Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

R - Cane da caccia

Pubblicazione 13/06/2022

XXV

« Hai scatenato l'ira di Dio, cane da caccia. Sai come ti ha definito Chelsea? Un serpente nella nostra stessa casa... e Renata? Una biscia... »

La ragazzina che aveva pattugliato la Sala degli Iniziati fece una ramanzina a Leonard e, dopo averlo strigliato per bene, lo scaraventò dentro una piccola cella buia. Innervosita dal suo atteggiamento, batteva ripetutamente il piede destro, schiacciando con insistenza il granito. Invece il suo complice era agitato. Faceva avanti e indietro dalla cella alle scale, lanciando occhiate veloci al prigioniero per poi riprendere il suo giro di perlustrazione.

Mi ritrovai in una situazione alquanto surreale: due adolescenti vampiri ci avevano catturato e, piuttosto che comportarsi da secondini ostili, erano stati più ammodo degli altri "colleghi". Quelli che ci avevano raggiunto all'esterno della roccaforte non avevano avuto pietà di Leonard. Difatti, quella che credevo la sua compagna, aveva accoltellato Leonard senza il benché minimo rimorso. Leonard aveva perso i sensi ed era caduto a terra.

I due ragazzi avevano assistito alla scena e avevano deciso di comune accordo di occuparsi personalmente di lui, obbligando gli altri ad allontanarsi dal suo corpo. Ci avevano condotto attraverso cunicoli e intricati corridoi fino a un passaggio segreto che ci aveva portati alle carceri.

Ed ecco com'ero stata fatta prigioniera dei Volturi.

A piccoli passi, la ragazza si addentrò nella gabbia e colpì il vetro scheggiato di alcune lanterne un po' sbilenche che pendevano dalle travi del soffitto. L'illuminazione era così scarsa che non riuscii nemmeno a identificare i carcerieri. Soltanto la flebile luce lunare che penetrava da una finestrella, mi mostrò i capelli biondicci della ragazza.

« Non capisco perché non abbiamo la corrente elettrica nelle segrete. » si lamentò con l'amico. Lui si sporse verso la finestrella e la luna mi diede modo di guardarne le fattezze. Fisico slanciato, magro e alto. Aveva gli stessi lineamenti della ragazza e da questo dedussi che erano fratelli.

« Ehi tu, controlla se nelle tasche di quel fumatore c'è qualcosa per accendere un fuoco. »

« Mi chiamo Renesmee. » dissi ai miei carcerieri e Leonard sbuffò quella specie di nomignolo che mi aveva affibbiato: « Stupida kozà. »

Obbedii all'ordine impartitomi dalla vocina femminile. Rovistai nelle tasche dei suoi pantaloni e trovai: una minuscola fiaschetta vuota, un pacco di sigarette appallottolato e un pacco di fiammiferi che diedi alla ragazza.

Lei ne prese uno, lo sfregò sulla superficie ruvida e accese delle candele consumate dal tempo. Le fiammelle brillarono in quell'angusto spazio fatto di rocce e ferro. Al suo tocco, la cera oscillò nel vetro rendendo ancora più tetra la pozza di pece su cui Leonard si era accasciato.

Dopo aver terminato quell'operazione, Leonard tossicchiò e si rivolse a lei chiamandola per nome: « Jane, se mi avessi fatto fumare... a quest'ora non saremmo qui. »

In tutta risposta, Jane gli lanciò addosso il pacco di fiammiferi e lui biascicò una risata.

La ragazzina era bionda, con gli occhi rossi e una coda con un fiocco dello stesso colore. Il fratello aveva i capelli più scuri, ma entrambi indossavano lo stesso mantello rosso. Questo significava che erano i superiori di Leonard. Ma quella strana gerarchia era stata rovesciata: Sebbene il suo rango fosse inferiore, i due erano preoccupati per le sue condizioni e questo lo si capiva benissimo dal loro comportamento.

Jane, il poliziotto cattivo, non ci chiuse dentro, ma ci spiava, poggiata alla grata della porticina in ferro. L'altro, il poliziotto buono, se ne stava fuori, andando avanti e indietro intento a controllare che nessuno ci raggiungesse.

Acciuffai un fiammifero dalla scatolina, lo accesi e ispezionai il corpo martoriato del mio compagno di cella.

Era stato messo k.o. e il suo corpo era disgustoso da guardare.

Il viso era corrucciato, un sopracciglio spaccato a metà e l'altro integro e la bocca socchiusa per la fame d'aria. I lineamenti erano induriti dai muscoli facciali contratti e la mascella serrata. Le arterie della fronte e i piccoli vasi erano prominenti e ispessiti, nerastri così come quelli del collo. Ingrossati e gonfi, pompavano la pece. Le iridi erano più scure, come se il rosso e il blu si stessero spegnendo. La sua pelle era grigia e dannatamente fredda, così fredda che appena gli sfiorai la mano ebbi i brividi e tremai per quel contatto.

In quei sintomi, non c'era alcun presagio di buon auspicio.

Avvicinarmi per analizzarne al meglio il suo stato di salute fu oltremodo complesso. Più mi facevo avanti, più Leonard si allontanava, indispettito e infastidito, finché non si ritrovò bloccato in un angolino e sussurrò: « Alec, toglimela di dosso. È troppo appiccicosa. »

« Non sei nelle condizioni di dare ordini. » disse il ragazzo fermandosi davanti la cella e squadrandoci.

« Kozà, stammi lontano. Non sto scherzando. » mi ammonì, rannicchiandosi su sè stesso. Era piegato sulle ginocchia con il viso nascosto tra le braccia. In quella tana che si era creato respirava affannosamente, tossendo fino a gracchiare come un corvo.

Gli afferrai i polsi per valutare il battito cardiaco e, applicando una leggera pressione sulla pelle gelida, tastai le sue arterie convinta che la loro consistenza potesse essere normale. Mentii a me stessa, credendo di poter trovare qualche sintomo umano in quel corpo di mezzosangue.

Le sue arterie erano dure come fili di ferro, tanto rigide e meccaniche da rendere i polsi rari, poco percepibili. Replicai lo stesso gesto con il collo, a livello del polso carotideo e lì percepii un battito leggero come un soffio di vento.

Provai pena per entrambi. Per me, per la mia ignoranza, perché non mi venne in mente alcuna diagnosi. Per lui, perché stava soffrendo in modo raccapricciante.

Strappai la coda del mio vestito e gli asciugai la fronte sudata e fredda, tamponando alcune delle ferite superficiali che aveva sul viso: un'incisione verticale sul sopracciglio sinistro, un'altra sullo zigomo destro e probabilmente altre ancora, nascoste nel cotone della camicia blu.

Con le ultime forze che aveva, fece di tutto per non lasciarsi medicare: si dimenò, scalciò e poi farfugliò qualcosa in russo per mandarmi via. Anche quando sfruttai la gentilezza: « Posso vedere la ferita sulla schiena? » non ottenni alcun risultato, ma strinse ancor di più le ginocchia, premendosi contro il muro.

Lasciò sbucare il suo volto per intero solo per pochi secondi, durante i quali mi ringhiò contro e si morse le labbra fino a spaccarsele facendo uscire altra pece. D'un tratto, si afferrò il polso, che tenevo tra le mani, e lo azzannò. Glielo strappai di bocca e lui rimase ipnotizzato dal sangue che lui stesso aveva versato.

« Sta molto male? » mi chiese Alec porgendomi una candela e sbirciando quello che Leonard aveva appena fatto.

« Sta morendo o vorrebbe farlo. » dissi alludendo al morso che si era appena dato. Il ragazzo si sedette accanto a lui, bloccandogli il braccio con la forza in modo tale da poterglielo fasciare.

« Non farti coinvolgere. Il Maestro ci ha dato degli ordini. » lo rimproverò la sorella.

« Il Maestro ci ha detto che li voleva vivi. » le rispose a tono e poi sbottò rialzandosi: « Che c'è? È sempre Leonard. »

« Non importa. Ha fatto un giuramento e lo ha infranto. » gli chiarì, allibita da quella pseudo-ribellione.

Un passo pesante preannunciò che non saremmo rimasti soli ancora per molto. Jane uscì dalla cella frettolosamente, sbattendo la porta e andò incontro a un uomo grande e grosso.

« Felix, cosa dicono? » gli domandò.

« Niente di buono. Non solo ha atterrato voi due, ma Heidi ha testimoniato contro di lui. Ha detto che ha provato a strangolarla. Chelsea, Renata e Demetri hanno detto di non averlo visto bere e di averlo visto nascondere una preda: lei. »

Felix entrò nella cella, gli calciò la suola di una scarpa per vedere se si muovesse ancora e si chinò per guardarlo negli occhi.

« Tu cosa hai detto? » gli chiese il ragazzo.

« Che non l'ho visto. È la verità. È stato troppo veloce. Voi? »

« Che credevamo di essere stati attaccati da più persone. Ma quando lo abbiamo inseguito... non riesco a capire perché lo abbia fatto. » rispose il ragazzo.

« Questa è la volta buona in cui ti fai ammazzare. » lo avvertì l'uomo, tirandogli su il viso e cortesemente gli domandò: « Riesci ad alzarti? » e lui negò, sputando per terra. Felix lo prese, caricandolo sulle larghe spalle e mi ordinò: « Alzati. »

Lo seguii, scortata dai due fratelli. Jane mi precedeva, mentre Alec mi stava dietro, assicurandosi che non provassi a fuggire. Il fatto che si fosse precedentemente preoccupato per lui la diceva lunga sul loro rapporto, così ne approfittai: « Dove stiamo andando? »

« Stai per presenziare a un processo. » mi rispose il fratello "buono".

« O a una punizione. » specificò Felix, colpendo di tanto in tanto Leonard per sincerarsi che respirasse ancora.

« Non credo che verrà graziato da una punizione. Non stavolta. Cane da caccia se la vedrà brutta. » rifletté la ragazza.

Questo voleva dire due cose: che non era la prima volta che Leonard aveva trasgredito alle disposizioni dei Volturi e che ce la saremmo vista brutta.

« Quando l'ho visto fuggire con lei, ho pensato che se la stesse contendendo con Demetri. » continuò adocchiandomi e poi guardando Felix. « Invece, l'ha lasciata scappare. Per questo ho dato l'allarme. » bisbigliò al suo orecchio.

« Cosa avevi in testa, mezzo umano? » gli disse Felix dandogli un'altra pacca.

« Un'ultima sigaretta... » borbottava semicosciente.

Seguendoli, il mio tacco rimase incollato in una bizzarra pozza nera e, per poco, restai bloccata indietro ai nostri sequestratori. Alec notò il mio impaccio e mi offrì il suo braccio per sfilarmi le scarpe.

« A volte vomita nero. Probabilmente lo ha rifatto. » mi chiarì.

« Tu sei suo amico. Ti ha detto cos'ha? » lo interrogai decisa a saperne di più per poterlo aiutare.

« Nessuno qui parla di sè stesso. Siamo umili servitori. » specificò e poi si corresse: « Credo lo abbia fatto per salvarti da Demetri. Altrimenti non si spiega il suo comportamento. »

Avevo così tante domande che la mia testa stava esplodendo, avrei voluto chiedergli in cosa consistessero le punizioni e come si svolgessero i processi, di cosa fosse stato accusato, ma quello che uscì dalla mia bocca fu ben altro: « Sono in debito. Devo ricambiare il favore. »

« Alec! » lo richiamò Jane.

Alec mi strattonò, portandomi avanti e mi suggerì: « Inchinati davanti ai tuoi re e forse avrai salva la pelle. Per lui abbiamo già fatto abbastanza. »

Il resto del tragitto proseguì in silenzio, interrotto dai lamenti di Leonard e dal cigolio delle serrature aperte da Jane. Pensai a un rumore da poter emettere per accompagnare quei suoni tanto tristi. Forse, avrei dovuto piangere o addolorarmi per la mia imminente morte, o per quella di Leonard. Ma dalle mie corde vocali non uscì nulla.

Per la prima volta nella mia vita, avevo pianto e urlato così tanto da non sentirne più il bisogno.

Le urla degli umani mi avevano reso sorda, la morte negli occhi spiritati dei carnefici e in quelli tremanti delle vittime, cieca, e la disperata preghiera rivolta a Leonard, muta.

Attraversai i passaggi segreti, senza rendermi conto di dove stessi mettendo i piedi o su quale corrimano poggiassero le mie mani. Le frasi dei sequestratori divennero un ronzio e - incredibilmente - ansie, stress, paure, pene d'amore svanirono nel nulla.

Vivere il mio incubo peggiore, mi aveva fatto raggiungere uno stato di imperturbabilità emotiva e sensoria. Aver preso parte all'assassinio degli umani da parte di quei vampiri, mi aveva disorientata, svuotandomi dalle mie afflizioni.

Avevo provato la paura di perdere i miei genitori, quando all'accendersi delle luci li avevo visti accerchiati dai Volturi, il terrore di perdere un amico, Nahuel e adesso... la paura non c'era più.

Non ero spaventata da ciò che sarebbe successo o da come sarebbe andata. Quell'emozione non era più mia, l'aveva lasciata in quel massaggio cardiaco eseguito per salvare Nahuel.

Salendo i gradini, valutai di cosa potessi avere paura, meditai su chi o cosa avrebbe potuto farmi cambiare idea e non trovai nulla. Non trovai un motivo valido per essere spaventata.

Per definizione, la paura appartiene a chi ama ed è amato, appartiene a chi ha il terrore di perdere qualcosa o qualcuno; appartiene a chi ama ed è corrisposto, non di certo a me.

Io amavo, ma non ero amata: almeno non da me stessa.

La morte è naturale, è umana ed è da sempre il decorso naturale degli uomini. Morire era la scelta più umana che potessi adottare ed era anche la più consapevole. Togliermi di mezzo, avrebbe fatto comodo agli unici amori di cui mi importasse veramente: Jake e la mia famiglia. Il primo, avrebbe potuto dimenticarmi più facilmente e io avrei potuto fare lo stesso, sparendo con il ricordo di quello che era successo fra di noi. Il secondo, ne avrebbe potuto giovare: i miei genitori non si sarebbero più dovuti preoccupare della vita di una mezza immortale.

La mia esistenza era sbagliata, la mia vita innaturale e controversa. Anche quella del mio compagno di valzer lo era. Eravamo sbagliati, dovevamo essere cancellati. In quel mondo vampiro, noi ci stavamo stretti, eravamo errori di punteggiatura in un testo mal scritto.

Però, volevo che la morte sopraggiungesse per entrambi in maniera dignitosa. E un conto era morire soffrendo le pene dell'inferno, un'altro morire alleviando quelle pene, addolcendo la pillola.

Non volevo assistere alla sua morte. Questo mi avrebbe reso più debole, dandomi il tempo di rimuginare sulla mia scelta. Mi avrebbe dato un motivo per avere paura, quando la mia unica paura era morire dopo di lui. Morire dopo aver visto come muore un mezzosangue.

Ipotizzai come sarebbe andata se non fossi scappata da Arthur e Nahuel, ma mi venne in mente un destino più triste di quello che stavo vivendo. Un destino in cui avrei continuato a vivere nascondendomi da Jake e dai vampiri.

Con questa convinzione varcai nuovamente l'ingresso dell'anticamera.

Mi ritrovai nuovamente al cospetto di Aro, Caius e Marcus. Felix mi passò davanti, posando Leonard sul marmo.

All'improvviso, cappucci neri e rossi lo circondarono strappandogli via il mantello blu, come se questo stesse a indicare la fine del suo incarico. Nadhim lo trattenne per i riccioli dorati che si riversarono sulla nuca. Sul volto di quel vampiro si stampò un ghigno beffardo e gli altri mostrarono approvazione per quell'espressione. Leonard aveva la mascella serrata, le labbra contratte e i muscoli del collo tremendamente in tensione.

I tre regnanti, impassibili, si accingevano a guardarne l'esecuzione: Aro era seduto sul trono più bello, in posizione centrale. Il suo trono era intagliato a mano e contraddistinto da due teste di leone nei braccioli che sottolineavano l'alto prestigio della sua carica. Caius e Marcus, ai lati del sovrano, sedevano su seggi meno vistosi con animali meno spaventosi in grado di enfatizzare la figura del precedente.
L'uomo che strattonava Leonard si prese la briga di gettarlo al centro della sala. Scoperto dal suo velo, Leonard mostrò parte della sua vera natura: la pece macchiava la camicia blu sia sul torace che sulla schiena. Sul dorso si apriva lo squarcio dato dalla recente ferita da taglio. Sul viso, il naso rotto mostrava una gobba molto pronunciata.

Leonard li guardava con aria di sfida. Aro, disgustato da quella visione, chiese a Caius: « Cosa ne dovremmo fare di lui? »

Aro portò la mano destra sotto il mento, intanto che con la sinistra stringeva la criniera del leone. Quella testa animale mi sembrò quella dell'imputato e quando la ridusse in cenere, ebbi un sussulto e il mio cuore tradì il coraggio che avevo appena dimostrato nell'essere lì.
« Deve essere eliminato, ha infranto la legge e il giuramento. »

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro