𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝟐𝟐
FILIPPO
5 agosto 2023
Rientrai a Genova che erano le otto meno un quarto. Paolo aveva guidato come un indemoniato sull'autostrada libera dal traffico, rischiando di farmi vomitare e di farsi uccidere da Noemi. Però, mi aveva fatto guadagnare almeno il tempo di una doccia al volo prima di sistemare la casa per la serata.
Mandai un messaggio a Pietro per avvisarlo che ero tornato più tardi del previsto e di fare pure con calma. Allegai il menù delle pizze e chiesi per che ora volesse che le ordinassi.
Pietro amico Marghe: Prendo una prosciutto e funghi. Ordina pure per le 21.00 tanto massimo un quarto d'ora e me ne vado... mi aspettano piani decisamente più interessanti di questa noiosa presentazione 😏❤️🔥
Bene, facendo due conti avevo almeno quarantacinque minuti prima che arrivasse e trovasse parcheggio.
Dopo aver chiamato la pizzeria, mi buttai sotto la doccia e lavai via tutto il sudore della giornata. Dati i mesi di astinenza sessuale, persi anche qualche minuto a prepararmi con un dildo che avevo comprato ad Amsterdam e dimenticato nell'angolo più nascosto del mio armadio. Giusto per iniziare a eccitarmi e riabituarmi all'idea di essere penetrato da qualcosa di decisamente più grosso delle sole dita. Quando fui sul punto di venire, smisi e uscii dalla doccia.
Mi tamponai i capelli con l'asciugamano e, con l'accappatoio ancora addosso, andai in camera mia a cambiare le lenzuola. Sistemai il pacco di preservativi e il lubrificante sul cuscino, così da essere pronti all'uso, e poi passai alla cucina per apparecchiare la tavola.
Controllai l'ora: erano le otto e venti. Potevo iniziare a rilassarmi e andare a vestirmi... oppure, avrei potuto rimanere nudo? Perché no? Del resto, faceva un caldo torrido e avremmo potuto rendere la cena più eccitante.
Non feci in tempo a decidermi che il citofono suonò. Okay, vada per l'accappatoio.
Aprii il portone senza rispondere e poi la porta di casa, accasciandomi contro lo stipite in una posa sexy. Speravo che non uscissero i vicini mentre aspettavo che l'ascensore raggiungesse il piano.
Okay, Fil... pronto a rimetterti ufficialmente in gioco?
Sentii il cuore battermi in gola per l'agitazione. C'era qualcosa che stonava in quell'attesa ma non ero intenzionato a dare ascolto alla mia vocina pessimista. Mi sarei lasciato andare godendomi la nottata. Come avevo sempre fatto, del resto.
Con il suo tonfo tipico, l'ascensore si fermò e ne uscì...
«Scheggia!».
Oh cazzo!
«Dimmi che ho fatto in tempo...»
Che cazzo ci fa qui?
«Che lui non è già qua.»
Sto sognando?
«Devo parlarti.»
È una visione... una bellissima, meravigliosa visione
«Ho bisogno di dirti tante cose...»
Cazzo sono nudo.
«Impazzisco se continuo a tenerle tutte dentro.»
E mezzo eccitato...
«Ti prego dimmi qualcosa!»
Ok, ora del tutto eccitato... lo avrà notato?
«Posso entrare?»
Ero rimasto impalato sulla porta, mentre lui, parlando, si era mosso deciso per venirmi incontro. Pensavo sarei morto sul colpo, ma qualche forza divina continuava a tenermi miracolosamente in piedi.
In pochi passi, fu a un soffio da me e potei sentire il suo respiro affannato lambirmi la pelle. Alzò una mano, forse per provare a sfiorarmi, ma io fui più rapido di lui e gli posai le mani sul petto facendo un po' di forza per allontanarlo.
«Un attimo.» E chiusi la porta di casa.
Il campanello iniziò subito a suonare, accompagnato da un incessante bussare e dalla sua voce, quella voce che mi era mancata tantissimo, che continuava a chiamarmi cercando di trattenersi dall'urlare e attirare l'attenzione di tutto il palazzo.
«Scheggia... ti prego, aprimi!»
Scivolai con la schiena lungo la porta, fino a sedermi per terra. Il mio culo nudo si scontrò con il pavimento gelido, e il cuore era pronto a lacerarmi il petto. Non riuscivo a credere che fosse lui, che fosse qui, fuori dalla porta di casa. Dopo più di un mese che non ci vedevamo né sentivamo. Volevo trascinarlo in camera mia, saltargli addosso, baciarlo come se non ci fosse un domani, spogliarlo e scoparlo fino a svenire.
Mi trovai immediatamente a sperare che Pietro fosse stato trattenuto a parlare con i suoi amici alla presentazione. Pensando che fosse molto improbabile, mi rialzai subito e non persi altro tempo prezioso.
Misi il chiavistello e aprii la porta quel tanto che il blocco lo consentiva.
«Smettila di fare casino.» Lo rimproverai. «Dammi solo due minuti e ti faccio entrare!»
«Va bene, graz...» Ma avevo già richiuso la porta.
Corsi in camera mia dove indossai una t-shirt e i pantaloncini della tuta. Non sprecai tempo a cercare un paio di mutande pulite. In compenso, afferrai il cellulare e invia un vocale a Pietro:
«Senti, non so se è tardi per chiedertelo ma... avresti voglia di andare a comprare del gelato? Quello della gelateria in Corso Ugo Bassi è favoloso.»
Mi sentii un po' meschino ma non potevo rischiare che arrivasse proprio ora.
Tornai nell'ingresso e presi diversi respiri profondi, prima di aprire la porta e far entrare Enrico in casa.
«Ciao, Scheggia.»
Ora che potevo osservarlo con più lucidità, mi accorsi che aveva il viso paonazzo, i capelli scompigliati dal casco e la maglietta completamente sudata. Sembrava che avesse corso una maratona per raggiungermi e, ovviamente, quel pensiero fece tornare tutte le farfalle al loro posto... avevano pure chiamato i rinforzi. Eppure, la mia reazione non fu sicuramente quella che si aspettava, perché iniziai a urlargli contro tutto il mio rancore: «Che cosa ci fai qua? Perché oggi? Perché proprio ora? Cazzo, io... stavo aspettando Pietro! Perché sei sparito per un mese per farti vivo in questo dannato e fottuto momento?» Gli puntai un dito al petto per enfatizzare il mio sproloquio.
Amavo e odiavo averlo lì davanti. Stupendo, con le sue iridi cariche di tempesta che mi scavavano un buco nell'anima.
«Che c'è? Non parli più?» Lo provocai. «Mi sembrava avessi detto che avevi tante cose da dirmi.»
«Mi sento come quel girasole che non può fare a meno di seguire il suo sole.» Recitò senza alcun accenno di esitazione.
«Che cosa?» Chiesi confuso. Conoscevo quelle parole. Mi sembravano così... giuste uscite dalle sue labbra.
«Devo ripetere? Lo dirò più lentamente: Mi sento come quel girasole...» Scattò verso di me e io indietreggiai, gli occhi sempre fissi nei suoi.
«...che non può fare a meno...»
Scontrai la schiena contro il retro del divano che sostava in mezzo all'ingresso e le mani di Enrico si appoggiarono leggere sui miei fianchi.
«...di seguire il suo sole.»
La sua fronte si era premuta contro la mia, in quel contatto che creava una connessione ormai così familiare. Era in attesa di una risposta, che fossi io a fare quel passo che ci avrebbe trascinati nell'oblio.
Ripetei quelle parole nella mia mente, e finalmente fu tutto chiaro: i girasoli, il biglietto non firmato, la sensazione che quel mazzo sembrasse così fuori luogo tra le braccia di Pietro... era stato tutto un maledetto equivoco, un inganno. E la colpa era solo sua.
«Ma sei un coglione?» Sbottai, indeciso se essere più incazzato o emozionato. Lo respinsi ancora una volta, perché avevo bisogno di spazio per sfogare la frustrazione di quella situazione assurda.
«Eri tu, cazzo! E hai pensato bene di non dirmelo, di lasciarmi credere che fossero di Pietro. Dopo quello che c'era stato tra noi nel bagno del ristorante? Ma che cavolo di problemi hai?»
Forse, avevo esagerato, ma non sembrava scoraggiato. Anzi, mi tornò addosso e stavolta le sue braccia si allacciarono dietro la mia schiena. Per la sorpresa mi inarcai e credetti di impazzire quando i nostri bacini cozzarono. La mia erezione, libera sotto la tuta, strusciò contro la sua costretta dai jeans. Dovette percepirla, perché lo stronzo si spinse ancora di più contro di me. Fece scivolare le mani sotto i miei glutei e mi sollevò senza alcuna fatica, facendomi sedere sulla testata del divano. Per riflesso, mi aggrappai al suo collo e incrociai le gambe intorno al suo busto.
«Tantissimi problemi,» rispose con rammarico, «così tanti che faccio quasi fatica a contarli. E hai ragione: sono stato un vero coglione, perché ho lasciato che quel maledetto ladro di fiori si insinuasse nel tuo corpo, nella tua mente, nel tuo cuo...»
A quel punto, ammaliato dal suo respiro che mi faceva riverberare la pelle, lo zittii. «Oh, cazzo, Enri. Taci.»
Mi avventai sulla sua bocca, come bramavo di fare dal primo momento che lo avevo visto comparire sulla soglia di casa. Enrico rispose subito al bacio, con una voracità che sapeva di disperazione, tempo sprecato e desiderio represso. Volevo che mi consumasse fino a rendermi briciole, che lasciasse su di me segni che sarebbero durati giorni, a dimostrare che non era tutto un sogno, ma che lui era davvero lì, tra le mie braccia, nella mia bocca. Eravamo un groviglio di mani che afferravano capelli, lingue che leccavano, labbra che succhiavano... non c'era nessun centimetro del mio corpo che non fosse a contatto con il suo. Il suo assalto fu talmente impetuoso che persi l'equilibrio e caddi all'indietro sul divano, trascinandolo con me, perché non potevo permettere che mi mollasse neanche per un secondo.
Continuammo a baciarci e a strattonarci i vestiti. Le nostre magliette volarono via, perché desideravamo solo abbracciarci nudi, fusi pelle contro pelle dall'ardente aria estiva. Con la bocca trovò un capezzolo. Tirai un urlo quando lo mordicchiò, per poi lambirlo con la lingua per farsi perdonare.
Signore, voglio tutto di lui.
Il mio sedere, già voglioso per la preparazione sotto la doccia, fremeva per accoglierlo. Agognavo all'idea di risentire quell'intrusione che mi aveva mandato fuori di testa già una volta ma, quando una scia di baci iniziò a percorrere eccitanti sentieri verso il mio uccello nascosto dalla stoffa tesa, la mia stupida ragione si riaccese.
«Enri, fermati!»
Lo fece immediatamente, con un gemito di frustrazione, e io scattai via dalla sua presa. Scavalcai il divano per tenerlo come ostacolo tra noi, anche se il mio corpo infuocato implorava di tornare a fare quello che il cervello aveva appena interrotto.
Dovevamo assolutamente parlare, però, e il tempo che avevamo a disposizione stava per scadere. Enrico si ricompose, sistemandosi l'erezione nei pantaloni, e si girò verso di me. Avrei dovuto cercare di non farmi distrarre dal suo invitante torso tonico e maculato. Allungò una mano sopra la testata del divano e io l'afferrai subito, intrecciando le nostre dita e stringendo la presa fino a conficcare le unghie nella pelle.
«Scheggia, perdonami. Perdonami per tutto. Non so a che cazzo pensassi quando ti ho chiesto di essere amici. È stato assurdo immaginare che potesse funzionare, perché quello che c'è tra noi è sempre andato ben oltre, fin da subito. Dopo l'incidente con Brando, però, non sopportavo l'idea di non poterti più vedere e mi sarei accontentato dell'amicizia, perché...» Prese un respiro profondo per non andare in iperventilazione, mentre credevo che a me sarebbe servita presto una rianimazione cardiaca. «Sei l'unica cosa bella della mia vita e io non riesco più a starti lontano. Ci ho provato, per il tuo bene, mentre cercavo di sistemare le cose. Volevo presentarmi da te degno della tua fiducia e libero dai legami del passato ma, come vedi, ho ancora tanta strada da fare prima di raggiungerti.»
Quella confessione mi lacerò come mai mi era capitato nella vita. Il mio cuore era diviso a metà: da una parte gioioso di accogliere i suoi sentimenti che sentivo potenti quanto i miei, dall'altra tremendamente preoccupato per quella situazione ancora indefinita. Perché se anche mi fossi sbarazzato di Pietro, continuavo a non essere tanto sicuro che Enrico avrebbe fatto lo stesso con Brando.
«Ti strozzerei per avermi lasciato credere per un mese che tra noi non ci fossero possibilità. Il "parlarmi chiaro" includeva anche chiedermi il tempo necessario per chiudere la tua relazione. Ti avrei aspettato, mi bastava solo la conferma che fossi deciso a compiere questo passo.»
«Ma...» Provò a interrompermi ma io glielo impedii e mantenni la mia risolutezza fino alla fine del discorso.
«Se vogliamo iniziare una storia seria, dobbiamo partire da una condizione senza legami. Dunque, se davvero sono l'unica cosa bella della tua vita, allora devi rendermi tale al più presto. Perché non voglio che tu mi dia solo un pezzetto del tuo cuore, lo voglio tutto, e non ho intenzione di dividerlo con nessun altro.»
A quel punto, Enrico mi tirò verso di sé con la mano che non aveva mai smesso di stringere la mia e mi afferrò la nuca per darmi un altro bacio profondo. Fu deciso, ma più lento di quelli di prima. Le nostre lingue si accarezzarono suggellando un patto che avevamo appena espresso a parole.
Desideravamo appartenerci senza lasciare conti in sospeso, liberi di scrivere insieme un nuovo capitolo della nostra vita.
C'eravamo quasi...
«Ti prometto che sarai l'unico. Non c'è altra persona al mondo che desideri al mio fianco più di te» E c'era così tanta sincerità e passione nel suo sguardo che non potei fare a meno di credergli.
«Mi fido di te. Ti aspetto. Ma ti prego, non metterci troppo o ne andrà della mia sanità mentale.»
Ridemmo entrambi, felici, baciandoci ancora perché non sapevamo quando sarebbe stata l'occasione successiva per farlo.
Continuammo fino a quando il citofono suonò.
«Mi sa che devo andare...»
Lo lasciai a malincuore con un'ultima carezza sulla guancia ma, al momento, non avevamo alternative.
«Ti scrivo appena tutto sarà finito con Pietro.»
«Non vedo l'ora.»
«Anche io, ma ora vai. Per quanto si sia comportato da subdolo, la colpa è anche tua e non sarebbe carino che ti trovi qui.»
Aprii il portone e quando l'ascensore iniziò a salire, Enrico si sbrigò a scendere le scale.
La parte idilliaca della giornata si era appena conclusa. Sperai che il resto non si trasformasse in un incubo.
***
SPAZIO AUTRICE: Buongiorno! 💕 Enrico ce l'ha fatta, è arrivato prima di Pietro 🥳🥳 lo so che avevate paura di vedere di nuovo Filippo e Pietro insieme! Pericolo scampato 😜
Invece abbiamo la vara passione che finalmente è risbocciata ❤️🔥❤️🔥 e ora chi la ferma più? 😍 Mamma mia come sono bellini insieme 🤧🤧
Enrico se ne è andato con una promessa. La rispetterà?
Pietro sta arrivando. Come andrà con Filippo?
Lo scoprirete nelle prossime puntate!
Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina e ricordate che ogni feedback è sempre gradito 🫶🏻
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