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Mio amore, mia felicità.
Ti scrivo, perché non ho altro pensiero che non sia il tuo, altro dolore che non sia la tua mancanza.
Tuo, per sempre.
Aveva diciotto anni quando, con occhi chiusi e schiena inarcata, ammise a se stesso: "Non amerò mai".
La realizzazione lo colpì nel vivo, dritto al centro del cuore dove, con enorme cautela, aveva provato a barricarsi da qualsiasi attacco esterno. Ciò nonostante, un lieve pizzico di dolore, come una punturina d'ape, lo colpì in superficie, sulla pelle, proprio in mezzo al petto. E Manuel, appena sobbalzando, sospirò sommessamente, prima di stendersi sul letto scricchiolante della sua desolata camera da letto. Se così poteva chiamarsi, quello stanzino sottoscala dove si rintanava per la maggior parte del giorno, quando non era in giro a scorrazzare con la sua moto o a rimorchiare una ragazza da baciare. L'aveva lasciato lì sua madre quando aveva dieci anni per dargli un futuro migliore di quello che avrebbe potuto donargli lei. Ed era andata via, all'estero, dove non era dato saperlo, e Manuel aspettava sognante quella fortuna tanto anelata da lei, che avrebbe dovuto riportarla dal suo bimbo irrequieto e un po' goffo.
So bene, amore mio, quanto il dolore ti perseguiti, so quanto vorresti raggiungermi. So che la guerra non sarebbe affatto motivo di spavento se ci fossi io al tuo fianco. Ebbene, sappi che a me non preoccupa, non è causa di dolore, perché anche se non sei qui, ti conservo gelosamente nel mio cuore, dove solo io ho facoltà e privilegio di sfiorarti. Di dirti: "sono tuo".
Per sempre.
Manuel non aveva conosciuto l'amore, e non avrebbe imparato a donarlo mai. Una zia arcigna, sorella della madre ma solo per sangue, l'aveva preso in carico. E nell'assenza delle carezza, nei vuoti lasciati dai baci invisibili, quelli che lui solamente sognava e sentiva sulle sue guance da bambino, era cresciuto inasprendosi. E a quelle guance era emersa la barba, una cortina di ferro spinato, tutta attorcigliata sul volto smagrito ma bello di uomo. Se qualcuno avesse osato affacciarsi all'occhiello che, dimentico della sua dignità, guardava sul camerino di tre metri quadri, l'avrebbe visto intento a leggere poesie. Lo sguardo sempre perso, le ciglia contratte, la mascella tesa in una morsa livorosa.
Taglio la vita, scrisse uno dei giorni di cui parleremo, taglio la vita per fuggire via, la mia lama è la poesia.
Magro, basso, riccioluto fin sopra le sopracciglia, di pelle ambrata ma bruciata, come i terreni desolati e abbandonati nelle calure di un agosto lontano. Questo era Manuel, mentre con lo sguardo infuocato guardava oltre, sempre oltre, sempre verso il cielo, e mai verso le sue mani o i suoi piedi. Era intollerabile con tutti. Le poche amiche che aveva fuggivano sempre via da lui, illuse e innamorate dopo una notte di promesse eiaculate sui loro corpi.
Per anni si era circondato del silenzio, dei suoi sospiri, dei gesti che si perdevano nell'aria vuota di una camera ammuffita.
Ti prego, esci. Fai una passeggiata. Raccogli fiori per me. Sai quanto amo le margherite.
Per sempre tuo,
C.
Un giorno, però, qualcosa si incrinò. Accadde tutto in un pomeriggio silenzioso, di quelli in cui ti perdi a contemplare le nuvole o a trovare compagnia negli uccellini in volo della primavera alle porte. Era intento a fare benzina quando incontrò un ragazzo che aveva bucato. Si chiamava Simone e frequentava la sua stessa scuola. Giurava di averlo visto spesso fuori scuola, cosa che Manuel non poté ricambiare. Lo aiutò a cambiare ruota, poi accettò il suo numero di telefono.
"Scrivimi" disse, prima di sorridergli e lasciarlo sotto la luce bianca della pompa. Strinse così forte il biglietto tra le sue dita che i numeri si sbiadirono e lui non lo chiamò. Passò un mese. Manuel era bravo a far cadere il tempo dalle tasche.
Caro amore mio,
oggi fa molto caldo, è un bene. Sai cosa sogno? Noi sdraiati al sole, a raccontarci della vita, a sognare una casa insieme.
Per sempre tuo, solo tuo,
C.
Se lo ritrovò di fronte all'uscita dal bagno, quasi si scontrarono. Simone balbettò qualcosa, arrossì.
Non chiese perché non lo avesse chiamato e Manuel ne fu grato. Parlarono dei professori, io ho Lombardi, sbuffò Simone, ma non mi dire, anche io. Si salutarono col petto pieno di qualcosa, eppure Manuel fu l'unico a non identificarne la materia. La lasciò lì, a crescere da solo, a radicarsi tutto intorno al cuore rinsecchito e senza nutrimento. Come sempre, i giorni passarono. La pianta seccò, così come il suo entusiasmo. Simone non lo vide più. Non si curò di chiedere ai suoi compagni di classe. Ancora una volta, lasciò la questione a sedimentarsi, e alla fine della settimana si tramutò in una montagna tanto grossa da non poterne vedere più la cima. Invece di arrampicarsi per scavalcarla, semplicemente si arrese. Le voltò le spalle e tornò alla monotonia della sua vita.
Di notte, quando i suoni spariscono completamente, e il silenzio si sdraia a dormire con noi, temo improvvisamente che tu possa dimenticarti di me. Ma forse sarebbe meglio. Forse meriti di dimenticarmi per non soffrire. Ci sono soli che non tramontano mai nei nostri cuori, e tu sarai sempre – per sempre – uno di quelli.
Il tuo eterno amore
Simone soffriva di una strana malattia di nervi. Lo scoprì origliando la conversazione di una sua amica bionda, pallida come un fantasma, la faccia tutta occhi. Si chiamava Laura. Ebbene, Laura prese a raccontare all'inavvicinabile Chicca che l'amato amico era chiuso in casa perché temeva di uscire per non so quale malattia strana, non me l'ha spiegata benissimo Chì.
Per un attimo Manuel ne fu sorpreso. Non gli era sembrato affetto da nessuna malattia quando avevano parlato le prime volte. Non che lo conoscesse particolarmente bene, però insomma, "quelle cose" le vedi subito in una persona.
Con questi pensieri a scontrarsi nella testa seguitò a trascinarsi per il resto della giornata.
Il rumore è insopportabile. Ma quando non c'è, temo il silenzio. Mi ricorda che non ci sei.
Provò a distrarsi, a non pensare a Simone. Ma ogni azione che svolgeva– studiò persino – si tramutò in un trampolino verso lui. Per questo uscì di casa, ciondolando a destra e manca alla ricerca di un po' di fumo e di una bottiglia di birra. Fu facile rimediarle, trovare un angolino al parco dove stare tranquillo. Ma anche lì quelle parole – 'na malattia de nervi Chì – lo raggiunsero senza darglì pietà. Provò con la musica, provò con lo sballo, strinse forte gli occhi per farli sparire.
Pensò che forse, se solo l'avesse chiamato prima, non avrebbe avuto questa malattia. Sarebbe andato a scuola, avrebbe riso con Laura, si sarebbero dati appuntamento per una birra.
Maledetto Manuel, si trovò a pensare, ma che ti interessa di tutto questo? Che vada al diavolo lui e i cazzo di nervi.
La corsa a casa la fece comunque, barcollando e tutto sudato. Non fu semplice da trovare, nascosto com'era sotto una delle mille doghe del letto. Era appena leggibile.
Prendi il sole, passeggia, non ti chiudere in casa. La vita la devi cercare fuori da quelle mura, è lì che ti aspetta. Desidero solo questo. Ti prego di rendermi felice.
Rispose al terzo squillo. Come stai? Bene, perché mi hai chiamato? Volevo sapere dove fossi finito, tutto qua. Ma se nemmeno sapevi che frequentassi la tua scuola prima, ora noti pure quando non ci sono? Non fare lo scemo, Simone, la tua assenza si nota più di quanto tu possa pensare. Non ci conosciamo nemmeno. Tu fumi? Non posso, mi fanno stare peggio. Allora bevi? Non posso nemmeno questo. Cosa ti piace fare? Mi piace stare sull'altalena, al sole. Staremo sull'altalena, al sole.
In un quarto d'ora era fuori il portoncino della sua casa. Non era sicuro nemmeno che vivesse lì, in quella campagna nel nulla di Roma. Ma bussò lo stesso, e attese speranzoso che aprisse.
"Sei venuto davvero" esordì non appena aprì la porta.
"Per me le altalene sono una cosa seria".
Si spostarono presto in giardino. Si sfidarono tacitamente a chi sfiorasse prima il cielo. E intanto risero, parlarono dei loro compagni di classe, di cosa gli piacesse fare.
"Io vivo da solo in questa casa enorme, con degli estranei che dovrebbero essere dei parenti ma so bene che mi odiano".
"Io vivo con mio padre, siamo una bella coppia ma ne abbiamo avuti di problemi".
Seguitarono a conoscersi così, un poco alla volta. E quando il sole tramontò dietro le loro teste, Manuel chiese il permesso di poter tornare.
"Non so se domani potrai, ti cercherò io".
Si stupì quando per salutarlo non gli lasciò una pacca sulla spalla, ma un bacio timido sulla guancia. Per un attimo si vergognò, si pulì il viso con la manica e fece un passo indietro. Simone sorrise affranto, prima di voltarsi verso casa e sparire sotto il porticato.
Ricordo ancora il primo bacio. Quanto lo desiderai, eppure quanto mi fece soffrire. Odiavo ciò che più mi faceva sentire vivo.
Simone non rispose alle sue chiamate, nemmeno ai messaggi. Lo mandò al diavolo e tornò a cercare ragazze da portare a letto. Ma qualcosa non funzionava più. Dopo una settimana si trovò quasi in lacrime fuori la sua casa.
"Ti prego scendi" gli scrisse. E quando lo vide aprire la porta, si buttò su di lui per abbracciarlo. "Non so come mi succede, ma non sto più bene" gli sussurrò contro il petto.
Passarono il pomeriggio sull'altalena, perlopiù in silenzio. Era Simone a non voler parlare. Quando Manuel gli raccontò della sua difficoltà fisica con una delle ragazze, scese dall'altalena e si avviò verso casa. Manuel lo rincorse, perché non ti fermi? Gridò. Ma lui era già sparito. I mesi passarono, e Manuel quasi si dimenticò di Simone. O meglio, provò a reprimerlo, ma lui restava in sottofondo come una melodia bassissima che senti appena, ma che non ti lascia mai.
Ciò che mi racconti mi rincuora. Sono felice che tu stia uscendo, amore mio. Mi allevia l'anima saperti felice. Ovunque tu sia, spero che il mio amore possa raggiungerti.
Fu inaspettata la sua chiamata. Quando arrivò presso la villa, lui era già seduto sull'altalena in giardino.
"Desideravo solo che tu rispettassi i miei tempi" esordì come per giustificarsi.
Fecero finta di nulla, e Manuel parve cancellare tutti i buoni propositi di allontanare lui e tutte le altre persone dalla sua vita. La cortina di ferro che tanto aveva faticato a ricostruire fu abbattuta con la folata di vento che li affrontò nella rincorsa verso il cielo, col sole in volto e lo scricchiolio delle catene che li teneva in alto.
Perché non torni a scuola? Non è il momento. Dovresti trovarti una fidanzata. Le donne non mi interessano. Impossibile, le donne interessano a tutti. Non interessano a me.
Manuel a quelle parole non ci fece caso, le ignorò, se le fece scivolare addosso. Ma non si accostò per salutarlo, arrivata la sera. Si allontanò con un cenno di mano. Quando tornò a casa, si toccò guardando un porno con sole donne. Sorrise quando riuscì a raggiungere il piacere. Subito dopo, però, scrisse a Simone se potessero vedersi il giorno dopo. Questa volta, l'altro accettò.
Ricordi quando ci presentarono? Tua sorella era la ragazza che avrei dovuto sposare. Ma io ho guardato te dal primo secondo.
Credette geniale mostrargli l'immagine di una donna nuda non appena si trovarono a parlare di quello. Simone guardò altrove, si alzò e prese a camminare verso la quercia in fondo al giardino. Perché scappi sempre? Urlò Manuel.
Rimase in silenzio per il resto della giornata. Manuel contò i passi che fece tutt'intorno all'albero mentre blaterava di tutte le cose inutili della sua vita. Si chiese se lo stesse ascoltando, chiuso com'era nelle sue spalle strette.
"Domani finisce la scuola, non ti bocciano per le assenze che hai fatto?" chiese ad un certo punto.
Solo allora Simone alzò la testa su di lui.
"Ho un certificato medico" spiegò.
"Che culo".
Risero appena. La curiosità, tuttavia, lo divorò dall'interno e non poté fare a meno di chiederlo.
"Ma si può sapere cosa ti sei inventato per evitare la scuola?".
"Inventato?" chiese alzando un sopracciglio.
"Sì, insomma, sei normale".
Simone annuì perso, poi si alzò e disse che voleva tornare a casa. Si sarebbero visti il giorno seguente.
"Ti sei offeso per ciò che ho detto?".
Non ricevette risposta. Passò alcune ore fuori casa, a girare con la moto tra le strade di Roma. Aspettò che la notte indossasse la sua veste prima di tornare a casa. Nessuno gli chiese come stesse, nessuno gli conservò la cena. Andò a letto a stomaco vuoto. Prima di dormire, scrisse un messaggio a Simone.
"Ti chiedo scusa per oggi, sono un coglione. Spero tu possa perdonarmi".
La vita qui è monotona. Allora conto il tempo immaginando cosa tu stia facendo. Al mattino ti vedo in cucina, a prepararti la colazione. Il pomeriggio ti immagino sulla poltrona in pelle del tuo caro salotto, a leggere uno di quei libri scritti da autori che non so pronunciare. La sera guardi le stelle dal balconi, bevi un tè. Mi scrivi. Per questo ti scrivo di sera. Sono certo che tu stia facendo lo stesso. E per quel breve attimo è come se stessimo insieme.
Per rispondere alla tua domanda: no, non sono affatto adirato. Sapevo bene che questo momento sarebbe giunto presto, e sono certo del tuo amore per me. Tutto ciò non mi spaventa. Ma sappi che invidio molto chi condivide le tue passeggiate, chi ha la fortuna di sentire la tua risata.
Io la cercherò nei miei ricordi, fiducioso di tornare a sentirla un giorno. Presto.
Il tuo amore per sempre,
C.
Si accostarono alla vecchia piscina interrata e presero le scale per calare al suo interno. Era uno spazio profondo, sporco di terra, lontano da occhi indiscreti.
"Ti assicuro che questa ti rilassa, non ti fa sentire peggio. Ho chiesto a quello che me la vende per andare sul sicuro. Non è fumo, è erba. Davvero, devi stare calmo. Poi stiamo insieme, mica ti lascio da solo. Dopo questa vorrai tornare pure a scuola. Ma che dico, la scuola è finita. Vabbè ci siamo capiti. Dopo questa vorrai persino baciare una donna. Scherzo, lo so che questo discorso non ti piace. È che proprio non ti capisco. Non fare così con gli occhi. E stai attento, guarda, stavi scivolando. Siediti qui Simone, qui il tuo papà non ci vede spero. Ma sì che non ci vede. Ora te la preparo e poi ti rilasserai. Vedrai".
Simone lo guardava curioso. Quello era un giorno buono per lui. C'era stato qualche pensiero, sì, ma era stato bravissimo. Non aveva nemmeno chiamato la sua psicologa. Per questo aveva accettato di fumare insieme a Manuel, a patto che fosse la migliore erba che potesse esserci in circolazione.
Osservò Manuel mentre con estrema cura la preparava e lo guardò con così tanta tenerezza che capì subito che quella cosa avrebbe colpito anche lui. Che ci sarebbe stato un giorno in cui avrebbe dovuto evitare anche lui. La sua terapeuta lo rimproverava per quella sua tendenza ad evitare. Ma proprio non ci riusciva. Quando i pensieri erano troppi, e tanto brutti, lui non riusciva a fare altro che evitare. Sapeva benissimo che questo avrebbe peggiorato la sua condizione. Così una settimana si era trasformata in interi mesi via dai banchi di scuola. Laura, le sue amiche, i suoi professori, non li avrebbe visti mai più. Aveva deciso così. Non importavano le ramanzine ricevute in seduta, non importavano le rughe che si aggiungevano alla fronte preoccupata del padre. O questo, o cancellarsi per sempre. E lui, questo ne era certo, desiderava vivere.
"Stai sempre a pensa'" disse dopo il primo tiro, "vorrei entrare nella tua testa, a volte".
"Credimi, è un posto orrendo, mi odieresti".
"Non potrei mai odiarti, Simone". E Simone sentì il suo cuore in gola, le mani sudate e il desiderio di baciarlo. Con esso aumentò l'ansia. Devo allontanarmi, pensò, o si macchierà anche lui.
Provò ad alzarsi ma Manuel lo fermò in tempo.
"Non scappi questa volta, devi fumare".
Il primo tiro fu quello più difficile, ma dopo alcune proteste e la tosse che diminuiva si abituò. E in un attimo desiderò averne ancora. I pensieri si fermarono. Tutto cessò.
"Sto bene, sai?" disse.
"Sono proprio felice" rispose Manuel, che felice lo era sul serio. Aveva finalmente trovato un amico, un senso di famiglia che mai aveva provato prima di allora. Era la prima persona con la quale non si sentiva a disagio a parlare di poesia, di sogni, dei pensieri che gli occupavano la mente.
Per questo fu ancora più doloroso quel bacio che gli arrivò addosso come una valanga di neve gelida. Si alzò di scatto, lo guardò livoroso, offeso, piangente. Come ha potuto, pensò. Perché proprio ora? Perché tutto, in un modo o nell'altro, è destinato a marcire?
Fu così rapido che quasi cadde nel vuoto della piscina, corse via dimenticandosi della moto parcheggiata. Finì da qualche parte, senza capire precisamente dove, e si adagiò tra le pannocchie che si ergevano orgogliose contro il cielo.
Quando tornò alla villa era sera. Simone era ancora seduto in piscina. Forse piangeva. Non si accostò, mise in moto e scappò via.
Non devi pensare a me, amore. Anzi, ti prego di dimenticarmi. Se questa corrispondenza ti mette in una condizione di dissidio morale che per natura non ti appartiene, ti prego di manifestarmelo. E io non ti cercherò più.
Col cuore infranto, ma per sempre tuo,
C.
Ignorò le sue chiamate, ignorò i messaggi pieni zeppe di scuse e di dolore. Tuttavia, riuscì a resistere solo il tempo di una luna, e il giorno seguente fu di nuovo da lui.
Lo trovò nascosto in piscina, mezzo addormentato, col cellulare stretto tra le mani. Lo svegliò con calma, accarezzandolo, lo abbracciò prima che potesse dire anche solo una parola. Aveva gli occhi gonfi, Simone, e stanchi. Salirono insieme e lo portò in camera per farlo cambiare. Mentre era chiuso in bagno, curiosò nella sua stanza. Era la prima volta che sentiva l'odore dei vestiti di Simone, del mobilio, delle lenzuola che lo accarezzavano ogni notte. Si sedette alla sua scrivania, immaginò di essere lui. E in quel momento si rese conto che non conosceva nulla di lui. Troppo rapidamente afferrò un taccuino che teneva lì alla rinfusa tra i libri di scuola. Pensò si trattasse del suo diario, quindi lo aprì a cuor leggero. Erano pagine piene zeppe di riflessioni, di ricordi, di disegni tristi e scabrosi. Una di quelle conteneva una lista. Riuscì solo a leggere "ossessioni" sulla sinistra, "compulsioni" sulla destra. Sembrava riempire più di una decina di pagine.
Simone spalancò la porta, forse aveva sentito il rumore dei passi di Manuel, forse aveva ricordato improvvisamete di aver lasciato quel diario lì, incustodito.
Si scaraventò su di lui per strappargli i fogli dalle mani, lanciò il diario in un angolo dietro di lui e gli intimò di uscire dalla sua stanza.
"Si tratta della tua malattia di nervi?" chiese Manuel con tono ingenuo.
"Non è una malattia di nervi. Ti prego di lasciarmi stare. È stato già abbastanza umiliante per me ieri. Non potrei sopportare anche questo".
"Ieri non è successo nulla, eri solo confuso".
"Non ero confuso, Manuel. Non sono confuso".
"Cosa significano quelle cose che hai scritto? Cosa sono le ossessioni?".
"Ti prego, esci".
"Io non esco" rispose determinato. Poi fece un passo verso di lui. Era ancora tutto bagnato. Un asciugamano lo copriva a malapena. Dai capelli scendevano gocce d'acqua come una pioggerella estiva.
"Sono cose mie".
"Non sono solo tue. Noi siamo legati".
L'espressione di Simone si accartocciò in una smorfia di dolore.
"Non dire così, mi fai male" e detto ciò, scoppiò a piangere. Crollò sul pavimento. Manuel lo seguì abbracciandolo. Lo strinse forte, mentre l'altro gemeva dal dolore, e sussurrava che non era cattivo, non lo era, non era una brutta persona.
"Ci sono cose", disse, "che sento improvvisamente come un lampo di fumine. Sono pensieri, ma alle volte anche sensazioni. Io non le voglio pensare, le scaccio via. Ma quando le scaccio diventano reali. E quando diventano reali io ne ho paura. Alle volte attaccano me, ma quando sono brutti pensieri sugli altri, allora io soffro terribilmente. E vorrei morire. Credimi. Vorrei sparire per non fare del male a nessuno. Infatti lo faccio, sparisco. Ma non basta, perché quest'inferno resta nel mio cervello. A volte si tratta solo di non riuscire a fare certe strade, di non fare certe cose, di contare fino ad un certo numero. Altre mi sveglio di notte, mi alzo e controllo che tutte le porte siano chiuse, che il gas sia spento. Non mi guardare così. Sembra una stupidaggine, lo so. Ma resto sveglio per ore. E controllo fino a quando non cado al pavimento stanco. Questi pensieri non c'entrano nulla con le mie intenzioni. La mia dottoressa dice che sono l'opposto di chi sono sul serio. Mi sto curando. Ma ho paura a legarmi. Quando mi lego, ecco che i pensieri arrivano. Io non ti farei mai del male. Mai. Manuel mi hai capito? E lo so che ora ti faccio schifo per questo. E per il bacio. Però mi devi ascoltare: io sparirò. Sì, è così. Sparirò. E tu non mi cercherai più. Non fare così, non piangere. Non mi cercherai più. Non mi stringere così, ti prego non mi accarezzare se non puoi amarmi".
Non capì come si trovò a toccargli il petto. Non capì perché quel fuoco che lo attraversò bruciò tanto da asciugargli il corpo sotto le carezze. Non capì come si trovò a baciarlo teneramente, a stringerlo forte a sé, a sentire il suo corpo da uomo stretto al suo e a non sentirne il disgusto. Si abbracciarono a tal modo, Simone ormai nudo, senza imbarazzo contro i vestiti umidi di Manuel. E di lì si passò alle mani sul corpo, ai gemiti di Simone contro il collo di Manuel, ai suoi "non devi farlo" e ai "voglio, lo desidero" di risposta. Il piacere gli arrivò piangendo. Manuel si asciugò presto la mano, lo coprì con un asciugamano, gli baciò la fronte. Poi lo guardò come non l'aveva guardato mai, con l'intensità amorosa degli amanti, con l'anima che gli scoppiava dalle vene per fuoriuscire.
Si alzò in silenzio, prese la via della porta. Quando uscì lo rubò un'ultima volta. Era bello, le carni rosse, in parte nudo, sudato e dagli occhi lucidi. Affranto sul pavimento da un dolore suo, ma che gli avrebbe causato anche l'altro nell'assenza che, allora non poteva saperlo, sarebbe durata troppi mesi.
Sono distrutto. Saperti chiuso, in quel posto, mi tormenta. Dovevi farlo per te. Non dovevi parlare. La tua vita è appesa al filo di un rasoio ora. E temo che con la tua finirà la mia. Perché la tua infelcità è la causa di tutti i miei mali.
Lo rivide tra i banchi un giorno di ottobre. Era magro, pallido, dall'espressione assente. I capelli corti sputavano i lineamenti spigolosi come mai lo erano stati. Fu un colpo al cuore per Manuel.
Ogni mattina passava davanti al corridoio delle quarte solo per vederlo seduto al suo banchetto.
Si voltava velocemente, per non farsi vedere. Era l'unico momento della giornata in cui si concedeva di essere fragile. Per il resto era tornato alla vita vuota ed estemporanea di prima. Aveva ripreso a frequentare ragazze, a fumare un po' troppo, a chiudersi nella sua camera tra le poesie e il disordine che si accumulava intorno a lui. Era una vita che gli stava bene, lo faceva stare tranqullo. Rivederlo fu come una tempesta a ciel sereno. Ma non poté non essere felice per lui.
Ogni tanto, di notte, quando era particolarmente eccitato, si concedeva di pensare a Simone. Ma senza fare nomi nella sua testa, sussurrandolo a bassa voce nei suoi pensieri. Una volta terminato, si voltava e reprimeva l'orgasmo nel cuscino, e così lasciava che il sonno pulisse via ogni cosa.
Ma ciò che più gli mancava, era quell'altalena cigolante sulla quale i due si lasciavano spingere dal vento e dalla loro serenità.
Sono lieto di sapere che hai seguito il mio consiglio. Bravissimo. Vedrai che le cose andranno bene, d'ora in avanti. Sarai felice. E io lo sarò per te. Questa guerra un giorno terminerà. So che terminerà. Lo sento nell'aria, sta cambiando. E noi ci vedremo e ci ameremo in segreto, di nascosto. Nessuno potrà separarci. E intanto sarai un marito e sarai stimato. E avrai una famiglia. E forse, quando sarai abbastanza vecchio da venire a posare una rosa sulla mia lapide, e le cose nel mondo saranno cambiate, potrai parlare ai tuoi nipoti di me e dell'amore ci ci legò.
Ti penso sempre,
il tuo amato Carlo
Quando trovò il biglietto sul banco, lo afferrò e se lo mise nella tasca senza nemmeno vederlo. Aspettò la terza ora per andare in bagno a leggerlo. La calligrafia era certamente quella di Simone.
"Non ti manco?" vi era scritto a matita e con indecisione.
Manuel pensò che tutti meritano una risposta, per questo una volta tornato in classe strappò un pezzo di carta dal quaderno del suo compagno di banco e scrisse con decisione "Sì".
L'aula era vuota, tutte le quarte erano in palestra, lo posò lì accanto all'astuccio e al diario.
Al mattino seguente ne trovò un altro sotto al suo banco.
"Perché non vuoi vedermi?".
"È complicato".
"Immagino perché".
"Non è ciò che pensi".
"Non sai cosa penso, non sai mai cosa penso".
"Mi manca l'altalena, al sole".
"Oggi pomeriggio ti aspetto lì".
Fu così che dopo una settimana di botta e risposta si ritrovò fuori ai cancelli di villa Balestra.
Simone era lì, sull'altalena.
Si cullarono insieme, in silenzio, senza correre troppo a causa del vento freddo sul viso.
"Non è più come in estate" esordì Simone e Manuel pensò che volesse intendere molto altro.
Quando si salutarono Simone lo abbracciò e Manuel si sentì finalmente a casa.
"Non ci perdiamo, ti prego".
Ti mando i miei più calori auguri. So bene che d'ora in avanti le nostre lettere dovranno diradarsi. A me basta sapere che stai bene, di tanto in tanto, una volta al mese. Mi basta che tu scriva, "Sto bane, e che Dio ti benedica". Anche se un Dio, qui, non esiste più. Nel cuore di nessuno. Certamente non nel mio, diventato una steppa arida e desolata. Ma non ti curar di me. Già ti vedo, bello come non lo sei mai stato, nella chiesa addobbata. E anche io allora ti dico "Che Dio ti benedica".
Con amore,
C.
Accadde di nuovo. Manuel aveva bevuto troppo e lo baciò mentre l'altro era distratto. Quel rapporto fatto di carne e di vergogna si protrasse per intere settimane. La mattina seguente veniva sempre per negare ogni cosa. Quando il sole era alto nel cielo non c'erano ombre. I due erano amici, quasi fratelli, e Manuel imparava a conoscere tutte le sfumature della personalità contorta e particolare di Simone. Ma quando la notte calava, le ombre si facevano profonde e dove le mani di fratello erano giunte al mattino, il fuoco si insinuava alla sera e le risate si tramutavano in gemiti e sospiri.
"Un giorno mi passerà. Non ti legare a me, Simone. Io non sono come te. Non so nemmeno che mi capita. Questa cosa me l'hai mischiata tu o non si spiega".
Tuo figlio ha il mio nome? Ho pianto, credimi ho pianto di felicità.
Qui parlano di una disfatta. Pensano che durerà un anno ancora al massimo. Poi le cose miglioreranno.
Tua moglie sembra una santa donna. Mandale un saluto caloroso. Lei ti ama come farei io, posso solo esserle grato.
E ti prego, lontano dagli occhi di tutti, quando nessuno ti guarda, ogni tanto pensa a me e ai ti amo che mi sussurravi nell'ora più dolce.
C.
"Non credevo uscissi anche con altre ragazze".
"Perché non dovrei?".
"Credevo che...".
Fu stupido, Simone, a parlarne. Poiché la notte ancora non era sorta e il sole era lì per giudicare tutti.
"Credevi cosa? Io non sono fatto così. E poi cosa fai, leva queste mani, non vedi che c'è ancora luce? Potrebbero vederci tutti".
"A me non importa".
Manuel si alzà e lo bruciò con un disprezzo che era tanto che non gli concedeva.
"Smettila di starmi addosso. Ho accettato la roba strana che c'hai nella testa perché siamo amici, ma se continui con questa storia io non ti sarò più vicino. Sii grato per una volta di ciò che hai".
La tua felicità è la mia, e questo lo sai bene. Ma non puoi negarmi anche questo. Ho accettato con dolcezza che ti sposassi, amo quel bambino come se fosse il mio, provo una tenerezza per tua moglie che mia madre invidia. Non puoi togliermi questo. Tua moglie non se ne accorgerà, lei è sempre presa da altro. Mio caro, amore mio, ma perché devi essere tanto crudele? Perché devi farmi tanto male! Oh, amore, io che ti amo così tanto, che ti ho così tanto in considerazione. L'essere più divino di tutti non è capace di tanta cattiveria. Prima ti chiedevo di dimenticarti di me. Ero uno stolto. Non lo fare. Ti scongiuro. Ne potrei morire.
Con affetto ed infinito amore,
per sempre tuo
Come un treno che parte e ritorna, così il rapporto tra i due fanciulli prese una battuta d'arresto, e le giornate furono bruciate nelle più audaci delle sofferenze. Simone non tornò a scuola. Manuel riprese a fumare tutti i giorni. Più il silenzio aumentava, più si convinceva che mai le cose sarebbero tornate come prima. La notizia della sospensione totale dagli studi pubblici di Simone lo ferì profondamente, ma non fece nulla per tornare indietro. Lasciò che la vita giostrasse i loro destini. E che la montagna sedimentasse senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
Se dovessi tornare, le cose cambierebbero?
C.
Tutti gli avvenimenti raccontati fino ad ora furono solo un enorme disegno per raggiungere la cassa che si trovava nella parte più remota del sottotetto di casa sua. Accadde tutto in un pomeriggio freddo e desolato. Era intento a scrivere una delle sue poesie quando gli fu ordinato dalla zia di rassettare quella parte remota della casa, piena zeppa di terra e polvere. Lui accettò senza possibilità di protestare, a testa bassa e col cuore crepato.
La vide non appena fu salito. Era in legno, tutta coperta di polvere, ma aveva l'aspetto di aver vissuto anni migliori. La aprì e iniziò a leggere.
Una corrispondenza. Un insieme di lettere risalenti agli anni della prima guerra mondiale. Passò il pomeriggio a leggerle. Gli si gelò il sangue quando capì che era un Ferro ad averle ricevute, un parente alla lontana zoppo di cui nessuno voleva mai parlare. Tremò quando capì che era un uomo ad avergliele mandate.
L'ultima lettera recava la data 15 aprile 1917.
La tua decisione è definitiva, dunque devo rispettarla. Ma voglio che tu sappia che questa notte stessa terminerò la mia miserevole vita. Ascoltami, non è per farti pena. Ma in guerra si perdono tante persone e non sempre la notizia giunge alla famiglia. Io voglio che tu lo sappia. Che non svanisca nel nulla come se non fossi mai esistito. I dolori della guerra, tutto il male che ho vissuto, è questo ciò che mi conduce ad andarmene. Sapere che di ritorno dalla guerra, se mai dovessi fare ritorno, potrei affrontare il tuo stesso destino... oh, credimi, ciò è anche più doloroso dei bombardamenti che mi tengono sveglio la notte. Preferisco finire così, da uomo libero. Sappi che sono felice per la tua felicità, per la tua vita che procederà come la più florida delle vite. Stringo forte tuo figlio, il caro Carletto, e abbraccio tua moglie, la più tenera delle donne. Non scriverò alla mia famiglia, ti prego di farlo per me. Mia madre soffrirà, dovrai dunque dirle che sono morto con coraggio per la difesa della patria. Questo allevierà i dolori che, povera donna, dovrà affrontare. Tu stalle vicino, ti scongiuro.
Lascio ogni mio bene a te, intesto a tuo nome la mia casa e tutti i miei possedimenti in essa contenuti.
Infine, rinnovo il mio amore per te. Ciò che è stato è meraviglioso, e sacro, e nessuno potrà togliercelo. Ora devo lasciarti, poiché vedo i miei compagni all'orizzonte. Come sono spensierati, loro, nonostante tutto questo dolore.
Voglio che tu sappia che se esiste una seconda vita – e Dio solo sa quanto io desideri che sia così – ebbene, se esiste io desidero che sia terrena e non spirituale. E desidero che sia con te, in un futuro lontanissimo dove un bacio non è un peccato, ma il più casto dei giuramenti. Dove i miei ti amo potranno essere gridati. E dove tu ami me, incondizionatamente, liberamente ed eternamente.
Per sempre tuo, contro ogni destino avverso,
Carlo Balestra
Fu la corsa più faticosa della sua vita, con le lacrime che gli ricoprivano il viso e il petto che temeva potesse esplodere da un momento all'altro. La porta di casa era aperta, la macchina del padre non c'era. Simone era in cucina, accasciato contro il piano cottura, con i singhiozzi che accompagnavano l'aprire e il chiudere compulsivo di tutti i fornelli. Ora è spento, ora sicuro è spento, Dio è spento o è acceso, ora è spento, sussurrava tra le lacrime, così distante dal mondo da non sentire l'arrivo di Manuel al suo fianco.
"Simone" provò a parlargli.
"Simone, amore mio... guardami".
Alzò i suoi occhi rossi e lo vide in tutta la sua bellezza, stanco e sincero come mai prima di allora l'aveva visto.
"Manuel, sei qui".
"Sono qui" sussurrò, prima di prenderlo tra le braccia e sentirlo accasciarsi al pavimento.
Rimasero lì per così tanto tempo da non sentire più le gambe, lo cullò fino a che non smise di tremare, gli asciugò le lacrime e lasciò asciugare le sue.
"Sei tornato" disse Simone, non appena recuperò la lucidità per parlare.
"Temevo che ti facessi schifo, con la mia omosessualità e la mia malattia, temevo che non volessi che ti contagiassi, mi sono fatto così schifo che...".
"Non lo dire nemmeno" sussurrò contro il suo orecchio, "ora sono qui, e non fai schifo. Sono qui. Ho sbagliato tutto, ogni cosa. Ma si risolverà, vedrai. Tu sei perfetto come sei. Guardami, Simone, sei perfetto così come sei, hai capito?".
Simone annuì.
"Andiamo sull'altalena".
Il tramonto stava mangiando ogni cosa. Simone seguì il sole dietro le colline, lo vide scomparire al di là degli alberi.
Non sei costretto a stare con me, se non vuoi, io ti amerei in ogni caso. Desidero solo la tua felicità, non voglio farti pena. Credi che tu mi faccia pena? Temo sia così. Desidero stare al tuo fianco più di ogni altra cosa. Quando d'estate il prato era pieno di margherite, ho desiderato raccoglierle per te, sai che sono le mie preferite. E dondolare sull'altalena? E dondolare sull'altalena, al sole. Domani potremmo farlo. Domani sparirai. Non lo farò. Perché? Perché per quanto la notte sia dolce, non ho più paura di amarti alla luce del sole.
illustrazione realizzata da ariespuntosia su twitter l'artista geniale del fandom tanti bacini sulla testolina geniale
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Angolo in cui vi chiedo scusa
Ciao scusate per questo pippone avevo il desiderio di pubblicare qualcosa qui dopo tanto tempo non so se leggerete ok spero di no e scusate se alcune cose possano aver ferito la vostra sensibilità io sono sempre troppo tragica ora mando un bacino alle mie cacche preferite che mi sopportano con tutte le litanie che scrivo scusate veramente vi voglio bene siete due patate geniali ok ciao alla prossima che non so quando sarà spero mai più
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