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1. Nausicaa

"Il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica che si estende perfino al linguaggio."

Cit. Lettera a un bambino mai nato, Oriana Fallaci

Un anno prima...

Cerco di riprendere fiato tra un attacco e l'altro, ma è inutile. L'uomo di fronte a me non mi dà tregua, incalzandomi, fino a portarmi allo stremo. Mi costringe a tenere in ogni momento la guardia alta e a restare sulla difensiva. Il bruciore dei muscoli tesi comincia a farsi insistente, serpeggiando tra i tricipiti e gli avambracci.

Inspiro ed espiro. Incamero aria nei polmoni per riprendere il controllo dei miei ansimi.

Indietreggio, almeno fino a quando con la schiena percepisco la ruvidezza della corda. Da qui non si va oltre.

Bene. Il mio avversario crede di avermi messa alle strette, ma non si è reso conto che fino a questo momento ho studiato ogni sua mossa, arrivando a scovare un piccolo, quanto fatale, difetto. Ogni volta che colpisce con il gancio sinistro, abbassa di poco la guardia destra, quel tanto che basta per consentire a un pugno ben assestato di colpirlo. Non mi resta che stringere i denti e attendere paziente che commetta il suo errore.

Ed eccolo lì.

Veloce, scarto il suo attacco e in contemporanea carico il mio. Lo colpisco.

Quando la pelle del guantone cozza contro quella del suo viso, vengo pervasa dal solito senso di soddisfazione e realizzazione che bramo più di ogni altra cosa. Già adoro di per sé l'adrenalina che mi scatenano gli incontri, ma la vittoria...

Il dolce vincere mi lascia sempre quel qualcosa in più, come se per un breve istante io avessi il pieno controllo della mia vita. In fondo lo so che si tratta di un falso senso di sicurezza, ma almeno, anche solo per un istante, posso fingere che sia così, posso credere di avere il potere nelle mie mani.

Non ho tempo di cullarmi nel compiacimento dell'aver mandato al tappeto un soldato preparato. La voce tonante del comandante Tancredi, l'uomo che considero da sempre come un secondo padre, interrompe le mie fantasticherie.
«Altezza! Fate sparire dal vostro viso quel ghigno fin troppo compiaciuto!»
Il mio sorriso si trasforma in una smorfia.
«Tan, l'ho battuto, è solo questo che conta!»

Possibile che abbia sempre qualcosa da criticarmi?!

«Vedo che il poco ossigeno che vi è arrivato al cervello in questi ultimi minuti vi fa straparlare!»
Le sue labbra sottili formano una linea dura mentre scuote la testa contrariato, i ricci castani rimbalzano da una parte all'altra seguendone il movimento.
Non riesco a fare altro se non fissarlo astiosa, ma prima che io possa ribattere in altro modo, il comandante prosegue, congedando il mio avversario.
«Eleno, alzati! Vai a cambiarti e, prima di tornare a casa, passa in infermeria a sistemarti il naso.»

«Sì, signore!»
Il ragazzo di fronte a me risponde con voce distorta, poi si rialza da terra, stringendosi una mano sull'appendice gocciolante. Gli occhi grigi contratti in una smorfia di dolore. Scende dal ring e rivolge un inchino affrettato a me e poi a Tancredi. Poco prima di sparire dalla casupola che ci ospita, riservata ai miei segreti allenamenti, viene nuovamente trattenuto dalla voce stentorea del comandante.
«E ricordati che hai firmato la clausola sulla riservatezza, non potrai mai rivelare a nessuno quello che è appena successo qui, che la principessa ti ha colpito e tutto il resto, altrimenti perderai il compenso, il tuo posto di lavoro e sarai screditato di fronte a tutti!»

Il ragazzo muove su e giù il capo, in segno di comprensione.
«Certo, comandante, il segreto sarà al sicuro con me. A presto,» Un nuovo inchino, questa volta più profondo, «Altezza, signore.» ed Eleno sparisce dalla mia vista.
Credo che la prossima volta che ci vedremo duelleremo con le spade, sono proprio curiosa di vedere come se la cava in quel campo...

Mi infilo tra le corde per scendere dal ring, rimuginando, ma il fluire dei pensieri si interrompe quando percepisco il freddo pavimento in pietra a contatto con i piedi nudi, i granelli di polvere mi solleticano la pianta. Subito dopo qualcosa di morbido si struscia contro alle mie gambe, è Nemesi che reclama attenzione.

Mi accovaccio per accarezzarla meglio dietro le piccole orecchie tonde, scatenandole un sommesso ronfare. Il mantello del mio leopardo è così lucido e morbido, che le sue graziose macchie nere risplendono al di sotto del lucernario, grazie a cui la stanza è illuminata. Esso infatti è collegato a un tunnel solare che attraversa il tetto, raccoglie i raggi tramite un sistema di piccoli specchi e li incanala all'interno dell'ambiente.

La pace comunque dura poco, Tancredi riparte alla carica, ed essendo ormai soli, di sicuro non si risparmierà.

«Ragazzina, quel che ho detto è vero, potevi mettere fine all'incontro molto tempo prima, se solo non ti fossi distratta!»
Osservo ostinata le iridi aranciate, screziate di giallo, del Comandante.
«E dai, Tan! L'ho messo al tappeto, un ragazzo quasi il doppio di me, almeno questo potresti ammetterlo!»

Lentamente le sue labbra si schiudono in un paterno sorriso.
«Va bene, ragazzina, te lo concedo, ma, la prossima volta, voglio vederti fare di meglio!»
Gli vado incontro per schioccargli un leggero bacio sulla liscia guancia rasata, soddisfatta di averla spuntata, e per abbracciarlo.
«Ne sono sicura, Tan.»
Lui tenta di scompigliarmi i capelli già scarmigliati a causa della lotta, nemmeno le due trecce sono bastate a tenerli in ordine, ma io lo schivo.

«Nausi, ora va' a cambiarti! Sei tutta sudata!» Mi sospinge via con una smorfia ridicola, «Tuo padre mi ha detto che oggi devi almeno far presenza a lezione, per Penelope; poi tutte e due sarete attese a cena da lui, in privato.»
«In privato? Nessuno del Concilio? Nemmeno tu o Paride?»

I suoi occhi si assottigliano, la mascella squadrata si tende. Il cambiamento è quasi impercettibile agli sguardi dei più, ma io lo conosco bene. Ha quarantasei anni, anche se non li dimostra, e, tutte le volte che si preoccupa, le piccole rughe che si trovano nel contorno delle palpebre acquistano spessore. Anche la cicatrice, che divide in due il sopracciglio sinistro, si fa più marcata. Sa qualcosa, ma non vuole essere lui a confessare.
«No, solo voi tre. Una piccola riunione di famiglia.»

Assottiglio gli occhi e lo studio sospettosa. Si passa una mano in mezzo alla chioma, riccia e castana, scompigliandola nervoso. I muscoli dei bicipiti si tendono, portando in rilievo le vene. È preoccupato, anche se cerca di mascherarlo. Quando fa così è inutile perseverare, se non vuole dirmelo, non lo farà. Non insisto, «Va bene, vado.»

Mi calo veloce un vestito sopra ai pantaloni e una mantella per coprirmi il capo sudato. Nessuno deve sapere dei miei allenamenti, altrimenti si scandalizzerebbero a venire a conoscenza che una donna -oltretutto principessa- si diletta nell'arte del combattimento e della guerra. Così, con al fianco Nemesi, mi accingo ad attraversare il piccolo boschetto che separa, nascondendola, la minuscola casupola dal Palazzo Reale.

Sorpasso i cancelli, ignoro le guardie e i lavoratori indaffarati nei giardini rigogliosi, per poi entrare da una delle porte di servizio, che stanno sul retro e che vengono utilizzate dai domestici per spostarsi. Imbocco i corridoi meno frequentati e salgo tre piani per raggiungere la mia stanza, dove Andromaca sicuramente mi starà aspettando con pronto un bagno caldo. Lei è l'unica domestica a conoscenza del mio segreto e quindi la sola ad assistermi in questi casi. Ci conosciamo da quando entrambe eravamo in fasce e col tempo siamo diventate amiche. La sua famiglia lavora a Palazzo sin da quando mia madre è stata fatta regina da mio padre.

All'epoca, l'entrata in scena della mamma aveva causato parecchio scalpore. Essendo una mezzosangue -generata da padre Superiore e madre Inferiore- la sua sola presenza a corte era riuscita ad apportare delle migliorie nella vita degli Inferiori e a dar loro l'opportunità di poter lavorare di Sopra a Superius. Così Andromaca, una volta cresciuta, è potuta entrare direttamente a far parte dei domestici del Palazzo.

I soldati messi di stanza di fronte alla mia camera, appena mi riconoscono, si inchinano, mi aprono la porta  e si scostano per lasciarmi accedere. Lascio passare per prima Nemesi, la quale va subito a prendere posto in un angolo del mio letto a baldacchino. Percepisco l'anta richiudersi alle mie spalle.

Le porte-finestre, che danno sul balcone, sono spalancate, illuminando l'ambiente circostante, rendendo quasi inutile il lucernario. Tutto il mobilio, dai giganteschi armadi chiari, alla specchiera che sovrasta la toeletta, risplende e nell'aria aleggia un profumo di pulito. Persino il canapè in fondo e la poltrona sono riassettati, come nuovi. Andromaca deve aver già terminato il suo lavoro.

«Altezza, bentornata, il vostro bagno è pronto.»
Eccola. La osservo arricciando il labbro, ha il capo chinato in una semi riverenza. Mi faccio avanti e afferro il primo cuscino a portata, per poi lanciarglielo.
«An, sono sola, non c'è bisogno di tutta questa manfrina.»

Ridacchio non appena noto l'espressione che le si forma in viso quando la mia morbida arma va a destinazione, scompigliandone la compostezza. Sghignazza anche lei e me lo rilancia sbuffando.
«Non me n'ero accorta, ma c'era proprio bisogno di tirarmi il cuscino? Ti ho appena sistemato il letto!»

Le regalo una linguaccia, lo sa benissimo che non sopporto quando mi tratta come fanno tutti gli altri. Prendo al volo l'arma piumata e la sistemo di nuovo in maniera ordinata sul materasso.

Nel frattempo che lei mi attende in camera, preparandomi qualcosa di decente da mettermi addosso, mi dirigo nel bagno privato. Mi chiudo la porta alle spalle e mi rilasso immergendomi nell'acqua, calda e profumata, della grande vasca. Anche qui la finestra è spalancata, il Sole, che vi entra, dà vita a giochi di luce sul marmo bianco, venato di nero, che ricopre le superfici.

Sospiro e sciolgo la tensione dei muscoli massaggiandomi con oli caudani -provenienti da Cauda-. Avrei potuto ordinare a qualcuno di prendersi cura di me e farlo al posto mio, ma in realtà preferisco di gran lunga concedermi un momento di solitudine.

Terminato il bagno, An mi aiuta poi a indossare il corsetto e un bell'abito crema che mi fascia il corpo. Mentre lavora sui miei capelli lunghi, ci osservo dallo specchio, non potremmo essere più agli antipodi nemmeno volendo. La mia carnagione da mezzosangue ambrata è quasi scura messa al confronto della sua lattea, bianca, tipicamente Inferiore. I suoi capelli corvini, come la notte più oscura, mettono in risalto i miei biondi, talmente chiari da risultare quasi bianchi. Il giorno e la notte. Solo gli occhi sono simili. Entrambi di un profondo blu. Una caratteristica genetica che ho ereditato dalla parte Inferiore di mia madre.

Il colore della pelle, degli occhi e dei capelli, ha infatti un'impronta diversa nei Superiori e negli Inferiori. I primi posseggono tratti dai colori caldi, tipici di chi trascorre perennemente una vita sotto al Sole; gli ultimi ereditano invece tonalità fredde, per via del tempo trascorso sotto terra a Inferius, ovvero la parte povera di Ignis e che corre al di sotto di Superius.

Dopo aver sistemato i capelli in una semplice acconciatura e aver steso un velo di trucco, sono pronta per raggiungere la lezione di Penny. Socrate brontolerà sicuramente al mio essere sempre in ritardo. Saluto An ed esco insieme a Nemesi, dirigendoci, a passo svogliato, verso la biblioteca del Palazzo.

Giunte a destinazione, entriamo di soppiatto e ci nascondiamo dietro a un enorme scaffale al centro dell'ambiente, pieno, come tutti d'altronde, di antichi tomi polverosi. L'odore di carta e inchiostro permea il locale. Cauta, sbircio e, proprio dall'altra parte, riesco a intravedere Penelope seduta al tavolo, concentrata. Vicino a lei una pila di libri, un foglio scritto per metà, una penna abbandonata poco distante e un calamaio. Tendo l'orecchio per capire a che punto sono.

La voce rauca del maestro si distingue da quella pacata e melodiosa di mia sorella.
«Altezza, ora parlatemi della formazione dei Dieci Regni.»
Un tenue sbuffo e poi lei comincia: «Anni or sono, La Terra dei Dieci era sempre in guerra, di conseguenza i confini erano instabili e nuove monarchie spuntavano ovunque come funghi-»

Socrate la interrompe, petulante.
«Vi sembra che l'espressione "spuntare come funghi" sia appropriata alla situazione?»

Rischia di sfuggirmi un risolino divertito. Mi tappo la bocca con una mano.

«Maestro, lo capisco, ma siamo soli ed è soltanto per rendere l'idea... comunque, in nostro aiuto giunse il primo Unum che parlò direttamente in nome dell'unico e vero Dio Uno -Il Creatore Supremo- mediando i conflitti e stabilendo infine gli odierni confini dei Dieci Regni.»
«Elencatemi i nomi.»

Con voce atona Penny sciorina l'elenco, alzando a ogni nome un dito della propria mano, per tenerne il conto.
«La nostra terra Ignis e a seguire: Feline, Cauda, Canis, Aranea, Dentis, Caputis, Taurus, Alis, Dracones.»

«Bene, molto bene. Ora ditemi: per quale motivo in tutte le terre si sono formate e distinte due razze? Superiori e Inferiori.»

Mia sorella tentenna per un attimo, poi si riprende.
«Durante le guerre, parte della popolazione, per riuscire a scampare ai massacri, aveva dato vita a città sotterranee dove poter nascondersi e rifugiarsi. Quando le acque si calmarono, non tutti riuscirono a tornare di Sopra a causa della povertà lasciata dai numerosi conflitti.» Riflette per un secondo prima di continuare, «Quelli che rimasero di Sotto, con l'andare degli anni, mutarono le loro caratteristiche fisiche, adattandosi al clima sotterraneo. Persino la loro vista si fece più acuta al buio. Nacque così la distinzione fra i Superiori privilegiati e gli Inferiori.»

Soddisfatto, Socrate continua l'interrogatorio.
«Ora concludiamo questa parte di storia. Parlatemi delle famiglie che hanno ereditato il potere e del perché.»

Penelope, con voce sempre più annoiata, riprende.
«L'Unum scelse una persona per Regno, la più meritevole, e con un rito del sangue la legò direttamente alla sua Terra. Per questo motivo ogni erede al trono, il giorno della sua incoronazione, deve pagare un tributo di sangue per dimostrare di essere degno di succedere. Di solito si fanno un taglietto sulla man-»
«Un taglietto sulla mano? Un taglietto sulla mano, voi, dite? Non sminuite uno dei più importanti e antichi riti di passaggio delle Terre dei Dieci!»

A questo punto decido di rivelare la mia presenza.
«Non tentate di far credere a mia sorella che l'antico rito fu utilizzato per la prima volta dall'Unum! Il Rito del Sangue è legato unicamente alla Dea Domina, alla sua connessione diretta con la Terra e al legame dei figli che ha generato lei stessa!»

Socrate mi rivolge uno sguardo sorpreso, ma si riprende, rispondendomi con velata sufficienza.
«Principessa Nausicaa, non pronunciate ad alta voce queste sciocche storielle blasfeme. Sia lodato l'Uno che in questa stanza siamo presenti unicamente noi! E poi riflettete meglio», ha le guance gonfie e rosse di sdegno mentre parla, «Quando purtroppo arriverà il giorno della vostra dipartita, come pensate di poter ascendere grazie alla benevolenza dell'Uno? Se vi ostinate a parlare in questa maniera scomparirete nelle Tenebre!»

Alzo il mento, orgogliosa, con tono di sfida.
«Preferirei mille volte sparire tra le nebbie delle Tenebre piuttosto che entrare a far parte di un altro "Regno" dove sarei di nuovo costretta e relegata nel ruolo di madre a moglie!»

Il rugoso viso del maestro si fa livido, ma io non indietreggio, né abbasso gli occhi nel tipico segno di arrendevolezza femminile, che di solito ci si aspetta da una donna. Lui lo sa che non cederò, ormai ha imparato a conoscermi.

La sua mascella si tende, sembra voler ribattere qualcosa, ma alla fine ingoia lo sdegno prima di ricominciare a parlare. Dopotutto non sono soltanto una principessa, vista l'assenza di fratelli ed essendo la più vecchia, in linea diretta sono l'erede di mio padre e quindi -teoricamente- del trono.

«Bene, come al solito, Altezza, siete arrivata in ritardo. Principessa Penelope, siete congedata, a domani; spero di vedervi entrambe questa volta.»
Mia sorella mi sorride, il maestro china il capo in segno di saluto e noi finalmente ce ne possiamo andare.

Penny dà un buffetto sul capo di Neme e mi prende allegramente sottobraccio per uscire dalla biblioteca; nonostante io abbia ventidue anni e lei sette in meno, le manca davvero poco a raggiungere la mia altezza. Ha quasi il mio stesso colore di capelli, solo un pochino più scuri e ondulati, mentre gli occhi sono lo specchio dei miei e di quelli che aveva la mamma.

«Sono così felice che tu sia venuta a salvarmi! Prima o poi gli farai venire un accidente a Socrate se continuerai a parlargli così.»
Ridacchia gioiosa e spensierata.
«Non preoccuparti per lui,» Dolcemente le appoggio una mano sul braccio, «ma sono contenta di trovarti in questo stato d'animo, papà vuole che ceniamo insieme stasera.»

Mi osserva stupita.
«Solo noi tre?»
Annuisco e lei piomba in un silenzio nervoso. Tento di rincuorarla stringendole il braccio mentre ci avviamo verso la sala da pranzo.

*Uno: L'unico Dio (maschio) in cui i Superiori credono fermamente.
*Unum: colui che è a capo della religione e che parla a nome del Dio Uno. La massima carica che un uomo può ottenere ne "La Terra Dei Dieci", può permettersi di interferire nel governo di ogni stato.
*Dea Domina: la controparte femminile del Dio Uno, culto a cui i Superiori non danno quasi alcun peso, seguito per lo più dagli Inferiori.

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