sei anni, mi disse che papà era molto malato e non poteva tornare a casa. Pochi mesi dopo perì a causa di quello schifo e come ricordo, mio nonno decise di donarmi quell'oggetto. L'unica cosa che mi lega ancora a lui.

<<Ottimo>>dice e lo sfiora leggermente con un suo artiglio.

Da esso viene emanato un alone verde, ma è breve la durata e poco dopo ritira la mano.

<<Da questo momento in poi quell'oggetto sarà la mia dimora>>

Inizia a dirigersi verso l'uscita, mentre io decido di dedicarmi al mio ciondolo. Il metallo è stato inciso e quelle linee un po' aguzze formavano un nome. Quello di colui che avrebbe risieduto in quel piccolo oggetto. Il suo nome è Alastor.

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