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10. Nausicaa

«Nausi...»

Alzo gli occhi e lo vedo. I capelli rossicci, mossi e ancora umidi. Le iridi gialle che mi osservano indagatrici, ma, al tempo stesso, affettuose e preoccupate. Il naso un poco sproporzionato, rispetto ai lineamenti fini del viso. Il corpo snello e flessuoso, un po' nervoso, quasi fosse sempre sul punto di scattare. Il soprabito color crema, bordato d'oro, abbottonato sopra a una camicia bianca di lino, a mettere in risalto la sua figura elegante e slanciata.

Il mio cuore fa un tuffo.

Si avvicina e appoggia scherzosamente il pollice sulla mia fronte, usandolo per massaggiare e distendere il mio cipiglio corrucciato. La sua pelle calda brucia a contatto con la mia. Brividi, divisi fra piacere e disagio, mi scorrono lungo la schiena.

Improvvisamente la bocca mi si secca.

Paride è sempre capace di scatenare sentimenti contrastanti dentro di me. È mio cugino -nato da Filomela, sorella di mio padre- ma io non sono mai riuscita a considerarlo come tale, forse per la differenza di età, o forse perché, fino alla mia adolescenza, non ci siamo mai frequentati granché. Non lo so... È molto comune fra i nobili Superiori sposarsi tra cugini, per tenere salda la ricchezza e il potere della famiglia, quindi non sono mai riuscita a vederlo come un fratello, ma nemmeno come un amico. È strano. Mi confonde.

Ha trent'anni, quando ero solo una bambina e lui appena un ragazzo, quasi non mi calcolava, probabilmente mi considerava alla stregua di un insetto fastidioso che ogni tanto gli ronzava intorno. Dopo la morte di entrambi i suoi genitori, invece, qualcosa in lui è cambiato. Si è avvicinato a noi, soprattutto a me, ma, forse, soltanto perché eravamo gli ultimi membri rimasti della sua famiglia...

«Nausi, mi sembri sconvolta, vieni, andiamo a fare una passeggiata insieme.»
Mi porge una mano e io, sorridendo, l'accetto.

Un po' di svago mi sarà utile a calmare i nervi.

Ci dirigiamo, sotto braccio e in silenzio, verso gli immensi e intricati giardini del palazzo. Scendiamo le tre scalinate in pietra ricoperte da colorati tappeti araniani, dai particolari motivi intricati, e usciamo dal portone principale. I battenti, in legno scuro, sono spalancati per far entrare i caldi raggi del sole. Percorriamo l'ultima piccola e larga scalinata e giungiamo in cortile. Imbocchiamo un sentiero tranquillo, per avere un po' di intimità, evitando metodicamente quelli in cui i giardinieri sono al lavoro.

Per un po', lo scricchiolio della ghiaia sotto ai nostri piedi, il ronzio delle api, il frinire dei grilli, il cinguettio insistente degli uccellini e gli uomini al lavoro, sono gli unici rumori a farci compagnia. Io mi rilasso, godendomi il calore sulla pelle, concentrandomi sulla natura intorno a me e odorando l'aria pregna del profumo dei ciliegi in fiore e delle begonie che adornano armonicamente i lati del tracciato.

A un certo punto il mio accompagnatore si ferma e si china a raccogliere uno dei fiori dalle tonalità rosate. Sogghignando, si volta verso di me per infilare delicatamente lo stelo dietro al mio orecchio. Percepisco il sangue affluire sulle mie gote e mi auguro di non star arrossendo troppo. In questo momento è talmente vicino che riesco addirittura a percepire il suo dolce profumo di cannella, probabilmente un qualche nuovo tipo di essenza caudana, e il suo fiato caldo.

Dopo aver indugiato sulla mia pelle, forse un po' più del dovuto, mio cugino si scosta e mette fine al silenzio, «Allora, dimmi, Nausi, come ti senti?»

Distolgo rapida lo sguardo da lui, per piantarlo sulla strada che stiamo percorrendo, guardandola senza in realtà vederla veramente.

Come mi sento? Arrabbiata, spaventata, ansiosa, nervosa... gli ultimi eventi hanno scatenato un vortice dentro di me, non riesco a capire quale di queste emozioni rischi di prendere il sopravvento.

Mi si forma un groppo in gola, gli occhi mi bruciano, ma non ho alcuna intenzione di farmi vedere piangere da lui, né da nessun altro. Detesto mostrare le mie insicurezze agli altri, già la maggior parte della gente mi considera alla stregua di un fiore delicato, non c'è bisogno di aggiungere altri motivi che rafforzino l'idea della mia debolezza.

Deglutisco, tentando di calmare il respiro che rischia di diventare affannoso e comincio dal narrargli della litigata appena avuta con An. Lui, a fine racconto, mi fa sedere sulla prima panca in pietra che troviamo. È fresca al contatto, grazie all'ombra donata dalle fronde del ciliegio accanto.

«Be', Nausi, credevo fossi preoccupata per la notizia che ha dovuto darti zio Orazio ieri sera, non pensavo che questo stato d'animo fosse dipeso dal litigo con la tua cameriera.»

«Sono anche preoccupata per quello, cosa credi! È solo... non mi aspettavo una reazione del genere da parte di Andromaca, mi ha destabilizzata.»

Stringo le mani in due pugni, con le punte delle scarpe sposto avanti e indietro, in maniera rabbiosa, alcune pietroline del sentiero.

Ho proprio bisogno di recarmi alla lezione di Tancredi e sfogarmi un po', altro che andare a prendere le misure per gli abiti!

Paride appoggia una delle sue mani sulla mia guancia, sollevandomi il viso verso il suo, fino a riportare i miei occhi al livello dei suoi, brillanti e caldi come il Sole, ma allo stesso tempo ammalianti; proprio com'erano quelli di Filomela, mia zia.

Io non l'ho mai conosciuta, ma papà, le poche volte in cui la ricorda, mi dice sempre che era bellissima.

La sua storia è un argomento tabù nella nostra famiglia, troppo dolorosa. Prima di sposare il nobile Tereo, per ordine del nonno, era palese agli occhi di tutti che era innamorata persa di Tancredi e che il suo amore era corrisposto da quest'ultimo.

All'epoca Tan era ancora uno sbarbatello, nemmeno maggiorenne, appena entrato a far parte dell'esercito, una recluta fra tante. Alle spalle aveva una famiglia, anche piuttosto abbiente, ma nulla al confronto di quella del suo avversario. Tereo faceva parte di un'antica stirpe, quella degli Optimi, non aveva solo il denaro dalla sua, ma anche il potere e l'influenza, e, quando si invaghì di mia zia, a nulla valsero le proteste di quest'ultima. Nemmeno l'intervento diretto di mio padre, futuro re, in favore del giovane Tancredi, era servito a far cambiare idea a mio nonno.

Le nozze ebbero luogo e, non molto tempo dopo, mia zia dette alla luce Paride.

Quando mio cugino si apprestava a entrare nel periodo dell'adolescenza, Filomela perì tragicamente.

La versione ufficiale narra che fosse morta a causa di un disgraziato incidente, una brutta caduta dalle scale a causa di un mancamento improvviso. Tancredi però non aveva mai creduto a quella storia e con lui mio padre. Il loro legame si strinse, anche a causa della morte della donna che amavano, seppur, naturalmente, in modi diversi.

Mio nonno era già molto anziano e, subito dopo il dolore lasciato dalla perdita della figlia, anche lui morì. Papà, catapultato nella sua nuova mansione, non poteva provare in alcun modo che la morte di mia zia fosse dovuta ai continui maltrattamenti di quel borioso nobile. Dovette persino cacciare da Ignis, per qualche tempo, Tancredi, per far sì che non si rovinasse la vita compiendo qualche avventata azione di vendetta.

Nel frattempo, mio padre prese moglie e poco tempo dopo nacqui io. Fece rientrare Tan e gli affidò la mia protezione. Immagino di essere stata la sua nuova "distrazione", un motivo per andare avanti e superare, in qualche modo, la morte della sua amata.

Pochi anni dopo, anche Tereo lasciò questo mondo; una notte si addormentò nel suo letto e non si risvegliò più. Il medico giunse alla conclusione che l'eccessivo uso di alcool gli avesse avvelenato il sangue, rovinando gli organi interni.

Non ho idea dei reali sentimenti che Paride provi nei confronti di suo padre o sua madre, è sempre stato molto chiuso sull'argomento e io, per non farlo soffrire ulteriormente, non ho mai voluto mettere il dito nella piaga.

Sbatto le palpebre, smetto di rimuginare su vecchie storie e torno a concentrarmi su quello che mio cugino mi sta dicendo...

«Non te la prendere per questo battibecco, probabilmente è solo la gelosia che parla al posto suo. Quale ragazza dopotutto non vorrebbe essere nei tuoi panni?»

Queste parole mi fanno scattare qualcosa nel cervello, oppure, forse, è solo il fatto che mi stia dando ragione a farmi incominciare a pensarla in maniera differente, a tentare di ragionarla da un altro punto di vista.

Andromaca ha un cuore gentile, premuroso, non vive nell'invidia. Sono io a essere stata una sciocca egocentrica! In questo ultimo periodo mi sono talmente concentrata sui miei problemi, da dimenticare di pensare ai suoi o, almeno, di informarmi su quello che stava passando.

Un gelido senso di colpa mi invade, attanagliandomi con forza lo stomaco e spezzandomi il respiro per un attimo.

Un'egoista, ecco quello che sono stata!

«Nausi-»
Paride tenta di richiamare la mia attenzione, ma ormai il mio cervello è un calderone di pensieri diversi e, fra tutti, un'idea, forse folle, si fa strada scavalcando le altre.

Mi alzo di scatto.
«Grazie, Paride, ma ora devo andare!»

Per una frazione di secondo, lo lascio lì seduto, allibito e confuso. Faccio per mettermi a correre, ansiosa di trovare An, ma una sua mano si stringe sul polso, bloccandomi.
«Nausi, ma io ti volevo parlare di una cosa importante!»
«Scusami, davvero! Ti prometto che lo faremo un'altra volta! Per favore, perdonami!»

Desolato, molla la presa, ma, prima di staccarsi da me, appoggia l'altra mano sulla mia nuca, avvicinandomi a lui. I suoi occhi brillano di qualche sentimento a me sconosciuto, sembra combattere una silenziosa battaglia interna a se stesso, fino a quando si placa. Si guarda attorno prima di donarmi un delicato bacio sulla fronte. Dopo mi sfiora con il pollice le labbra, soppesandomi, lo lascia infine scorrere leggero, seguendo il profilo del mio viso, concludendo poi il suo viaggio lungo il collo e lasciando dietro di sé una scia infuocata.

Io, per un attimo, rimango immobile e stordita. Lui si china ancora una volta su di me, baciandomi questa volta le labbra. Un tocco appena accennato, talmente delicato e veloce da farmi dubitare persino che l'abbia realmente fatto.

«Va bene, Nausi, ma presto dovremo parlare seriamente.»

L'aria si è fatta quasi pesante, carica di aspettative.

Io annuisco, perché non so cos'altro rispondere, questa improvvisa serietà mi mette a disagio.

Chino la testa in segno di saluto, mi volto e me ne vado. Istintivamente mi porto una mano alle labbra, quasi per trovare qualche prova dell'accaduto.

Mentre cammino, mi sembra di continuare a percepire il suo sguardo sulla schiena, almeno finché non svolto l'ultima curva che mi nasconde alla vista. Tiro un sospiro di sollievo, anche se non so perché. Non riesco a immaginare di cosa voglia parlarmi, o forse non voglio... ma al momento devo risolvere una questione che mi preme di più.

Percorro la strada e le scale a ritroso. Andromaca dovrebbe essere tornata nella mia stanza per finire il suo lavoro. Quando giungo, spalanco vigorosamente la porta, lasciando delle stranite guardie alle mie spalle, per poi richiuderla con un tonfo.

Alle Tenebre l'etichetta...

La mia amica mi guarda con occhi spalancati e con ancora in mano una scopa.

«An, scusa...»

Non mi risponde, mi osserva titubante, ma non riesce a mantenere lo sguardo nei miei occhi.

«Lascia stare, Nausicaa, non importa, mi passerà.»

Mi avvicino a lei, appoggio la scopa sul muro e le afferro una mano fra le mie, «Mostrami cosa vuol dire essere un Inferiore.»

Nel giro di pochi secondi, ripunta lo sguardo nel mio e posso vedere quasi al rallentatore la rabbia che lo lascia per essere sostituita dalla confusione.

«Cosa?»

«Mostrami cosa passano gli Inferiori, fammi vedere uno di questi locali. Fammi comprendere ciò di cui io non ho esperienza.»

Scuote la testa terrorizzata, «Ti ha per caso dato di volta il cervello?»

Stringo i pugni, «No! Dico sul serio! Come posso fare qualcosa per voi, se non riesco nemmeno a intendere fino in fondo quello che tu mi dici?»

Distoglie di nuovo lo sguardo e scuote nervosa la testa tra sé e sé. Non demordo, «Per favore, An, fammi imparare! Portami a vedere e a "toccare" con mano il lato oscuro del "tuo mondo". Fai capire a questa viziata,» Mi indico, «per cosa deve combattere oltre che per la sua vita!»

Mi fissa seria, «È troppo pericoloso!»

«Prenderemo precauzioni, verrò armata!»

Non ha ancora smesso di scuotere la testa in segno di diniego, «Tu sei pazza!»

«Forse...»

Ormai credo di avercela in pugno. La conosco troppo bene e ho visto nei suoi occhi l'esatto momento in cui ha smesso di essere arrabbiata e ha cominciato a prendere in considerazione per davvero la mia idea.

«Va bene, ma nessuno dovrà capire chi sei realmente, se ti dovessero scoprire, io-io-»

«Non permetterò che ti accada niente, An, questo te lo posso assicurare. Mi prenderò le mie responsabilità, dirò che ti ho costretta!»

Riflette, «Allora dovremo studiare un piano... magari potrei procurarti una parrucca, degli abiti per farti confondere in mezzo a noi...» Si gratta il mento pensierosa, «Forse potrei portati domani sera in un posto. Cosa ne pensi?»

Le annuisco entusiasta, poi ci abbracciamo.

«Perdonami, Nausi, se ho sbottato!»

«Non hai nulla di cui scusarti, avevi ragione! E ora organizziamoci, vediamo di trovare una soluzione!»

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