5. Cassandra
"Noi impariamo a tenere su la testa come se portassimo la corona. Impariamo a tirar fuori la magia dalla normalità. Era così che sopravvivevi quando non eri predestinata, quando nelle tue vene non scorreva il sangue blu. Quando il mondo non ti doveva niente, toccava a te prendere qualcosa."
Cit Inej, Il Regno Corrotto, Grishaverse, Leigh Bardugo
«Certo che voi due potreste anche aiutarmi a fare qualcosa in casa, ogni tanto, le mani le avete, o sbaglio?!»
Mio padre abbassa la testa, mortificato.
«Hai ragione, Cassy, mi dispiace.»
Quando mi risponde così riesco quasi a credergli, peccato che tra il dire e il fare...
«Lasciamo perdere, sono stanca, me ne vado a letto.»
La sua voce mi blocca con un piede alzato, intento a fare il primo gradino.
«Aspetta, tieni, la Crema per domani.»
Mi porge il barattolo color porpora, io però lo fermo e glielo restituisco.
«Grazie, ma ne ho ancora un po', dalla pure a 'Tore, ne ha più bisogno lui, io tanto rimango chiusa dentro alla bottega.»
Faccio per ritornare sui miei passi, ma lui non me lo consente.
«No, figlia mia, prendila.»
Mi afferra la mano e la richiude sul barattolo, allora io mi arrendo.
«Va bene, grazie.»
Mi bacia sul capo e mi dà la buonanotte.
Salgo i gradini e mi fermo davanti alla porta del bagno chiusa. Sento dall'altra parte l'acqua scorrere. Busso irritata e contrariata.
«OCCUPATO.»
E ti pareva... ogni volta che ci devo andare io, lui mi anticipa!
«Muoviti, Ettore! E non finire l'acqua calda o giuro sulla Domina che ti ci affogo!»
La sua voce risuona ovattata, ma chiara.
«Che acida, sorellina! Calmati! Per caso è quel periodo del mese?!»
Stringo i pugni per evitare di buttare giù la porta davanti a me.
«No, brutto idiota!»
Lo scroscio si interrompe e, poco dopo, mio fratello esce avvolto da un asciugamano, strofinandosi i capelli con un altro.
«Ecco, finito! Tutto per te, acidella!»
«Era ora!»
Lo sorpasso, ma, prima di sbattergli l'anta in faccia, mi ricordo di una cosa.
«Quando andrete all'Inkubus?»
Smette di sfregarsi e mi osserva sospettoso.
«Non lo so... credo tra due giorni, perché me lo chiedi?»
Alzo le spalle, fingendo disinteresse, e tento di chiuderlo fuori, ma Ettore è più svelto e, con un piede, blocca la porta per non farmi fuggire.
«Perché, Cassandra?»
Quando usa il mio nome completo non è mai una cosa buona.
«Così, per sapere...»
I suoi occhi si stringono in due fessure, mentre tento inutilmente di spingere via la sua gamba per chiudere.
«Non penserai mica di venire?!»
Sbuffo irritata.
«E perché non dovrei? Voi ci andate!»
Il suo colorito bianco si accende di colpo.
«Non esiste che la mia sorellina, appena maggiorenne, metta piede lì dentro!»
Ora mi ha proprio stancata!
«Appena maggiorenne?! Ho vent'anni e voi ne avete solamente cinque più di me! Senza contare che lavoro e mi prendo cura di questa casa!»
Ettore stringe l'asciugamano dei capelli con foga, come se potesse strozzarlo.
«No, non hai idea di che genere di uomini circolino lì dentro!»
Sbatto i piedi per terra e mi rendo conto di sembrare una bambina capricciosa in questo momento.
Fortuna che Ares non può vedermi!
«Starò vicina a voi due!»
La sua mascella squadrata si tende.
«Avremo altro a cui pensare senza bisogno di fare anche da balia a te!»
«Oh, sei impossibile!»
Appena mi rendo conto che si è scostato abbastanza, gli sbatto in faccia la porta.
Che possa scomparire nelle Tenebre!
Faccio volare via le scarpe e mi sfilo il vestito, ma, prima che possa immergermi nella vasca, Ettore bussa delicatamente per richiamare la mia attenzione, senza però entrare.
«Cassy,» Tenta di usare il suo tono più conciliante, ma io non gli rispondo e lui ci riprova. «Cass?»
«Vattene!»
Sospira stanco.
«Non è che mi diverta a fare il cattivo, semplicemente non me lo perdonerei mai se ti dovesse succedere qualcosa.»
Resto in silenzio.
«Mi dispiace, Cass. Dai, domani mattina ti accompagno io al lavoro.»
Decido di lasciare perdere la questione, tanto è inutile.
«Va bene...»
«Notte, sorellina.»
Finisco di lavarmi, mi infilo una tunica e una vestaglia. Attraverso lo stretto corridoio, entro nella camera che mi tocca condividere con mio fratello e lì vengo accolta da un sommesso russare.
Accidenti a lui, si è già addormentato...
Provo a fare piano, ma le vecchie assi di legno scricchiolano sotto ai piedi.
Mi adagio sulla branda opposta alla sua e mi infilo sotto alla calda coperta azzurrina, che tre anni fa mi fu regalata da Elettra.
Se già prima del nostro grande lutto ci aiutavamo tra le due famiglie, da quando la mamma è morta Elettra mi è stata -se possibile- ancora più vicina. È sempre dolce e carica di attenzioni per me, come stasera che mi ha portato tutti quei deliziosi vestiti. La mamma di Ares è una donna meravigliosa che ha saputo tirare su un figlio tutta sola, combattendo pregiudizi e fregandosene delle malelingue!
E che figlio poi...
Ares. Oh, quanto mi piace! Ogni volta che lo vedo il mio stomaco si imbriglia. Alto, muscoloso, con quegli occhi talmente chiari da sembrare due pezzi di ghiaccio appuntiti pronti a trapassarti. I capelli, scuri come la notte, con quel ciuffo che ogni volta mi fa venire voglia di infilarci le mani per testarne la morbidezza. Le linee nere del tatuaggio che si intersecano sul suo braccio sinistro gli donano poi quell'aria da cattivo ragazzo, che in realtà è così tremendamente sbagliata!
Altro che cattivo!
Poi non è una mera questione estetica, lui non è "solo" un bel ragazzo! Lui è un uomo, un vero uomo, che si preoccupa per te, che ti lava i piatti e che si prende cura della madre! Uno del genere dove lo si trova?! Qui intorno di sicuro è più unico che raro. Con lui sì che mi sposerei al volo. Peccato che per Ae non sono niente, se non una sottospecie di sorellina da proteggere.
Accidenti all'Uno! Come vorrei essere vista da lui!
Sospiro. È meglio se cerco di smetterla di pensarci, altrimenti rischio di passare la notte in bianco. Mi auguro solo che vada tutto liscio all'Inkubus e che non si facciano male.
*
La levataccia al mattino è dura. Ho dormito male, agitata. Chiamo mio fratello, ma non mi dà retta.
Rifaccio la mia branda, mi cambio, ordino i vestiti che ieri sera ha sparpagliato per la camera. Quelli ancora puliti li ammucchio nel suo lato della stanza, quelli sporchi li metto nel cesto della biancheria. Ritiro la mia vestaglia nel nostro vecchio armadio, a cui manca un'anta, e mi cambio.
Quando termino i miei compiti, mi dirigo verso la sua branda attaccata al muro opposto alla mia e, senza tante cerimonie, lo richiamo, scuotendolo. Forse ci metto un po' troppa enfasi perché si alza di soprassalto, sbattendo la testa sulla mensola. Il colpo fa tremare i mozziconi delle candele spente che ci sono al di sopra.
«Accidenti all'Uno!»
Maschero un risolino con un colpo di tosse.
«Bestemmi già di prima mattina, 'Tore?»
Si massaggia il capo, sbadigliando.
«Mmm... è colpa tua che sei un animale a svegliarmi!»
Gli regalo una linguaccia, «La prossima volta hai solo da alzarti al primo richiamo!»
Scendiamo in cucina e facciamo colazione con due gallette e del tè. Una volta terminato, metto insieme un po' di formaggio e dei frumenti da portarci dietro per il pranzo. Ci spalmiamo un po' della Crema di Protezione -per non rischiare di ustionare la nostra pelle bianchissima, non abituata all'esposizione del Sole- e usciamo. Oggi prendiamo Ombrus, il cavallo nero di papà, per fare prima, visto che tanto deve fare il turno di notte e non gli servirà fino a stasera.
Ettore conduce e io mi allaccio dietro a lui per tenermi ferma. Attraversiamo Parvus diretti alla Galleria principale, quella che utilizzeremo per risalire in superficie. A cavallo ci impieghiamo circa tre quarti d'ora. La salita è ripida, ma il nostro destriero è addestrato e, per lo meno, evitiamo di schiacciarci in mezzo alle altre persone nei montacarichi cigolanti.
Una volta giunti fuori, i raggi del sole ci accecano come sempre per un attimo. Sbattiamo le palpebre per adattare la nostra vista. I profumi degli alberi in fiore investono prepotenti le mie narici. Ogni volta è come ritrovarsi in un altro mondo.
Chissà come sarebbe vivere alla luce vera, in mezzo ai rigogliosi e verdi prati. Riuscire a percepire tutti questi dolci odori al posto della solita umidità e il calore sulla pelle poi... accidenti sarebbe bello davvero!
Dall'ingresso principale di Inferius alla periferia di Superius ci vuole veramente poco. Basta attraversare un sentiero in mezzo al bosco ed è fatta. Ettore mi scarica alla "Bottega della Moda", il posto in cui lavoro.
«Fai la brava, Cassy! Torno a prenderti alle diciassette.»
«A più tardi.»
Un piccolo strattone e al trotto esce dalla periferia in direzione dei campi. Faccio un respiro profondo e mi armo di pazienza prima di entrare dal portone.
Oggi, per fortuna, la Madama che gestisce la bottega -una vecchia vedova medio benestante- non è presente in negozio, quindi la giornata è meno pesante e scorre molto più veloce. Con me a lavorare ci sono altre due ragazze Inferiori, Daphne e Clio, rispettivamente un anno più vecchia e un anno più giovane di me. Entrambe sono carine, la prima ha dei capelli lunghi, mossi e mori e occhi blu, la seconda un bel caschetto liscio color vinaccia e delle iridi grigiastre. Tutte e due stravedono per mio fratello e farebbero carte false per accalappiarlo.
Forse è solo per quello che fanno le gentili con me.
Non so come fanno a non capire che è solamente un idiota, tutto muscoli e niente cervello!
A fine turno aspetto il mio passaggio fuori dalla bottega; oggi deve essere in ritardo.
Finalmente lo vedo arrivare. Nonostante la stanchezza per le dure ore trascorse a fare il bracciante, Ettore ha stampato in viso il solito ghigno strafottente. È accaldato, sudato e impolverato, indossa pantaloni rovinati scuri e una logora canotta sporca di fango, che però mette in risalto la muscolatura lucida.
«Ciao, sorellina, passata bene la giornata?» Anche se mi sta parlando, il suo sguardo vaga alla ricerca delle mie compagne di lavoro, «Ma dove sono le tue bellissime colleghe?»
Alzo gli occhi al cielo per l'irritazione, ma non faccio in tempo a rispondergli che Daphne, uscendo dal negozio, mentre ancora si sta dando una veloce rassettata, mi anticipa.
«Ettore, ciao! Come stai?»
Si avvicina a lui sbattendo le lunghe ciglia e sistemandosi una ciocca corvina dietro l'orecchio. Poco dopo, incespica dietro di lei un'affannata Clio.
«Ettore!»
Mio fratello, in questo momento, si è appiccicato addosso quello sguardo compiaciuto e arrogante che io detesto.
«È un piacere vedervi, ragazze! Com'è andata la giornata-»
A questo punto mi intrometto io, non ho nessuna intenzione di assistere a questa scena patetica. Sono troppo stanca e a casa mi aspetta altro lavoro da fare.
«Fratellino, la solita solfa, andiamo, siamo già in ritardo!»
Senza troppa grazia mi infilo tra le due imbambolate e salgo dietro di lui.
«Ai tuoi ordini!»
Mi risponde contrariato, poi si gira verso le ragazze facendo loro un occhiolino, al quale esse ricambiano, salutando estasiate e dimenticandosi completamente di me.
Che nervoso!
Partiamo al galoppo. Mentre ripercorriamo la Galleria mio fratello mi rimprovera.
«Cassy, certo che sei una guastafeste!»
Ecco che ci risiamo...
Alzo gli occhi al cielo seccata.
«Dovresti ringraziarmi, ti ho appena salvato da "civettamenti" inutili.»
«Solo perché tu non sei capace di essere graziosa, non vuol dire che loro siano delle civette!»
Le sue parole fanno breccia, irritandomi ancora di più.
«Oh, ma cosa ne vuoi sapere tu!»
Volta appena il viso verso di me, con sufficienza.
«Be', forse se avessi maniere più carine, anche tu riusciresti a trovare un uomo.»
Se non fossi costretta a tenermi allacciata a lui mi sarei già levata lo zoccolo per tirarglielo in testa.
«Forse se volessi trovare un uomo come te, ma sinceramente non me ne importa niente di accollarmi un altro a cui dovrei fare da mangiare e lavargli la biancheria!»
«Sei sempre più acida!»
«E tu puzzi peggio del nostro cavallo, muoviti, andiamo a casa!»
Il resto della strada lo percorriamo in silenzio, stizziti.
*
Una sola frazione ci separa dalla nostra, ossia Dimitto, una tra le peggiori però. Di mattina presto attraversarla non è un problema, tutti ancora dormono, ma adesso...
Un gruppo di giovani ragazzi inferiori è raggruppato fuori da un piccolo locale che serve la birra più economica di Inferius; chiamarla "birra" è già di per sé un complimento.
Il mio cuore inizia a battere velocemente, quasi volesse fuoriuscire dalla gabbia toracica e i palmi delle mani cominciano a sudarmi; abbiamo tardato troppo in superficie e ora ci ritroviamo a fare questi brutti incontri.
Una serie di fischi ci insegue, insieme a dei latrati poco lusinghieri. Quanto odio questo genere di uomini, vorrei potergli rispondere senza aver paura delle conseguenze, vorrei poter alzare la testa invece di ritrovarmi ad abbassarla! Di notte, poco prima di addormentarmi, immagino sempre un mondo in cui rispondo io stessa a suon di calci a queste provocazioni.
«Ehi, bellezza! Perché non ti fermi a bere qualcosa con noi? Ci divertiamo un po'!»
Mio fratello si irrigidisce, io gli appoggio una mano sul bicipite teso e la stringo, sussurrandogli all'orecchio un avvertimento.
«Lascia perdere, 'Tore, per favore... non ne vale la pena. Andiamo a casa!»
Come se non avessi parlato, Ettore scatta.
«Sparite! Siete solo viscida feccia, mia sorella non ha nulla da spartire con voi!»
«A chi hai dato della feccia, contadino?»
Il gruppo si sposta sbarrandoci la strada. Il respiro mi si blocca, il cuore, a questo punto, sembra essere uscito definitivamente dalla sua naturale sede per traslocare nelle orecchie.
Siamo solo in due e loro in cinque, non possiamo permetterci che facciano del male al povero Ombrus.
E ora che facciamo?
Maledetti loro!
Maledetta quella linguaccia di mio fratello!
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