Capitolo III- andare sempre avanti
Le mie cuffiette riproducono la mia playlist e il cantante, uno dei miei preferiti, canta a squarciagola.
Cammino verso la parte più antica della cittadina, ormai quel luogo è diventato uno dei miei preferiti, il mio porto sicuro.
Decido di passare per la strada principale, non ho alcuna intenzione di entrare nelle vie secondarie. Probabilmente incontrerei qualcuno che non voglio incontrare.
Be', in realtà detesto tutti...
La strada è ripida e, purtroppo per i miei piedi, acciottolata. Le pietre mi entrano nella pianta del piede e credetemi che fa un male boia.
Faccio finta di niente e decido di proseguire e per fortuna, ai lati della carreggiata, ci sono dei marciapiedi, se si possono definire tali, senza quelle cavolo di pietre che ti spaccano gli arti inferiori.
Per quanto odi la salita, devo ammettere che non mi pesa più di tanto, nonostante la mancanza di sonno e il mancamento di prima.
I miei polmoni si riempiono di aria fresca, se si può definire tale, mentre attraverso le viuzze della città vecchia e osservo attentamente gli edifici sbiaditi dagli anni.
Vedo alcuni ragazzi che sniffano qualcosa, ma decido di cambiare rotta per non entrare in qualche pasticcio. Non ho intenzione di scontrarmi con qualcuno, sopratutto oggi.
Sembro una codarda, ma non lo sono.
In passato tornavo a casa con le nocche sbucciate e qualche livido e per fortuna mia madre non si è mai accorta di nulla. Mettevo un po' di fondotinta e per quanto riguardasse le mani, le dicevo che, a causa dei laboratori, mi facevo spesso male.
Ero talmente sincera che lei ci credeva ssempre. Allucinante come poche e semplici parole, possono illudere una persona.
Da quel momento, mentii in continuazione perché ero e sono talmente brava a nascondere le mie emozioni che ormai la vedevo e la vedo tutt'ora come una scappatoia.
Purtroppo però le mie preghiere non sono state esaudite e i ragazzi di poco prima, mi seguono.
Faccio finta di niente, non voglio che si accorgano che io ho capito il loro gioco.
Pensano di farmi paura, ma si sbagliano di grosso. Anche se avessero un coltello saprei come disarmarli. Non mi preoccupo che abbiano una pistola, in Italia non è permesso portarle in giro se non si ha una scusa plausibile. In più sono troppo giovani per permettersene una e deduco che non abbiano nemmeno uno strumento da taglio.
Li sento sghignazzare, ma continuo a percorrere la mia strada, non ho voglia di prendermi qualche pugno in faccia oggi.
Loro sono in tre, io sono da sola, la cosa più saggia da fare e infilarmi in un negozio e aspettare che se ne vadano o chiamare qualcuno.
Svolto l'angolo, dove c'è una piccola panetteria e decido di entrare per comprare qualcosa e chiedere aiuto al proprietario.
Il vecchio signore mi sorride e mi chiede cosa vorrei.
<<Mi darebbe un pizzetta e dei biscotti, quelli alla crema>>
Annuisce e mi mette tutto nella busta.
Nel mentre il signore fa il suo lavoro, vedo che i tre ragazzi di prima sono spariti.
<<Ecco a lei signorina>>
Pago ed esco dal negozio.
Mi guardo intorno prima di proseguire e noto con piacere che se ne sono andati.
Tiro un sospiro di sollievo e mi incammino.
Le strade si fanno sempre più ripide, ma ne vale la pena.
Alla fine, con un po' di fiatone e con il cuore che batte all'impazzata per la grande camminata fatta, mi siedo su una delle panchine.
Da lì si può vedere gran parte della città e osservare la gente che passeggia, ignari del fatto che qualcuno li sta osservando da qua sopra.
Si vede anche la mia scuola fatta di mattoni e di calcestruzzo. Alle origini era una semplice Caserma, ma con il passare degli anni l'hanno trasformata in un istituto composto da quattro indirizzi: linguistico, scienze umane, economico e artistico.
Meglio della scuola media...
In quel periodo venivo bullizzata per il mio aspetto e per la mia goffaggine. Ricordo che mi davano della cessa, della cicciona e che non avrei mai trovato nessuno con cui stare.
Avevo smesso di mangiare, avevo perso peso e da allora il rapporto con il cibo è scemato notevolmente.
Adesso sono un perfetto stecchino, ogni tanto mi concedo di godermi i sapori del cibo dolce, quello che ti uccide dentro, ma per il resto non mangio quasi niente.
Luna non si è mai accorta di come mangiavo, visto che quando si girava, staccavo un pezzo alla volta il cibo per poi metterlo in una busta che buttavo.
Oggi ho bisogno di quel cibo, non è salutare di certo, ma tanto vale farlo se voglio sopravvivere.
Mi sono ripromessa di andare avanti con la mia vita, di non farmi mettere i piedi in testa da nessuno e di aiutare chi era in difficoltà.
Ma il mio carattere arrogante e freddo, ha fatto si che la gente si allontanasse da me.
A parte quella chioma bionda che insiste sempre di passare del tempo insieme.
Tante volte ho dovuto rifiutare la sua compagnia per non farla soffrire.
Scaccio quei pensieri dalla mia testa e mi concentro su altri.
Vorrei tanto delle risposte su quello che è successo oggi. Insomma, è impossibile che sia reale.
Non esistono le fate e i folletti, perché dovrebbero esistere i mostri?
Le voci le avevo già sentite, ma quel freddo, quelle mani sul mio volto e quell'abito rosso scuro, non mi era mai capitato di vederli.
Ho tante domande e poche risposte.
Chissà cosa voleva dire che il suo tempo era scaduto.
Mi passo una mano tra i capelli, mentre mangio la mia pizza. Era da anni che non mangiavo una margherita decente comprata dal panettiere. O forse perché ho solo fame e il sapore è migliore.
Osservo nuovamente il panorama con la vegetazione che si estende sotto di me e le case irregolari che stanno in pendio.
La gente continua a fare ciò che sta facendo, mentre io continuo a pensare a ciò che è successo quella stessa mattina e che voglio avere delle risposte.
L'unico modo per averle e chiederglielo direttamente a quell'essere abominevole.
Sarò padrona della mia mente e gli chiederò ciò che mi assilla da due anni.
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