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Nemoris Consilium

Mi restano ventotto giorni di vita.

Corro, e le foglie secche scricchiolano sotto alle suole delle scarpe.
Il passaggio ripetuto di persone crea un sentiero, dunque si presume che i sentieri portino da qualche parte: perché, allora, mi ritrovo sempre nello stesso cazzo di posto?
Alberi e nebbia: solo alberi e nebbia, a perdita d'occhio, e la radura davanti a me è la stazione del mio eterno vagare, sempre uguale a se stesso.

Da quanto tempo sto correndo? Non saprei più dirlo, ormai.
L'aria gelida dell'autunno punge la radice del naso e abbandona le labbra in nuvolette di vapore.
Il cuore che rimbomba nelle tempie e i rantoli di fatica coprono un suono che non oso ascoltare.
Ma so che c'è.

So che, al di sotto dei passi e del crepitio del terreno, un coro di voci flautate canta una litania incessante, dalle parole incomprensibili.
Ecco! La sento, nel silenzio innaturale di un bosco che si supporebbe brulicante di vita: shaggai, humuk dho-hna, g'yllgnaii ygg yr nhhhngr shoggoth.
Accelero il passo per lasciarmi alle spalle queste parole d'incubo, che non comprendo ma che sento, come se parlassero a una parte di me rimasta sopita troppo a lungo.
Tossisco aria gelida per coprire le voci, grugnisco per guastare la melodia seducente che detta ordini senza senso.

Un'ombra compare all'orizzonte, al limitare della radura.
Si guarda attorno, persa anche lei in questo dedalo di sentieri che non portano da nessuna parte.
Sciocca: se rimane immobile non potrà sfuggire al canto, e ne sarà succube.
Mi avvicino e iniziano a delinearsi i tratti di un signore di mezz'età, straordinariamente gracile.
È raro incontrare persone in questo inferno: l'ultima volta si trattava di una coppia di bambini smarriti, quelli che ormai mi sembrano mesi fa.

Raggiungo l'uomo e, prima ancora che possa degnarmi di uno sguardo, le mie mani sono attorno al suo collo.
Lo spingo a terra e stringo.
La cartilagine si infrange sotto alle dita, una ragnatela di capillari pulsa nelle sclere dei suoi occhi.
Scalcia il terreno, il rumore delle foglie secche che si accartocciano è lo stesso che proviene dalla sua gola, mano a mano che i polpastrelli sprofondano nella carne.
Saluto le ultime nuvole di vapore acqueo che abbandonano le labbra violacee come una benedizione.

Lascio la presa sul collo con la consapevolezza di aver salvato un'anima: ho veicolato il dho-hna nella giusta direzione, da glaaki a lloigor, poiché lo tekel'd parte da uguth e ascende a y'golnac.
Mi alzo, batto le mani sul completo per liberarlo dalla polvere.
Il bosco è immerso nel silenzio. Le voci tacciono.
Riprendo a correre lungo il sentiero.

Mi restano ventinove giorni di vita.

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