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Ventisette: Messaggi subliminali.

nella foto: 

- Liana Liberato (a sinistra) nel ruolo di Lucrezia VanCamp

- Jodelle Ferland (a destra) nel ruolo di Zilla Crick

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«Tutto bene?»

La voce di qualcuno mi risveglia. Sono da poco passate le quattro del mattino e non ho chiuso occhio da quando sono tornata in Accademia. Non pensavo sarei riuscita a dormire, infatti è stato così. Ho passato le precedenti cinque ore a pensare a me, a Lexie, al fatto che fossi fuggita da Magics Souls perché non mi sentivo all'altezza di questo compito e stanotte ho dimostrato ancora che non posso farlo, che non posso sconfiggerla.

Ho solo sedici anni, cosa spero di ottenere? Pensavo che fosse tutto così semplice? Sconfiggere Lexie con un incantesimo da niente, ritrovare i miei genitori, innamorarmi e poi vivere felice, come una Principessa Disney? Be', mi sbagliavo di grosso.

«Sto bene» rispondo all'improvviso, come se volessi interrompere tutti i miei pensieri.

Mi rendo conto dopo che la persona a cui ho risposto è Charlotte. Ha i capelli legati in uno chignon a metà della nuca, con qualche ciuffo ribelle che le ricopre il viso ancora truccato da elfo. Mi rivolge un sorriso confortante, poi mi porge una tazza di ceramica bianca, con particolari disegnati in oro.

«Tieni» mormora, «ti aiuterà a riprenderti»

Afferro la tazzina dal manico e lancio un'occhiata guardinga al contenuto. A giudicare dal colore verdastro ritengo che sia del semplice tè, perciò porto la scodella alla bocca e bevo un sorso. Mi brucio la lingua, ma mi rendo conto che il tè è decisamente buono e che probabilmente mi aiuterà a calmarmi.

Mi siedo con la schiena contro il muro, portando le gambe piegate al petto, poi picchietto delicatamente la mano sulla trapunta del letto, facendo cenno a Charlotte di raggiungermi.

Si avvicina lentamente e, dopo essersi sfilata le ballerine dai piedi, si siede al mio fianco. Indossa ancora il suo vestito da elfo – completamente verde – che le dona molto.

«A parte me, Tom e i compagni di scuola di Zilla, chi altro sa la verità su quanto successo stanotte?»

Charlotte mi concede un'occhiata, poi sospira. Abbassa il capo e sussurra: «Purtroppo la voce ha fatto il giro di Magics Souls nel giro di un'ora. I genitori di Zilla sono arrivati due ore fa, stremati dal dolore. Non è stato facile calmarli e dir loro che Zilla è attualmente scomparsa»

Bevo un altro sorso.

«Ho letto che la prima notte da vampiro è quasi impossibile sopravvivere, a meno che tu non abbia il tuo Creatore appresso. Ammesso che Luna se ne sia andata, tornando nel suo covo segreto, questo significa che Zilla è... è...»

Non riesco a continuare la frase. In realtà, dentro di me, so perfettamente che è morta quando Luna l'ha morsa, trasformandola in una vampira neonata. Quando i ricordi si riversano nella mia mente, come tanti piccoli flashback, cerco subito un'altra domanda.

«Che cosa succederà? Ci sarà un altro funerale e nel giro di qualche giorno tutti si saranno dimenticati di Zilla?»

Una lacrima riga il viso di Charlotte. Tira su col naso e, in quel momento, capisco che sta per crollare. Poso la tazzina sul comodino e quando mi giro la sento singhiozzare: il trucco comincia a sbavarsi, lungo il viso scarno di Charlotte. La guardo piangere, in silenzio, chiedendomi perché anche lei sia costretta a vivere questa situazione.

La abbraccio, di istinto, e cerco di rassicurarla, sebbene non sia la migliore in questo campo. Charlotte ha solo undici anni più di me, eppure sembra che sia una sorella maggiore. È questo quello che penso di lei e non smetterò mai di ripeterlo.

Dopo qualche minuto, è riuscita a calmarsi. Si è asciugata le lacrime e sta cercando di respirare normalmente.

«Non credo che Angelique te ne abbia mai parlato» dice all'improvviso, «ma io non ho mai conosciuto mia madre. Pauline si è ammalata durante la gravidanza, ma nonostante questo l'ha portata avanti e... be'... è morta di parto, dandomi alla luce. Mi sono sentita colpevole per qualche anno, quand'ero abbastanza grande per comprendere la gravità della situazione. Mio padre Quentin, invece, è morto quando Angelique era da poco entrata in Accademia. Quindi no, non ricordo assolutamente niente dei miei genitori. Ho sempre pensato che fossero due guerrieri e che io dovessi portare avanti la mia vita soprattutto per loro. È esattamente ciò che sto facendo, ma a volte mi viene difficile se penso a tutte le persone che stanno ingiustamente morendo»

Fa una pausa e respira, lentamente.

«Angelique aveva quindici anni quando le hanno proposto di diventare la mia tutrice. Senza pensarci su due volte, ha richiesto l'emancipazione e mi ha adottata, diventando legalmente mia madre. Mi ha cresciuta insieme a Stefan Hastings, il suo migliore amico, e devo tutto a loro se oggi sono così»

Le sfioro la mano e i nostri occhi si incrociano. Charlotte è una di quelle persone che nasconde bene tutto quello che ha passato e che sta passando. Indossa la maschera della donna buona, gentile e sicura di sé, ma dentro invece è in preda ad una terribile tempesta.

Vorrei dirle qualcosa, ma qualcuno bussa alla porta. Credo che sia Aiko, o le mie sorelle, visto che sono state tutta la notte in camera di Viola e di Cherie, invece scopro con mia grande sorpresa che è stato Smith a bussare.

Lo lascio entrare. Tecnicamente non dovrebbe, ma non mi importa. Si guarda attorno un po' spaesato, poi si schiarisce la gola e ci guarda.

«È arrivata una macchina per riportarti in Accademia, Charlotte» dice, «comincia ad andare, vorrei scambiare qualche parola in privato con Malia»

Charlotte si asciuga nuovamente gli occhi e, mentre annuisce, si rimette le scarpe. Una volta in piedi, mi saluta dolcemente, poi esce dalla stanza, socchiudendo la porta. Guardo Smith e vorrei capisse dal mio sguardo che non ho la minima intenzione di proporgli di sedersi al mio fianco, sul mio letto.

«Lo so» dice, come se mi avesse letto la mente.

«Bene» rispondo, un po' acidamente.

Mi alzo in piedi e sento le gambe farmi male. Sono stata seduta per troppo tempo e devo sgranchirle.

«Volevo chiederti scusa per come mi sono comportato questa notte, alla festa e quando abbiamo incontrato Luna. Io non... non dubito delle tue capacità, Malia, ma sto cercando di proteggerti da tutto quello che c'è qua fuori»

Mi avvicino lentamente e gli punto il dito contro il petto. Lo guardo, con aria truce e cerco le parole migliori per dirgli esattamente cosa penso.

«Io non ho bisogno del suo aiuto, professor Smith» esclamo, «non credo di essere in grado di difendermi da sola, ma di certo non voglio il suo aiuto»

«E perché? Questo me lo sai dire, almeno?»

La sua mano ha spostato il mio dito nel giro di un secondo. I nostri occhi si incrociano, ci stiamo guardando, mentre dentro di noi esplode un fuoco.

«Per quale motivo pensi che io ti stia proteggendo? Avanti, dimmi»

Sinceramente non ne ho idea. All'inizio credevo fosse perché tecnicamente – essendo un mio professore – è obbligato, ma adesso ho qualche dubbio. Probabilmente c'entra la storia di mia madre, ma non ho il coraggio di dirlo. Il cuore mi batte fin troppo forte al ricordo della donna che mi ha messo al mondo e che è scomparsa poco dopo.

«Non lo so» dico, a bassa voce.

Smith digrigna i denti e lo vedo sovrastarmi in altezza, come se si fosse alzato in punta di piedi ed io mi fossi abbassata.

«Lo sto facendo per evitare che sia Thomas a proteggerti»

Lo guardo, perplessa. Di cosa diavolo sta parlando? Che cosa c'entra Tom in tutto questo?

«Se lo facesse, probabilmente si innamorerebbe di te. E anche tu sai perfettamente che è meglio che questo non accada»

Rimango immobile, a bocca aperta. Smith mi sta semplicemente aiutando: sta cercando di evitare a me e a Tom una delusione. Smith ha già messo in conto che qualcuna fra me e Lexie morirà, e se sarò io Tom verrà straziato dal dolore.

Stringo i pugni e mi mordo l'interno guancia, per evitare di scoppiare a piangere. Mi dà fastidio riconoscere che ha ragione e che, purtroppo, ciò che sta facendo farà stare bene sia me che Tom.

«Come credo di averle già ripetuto in passato, professor Smith, non ritengo che la mia vita sentimentale siano affari suoi» balbetto, «perciò la invito a lasciare la mia stanza nei prossimi sessanta secondi»

Detto questo, mi giro e torno verso il letto. Mi siedo nuovamente, a gambe incrociate, e prendo il tè. Lo sorseggio, mentre scruto Smith con la coda degli occhi.

Appena volto il capo, per guardarlo, capisco che l'ho ferito, anche se aveva tutte le ragioni del mondo per farmi notare l'importanza del suo lavoro. Deglutisco e decido di non guardarlo, per evitare di scoppiare a piangere.

Ma è più forte di me. Lascio la tazzina sul comodino e lo raggiungo. So che è sbagliato farlo, ma non m'importa più niente. Smith non è solo un mio professore, è anche l'unico uomo con cui mi permetto di scherzare, di prenderlo in giro e di parlare di vita privata.

Ed è l'unico uomo che ha conosciuto mio padre, quindi l'unica persona che potrebbe anche somigliargli. So di avere Paul sulla Terra, ma ho bisogno di un uomo come figura di padre anche qua su Magics Souls, qualcuno che mi possa sostenere e guidare come Angelique o come Charlotte.

«Mi dispiace» balbetto, «non volevo essere crudele»

Smith mi tira su il mento con un dito e dice: «Sei un'adolescente. Sei arrabbiata con il mondo perché hai scoperto di essere stata adottata, di essere una strega e che i tuoi genitori potrebbero ancora essere vivi»

È la prima volta che un adulto me lo dice, perciò ne rimango sorpresa. Smith non dice mai quello che pensa in relazione agli altri; non è egoista, ma quando apre bocca è solo per screditare in modo sarcastico le persone che ha intorno. Forse è stato abituato così quand'era piccolo e non è un mio problema.

«C'è una possibilità su un milione che lo siano» esclama all'improvviso, «e tutti ci sperano, perché pensano che sia giusto così. La verità è che quella possibilità potrebbe essere vera. Io ci credo, perché i tuoi genitori erano miei amici e non smetterò mai di credere che siano vivi, da qualche parte»

Lo guardo e, mentre una lacrima mi riga il viso, gli sorrido. Ha ragione: i miei genitori sono da qualche parte ed io riuscirò a trovarli, qualsiasi cosa accadrà. Che siano vivi o morti riuscirò, finalmente, a vederli in carne ed ossa.

* * *

«Stasera ci vediamo al GSS» sussurra Aiko al mio orecchio, mentre siamo in biblioteca.

Visto che nessuno studente trascorrerà questo martedì di vacanza a studiare, ne abbiamo approfittato per appartarci in biblioteca e finire qualche compito scritto. Non siamo in vena di studiare, ma fare esercizi è l'unica cosa che tiene le nostre menti impegnate, per evitare di pensare troppo a Zilla o a Lexie, o a qualsiasi cosa che la riguardi.

Sono spaparanzata su una grossa poltrona di pelle bordeaux, con le gambe incrociate e un quaderno sopra di esse. Aiko è di fronte a me, con una penna fra i denti e il quaderno nella mano sinistra, che continua ad agitare in aria mentre parla di Diane e di Alex.

Dice che secondo lei parlare d'altro ci farà bene per dimenticare, almeno per un po', che cosa è successo stanotte, ed è esattamente ciò che stiamo facendo. Certo, fare i compiti e parlare dei nostri amici contemporaneamente non è esattamente corretto se poi un professore ritirerà gli esercizi durante la prossima lezione, ma oggi non ci importa.

Ho raccontato ad Aiko ciò che è successo stamattina, nella mia stanza. Le ho detto di Smith, della sua speranza, della sua amicizia con i miei genitori... e per un attimo ho creduto che dovessi parlarle anche di ciò che sta facendo Smith per me. Alla fine, ho deciso di non parlargliene, perché ciò che fa un nostro professore non sono affari suoi... neanche miei, se devo dirla tutta, ma riguarda una questione della mia vita che ancora non so definire.

Il fatto che dobbiamo lavorare insieme al GSS mi causa diversi problemi, ma devo imparare a ignorarlo.

«Sono sicura che ci riprenderemo»

Alzo lo sguardo. Aiko ha appena parlato e mi chiedo se le mie orecchie abbiano sentito solo questa frase, ignorando quelle che venivano prima.

«No, tranquilla» dice, «non ho detto niente prima di questo»

Le sorrido. «Sono solo un po' stanca. Ehm, per quanto riguarda il GSS, perché non possiamo andare subito? Stasera pioverà e non voglio lasciare la stanza»

Aiko guarda l'orologio che ha sul polso e fa spallucce. «D'accordo»

Si alza in piedi e mette a posto le sue cose. Sospirando, rimetto il quaderno nello zaino e poi me lo metto in spalla. Insieme lasciamo la biblioteca, camminando piano e parlando a bassa voce. Il silenzio che aleggia attorno a noi è così tranquillo che riesce a calmare i miei nervi.

«Facciamo così» esclama, quando usciamo dall'Accademia, «tu va' nell'ufficio di Smith ad avvertirlo, insieme alle tue sorelle, mentre io vado dai ragazzi e vi raggiungiamo»

Annuisco. Guardo l'orologio che Aiko ha sul polso e noto che segna le cinque e quarantacinque. La cena è fra più di un'ora e mezza, perciò potremo trattenerci più del dovuto. Non so bene la ragione per cui ci vogliono al GSS, ma sono curiosa. Ho il sospetto che riguardi Zilla e ciò che le è successo, ma non vorrei crearmi false idee.

Dopo aver poggiato lo zaino in camera, scendo nella stanza delle mie sorelle e le trovo a studiare. Si stanno ripetendo a vicenda un argomento, in vista della verifica. Non volevo disturbarle, ma loro decidono di venire lo stesso.

Mentre camminiamo verso l'ufficio di Smith, vorrei chiedere a Molly com'è andato l'appuntamento con Luke Baker, ma decido che non è il momento adatto per farlo. A guardarla sembra tranquilla, anche se potrebbe essere un bel modo per nascondere la delusione di ieri sera e la paura di aver visto Zilla.

Arrivate di fronte all'ufficio di Smith, busso cautamente alla porta. Mi apre poco dopo e scopro che dentro alla stanza c'è anche il suo fratellastro, David Wood. Ci guardano entrambi con aria interdetta, poi Smith fa il giro della scrivania e si avvicina.

«Avete bisogno di qualcosa?» domanda, incrociando le braccia al petto.

Annuisco e faccio un passo avanti. «Aiko mi ha detto che stasera c'è una riunione al GSS, ma visto che pioverà abbiamo pensato fosse meglio vederci adesso»

Smith guarda Wood, con la bocca semi aperta, poi annuisce.

«Dove sono gli altri?» chiede Wood.

«Aiko è andata a chiamare Alexander, Thomas e Loris» rispondo prontamente.

Smith afferra la giacca di pelle nera, poi ci raggiunge. Esce dall'ufficio, chiudendo a chiave, quindi ci mettiamo in cammino per il passaggio segreto.

* * *

Quando vedo la porta aprirsi, noto che Aiko e i ragazzi sono appena entrati insieme ad Hagen. Ci raggiungono, a passo svelto. Smith e Wood ci hanno fermate all'entrata, mentre parlano con un uomo sulla sessantina, anche se quasi completamente pelato.

«Eccoci» dice Aiko, «scusate se ci abbiamo messo un po'»

«Non preoccuparti» replica Molly, sorridendo.

Hagen raggiunge Wood e Smith, dopo averci salutate, e i tre professori parlano per altri cinque minuti con quell'uomo. Non so chi sia, perciò cerco di dedurlo osservando il modo in cui è vestito. Ha dei pantaloni neri e una camicia azzurra, nascosti da un camice bianco. Nella taschina, a destra, sul petto, ha una penna e un tesserino, ma non riesco a vedere il nome. Fra le mani ha un tablet e sta mostrando qualcosa ai professori. Tutti e tre sembrano interessati e alquanto colpiti.

Quando, all'improvviso, ci fa cenno di avvicinarci, tutti ci precipitiamo. L'uomo sorride, divertito dalla nostra curiosità, e si presenta.

«Mi chiamo Edgar Benson» dice, «sono il medico legale di Coretville e l'unico che lavora anche per il GSS. Generalmente lavoro poco in questo settore, ma nel momento in cui vengono ritrovati dei cadaveri sono obbligato a svolgere il mio lavoro»

Aiko si schiarisce la voce. «Perché ci sta confessando che avete trovato un cadavere?»

«Se il cadavere è in qualche modo ricollegato al motivo per cui siete qui, signorina Asuka, allora è lecito che voi ne siate al corrente» risponde Smith, prima che Benson possa dire qualcosa.

Vedo Aiko deglutire.

«Come ha detto il vostro professore» riprende, «siamo in possesso di un cadavere, rinvenuto questa mattina. Ve lo mostreremo, ma se siete facilmente sensibili è meglio restare fuori dalla stanza»

Sorridendo, cammina verso la porta da cui entriamo regolarmente e torna nel passaggio segreto. Prende la strada di destra e dopo circa una ventina di metri troviamo una porta grigia. Abbassa la maniglia e si sposta di lato, per farci entrare.

La stanza è abbastanza grande e illuminata, piena di tavoli posizionati a circa un metro di distanza l'uno dall'altro. Su uno di essi c'è il corpo di Zilla, la ragazza che stanotte è morta.

Mi tappo la bocca. Come fa ad essere qui? L'ho vista fuggire via, dopo essere stata morsa.

«Se siete interessati, posso spiegarvi che cosa ho scoperto questo pomeriggio, mentre svolgevo l'autopsia della ragazza»

Mi scambio un'occhiata coi miei amici e tutti annuiamo. Benson comincia a camminare verso il corpo immobile di Zilla ed io lo seguo, con il cuore in gola. Ha gli occhi chiusi, la pelle grigiastra e sembra quasi piccoli vermetti grigi si siano incastrati sotto la sua pelle. I suoi lunghi e vaporosi capelli neri sono poggiati sotto il suo corpo, coperto da un leggerissimo abitino bianco, che probabilmente indossano tutti coloro che devono essere sottoposti ad un'autopsia.

«Zilla è morta fra le due e le tre del mattino, due ore dopo essere stata trasformata in vampiro da Luna» comincia Benson, «è stata pugnalata dalla sua creatrice»

Mi tappo la bocca. Non voglio piangere, perché non sarebbe molto eroico, così abbasso il capo e cerco di respirare in modo tranquillo. Non la conoscevo affatto e tutto questo mi fa soffrire.

«Ma mettendo a confronto l'omicidio di Zilla Crick e di Lucrezia VanCamp abbiamo scoperto qualcosa di molto rilevante. Se volete seguirmi»

Comincia a camminare e raggiunge una porta di legno, posizionata dalla parte opposta rispetto al cadavere di Zilla. Entriamo in silenzio e ci guardiamo attorno. È una stanza buia e un po' fredda; ci sono delle cassettiere, con circa una decina di cassetti dalla forma quadrata. Benson ne raggiunge uno, sulla cui targhetta c'è scritto: "1998, Naturae". Capisco immediatamente che all'interno di quel cassetto ci sono le cartelle di tutte le persone nate nel 1998 a Naturae e che sono morte. Non dovrebbe essere molto capiente, visto che sono giovani, eppure riesco a scorgerne almeno tre. Benson ne tira fuori una, poi chiude il cassetto e si dirige verso un altro, sulla cui targhetta c'è scritto: "1998, Ignis". Da esso tira fuori un'altra cartella, ma non riesco a leggere il nome. Probabilmente è quella di Lucrezia.

Le poggia entrambe su un tavolo di metallo, nel centro della stanza, e le apre. Somiglia molto ad una cartella clinica, con tanto di fotografie. Rabbrividisco quando vedo una foto in cui Zilla sorrideva.

«Visto che questi omicidi sono stati commessi o commissionati da una coppia ricercata dal Governo e che agisce insieme, abbiamo ritenuto consono controllare se ci fossero delle somiglianze»

Mi guarda negli occhi.

«C'entrano entrambe con il sangue» riprende, «a Lucrezia hanno tagliato la gola ed è morta per dissanguamento, mentre Zilla è stata volontariamente morsa da una vampira, provocando la sua trasformazione»

Sento Smith buttare fuori aria, che colpisce le mie spalle. Lo guardo di sottecchi e i nostri occhi si incrociano. Quando sono entrata nel suo ufficio – prima di venire al GSS – mi ha guardato con la sua solita aria da uomo cattivo e ci sono rimasta male, perché credevo che dopo la nostra conversazione e l'abbraccio di stamattina le cose fossero un po' cambiate fra di noi, ma naturalmente mi sbagliavo.

«Il sangue è un antico metodo di comunicazione che si usava nel secolo scorso per avvertire il nemico di un attacco molto più grande di questo, che avrebbe causato centinaia di morti e la vittoria di una sola parte»

Tom indica la fotografia del cadavere di Zilla. «Quindi, sostanzialmente, Lexie ci sta dicendo che prima o poi organizzerà una guerra contro di noi?»

«Esattamente» replica Benson, «ma non è tutto»

Dalle cartelline preleva un foglio con delle parole scritte a mano e scopro che ci sono i nomi delle mie sorelle.

«Il nome "Margaret", secondo la tradizione greca, significa "perla, luminosità"» dice, «e va a scontrarsi completamente con il nome "Zilla", nome di origine ebraica che significa letteralmente "ombra"»

A bocca aperta, alzo lo sguardo su mia sorella. È così sorpresa che non riesce nemmeno a parlare.

«Il nome "Molly", invece, significa "principessa, signora" e deriva dalla tradizione ebraica... origine che stona completamente con quella di...»

«...Lucrezia» esclamo io, «"appartenente alla gente". In antichità era spesso usato per le schiave...»

Benson incrocia il mio sguardo e annuisce.

«Proprio così» dice, «quindi, abbiamo motivo di pensare che questo attacco sia rivolto a voi tre sorelle o – se ci concentriamo sulla C che ricompare nei cognomi delle ragazze decedute e nei vostri – alla vostra famiglia»

Spalanco gli occhi. Intende... i nostri genitori biologici o quelli adottivi? In entrambi casi sono preoccupata allo stesso modo.

«I loro genitori sono...»

«...morti?» continua Benson al posto del professor Wood, «ne siamo così sicuri solo perché non abbiamo più loro notizie, ma se in qualche modo Lexie stesse cercando di concentrare la rivolta contro i genitori biologici delle ragazze, saprebbe anche come farli riapparire»

Il respiro mi si ferma in gola e per un secondo annaspo, alla ricerca di aria. Stamattina ho sentito con le mie orecchie le speranze di Smith riguardo alla situazione di mio padre e adesso – a distanza di meno di dodici ore – mi rendo conto di conoscere qualcun altro che è convinto sia successo qualcos'altro, oltre alla loro sparizione.

«Quello che sta dicendo è del tutto illogico» esclama Wood, «sappiamo che tutti i cittadini di Salem sono morti, quindi preferirei non dare false speranze alle ragazze»

Meg lo ferma, alzando una mano.

«Quante persone credono che i cittadini di Salem siano ancora vivi? Alzate la mano»

Benson si scambia un'occhiata con tutti noi, poi alza la mano. Smith lo segue a ruota e a questo punto decido di alzarla anche io. So che sono ancora vivi, sono solo bloccati da qualche parte e devo scoprire dove.

«Ad essere onesti, stiamo facendo delle ricerche approfondite da circa due anni. E parte degli esperimenti che avete visto, quelli sui luoghi da cui attingere magia ed energia, ci sono serviti e ci serviranno per definire con più certezza se c'è ancora vita su Salem... o comunque se esiste ancora»

Molly annuisce. «Il Lago Imperium, per esempio?»

«Esattamente» risponde Benson, «e se Lexie fosse in grado di prelevare tutta l'energia di cui il Lago Imperium dispone, forse sarebbe in grado di dimostrare l'impossibile. Non sto parlando di riportare in vita i morti, ma di far ricomparire persone che ai nostri occhi sono morte o scomparse»

«Come i cittadini di Salem» mormora Loris.

Sospiro, percependo l'avvicinarsi di un forte mal di testa, e poggio le mani sul tavolo. Sto cercando di ripensare a tutto quello che ho scoperto negli ultimi dieci minuti e realizzo che le novità mi destabilizzano. Fino a poche ore fa ero l'unica al mondo a credere che i miei genitori fossero ancora vivi, adesso invece conosco qualche persona in più che ci spera. E per la prima volta da quando parlo di loro, ho trovato un modo per scoprire se sono ancora in vita.

L'idea di Lexie, di attingere dall'energia del Lago Imperium, non è esattamente una cattiva ipotesi. Se lo fa lei, potrei provarci anche io: so che sono più piccola e meno esperta, ma ho imparato a mie spese che spesso l'adrenalina e il desiderio possono aiutare a superare alcune situazioni drammatiche.

In un certo senso sto sperando che – nel caso decidessi di rubare a Lexie il suo piano – adrenalina e desiderio di vincita mi aiutino a sopravvivere e ad ottenere ciò che voglio di più al mondo.

«Di tutto quello che vi ho detto» annuncia Benson, rivolto a noi adolescenti, mentre sistema le cartelle, «niente dovrà superare le mura dell'ufficio»

Annuisco, poi abbasso nuovamente il capo. Un istante più tardi, Benson ci invita ad uscire dalla stanza e a tornare indietro. Non scambio una parola con nessuno e tutti rispettano il mio silenzio. Sto ancora pensando ai miei genitori e alla decisione di Lexie, ma dentro di me so benissimo che non sarei in grado di gestire tutta quell'energia.


La porta d'ingresso dell'appartamento sbatte quando la richiudo alle mie spalle, ma sono così esausta che neanche me ne rendo conto. Sto quasi per aprire la porta delle scale, quando scorgo Aiko e le mie sorelle sull'entrata della loro stanza. Molly ha i capelli sciolti, indossa i pantaloni del pigiama e una felpa grigia. Meg, invece, ha i capelli raccolti in uno chignon da ballerina e indossa ancora il pigiama.

Guardo l'orologio, sul polso, e realizzo che fra soli quindici minuti è ora di pranzo. Sospiro all'idea di dover vedere tutte le mie compagne di scuola, che sono all'oscuro della scoperta che ho appena fatto.

Nel momento in cui me lo ricordo, vedo le labbra di Molly muoversi, ma la sua voce non mi arriva alle orecchie. Scuoto la testa, come per dimenticarmi per un solo istante di Caroline, e chiedo a mia sorella di ripetere.

«Dove sei stata tutta la mattina?» ripete Meg, arrabbiata.

La guardo: ha le braccia conserte al petto e le sopracciglia incurvate. Non è solo arrabbiata, è furiosa e ne ha tutto il diritto. Quando siamo entrate al GSS abbiamo giurato di raccontare la verità su qualsiasi cosa, eppure non sto rispettando i patti: ho riferito loro degli esperimenti di Caroline tempo dopo e, in questo momento, dovrei già essere sul punto di raccontare loro ciò che ho scoperto stamattina.

«Da Caroline» rispondo, svogliatamente.

Sento lo sguardo di Aiko pesare sul mio viso, perciò la guardo. Ha un'espressione sofferente stampata sul volto e vorrei tanto che dicesse qualcosa, ma d'altro canto ritengo che questa sia una questione personale e familiare, che riguarda solamente me e le mie sorelle.

«Credo di sapere già perché sei stata da lei senza informarci» sputa acidamente Meg, «e di certo non può essere considerata una scusante!»

«Mi dispiace» dico, «ma avevo bisogno di sapere che cosa avesse scoperto Caroline riguardo a me. Non è colpa mia se sono geneticamente diversa da voi e non è una cosa che ho desiderato, per l'amore del cielo!»

Meg mi sta guardando con gli occhi iniettati di sangue. È arrabbiata con me perché ragiono di testa mia e non le informo mai dei miei piani. Lo capisco perfettamente, ma non può farmi la morale se decido di conoscere qualcosa di più su di me.

«Smettetela tutte e due» esclama la mia migliore amica.

«Aiko ha ragione» sentenzia Molly, «se continuate a litigare e ad urlare non risolverete niente. Entrate in camera e discutetene civilmente, per cortesia»

Incrocio le braccia al petto e sospiro. Sarò in grado di spiegare alle mie sorelle che cosa mi ha detto Caroline? E, soprattutto, saranno in grado di accettarmi ancora nonostante la mia somiglianza con Lexie?

«Senza offesa, Molly» dice Aiko, «ma credo che debba entrare anche tu»

Mia sorella mi scocca un'occhiata perplessa, ma annuisce in silenzio ed entra. Meg la segue a ruota, non prima di avermi incenerito con lo sguardo. A questo punto, guardo Aiko e la prego di entrare con me, affinché possa aiutarmi a raccontar loro che cosa ho scoperto.

Mi sorride e mi fa cenno di entrare per prima. Chiude la porta dietro di sé e rimane in piedi, contro l'armadio di legno. Io mi siedo sulla prima scrivania e mi prendo il viso in mano.

«Non credo che voi lo sappiate, ma comunque la catena del DNA è larga tra i 22 ed i 26 , quindi da 2,2 a 2,6 , ma quella di alcune persone che abbiamo trovato nell'albero genealogico era larga solamente 19. Sono stata da Caroline per farmi spiegare che cosa realmente significasse tutto questo e lei mi ha risposto che è una caratteristica piuttosto rara che colpisce poche persone. Nonostante sia una mancanza quella larghezza, è scientificamente qualcosa di positivo, perché dona al soggetto in questione più agilità, forza, potenza ed equilibrio. L'ha scoperto in seguito a ripetuti e molteplici esperimenti, che ora non starò qua a spiegarvi»

Meg mi guarda. «A parte la storiella sulla larghezza, sapevamo già tutto»

«Lo so, infatti non ho finito di parlare» replico amara. Sbuffo, poi riprendo a parlare: «Sull'albero genealogico ci siamo accorti che risultava un soggetto in più rispetto a quelli contrassegnati nell'albero genealogico»

Smetto di parlare e rimango con la bocca semiaperta.

«Sei riuscita a farti dire di chi si tratta?» domanda Molly, seduta a gambe incrociate sul letto.

Annuisco e guardo Aiko, con gli occhi umidi.

«La conoscete bene anche voi» bisbiglio, «è Lexie... anche lei ha questa caratteristica e questo vuol dire che potrebbe essere imparentata con noi tre, con Caroline o con tutte noi»

Meg e Molly rimangono a bocca aperta e immobili per diversi secondi. Anche io avrei avuto questa reazione se avessi scoperto che mia sorella è come la mia nemica, quindi rimango in silenzio e aspetto che loro dicano qualcosa.

Meg alza lievemente il capo. Mi guarda con gli occhi lucidi e per la prima volta mi chiedo se sia sensibile quanto me. Ne dubito fortemente, perciò sposto lo sguardo su Molly.

«A fronte di questa novità, vi pregherei di non dirlo a nessuno e di rispettare la mia decisione di tenerlo segreto»

Molly e Meg si scambiano un'occhiata, poi annuiscono con energia. Rivolgo loro un sorriso e, un istante dopo, mi ritrovo fra le loro braccia, ad essere confortata. Quand'ero bambina ho desiderato diverse volte di avere una sorella, ma non ho mai pensato veramente a cosa significasse averne una. Mi immaginavo i nostri pomeriggi ad ascoltare musica, a tenere i segreti l'una dell'altra, a sperare il meglio per l'altra e a coprirci con i nostri genitori. Adesso che ne ho due alle quali tengo più di quanto io dimostri è difficile mettere in pratica tutto quello che sognavo: credevo che delle sorelle gemelle fossero simili e che avessero gli stessi desideri, ma noi tre abbiamo pochissimo in comune. Siamo tutte e tre testarde, sognatrici e un po' precipitose, Molly molto meno.

Voglio loro talmente tanto bene che ho sempre più paura di perderle. Spesso accade che per colpire il proprio nemico si gioca la carta peggiore di tutte: prendere di mira i suoi cari. E se Lexie provasse a toccare le mie sorelle – o i miei amici – non avrebbe più un secondo da vivere. Mi sono affezionata a queste persone e non ho la minima intenzione di lasciarli morire o di vederli morire.

«Non voglio interrompere niente» mormora Aiko, ad un tratto, infilando la testa fra la porta e il muro, «ma sarebbe ora di pranzo»

Ci stacchiamo l'una dalle altre e sorridiamo, un po' emozionate. Non credo di aver mai abbracciato veramente le mie sorelle e rimango sorpresa da questo mio ricordo.

«Andiamo... non vorrei arrivare tardi e beccarmi una ramanzina da parte di Smith!» esclama Meg, ridendo.

* * *

Nella biblioteca dell'Accademia c'è fin troppo silenzio. Sto studiando Storia della Magia, seduta da sola ad un tavolo, e mentre ripeto mentalmente mi guardo attorno, osservando le studentesse.

È quasi buio fuori dalle grandi vetrate colorate e si intravede una leggera luce, che potrebbe essere quella della luna. Dopo pranzo ho raccontato ad Aiko che ad Animo c'era il cielo ingrigito – ovvero l'esatto opposto di quello che c'è a Coretville, sebbene siamo a novembre – e lei mi ha spiegato che ogni Regno ha un tempo metereologico tutto suo: per esempio, nel nostro, le stagioni sono simili a quelle dell'Italia – dove vivevo io – mentre a Glacias è sempre inverno.

Adesso sembra che stia quasi per piovere, ad essere precisi.

Torno a guardare le mie compagne d scuola. Il gruppo del terzo anno, capitanato da Wendy, è seduto su alcune poltrone bordeaux, in modo molto comodo. Hanno dei libri sulle gambe e si fanno domande fra di loro, per verificare che abbiano studiato abbastanza.

Abbasso nuovamente la testa, per cambiare argomento, ma vedo Angelique entrare in biblioteca, insieme a due coppie. La prima la riconosco immediatamente: sono i genitori di Danielle VanCamp, ma la seconda non ho la minima idea di chi sia.

Mi alzo piano, chiudendo il libro, e quando me li ritrovo accanto deglutisco rumorosamente. Non c'è bisogno che Angelique mi dica cosa io debba fare, così sistemo le mie cose nella borsa a tracolla e, dopo essermela lanciata sulla spalla, comincio a camminare. Angelique mi raggiunge un istante dopo, mentre le due coppie restano dietro di noi.

Durante il tragitto dalla biblioteca al suo ufficio non ci scambiamo neanche una sillaba e cerco di trattenere le mie emozioni, affinché non possa risultare maleducata e arrogante.

Prima di entrare nel suo ufficio prendo un gran respiro e mi calmo. Devo solo mantenere i nervi saldi e tutto si risolverà per il meglio. Non so che cosa vogliano da me, ma l'importante è essere cordiale. Del resto, la figlia dei VanCamp è morta due mesi fa e sicuramente non avranno ancora superato il lutto.

«Malia» esordisce Angelique, «ti presento i genitori di Zilla, i coniugi Crick»

Spalanco gli occhi e li guardo, estremamente preoccupata. Anche loro mi stanno addossando colpe che non ho? Hanno intenzione di farmi arrestare o di farmi pagare ingiustamente per la morte delle loro figlie?

«Molto piacere» esclamo, allungando la mano.

Nessuno dei quattro la stringe; la guardano con circospezione, così la ripongo lungo il mio corpo. Sospiro e spero con tutta me stessa che tutto questo duri il meno possibile.

«Siamo venuti qua per chiederle qualcosa in più sulla morte di nostra figlia» comincia la madre di Zilla, «abbiamo avuto modo di vedere il corpo di Zilla, un'ora fa, e vorremmo sapere da parte tua com'è andata»

Prima di rispondere lancio un'occhiata alla madre di Danielle: mi sta guardando come se fossi la vergogna di mia madre, come se fossi stata io ad accoltellare sua figlia.

«Credo che prima di risponderle, signora Crick, ci sia qualcun altro in lista» rispondo, poi guardo la signora VanCamp e aggiungo: «Sua figlia è stata accoltellata da Benjamin Hooke. Ero a pochi metri da loro, ma non ho potuto fare niente. Probabilmente è stato un omicidio preterintenzionale»

La madre di Danielle ora è sorpresa. Non si aspettava che le parlassi di una cosa del genere in un momento come questo, ma sembra accettare. Quando abbassa il capo, io incrocio lo sguardo della signora Crick.

«Per quanto riguarda Zilla, invece... Lexie ha fatto in modo che prendesse le sembianze di Danielle. Quando mi sono accorta della sua presenza – al Ballo di Halloween – l'ho seguita nel giardino della scuola ed è stato in quel momento che l'incantesimo si è spezzato. Un secondo dopo è comparsa Luna, una vampira, e l'ha morsa. In seguito alla sua trasformazione, è fuggita e poche ore dopo è morta. Mi dispiace davvero tantissimo e se avessi potuto fare qualcosa non avrei esitato a farlo, naturalmente»

La madre di Zilla scoppia a piangere, tenendosi un fazzoletto vicino al naso. Al suo posto starei malissimo anche io. Non ho mai pensato al fatto che potrei avere una figlia, in futuro, ma in questo momento sono più decisa a non averne se hanno una minima probabilità di fare la stessa fine di Danielle o di Zilla.

I Crick e i VanCamp staranno passando le pene dell'inferno e non ho il diritto di giudicarli o di comportarmi male nei loro confronti. È giusto che sappiano cosa è realmente accaduto, perché non posso permettermi di mentire in una situazione del genere. Sono morte due ragazzine da quando sono qui e durante la mia vacanza di poco tempo fa ho giurato a me stessa che niente di tutto ciò sarebbe accaduto di nuovo, invece è successo. Dovrei prendermela più con me stessa che con Ben o con Luna, per aver ucciso due innocenti.

«Sei stata abbastanza esaustiva» dice la madre di Danielle, con il solito tono acido, «ma la tua ritardataria e repentina spiegazione non riporterà indietro mia figlia»

La temperatura nella stanza cala di dieci gradi.

«Ruby...» mormora il signor VanCamp.

«Signora» esclama Angelique, «credo che il colloquio sia terminato»

Ma la madre di Danielle non ha nessuna intenzione di andarsene. Continua a guardarmi, con il petto all'infuori e gli occhi ben aperti. Le sue labbra carnose e dipinte di rosso scuro continuano a produrre movimenti flebili, quasi impercettibili.

«Mi dispiace» dico, «ma nessuno le ha mai detto che sua figlia sarebbe tornata indietro se io avessi raccontato ciò che è successo. E non credo sia molto maturo addossarmi una colpa che non ho. Se non vado errata, signora VanCamp, sua figlia è stata uccisa da Benjamin Hooke, perciò se deve proprio sfogare la sua rabbia su qualcuno, dovrebbe farlo sull'assassino di Danielle, la quale – d'altro canto – non credo sarebbe molto felice di sentire sua madre dire cose come queste»

Faccio una pausa e incrocio le braccia al petto.

«E per la cronaca» aggiungo, «i miei genitori adottivi sono orgogliosi di me. E quando scoprirò cosa pensano quelli biologici, non tarderò a farglielo sapere» sorrido, poi mi rivolgo agli altri tre dicendo: «Vogliate scusarmi, ma è quasi ora di cena e la direttrice Le Croix non apprezza i ritardatari. Per qualsiasi altra domanda potete tornare da me e sarò ben lieta di aiutarvi. Con permesso»

Lancio uno sguardo a Ruby VanCamp e, mentre esco dall'ufficio di Angelique, spero con tutta me stessa di non doverla incontrare mai più.

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