17. Nausicaa
"La famiglia è la famiglia, che sia quella con la quale si comincia, o quella dove si finisce, o quella che ci si costruisce lungo la strada."
Cit Gloria, Modern family, autori: Christopher Lloyd e Steven Levitan
Il Tempio della Domina, come mi è stato spiegato dal ragazzo che ora so chiamarsi Ares, non dista molto dalla frazione in cui lui stesso abita, "Parvus". Rimane infatti proprio tra la fine di questa galleria e l'inizio di quella dopo, la sezione stessa del tempio prende il nome di "Intersecta".
Mentre camminiamo, tento di trovare intorno a me dei punti di riferimento, in caso rischiassi di trovarmi di nuovo in una situazione del genere, ma in questa semi oscurità è molto difficile. Senza contare poi che i vicoli mi sembrano tutti uguali, nuda terra, buio e case fatiscenti. Almeno il senso di oppressione che mi faceva mancare il respiro si è allentato, forse mi sto abituando.
Anche se non penso che ripeterò al più presto quest'esperienza, credo di avere rischiato abbastanza...
Il silenzio che ci circonda è pesante, a tratti quasi inquietante. Provo a pensare a qualcosa per distrarmi e mi torna in mente la ragazza che ho conosciuto poco fa, Cassandra. Immagino che stesse dormendo beata prima della nostra irruzione, almeno la vestaglia che indossava è stato ciò che me l'ha suggerito.
L'ho trovata davvero carina. Piccolina, con dei magnetici occhi viola contornati da ciglia scure. I capelli lunghi, argentati, erano piuttosto ordinati, non davano l'idea di essere stati sparpagliati sul cuscino fino a poco prima. Non sembra affatto me da appena sveglia... Il naso forse è l'unica minuscola imperfezione del viso, un po' grosso, ma non rovina il complesso degli altri elementi, al contrario, le dona carattere.
Lei mi è sembrata fin troppo attenta ad Ares o a ciò che diceva o faceva; un'insana curiosità mi assale. «Pugile, la ragazza di prima è la tua fidanzata?» chiedo a bassa voce.
Il moro interrompe bruscamente i suoi passi e, siccome è davanti a me per fare strada, per poco non vado a sbattergli contro alla schiena.
«Ma chi? Cassy?» Anche il suo è solo un sussurro. Si vede che entrambi non vogliamo fare baccano.
Annuisco e riprendiamo a camminare, questa volta fianco a fianco.
«No, per me è come una sorella.»
Lo osservo, per tentare di cogliere una qualche falla nella sua espressione.
«Mi è parsa molto in pena per la tua sorte» insisto.
Scrolla le spalle, «È normale, la nostra è come una grande famiglia, anche io mi preoccupo sempre per lei ed Ettore.»
Se lo dice lui... ma non riesco a crederci fino in fondo, o almeno non per quanto riguarda lei.
«Lo posso capire, hai altri fratelli? Di sangue intendo?»
«No, siamo solo io e mia madre.»
Il tono del ragazzo si fa un pochino amaro, magari è meglio non chiedere niente riguardo al padre, forse è un tasto dolente.
«E tu, principessa?»
Reprimo l'irritazione che mi assale ogni volta che mi chiama utilizzando quel titolo, senza poi peraltro essere a conoscenza di quanto in realtà lui stesso abbia ragione, e cerco di rispondergli senza farla trapelare.
«Siamo io, mio padre e mia sorella»; -E un mucchio di altra gente attorno a noi...- lo penso, ma non lo dico. «Però capisco cosa intendi, anche io ho delle persone care che considero parte della famiglia, nonostante non posseggano nemmeno una goccia di sangue in comune con me.» La mia mente non può fare a meno di correre a Tancredi.
Compiamo gli ultimi passi di nuovo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri e considerazioni. Giungiamo, quasi senza rendercene conto, alle porte del Tempio.
I ricordi che conservo su questo luogo sono sfocati e vaghi, complici gli anni passati e il fatto che fossi stata condotta sino a qui praticamente da svenuta. Era infatti quello un periodo in cui soffrivo sovente di gastriti e dolori addominali. In quel particolare episodio i miei genitori si erano talmente spaventati da arrivare a chiedere aiuto a loro, dato che i medici di corte non trovavano alcuna soluzione. Secondo quelle donne il mio problema era portato dalla mia stessa mente, dal mio carattere, e ci dissero che se non fossi riuscita a trovare una sorta di equilibrio interiore avrei rischiato la perforazione dell'ulcera a lungo andare. Le Sacerdotesse, con pazienza, erano infine riuscite a riportare i miei episodi sotto controllo, grazie alle loro pozioni e una dieta da seguire.
Il Tempio, come allora, riesce a mettermi in soggezione. È di nuda roccia, senza iscrizioni. Questo dove ci troviamo noi è solo uno dei tanti livelli, una delle molte entrate. Queste ultime però non sono tutte accessibili. Esso si interseca con quasi ogni frazione, attraversando quasi tutta Inferius, fino ad arrivare, credo, nelle vicinanze della superficie. Come il resto di queste parti è avvolto dall'oscurità. Diverse Blu della Domina ne incorniciano l'entrata, creando il classico bagliore azzurro-biancastro. Un grosso cordone penzola vicino a noi, scomparendo all'interno della costruzione.
Mi fermo a osservare il mio accompagnatore per capire come dobbiamo muoverci. Lui alza le spalle e poco dopo tira la fune. Riusciamo a percepire un rumore attutito provenire dall'interno. Immagino che la corda debba essere attaccata a qualche campanella che indichi la nostra precisa presenza in questo determinato piano.
Mentre attendiamo, inizio a battere il piede per terra soprappensiero.
«Nervosa, principessa?»
Proprio quando sto per rifilargli la risposta più velenosa che mi è venuta in mente, il portone di fronte a noi si apre cigolando piano.
Sono state incredibilmente veloci ad arrivare, nonostante l'orario.
Due figure femminili, con in mano ciascuna un candelabro da tre candele accese, ci accolgono, «Cosa vi porta a bussare a quest'ora alla Casa della Domina?» Sono coperte da un semplice e lungo vestito nero e da un velo dello stesso colore, che ne nasconde i lineamenti.
Io e Ares ci scambiamo uno sguardo poco prima che lui le risponda: «Ci dispiace avervi svegliato a un'ora così tarda, ma la mia amica necessita di aiuto. Deve tornare a casa sua a Superius e avrebbe bisogno di qualcuno che le indichi la via e magari che le dia anche protezione, visto che in questa particolare serata le strade da percorrere sono più pericolose del solito.»
Le due sacerdotesse fanno un passo indietro e ci invitano a entrare, «Prego, andiamo a domandare alla Maxima Sacerdotessa.»
Le seguiamo, una di loro conduce, posizionandosi da apri fila, l'altra chiude. Ares, con una mano, mi sospinge avanti a lui. Percorriamo diversi corridoi e ognuno ai lati è contrassegnato da una fila ininterrotta di piccole Blu della Domina che illuminano fioche il percorso, come se fossimo all'interno di un sogno sfocato.
Dopo alcune svolte ci ritroviamo in una stanza, un po' più grande rispetto ad altre che abbiamo sorpassato. Le pareti sono sempre in nuda roccia, ma incassate a queste ci sono numerosi scaffali ingombri di libri. Un leggero sentore di umidità aleggia nell'aria e brividi di freddo mi corrono lungo la schiena. Le novizie ci lasciano soli, in attesa della Sacerdotessa capo.
Mi sento sfiorare la spalla dal pugile, «Stai tranquilla, anche se il posto è lugubre, questo è il luogo più sicuro di tutta Inferius.»
Annuisco silenziosa, scrutandomi attorno, e lui continua, «Immagino che abitando di Sopra tu sia cresciuta con il culto dell'Uno, ma voglio che tu ti senta tranquilla con loro, le Sacerdotesse si prendono cura soprattutto delle donne maltrattate, dei malati, ma anche degli uomini con buone intenzioni e che hanno bisogno di loro.»
Torno a guardarlo negli occhi, sono cose che già conosco, ma mi piace sentirlo parlare. Di una cosa però sono sempre stata curiosa, con Socrate non posso mai discorrere del culto della Domina, a meno che io voglia rischiare di subire una ramanzina, quindi provo a chiedere a lui, visto che sembra propenso a raccontare.
«Non ho mai capito come facciano a tenere lontani i malintenzionati, senza nemmeno un'arma.»
Gli scappa una mezza risata, «Semplice, si ammantano di questi copricapi, non si smuovono davanti a nulla e pasticciano con i loro intrugli. La maggior parte della gente è portata a pensare che posseggano una sorta di potere e hanno paura di incorrere in qualche tipo di maledizione.»
Lo osservo, le labbra incurvate in un sorriso gli donano un'aria più giovane, non posso fare a meno di ridere anche io di rimando, «E tu non ci credi?»
«Certo che no, ma le rispetto per il lavoro che fanno» L'espressione gioviale scompare, «Tempo fa, quando ero ancora un bambino, hanno dato una mano anche a me e mia madre. Grazie a loro non siamo morti di fame. E poi mi hanno fatto un po' di scuola, mi hanno insegnato a leggere e a scrivere, è un servizio che donano ai più poveri, o almeno a quelli a cui interessa.»
Mi si spezza il cuore a sentire raccontare questo, «Non potevate chiedere aiuto a nessun altro?»
«Eravamo soli, nessuno voleva avere a che fare con una donna incinta, nubile, e non conoscevamo ancora la famiglia di Ettore... dopo, le cose sono migliorate.»
Non riesco più a sostenere il suo sguardo. Non posso credere che nel nostro Regno accadano cose del genere, mio padre dovrebbe saperlo e fare qualcosa.
«Tua madre non riusciva a trovare lavoro?»
«Qui no, a causa della sua "reputazione".»
«E a Superius?»
Una risata amara contrae i lineamenti del suo viso, «Per lavorare di Sopra aveva bisogno della Crema, per non rischiare di ammalarsi, e la Crema è sempre stata un bene di lusso.»
Non posso che rimanere in silenzio. Non ci avevo mai riflettuto bene su questa faccenda, ma ha ragione. Mentre il mio cervello è in fibrillazione il ragazzo torna a parlare, «Si vocifera che anche ora il Concilio abbia intenzione di alzarne di nuovo il prezzo.»
Ciò che dice mi fa pensare, forse è proprio di questo che mio padre parlava a cena, la manovra che avrebbe scatenato qualcosa. Decido che, in un modo o nell'altro, troverò il modo di partecipare alle future riunioni.
Provo a rincuorarlo, «Il re non lo permetterà.»
Sgrana gli occhi, «Ma dove vivi? Al re non importa assolutamente nulla di noi, si cura solo dei Superiori.»
Lo stomaco mi si contorce a sentir parlare così di mio padre, «Non è vero! È che anche lui a volte ha le mani legate, è soprattutto colpa dell'influenza che hanno i Radicati sulla maggior parte dei Superiori.»
«Sarà come dici tu, ma io non credo. Tutti gli Inferiori si erano illusi di avere un netto miglioramento delle condizioni di vita quando il re decise di prendere in moglie una mezzosangue» Mi guarda serio negli occhi, «Invece a quanto mi ha raccontato mia madre, le cose non sono poi cambiate più di tanto.»
Mi mordo la lingua, per non rischiare di parlare troppo e scoprirmi, ma, la versione che mi sta dando lui, mi regala un'immagine di papà che non mi piace per niente.
Ripenso all'Inkubus e a quello che stava facendo questo ragazzo, «Perché stavi combattendo questa sera in quel postaccio?»
Lui si ammutolisce e distoglie lo sguardo, iniziando a osservarsi i piedi, «Per arrotondare, un'ultima volta. Almeno lo spero...» Torna a puntare i suoi occhi di ghiaccio nei miei, «Tu invece cosa fai per vivere?»
Mentre sto pensando a cosa rispondergli, vengo salvata dallo spalancarsi della porta. Una donna anziana entra nella stanza e incede, osservandoci. Indossa un abito e un velo blu scuro, che però lascia scoperto il viso, il quale si rivela essere bianco, rotondo e ricoperto da una ragnatela di rughe. Gli occhi grigi sono acquosi per la vecchiaia, ma lo sguardo è vispo e attento.
Io e Ares abbassiamo il capo in segno di rispetto e la salutiamo: «Maxima.»
I suoi occhi bigi si puntano ostinati su di me, mi osservano con attenzione dalla testa ai piedi e, ogni attimo che passa, si fanno sempre più contratti. Deve aver intuito chi sono. Le faccio un lieve cenno di negazione con il capo, tentando di trasmettere con i miei occhi una supplica. Contrae le labbra e io spero che abbia recepito. Ritorna a concentrarsi su entrambi, quando parla la sua voce è flebile, ma autorevole, «Cosa vi porta alla Casa della Domina a quest'ora tarda?»
È Ares a risponderle: «Questa notte abbiamo fatto dei brutti incontri. La mia amica deve tornare a casa sua, a Superius, e io non posso garantirle la sicurezza che merita. Abbiamo pensato di venire a chiedere aiuto a voi, ci è sembrata l'unica alternativa.»
Il silenzio ci avvolge, mentre la Maxima riflette, «Capisco. La Casa della Domina non ha mai rifiutato un aiuto a una donna. È sia! Due delle mie Sacerdotesse più affidabili vi accompagneranno a casa e vi presteranno l'abito per riuscire a camuffarvi in mezzo a loro, ma prima vorrei parlare con voi, da sola.»
Annuisco, «Vi ringrazio. Posso salutare prima il mio amico così da poterlo lasciare tornare a casa?»
La Maxima mi fa cenno di sì, Ares china il capo e si congeda, salutandola con i dovuti onori. Usciamo per non farci sentire, ma rimaniamo poco distanti dalla porta chiusa.
Non so bene cosa dirgli, forse dovrei semplicemente ringraziarlo. Mi sta osservando serio, i suoi occhi, profondi, sembra quasi che mi perforino da parte a parte. Mi schiarisco la voce, per prendere coraggio, poi gli porgo una mano, «Grazie, Ares, per tutto.»
*Uno: L'unico Dio (maschio) in cui i Superiori credono fermamente.
*Dea Domina: la controparte femminile del Dio Uno, culto a cui i Superiori non danno quasi alcun peso, seguito per lo più dagli Inferiori.
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