R - Primo appuntamento
Pubblicazione 15/05/2022
XIV
Il diavolo tentatore proseguì « Sei debole perché non bevi, dottoressa. » staccò un ramoscello e lo conficcò sul collo, facendone sgorgare il nettare rosso a fiotti. Difronte a quella visione, mi si appannò la vista e all'improvviso mi ritrovai in ginocchio davanti alla preda.
Sedotta e ammaliata, mi lasciai trasportare dalla frenesia della caccia e piombai sul suo collo inerme, affondando i denti sul pelo insanguinato. Lo scorrere del sangue caldo lungo la mia gola e la sensazione di invincibilità che ne derivò rese la mia metà umana un vano ricordo. Faticai a separarmi dal mio pasto e a dedicare qualche parola al mio commensale. Gli lasciai il posto facendo qualche passo indietro per condividere il cervo.
Rimasi ad osservarne incredula la ferocia di Leonard: strappò il muscolo, sputandone via un pezzo e infilò la bocca immergendo le labbra nella carne martoriata. Il suo corpo mi mostrò quanto la sua sete fosse più impellente della mia. Teneva gli occhi chiusi, la schiena inarcata e le mani protese sull'animale. Gli strangolava il collo, non per crudeltà ma per dissetarsi meglio, estraendo ancor più sangue.
Tic toc.
Più si abbeverava, più la sua aritmia tendeva a normalizzarsi.
Tic toc tic.
Si scollò con ritrosia e si pulì gli angoli della bocca da qualche goccia di sangue fuggiasca. Per farlo, fece uno dei gesti più umani: si portò il pollice in prossimità della goccia e con un movimento secco portò quello stesso pollice tra le labbra cenerine. Un gesto umano che avrebbe fatto anche un bambino con un barattolo di marmellata. Eppure, compiuto in quel modo, era raccapricciante.
« Paura? » chiese incuriosito dalla mia reazione. Feci cenno di no e sorrisi per quanto fosse mostruosamente buffo.
« Ti ci vorrebbe un pacemaker. Per la tachicardia intendo. » dissi a bruciapelo e lui alzò gli occhi al cielo, calpestò qualche foglia secca e fece per andarsene. Però quel ticchettio non smetteva di richiamarmi. Era come se dicesse "Renesmee, vieni qui" e impudentemente lo seguii: « Lo sapevi che il cuore genera impulsi elettrici a ogni battito... tu ne hai uno in più del normale, o forse due. Non che sia un problema, certo. Sei un mezzosangue. È ovvio. Comunque, negli umani le aritmie possono anche essere fatali... »
Lui, seccato e annoiato, sistemandosi la benda, borbottò: « Lasciatelo dire, parli troppo. Anche quando non ti è richiesto e sei troppo... assorta. Se continui così rischi di essere ammazzata ancora prima di mettere piede a Volterra. »
« Perché parlo troppo? »
« Perché puoi farti dei nemici e non hai mezzi necessari per difenderti. » dichiarò apertamente, « Sei debole di costituzione. Il tuo istinto è ovattato e il tuo talento inadeguato al combattimento. »
« Ti sbagli! » dissi in collera. Mi calmai e lo invitai a combattere, « Riproviamoci. » dissi.
« Pensi davvero di eludere la Guardia e superare la porta anche a Volterra? » e rise di gusto, leccandosi il pollice ancora insanguinato, « Battermi qui non significa niente. Non vuol dire che non finirai come la nostra cena. »
« Hai paura di me, Leonard? » mi beffai di lui, « Sei così superficiale e sconsiderato da non esserti reso conto che la superiorità fisica non vale niente senza questo? » e indicai la mia testa.
« Mi stai dando dello stupido? »
« Può darsi. » feci spallucce e aspettai poco. Accettò subito il duello.
Leonard si separò dalla carcassa, portandosi tra due cipressi, chiuse l'occhio invitandomi implicitamente a farmi avanti. Il mio primo tentativo andò in fumo, fui respinta e il suo suggerimento fu lapidario « Ascolta l'istinto. »
« Ma io l'ho già fatto... ho seguito l'istinto. »
« Renesmee, ho detto ascolta l'istinto. »
Chiusi gli occhi.
Inspirai, gonfiando i miei polmoni della flebile scia di Leonard per tenerla a mente. Stavo dietro al suo ticchettio, adeguandomi alla sua melodia, alle sue note... riportai alla memoria tutti i segnali di debolezza, tutti i sintomi di quella stanchezza cronica e in un battibaleno capii come farlo fuori. Persi la rincorsa. Mi feci acciuffare volontariamente per poi accarezzargli la guancia. Gli feci un resoconto di tutti i segni e sintomi che avevo analizzato, regalandogli quella fotografia e un brano, il suo ticchettio. In quel preciso momento, colpii il suo punto debole: il pettorale sinistro.
Incapace di reagire, Leonard rimase immobile con le mani poggiate sui miei fianchi, pronto a scansarmi via. Non aprì l'occhio e continuò a non respirare, barcollò indietro e, scivolandomi addosso, provò ad arrampicarsi invano sui passanti dei miei jeans. Cadde per terra e disteso respirò affannosamente strappandosi via la benda.
« Stai bene? » mi inginocchiai per capire cosa gli stesse accadendo ma quando rivolsi lo sguardo verso il palmo della mia mano notai che lì si era raccolto un liquido nerastro molto viscoso, simile alla pece. Non capii nell'immediato cosa potesse essere, finché non vidi una macchia dello stesso colore sulla sua maglia bianca.
Il colore del sangue è uno: il rosso. Il suo inspiegabilmente era nero.
Leonard aprì di scatto l'occhio, iniziò a immettere aria nei polmoni con foga, come se avesse rischiato di annegare e trasalì guardando la mia mano. Mi prese di scatto il polso, ridusse a brandelli la sua maglia a e asciugò la chiazza scura.
« La tua mano... era ferita? » la sua voce era grave e dolorante e con poca lucidità strofinò il sangue nero via dalla mia mano. Quando notò che non ero ferita, provò a ricomporsi indossando la maschera dell'arroganza: « Hai superato la fase due: sai difenderti. Sono rimasto piacevolmente sorpreso quando mi hai ingannato con quel trucco. È sufficiente, però c'è un margine di... »
« Smettila! Il tuo sangue è nero come la pece... che diavolo... » lo interruppi bruscamente tappandogli la bocca.
Rimase lì seduto proseguendo con la voce spezzata da sospiri brevi: « Non farne parola con nessuno. »
Il viso era stanco e spento, le mani giunte sul petto e lo sguardo rivolto in lontananza. Il mio paziente stava poco bene e, per quanto fosse difficile ammetterlo, aveva bisogno di una diagnosi e di una cura.
« Non dirò nulla, però potrei dare un'occhiata... »
« Non puoi toccarmi. »
« Hai abbastanza autocontrollo. » quando finii quella frase scoppiò in una risata malinconica.
« Fosse solo per l'autocontrollo. » bisbigliò tra sé e sé, affondando una mano nei riccioli.
« Non puoi combattere in questo stato. Se non ti fidi di me, ti porto da Carlisle. »
« Dopo avermi teso quel tranello e aver fronteggiato un licantropo, hai la mia piena fiducia. Se i miei fratelli lo sapessero si tormenterebbero per il mio stato. Se il tuo clan lo sapesse, perderebbe un alleato. » disse a rilento, pesando le parole "tranello", "fiducia", "tormento" e "alleato".
Mi ritrovai in una situazione più che complicata. Leonard aveva bisogno di cure ma le rifiutava per scelta. Non potevo fare altro che monitorarlo per il tempo necessario a fargli riacquistare le forze o a far cessare il sanguinamento.
« Chiederò a mia madre di farmi da scudo per impedire a mio padre di venirne a conoscenza. Questo solo se risponderai ad alcune domande. »
Provò ad alzarsi in piedi, vacillò appoggiandosi a un ramo e nascose il volto emaciato. Il suo linguaggio corporeo mostrava quanto fingesse di non essere malato. I sorrisi accennati ma non larghi, i riccioli lunghi sulla fronte, i colori scuri, la benda, le sigarette.
« Non ci penso proprio. Mi stai ricattando? »
« Forse. Solo che la tua tachicardia, i tuoi occhi, il tuo respiro... è tutto così diverso... »
« Ascoltami, non mi faccio ricattare da una... kozà. Chert! »
« Dovrebbe essere un insulto? »
« Dovrebbe essere un modo per farti desistere. Non metterti contro di me. Non hai idea di quanto possa essere vendicativo... » lo fermai bruscamente, prendendomi di nuovo la licenza di toccarlo. Gli tappai la bocca, facendogli cenno che potevamo essere ascoltati. L'odore di Jake era inconfondibile. Lui era vicino.
Sfiorai Leonard per dargli un ultimatum rivolgendogli una specie di minaccia: "Dirò tutto ciò che ho capito. Sanguini, sei ferito. Sei debole. Hai bisogno di essere curato."
Sferrò un pugno su un albero e, guardando l'impronta delle sue nocche sulla quercia, si rese conto che la situazione gli era sfuggita di mano; che io gli ero sfuggita di mano. Gli ordinai silenziosamente di seguirmi e lo portai in spalla lontano di lì, prendendo un sentiero verso casa di nonno Charlie.
Casa Swan era l'unico posto dove né vampiri né licantropi potevano avvicinarsi senza il mio consenso. Era un patto tra me e nonno Charlie: niente lupi, niente freddi, solo umani.
Jake e il mio clan sapevano che quando ero da nonno Charlie voleva dire che stavo studiando oppure che volevo passare del tempo da sola. In entrambi i casi, non volevo essere disturbata per nessuna ragione al mondo.
Se lo avessero fatto, mi sarei isolata ancor di più e non mi avrebbero visto per settimane. Per questo, preferivano lasciarmi libera di nascondermi a casa di Charlie. Tuttavia, raggiunsi uno dei miei tanti nascondigli con lentezza perché Leonard, caricato sulle mie spalle, si lamentava oppure chiedeva di fumare in un momento in cui dovevo soltanto essere rapida per non essere beccata dal mio fidanzato.
Appena arrivai davanti al garage, gettai Leonard davanti l'ingresso e suonai il campanello con insistenza. Era notte fonda ma non importava perché nonno sapeva che se mi facevo viva era per una questione di vitale importanza.
« Perché scappi dal lupo? » domandò tamponandosi il torace.
« È contrario alla caccia, odia vedermi bere. » gli spiegai, sbirciando dalla finestra vidi le luci spente e probabilmente nonno impiegava del tempo per alzarsi dal letto.
« Ehm... toglimi una curiosità, dottoressa. Cosa stiamo facendo? »
« Stiamo andando nel mio studio. » gli dissi sorridente, cercando il doppione delle chiavi di casa sotto lo zerbino oppure sotto la roccia a destra vicino il cactus. Non ricordavo mai dove nonno mettesse il doppione e dimenticavo sempre di portarmi dietro il mio mazzo di chiavi.
« Il tuo studio è in casa di un umano? »
« In casa di mio nonno. » specificai, frugando tra le tasche in cerca delle chiavi.
« Hai scelto proprio un luogo sicuro. » e spazientito ruppe la serratura ed entrò trovandosi davanti a mio nonno in vestaglia e pantofole. Lui fece due passi indietro e io ne feci due avanti, sbucando fuori dalle grandi spalle di Leonard.
« Nonno Charlie! Ciao, scusa il disturbo... mi servirebbe un piccolo favore... »
« Nessie, la porta... e lui chi è? »
« Il fratello di Maggie, Leonard. » lui gli strinse la mano incerto, guardando l'occhio rosso con un misto di paura e circospezione.
« Mi spiace, non trovavo le chiavi e ho rotto la serratura. Ma è un'emergenza. » dissi mentre correvo per casa, prendendo disinfettanti, medicinali, asciugamani e garze, che andavo lasciando a Leonard riempiendo le sue braccia di roba.
« Il gelato alla vaniglia e noci pecan è finito? » gridai, mentre rovistavo in frigo in cerca di provviste.
« Terzo scaffale a destra. C'è l'ultimo barattolo. Ringrazia Sue per quello. Mi spieghi perché sei qui? » sbadigliò assonnato, senza staccare gli occhi di dosso da Leonard che nel frattempo era piegato in due dal dolore.
« È per la scienza. Bene abbiamo tutto. » chiarii ai due uomini.
« Nonno, non fare avvicinare nessuno per nessun motivo. Soprattutto Jake, sai quanto è geloso... siamo di sopra. » dissi togliendomi le scarpe e lasciandogli un bacio sulla guancia.
« Lascia la porta aperta! » brontolò provando a mostrarmi un minimo di disciplina.
Strattonai Leonard spingendolo nella stanza di mia madre. Chiusi la finestra, le tapparelle e la porta a chiave, mettendo gli asciugamani come paraspifferi sotto la porta e la finestra.
« Accomodati pure. Anzi, posso offrirti qualcosa... » spostai dal letto i libri per gettarli sul pavimento e fargli spazio. Lui si sedette e aggrottando le sopracciglia mi inseguì con gli occhi zigzagare per la stanza. Non avevo mai messo in ordine la mia stanza così in fretta. Riposi le mie cianfrusaglie sparpagliandole tra armadio e cassetti: abiti sporchi, mutande o spartiti musicali. Dopo essermi sincerata che il mio studio fosse quantomeno presentabile, mi sedetti sulla sedia da scrivania con le ruote e slittai verso di lui porgendogli parte della refurtiva alimentare: « Una barretta di cioccolato oppure dei pop-corn. Sì lo so non è il massimo... »
« Che stai facendo, Renesmee? »
« Ti offro qualcosa per riempirti la bocca e distrarti dal mio sangue. Mi dispiace, ma se apro la finestra sentono il mio odore e si accorgono che siamo qui. »
Appena pronunciai la parola sangue, Leonard cominciò a strofinarsi il collo con un accanimento che in breve si trasformò in violenza. Si grattò la barba e sulla sua pelle apparvero delle linee nere, come strappi su tela. Si stava scorticando via la pelle ed era un po' come quegli animali che si grattano per le pulci.
« Non so se ti è mai capitato ma le cose fredde mi mettono meno sete. » dissi aprendo il barattolo e affondando il cucchiaio dentro. Rifiutò e distendendosi sul letto con le mani dietro la testa mi chiese: « Ti hanno promesso qualcosa in cambio? »
« Non capisco... » dissi a bocca piena gustandomi la crema fredda.
« Non è possibile che il tuo sia un interesse spassionato. Chi ti ha mandato? Posso pagarti, posso vendicarti. Posso fare tutto ciò che desideri. Posso essere tutto ciò che desideri. »
Delusa da quanto potesse essere meschino, « Vuoi comprare il mio silenzio? Sono sconvolta... chi ti credi di essere? » gli dissi tra l'inorridito e il divertito.
« Non c'è da stupirsi. Tutto ha un prezzo. » ma lui era serio, agguantò con la telecinesi una confezione di pop-corn e bloccando per aria i salatini, aprì la bocca e se li fece cadere uno ad uno dentro.
« La vita non ha prezzo, che sia umana o vampira, ha lo stesso valore. Lo sanno tutti che sei diverso. Si vede, ma nessuno se ne interessa. Nemmeno tu. »
Si accese una sigaretta e camminò in modo difettoso e irregolare. Mi invitò a mollare ancora una volta: « Ti dirò quello che dico sempre a Margaret. Dovresti stare alla larga dai guai, Renesmee. »
Si zittì e poi riprese a tastare la moquette, calpestando tutto ciò che poteva esserci sotto i suoi piedi.
« Le hai mai contate? » mi chiese e io mi guardai attorno stranita, cercando di capire a cosa si riferisse, poi rispose: « Le lentiggini, ne hai troppe. »
« Tu hai mai contato le tue sigarette? » dissi nascondendo le lentiggini dentro la felpa.
« Certo che sì. Più o meno una ventina al giorno. Dipende dalla sete e dalla noia. » rispose, portando alle labbra una strana sigaretta nera con il filtro dorato e se la accese, sfumacchiandomi addosso.
« Sono sicura che tu l'abbia accesa per entrambe le ragioni. » esordii.
« Dammi un motivo valido per non terrorizzarti a morte. Potrei mangiarti, potrei berti... potrei staccarti la testa con un solo sguardo. » disse bloccandomi sui braccioli della sedia, credendo davvero di potermi incutere timore, di potermi intrappolare in quel modo. Ma anch'io lo minacciai. Gli strattonai la maglia e lo costrinsi ad abbassarsi alla mia stessa altezza. Gli schiacciai con forza il petto quasi a volerlo distruggere. Mi meravigliai di quanto fossi forte, di quanto fossi combattiva e tenace.
« Quale spiegazione preferisci tra interesse professionale e conservazione della specie? » risposi freddamente, volendo soltanto soddisfare la mia curiosità.
Leonard si allontanò di scatto e si distese nuovamente sul materasso e guardando il soffitto disse: « Non poteva andare peggio di così. »
Il tono accorato di Charlie si intromise tra di noi, « Nessie, avevo detto porta aperta! Cos'è questa puzza di fumo? », e si mise a percuotere la porta infastidito.
« Ho bisogno di fumare per poter essere importunato da sua nipote. Non si preoccupi, quello molestato sono io. » rispose Leonard accigliato. Cercai di recuperare la situazione, aprendo di qualche centimetro e tranquillizzandolo: « Nonno, è un caso clinico. È molto importante che la porta resti chiusa. »
Mio nonno mi guardò indeciso se fidarsi o meno, però sorridergli lo rassicurò per quel poco che bastava per non fare altre domande. Chiusi la porta e Leonard era ritornato lo stronzo di prima: « Sei molto attenta e... intraprendente, kozà. Non l'avrei mai detto, ma mi piaci. »
« Non farti strane idee. Sono felicemente impegnata. » poi continuai « Studio i mezzosangue da sempre. C'è così tanto da sapere su di noi. Vorrei studiarti. »
« Che strana proposta. Sei la prima donna che vorrebbe toccarmi senza alcun fine sessuale. »
« Gradirei che smettessi con le allusioni. In fondo, manterrò il tuo segreto. »
« Gradiresti? Sul serio? » riprese sbalordito dalla mia risposta: « Gradirei non essere qui, non parlare con la persona più invadente che io abbia mai conosciuto e non dover respirare la tua stessa aria. Ma ehi, mi hai costretto. Quindi faccio quello che mi pare, Renesmee. »
Dovevo accettarlo, io non gli piacevo e lui non mi piaceva. Averlo costretto a morire di sete in casa di un umano era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Probabilmente, dopo quella sera, non mi avrebbe rivolto mai più la parola. Quindi cercai di essere il più amichevole possibile, proponendogli di legare in qualche modo: « Puoi chiamarmi Nessie. »
« A te piace essere chiamata "Nessie"? »
« È indifferente, mi chiamano tutti in questo modo. È un soprannome che ha scelto Jake... sicuramente molto meglio di quella specie di offesa in russo. »
« Non ti ho chiesto questo. Ti ho chiesto se ti piace. » ci pensai su, poi negai. Preferivo il mio nome per intero e forse mantenerne l'utilizzo con lui significava mantenerne le distanze. Perché non piacerci doveva essere un male? Forse era giusto così. Non potevo piacere a tutti. Non potevo essere amica di tutti.
« Renesmee è singolare. »
Se quello doveva avere la parvenza di un complimento era stato un flop. Lo ignorai, tagliando le garze per rimediare al danno che gli avevo causato e nel frattempo, Leonard stranamente era un fiume in piena: « Lo immaginavo diverso il nostro primo appuntamento. Da dove iniziamo? » domandò spiando il mio daffare.
Mi voltai e gli chiesi, infastidita dal suo atteggiamento: « Leonard, pace? »
« Tregua, Renesmee. »
Ispirazione:
Nozioni di base di ematologia (studio del sangue).
Note:
Kozà: capra, modo affettuoso per dire "ragazza troppo vivace"
Chert: cazzo!
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