19. Aiace
"C'è una grande differenza tra quello per cui viviamo e quello per cui lavoriamo."
Cit Nomi, Sense8, Ideatori: Lana e Lilly Wachowsky, J. Michael Straczynski
Cammino avanti e indietro, nervoso, nello studio di Prometeo, aspettando il suo arrivo. Mi ha ordinato di attenderlo qui, mentre finiva di concludere la vendita con il Leone e il monarca di Feline. La collana infine l'hanno comprata, insieme a qualcos'altro che era stato commissionato loro dalla regina.
Questa è una delle poche stanze della magione a non essere ricoperta dai tappeti araniani, il pavimento in granito è grigio, semplice, come del resto lo stile di questo studio. Ne rappresenta il proprietario, unico luogo a non essere stato infestato dal gusto estroso di Leda. Attraverso una grande finestra a bovindo, i raggi del sole illuminano la scrivania in centro. È disordinata, ingombra di molteplici carte e penne. Tre diverse boccette di inchiostro sono aperte a poca distanza l'una dall'altra. Ai lati invece due opposte librerie contano numerosi volumi, questi ultimi sono disposti senza alcun preciso ordine.
Il cuore palpita furioso nel petto, mi aspetto il peggio da questo incontro. Sono giorni che sono ossessionato dalle ultime parole di Leda e dalle sue minacce.
Mi fermo e afferro un tomo, un trattato sulla compravendita, inizio a sfogliarlo per distrarmi. Le lettere scorrono nella mia mente senza però rimanere realmente impresse o assumere significato. Mi ritrovo a leggere e rileggere la stessa frase. Non riesco a concentrarmi. Tento ancora, almeno finché non sento la porta aprirsi e poi chiudersi alle mie spalle.
Serro il libro con un tonfo e lo riappoggio al suo posto. Prendo un respiro, mi accorgo che ho le mani che tremolano, allora le stringo in due pugni per nascondere l'agitazione che mi porto dentro e mi volto pronto ad affrontarlo.
Prometeo mi osserva in silenzio, con sguardo serio. Sono due settimane che non ci vediamo, vorrei soltanto andargli incontro e abbracciarlo, come sempre dopo un viaggio, ma rimango paralizzato sul posto. Un'aura di nervosismo, mista a tristezza, mi impedisce di avvicinarmi a lui.
«Ace.»
«'Teo.»
I suoi occhi verdi mi osservano cupi.
«Perché hai detto quelle cose al Leone? Hai messo a repentaglio la vendita.»
Quindici giorni che non ci vediamo e questa è la prima cosa che gli viene in mente.
«Non l'ho fatto apposta, mi è scappato... e comunque tutto ciò che ho detto è vero.»
Scuote la testa, «La verità non fa vendere, Aiace, dovresti saperlo.»
I suoi occhi mi scandagliano, fiammeggianti. Non riesco a capire se le parole che ha usato hanno un solo significato o se celano all'interno dell'altro. Forse è venuto a sapere del mio colloquio con Leda la sera precedente alla mia partenza.
«Dimmi per cosa mi hai fatto venire qui, Prometeo, senza girarci tanto intorno.»
Con le spalle curve si dirige verso la scrivania e si lascia cadere sulla poltrona granata. Si stropiccia la fronte e torna a osservarmi.
«Siediti, Ace.»
«Sto bene in piedi, grazie.»
Scuote la testa contrariato, abbassa lo sguardo sulle carte, non riesce a guardarmi negli occhi mentre mi dice: «Mia moglie è incinta.»
Come immaginavo.
«Congratulazioni.»
Il mio tono è freddo e lapidario, lui torna a fissarmi. Il silenzio si fa pesante e io mi innervosisco di più ogni secondo che passa, non riesco a trattenermi oltre.
«Perché ti comporti così? Perché sembra che ti sia appena caduto il mondo addosso? Cosa mi nascondi?»
Sospira.
«Non ti nascondo niente, è solo che è difficile dirlo ad alta voce.»
«Cosa dovrebbe essere difficile?»
«Dirti che devi andartene, Ace.»
La stanza inizia a vorticare intorno a me, confusa. Sembra quasi che la terra mi stia cedendo da sotto ai piedi, mi appoggio alla libreria sulla destra per non perdere l'equilibrio. La sua voce mi giunge ovattata, quasi stesse provenendo da un brutto sogno.
«Aiace, non devi farlo subito, ma solo dopo la nascita del bambino. Non sai quanto mi dispiace, non voglio perderti!»
Con le mani si tira i capelli in un gesto disperato. Io lo osservo, senza riuscire a prendere atto di quello che mi sta dicendo. Non posso crederci, non voglio crederci.
«Perché?»
È l'unica parola che riesco a pronunciare.
«Leda mi porterà via il bambino e ci denuncerà, se non ti caccerò via di qui. Non ho altra scelta.»
«C'è sempre una scelta.»
«E quale sarebbe? Perché ci ho riflettuto e io di vie di uscita non ne trovo. Fosse stato per lei ti avrebbe messo alla porta stasera stessa.»
Scuoto la testa rabbioso.
«Non ha prove contro di noi, non ha testimoni, nessuno le crederebbe.»
«Sai meglio di me che la sola insinuazione basta a volte per distruggere una reputazione, un impero come il mio!»
All'improvviso è come se mi arrivasse una stilettata al cuore.
«Allora è di questo che si tratta? Hai più paura di perdere i tuoi soldi, il tuo prestigio, che me!»
Gli do le spalle e mi avvio verso la porta. Lui si alza svelto, spostando dietro di sé malamente la poltrona, e mi raggiunge prima che io possa spalancarla. Mi afferra per la spalla e mi volta nella sua direzione. Mi osserva con i suoi verdi occhi e al loro interno ci posso leggere colpa e rammarico.
«Io ti amo, Ace.»
Gli scosto agitato la mano appoggiata sulla mia spalla.
«Ami di più te stesso. Ami di più il tuo impero.»
Mi afferra il volto e lo porta vicino al suo, a un millimetro da quelle labbra che ho sempre adorato e ammirato.
«Non è vero, ma non posso permettere che la mia reputazione e il nome della mia famiglia vengano intaccati.»
Non so nemmeno cosa rispondergli, sono troppo deluso.
Mi bacia le labbra, ma io rimango di pietra e non lo contraccambio. Capisce l'antifona e si allontana. Mi afferra una mano fra le sue e ricomincia: «Ho sentito dire che Re Orazio a Ignis vuole ampliare l'esercito, nuove reclute. Con una mia lettera di raccomandazione potrei farti entrare tra le sue fila senza dover cominciare dalla base.» La sua voce è fioca e riflessiva, «Ma se non vuoi tornare lì, allora posso scrivere a qualche mia conoscenza di Cauda, potrei farti entrare tra le sue guardie o quelle di un altro facoltoso mercante.»
Mi osserva alla ricerca di una risposta che non arriva. Con una mano mi accarezza dolcemente una guancia, «Comunque abbiamo ancora almeno sette mesi davanti da passare insieme, non dobbiamo pensarci ora.»
Quest'ultima frase mi riscuote dal torpore che mi ha assalito.
Che senso ha vivere una storia con una data di scadenza? Finirei con il trascorrere il tempo contando i giorni che mi separano dalla partenza e dall'addio all'uomo che ho amato con tutto me stesso. Sarebbe solo come prolungare un'inutile tortura.
Ripunto lo sguardo nel suo, arresto le carezze che mi sta donando e gli allontano la mano.
«Prepara una lettera da portare con me.»
Annuisce, «Certo, lo farò, ma adesso andiamo a passeggiare, proviamo a distendere gli animi.»
Scuoto la testa.
«Non hai capito, voglio che la prepari il più in fretta che puoi perché, tra qualche giorno, partirò. Mi prendo solo il tempo di prepararmi, di chiudere gli affari e raccogliere le cose.»
A questo punto immagino tocchi a lui sentire il mondo crollare sotto ai piedi. In queste settimane aveva avuto il tempo di prendere atto del mio allontanamento e fare i conti con il volere della moglie, ma non aveva considerato quali potevano essere i miei sentimenti al riguardo. Credeva di avere davanti ancora sette mesi prima di dovermi dire addio.
I lineamenti del suo volto si distorcono in una smorfia di dolore, mettendo in risalto la sua età.
«Ace...»
La sua voce trema, io gli do le spalle e questa volta non fa nulla per impedirmi di andarmene. A passo svelto mi dirigo verso l'esterno, tengo la testa china per non rischiare che qualcuno noti le lacrime che stanno lottando per sgorgare dai miei occhi. Rischio quasi di sbattere contro a un domestico, mi scuso e proseguo.
Giungo alle stalle e, senza tante spiegazioni, sello di nuovo Vespera e la conduco fuori. Mi porto dietro delle carote da farle mangiare e parto al galoppo. Scompariamo in un sentiero vicino al bosco circostante, uno dei più tranquilli e meno battuti, e finalmente do libero sfogo alle lacrime.
Dopo cinque anni, eccomi di nuovo solo.
Senza più una casa, senza una famiglia.
Non capisco perché piango, dovrei averci fatto il callo ormai.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro