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44. In love with me

«Datemi i cappotti, forza» ride la donna, raggiante. Mi sfilo la giacca con un pizzico di tensione e gliela lascio tra le mani, quindi lei mi schiocca un bacio sulla fronte come se ci conoscessimo da chissà quando e rivolge un sorriso tutto zucchero a Adrien, prendendo anche il suo cappotto. Impiego un'attimo a scansionare l'abbigliamento del biondo, composto da camicia azzurra lasciata sbottonata per le prime tre asole e pantaloni blu scuro eleganti. Lui mi sorride, prendendomi di nuovo per mano quasi avesse paura di perdermi. Attraversiamo un'ingresso dai muri candidi e i mobili e pavimenti di legno dalla tonalità calda, librerie piene di foto e libri. Svoltiamo a destra, in un salone dallo stile a metà tra l'elegante e il bohemian. Due uomini dai capelli scuri e una donna dalla pelle diafana stanno discutendo in francese seduti sui divani al centro del salotto. Uno dei due uomini si accorge di noi e ci raggiunge con un sorriso a trentadue denti, quindi abbraccia d'impulso Adrien, ridendo con lui.
«Mon Dieu, tu l'as fait» borbotta ridacchiando. Poi si stacca e mi guarda, rivolgendomi un sorriso gentile. «Jean» si presenta tenendomi la mano.
«Amanda» accenno un sorriso.
«Dude, I was just talking 'bout your amazing shooting. This morning you broke up» ride Jean, cominciando a parlare subito inglese con un forte accento francese.
«It's my job» ridacchia Adrien, continuando a tenermi per mano.
«She's my wife, Annie» continua Jean, presentando la donna dalla pelle diafana. Lei sorride timidamente, quindi mi stringe la mano.
«Not really used to French. She's swedish» spiega il marito. Si aggiunge anche il terzo uomo, che saluta Adrien come si saluta un vecchio amico, mormorando parole in un francese stretto e a bassa voce.
«Edgar è stato uno dei miei primi amici in agenzia» mi spiega Adrien, «Ci conosciamo da quando avevamo sedici anni»
«Nice to meet you» lo saluto.
«It's my pleasure» replica affabile. Ha un bel viso, dai tratti marcati e occhi neri come la pece, contornati da riccioli scuri.
«Try to pick up her and you're dead» lo avvisa Adrien, fingendosi divertito.
«Got it» Edgar alza le mani, scatenando l'ilarità generale. Qualche minuto più tardi entra in salotto un'uomo di mezza età, dall'altezza vertiginosa e i capelli neri impreziositi da fili grigi. Abbraccia suo figlio con trasporto e poi mi rivolge un sorriso cordiale e un saluto, prima di sparire in cucina con la madre di Adrien, che ci ha abbandonati un quarto d'ora buono fa.
Finiamo a tavola alle nove  passate, davanti a un pollo arrosto e contorni a volontà. La conversazione si confonde tra francese, inglese e italiano, fino a diventare un misto di lingue azzardate.
«You got the last fitting, for sure» Jean riempie il piatto di sua moglie parlando con Adrien con l'aria di uno che la sa lunga.
«Hope I did't, or I'll be back here in a couple of weeks» ridacchia lui, passando una bottiglia di vino a sua madre.
«E allora? Hai una casa qui, non c'è problema» s'intromette la donna, versandosi un calice di vino.
«Ho anche un lavoro a Roma. E una vita, sai com'è» borbotta lui, allungandomi il cestino del pane.
«Amanda, a te piace Parigi?» chiede poi rivolta a me, sfoderando un sorriso.
«Non farle dire che le piace Parigi per poi chiederle se si trasferirebbe qui. Lavoro a Roma, è una questione chiusa» la interrompe Adrien, infilzando del pollo con la forchetta.
«Did u though about getting signed in Milan? It would be so much easier» chiede Edgar, che sta provando a tagliarsi una coscia di pollo dal vassoio da mezz'ora.
«I just would like to stop modeling. That would be so much easier» sbraita Adrien, bevendo un lungo sorso di vino.
«Mais pour quoi? Tu t'es toujours amusé» si intromette anche il padre, versando alla madre un'altro po' di vino.
«Exactly! What I want is a job that I love, not only something fun» protesta il biondo.
«E la pasticceria sarebbe il tuo sogno? Pensavo fosse un capriccio, ma farlo per tutta la vita...»
«Certo, ho studiato per anni ma era un capriccio. Ma dove vivi?» borbotta Adrien, versandomi un po' d'acqua.
«So come sei fatto, ti annoi subito. You need something fun and interesting in your life, and modeling brings you around the world»
«Tu non hai idea di cosa voglio»
«Adrien, comment s'est passé le travail avec Matthiew Ross au final?» li interrompe Jean.
«Good. Pretty nice stuff» sospira lui, masticando furiosamente.
«Amanda, what's your job, instead?» mi chiede Annie, la moglie di Jean.
«I'm a pastry chef too». Non oso incontrare lo sguardo della madre di Adrien, tenendo gli occhi sul mio bicchiere. 
«Oh, that's so sweet. Where did you meet for the first time?» chiede Edgar.
«At the supermarket» ride Adrien.
«Seriously
«Oh, yeah. He's helped me collecting sugar packs, then he left, and when I tried to talk to him, he was so fucking bored of me after not even five seconds» rido io, mollando una gomitata al biondo.
«I was not bored of you! But you have to admit that you were being so much annoying! It was clear that I was irritated, but you kept going on talking about sugar and chocolate!» obietta lui, incontrando i miei occhi.
«But then you fell in love with me»
«You did it too» ribatte lui, dedicandomi un sorriso con tanto di fossetta sulla guancia.
«God, you're such a greate couple!» trilla Annie.
«Yes, you are» conferma la madre di Adrien con un sorriso. Io strizzo l'occhio a Adrien e infilo in bocca una forchettata di pollo, soddisfatta.
«Did you fell in love by the first moment? I mean, did you liked each other immediately?» ci chiede Jean, riempiendosi il piatto di patate dolci.
«Ehm, not really» rido io. «I've hated Adrien for the whole month of September»
«True, but I've always thought you vere very attractive» confessa Adrien, mordendosi il labbro.
«Davvero?» chiedo io, ricevendo in risposta un cenno d'assenso.
«And you? What did you think?» mi chiede Edgar.
«That he was such a cool guy. At first I wanted to take a pic, but then he's started discussing whit the shop assistant»
«We had a little fight. Nothing important»
«But then we met again at our job's place» aggiungo io, bevendo un sorso di vino. «And we weren't really happy to be in the same place after what had happened in the supermarket»
«'Cause she got so much angry when I told her she was annoying. She took it really personally» aggiunge Adrien.
«You said I was talking too much!» esclamo io, boccheggiando.
«I said it because you were! I had a terrible headache»
«Luckily then we fell in love, duh?»
«Yes, we did» conferma lui. E all'improvviso mi accorgo che entrambi stiamo dicendo qui, cose che non ci siamo mai detti in privato. Un po' come quelle due parole che non ho il coraggio di dire.

La conversazione vira su argomenti sparsi, passando da Macron a Lucky Blue Smith finché non consumiamo il dolce, delle coppe di tiramisù alle fragole. È quando sto bevendo un sorso d'acqua che una mano si posa sulla mia coscia sotto al tavolo. E non una mano qualunque, la mano di Adrien. Mi volto verso di lui avvampando, mentre passa le dita lunghe fino all'orlo del vestito, e oltre.
«Adrien» lo chiamo sottovoce. «Ma che fai?»
«Niente» mormora lui, con un sorriso malizioso. Io boccheggio, guardandomi attorno con la terribile paura che qualcuno, o peggio, sua madre o suo padre, ci vedano. Le dita incriminate giocherellano con l'orlo del tanga che ha scelto da sopra i collant, finché non gli viene chiesto di andare in cucina a prendere la frutta. Mi strizza l'occhio, alzandosi, quindi scompare in cucina.

Dopo cena vengo placcata dalla madre di Adrien, che mi porta in giro per i corridoi a guardare le foto dei suoi figli. E lo so che lui aveva detto di no, ma dopo la foto della prima elementare mi si è sciolto il cuore. Le foto incorniciate occupano la maggior parte dei muri, e anzi, buona parte sono Adrien o Camille. Mi viene messa in mano la foto dei sette anni, quella della comunione e la prima gara di nuoto. E poi il primo giorno di medie, la lezione di piano, quella di chitarra e infine quella di batteria. Poi arriva il periodo del trasloco, che i tre Leroy non hanno preso molto bene, viste le espressioni tristi davanti alla torre eiffel. Quando Adrien è diventato abbastanza grande da evitare qualunque tipo di scatto familiare, sono intervenuti gli shooting per lavoro, e via con il primo Philip Plein, Clàire, e così andando. Ci sono le foto degli annuari scolastici, quelle dei Natali, e i compleanni in spiaggia. Xanvier e Jacques sono presenti in parecchie foto, comprese quelle di quando hanno preso un treno per la Scozia senza dire nulla a nessuno.
Non mi pento neanche lontanamente di aver accettato di vedere le foto, perché ben presto arrivano i racconti, che nonostante tutto sono interessanti. E poi, un ritaglio di giornale in una cornice attira la mia attenzione. Sbatto le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco una foto di un'Adrien adolescente in piedi, in costume, su uno dei ponti della Senna. E all'improvviso capisco cosa intendesse con "dettaglio spiacevole".
«Mamma, hai finito di traviare Amanda?» si lamenta il protagonista delle foto, appoggiato a una parete.
«Macché, mancano ancora le foto della vacanza in America, e il primo bagnetto, e-»
«Per carità, anche no»
«Etienne! Scommetto che Amanda-»
«Amanda viene in camera con me» borbotta lui, prendendomi per mano e sottraendomi alla presa di sua madre. Lei torna in salotto scuotendo la testa, e noi proseguiamo per un corridoio che mi sembra infinito.
«Ma sai che eri proprio carino il primo giorno di scuola?» ridacchio io, rallentando il passo.
«Io ho avuto rispetto per le foto della prima elementare, devo continuare a ricordartelo?». Adrien si ferma, passandomi le mani in vita, fingendosi risentito.
«Sì, ma non ho chiesto io di vederle. Mi sono capitate tra le mani, tua madre ha insistito tanto, e ho pensato che-» le parole mi muoiono in bocca, bocca al momento occupata dalle labbra di Adrien, che ha deciso di porre fine alla discussione e incastrarmi contro il muro. Divora le mie labbra come se non avesse aspettato altro per tutta la sera, facendomi sciogliere tra le sue braccia come burro. Allaccio le braccia dietro al suo collo e lascio che insinui la lingua nella mia bocca, travolgendomi. Infila un ginocchio tra le mie gambe, stringendomi a sé impetuosamente. Mi sembra di morire tanto è bello ogni suo bacio. A interromperci sono dei passi che risuonano sul parquet, e quando mi giro di scatto, lasciando Adrien a limonare con la mia guancia, mi accorgo con tremendo imbarazzo che suo padre sta camminando verso di noi. Lui si volta poco dopo di me, sfoderando un sorriso sornione.
«Salut, père» dice con nonchalance, quasi fosse abitudine.
«Salut, Adrien» replica lui, lasciandogli una pacca sulla spalla e superandoci, entrando poi in una porta a destra.
«Che figura di merda» borbotto contrariata, divorata dall'imbarazzo.
«Andiamo, dài» ride lui, trascinandomi fino all'ultima porta in fondo al corridoio. Sulla porta campeggia un cartello con le seguenti parole: «Gli italiani non possono entrare, i francesi possono esplodere, e se stai leggendo questo vuol dire che non puoi entrare ma puoi esplodere comunque».
«La gentilezza è sempre stata il tuo forte» commento ridacchiando.
«Vero» replica risoluto. «Non ero molto felice di essermi trasferito, all'inizio»
«E poi?»
«Poi ci ho fatto l'abitudine» conclude scrollando le spalle. «Ho avuto una bella vita anche qui». Si china a terra, infilando una mano sotto a un mobile a ne pesca una chiave dorata. La infila nella serratura e infine apre la porta, spostandosi di lato.
«Prego, madame» mi fa segno di entrare per prima e sorride, quindi muovo qualche passo verso l'interno della stanza e lui, dietro di me, accende la luce.
«Okay, questo è macabro» commento ridendo, quindi lui richiude la porta.
«Non sai quanto. Ho avuto un periodo un po' dark a diciotto anni, appena prima di andarmene. La chiudo a chiave per evitare che me la facciano tutta bianca, mi piace anche così» ridacchia incrociando le braccia al petto e insieme osserviamo il baldacchino nero. Ma tanto nero. Lenzuola di lucida seta nera, tende nere, testata di legno nero, in completo contrasto con le pareti bianche.
Sembra un po' il letto di Lucifero.
Lascio scivolare lo sguardo dal letto alla scrivania bianca, la libreria colma di testi scolastici, libri distrutti, coppe e palloni da calcio e basket. Un cesto da basket infatti campeggia proprio sopra la porta, e appese al muro ci sono alcune foto. Sulla parete opposta alberga un'armadio bianco, una poltrona, un'altra libreria e per finire una batteria completa.
«Suoni la batteria?»
«Brutta storia» ride lui,  gettandosi sul letto con un salto. «È stata la mia croce e la mia delizia per tutta l'adolescenza»
«Studiavi tanto?» chiedo poi, osservando a braccia incrociate le due librerie colme.
«Per nulla. L'ho riempita così per un motivo specifico» si alza e mi raggiunge, spostando la libreria per rivelare un buco nel muro di almeno mezzo metro, tappato dal retro di un'altra libreria
«Questo comunica con la stanza di Alexis. Lui ha il cornicione più vicino, e quando uscivo di nascosto non potevo certo buttarmi dall'ultimo piano. La libreria serviva a impedire a mia madre o alla donna delle pulizie di scoprirlo. Ci ho messo qualunque cosa per renderla impossibile da spostare. L'altra serve per il buco che dà nella camera di Camille» indica l'altra libreria, ripiena di libri come questa.
«Ma non potevate usare le porte?» rido io, incredula. Lui scuote la testa con l'aria di uno che la sa lunga.
«Fanno rumore quando si aprono, e poi servivano a un'infinità di cose. Ad avvisare se dovevi far sgombrare chiunque ci fosse e qualunque cosa stessi fumando, a passare del cibo, a nascondere le persone, vive s'intende. Una volta il ragazzo di Camille è rimasto sotto al letto di Alexis per tre ore, in attesa che mio padre uscisse di casa. Questi» continua prendendo da un ripiano una mazzetta di biglietti alta quanto due mazzi di carte da gioco. «Sono tutti i concerti a cui sono stato uscendo di nascosto. Sono centonovantaquattro» mostra fiero.
«E tenere tutti questi libri di diritto civile faceva felice mio padre, e pensava li leggessi. Alcuni li ho letti, ma li commentavo in italiano, così che non potesse sgridarmi» prende in mano un libro e mi mostra tutti i post-it attaccati tra le pagine. Ne pesca uno a me lo legge.
«È così fottutamente irritante pensare che solo in questa pagina avete sbagliato tre verbi e vi hanno pure pagato». Ridiamo insieme, quindi ne prende un'altro.
«Ho sedici anni, e potrei scriverle anche io certe cazzate. Se rubo sono un ladro, pace. Viva diritto civile e tanti saluti ai coglioni che hanno scritto questo libro» legge lui, scuotendo la testa, poi prende il prossimo.
«E dire che sto sprecando tempo a leggere questa roba invece che rimorchiare Olive Saint Claire. Ahia, questa non è finita bene» commenta lui.
«Perché?»
«Perché si è incazzata quando ha scoperto che le avevo dato buca per leggere un libro di diritto»
«E come l'ha scoperto, scusa?»
«Gliel'ho detto. Mi ha chiesto la verità» scrolla le spalle, quindi rimette il foglietto tra le pagine. Io rido, divertita.
Giusto, il suo principio sulla verità.

«Oddio, i libri di grammatica francese. Una palla al piede assurda», contrae il viso in una smorfia e sfoglia una grammatica con stizza.
«Certo che ti sei andato a cercare le due grammatiche più difficili. Tra francese e italiano non so cosa sia peggio»
«Francese» asserisce lui, senza dubbio. «L'italiano l'ho imparato da piccolo, e quindi la grammatica la sapevo. Quella francese l'ho dovuta studiare a quindici anni, quando lo parlavo soltanto e non sapevo scrivere manco una frase corretta. Non avevo voglia, né tempo, e odiavo mio padre per essere francese e mia madre per aver deciso di venire qui. I miei erano estremamente severi con tutti e tre dal punto di vista scolastico, e ci hanno fatto andare a lezioni private per tutta l'estate. A settembre ero più francese di quanto avessi voluto essere» gli sfugge un sorriso, quindi getta alla rinfusa i libri sugli scaffali.
«Come hai cominciato a fare il modello? Cioè, ti ha davvero costretto tua madre?» domando, curiosa di scoprire di più sulla sua vita. Lui si rabbuia e si stende di nuovo sul letto, battendo una mano sulle lenzuola nere per invitarmi a sedermi.
«Questa è davvero una brutta storia» mormora quando mi sono stesa accanto a lui, con la testa sul suo petto e le dita intrecciate alle sue.
«Quando siamo arrivati qui ovviamente io e Camille, che eravamo i più grandi, abbiamo iniziato a farle qualche favore. Fai conto, se un giorno avevo tempo libero passavo da un suo amico stilista a fare le prove per dei vestiti da sfilata, oppure lasciavo che scattassero qualche foto. Lei era indicibilmente contenta di questo. Fino a dicembre è andato tutto bene. Dopo le feste ha cominciato a sentirsi stanca, e quando è andata dal medico è venuto fuori che aveva un tumore maligno» Adrien deglutisce a vuoto, stringendomi la mano in una morsa morbida e arrendevole.
«Sono stati due anni d'inferno. Ho cominciato a girare tutta Parigi, a partecipare alla fashion week costantemente e impiegavo ogni briciolo di tempo libero a lavorare e allenarmi. La volevo solo fare felice». Si ferma per prendere un lungo respiro e poi mi lascia un bacio sui capelli, giocando con le nostre dita intrecciate.
«Poi, grazie al cielo, è guarita. Avrei smesso, ma ormai mi ero fatto un nome e non ce l'ho mai fatta a dirle di no. Così è andata avanti parallelamente alla mia vita normale. Andavo ai concerti con i miei amici ma dopo scuola ero negli studi fotografici 101, il sabato ero libero, ma se mi fossi sbronzato avrei avuto una faccia di merda e addio contratto con l'agenzia, mi sono diplomato ma il giorno dopo non ero in spiaggia con i miei compagni ma insieme a il resto dei partecipanti dell'Elite model look. E tutti gli sport, le passioni, gli amici e le ragazze, erano solo uno sfondo sfocato di seconda importanza».
«Oh, Adrien», alzo la testa per guardarlo con gli occhi lucidi. «Mi dispiace così tanto»
«È passato tanto tempo» svia lui, tirando su con il naso. «Hai mai sentito jingle bells alla batteria?» ride poi, incontrando il mio sguardo.
«Mai» replico tirandomi a sedere.
«Era il nostro pezzo preferito»
«Nostro?»
«Non te l'ho detto? Avevo una band» ride lui, battendo le bacchette sui piatti. «Io, Xanvier e Jacques ci siamo beccati tre denunce per disturbo della quiete, e la cosa è finita dopo due settimane» ride ancora, scoccandomi un'occhiata che mi fa tremare le ginocchia, quindi inizia a suonare sul serio.
E all'improvviso, Jingle Bells mi sembra la colonna sonora della mia vita solo perché la suona lui.

***

«Amà, pedala! Pedala!»
«Ma come?!» la mi voce si perde nel Parco Champ De Mars, tra i pochi turisti rimasti in giro all'una di notte e i lampioni che illuminano le strade. La mia bicicletta prende una brutta discesa, quindi emetto una serie di gridolini impanicati e la risata di Adrien alle mie spalle mi riempie le orecchie.
«Frena! Cheriè, aspettami!» urla lui, mentre io procedo spedita sulla ghiaia.
Merda. Chi l'ha detto che è romantica Parigi in bicicletta di notte?
«Muoio! Cazzo, cazzo, cazzo!» stringo con le mani il manubrio della bici, fino a far diventare le mie dita bianche dallo sforzo. «Non sta in equilibrio!» urlo io, quando prendo una sbandata e procedo a zig zag sotto gli occhi increduli dei pochi parigini rimasti in giro.
«Ce la devi tenere tu! Appoggiati, non tirare!» urla lui, che ancora non mi ha raggiunto. Lo sento accelerare sulla ghiaia chiara che ricopre le strade, e pochi istanti dopo mi affianca, in sella alla sua bici.
«Io ti odio! Ma chi cazzo me l'ha fatto fare?! Non si ferma!» la mia voce rasenta il panico più totale quando incontro un dosso e vengo sballottata giù per un'altra discesa.
«Devi tenere i freni!» grida Adrien, di nuovo dietro di me.
«Adesso devo pure lasciare il manubrio?! Col cazzo!» schivo un paio di persone per pura fortuna e poi riprendo la mia discesa a zig zag. «Perché in cinquanta sfumature sembrava più bello?» grido a metà del viale principale, terrorizzata.
«Perché Anastasia sapeva andare in bicicletta! Amà, aspetta!» replica lui.
«Ma come faccio? Non si ferma!»
Dio mio, perché non vado in bicicletta da quando avevo sette anni?
«Attenta all'albero!» grida qualche secondo più tardi, quindi inclino di scatto il manubrio e giro di colpo, convinta di essermi guadagnata tutte le occhiatacce del vigile poco lontano.
Procedo spedita (con mia grande disapprovazione) per Avenue Joseph Bouvard lanciando gridolini spaventati ogni volta che la bici sobbalza.
«La fontana! Gira a destra!» mi avvisa Adrien, avvicinandosi.
«Adesso muoio!» strillo io, prendendo velocemente il viale a destra. «Adrien!» grido quando la bici incespica su un tombino con il tono colmo di terrore.
«Cheriè, calma! Smetti di pedalare! Così vai più veloce, no!» mi affianca, evitando per un soffio una famiglia che ci guarda incredula.
«Leroy, aiutami! Se muoio ti ammazzo!» protesto tenendomi con tutta la forza che ho al manubrio.
«Dio mio» brontola lui, pedalando più veloce. Prende qualche centimetro di vantaggio e poi allunga una mano verso di me, tenendo il centro del manubrio. Frena bruscamente con la sua bici e mi prende per la vita, tirandomi con sé mentre la mia bicicletta finisce contro un'albero.
«Ah» esalo io, abbandonandomi contro il suo petto. «Qualcuno deve dire a E.L. James che il suo libro è surreale» borbotto contrariata. Adrien in tutta risposta ride, sollevando il mio viso verso il suo con due dita. «Stai bene?» mi chiede sorridendo.
«Ho perso dieci anni di vita, ma sì» sbuffo io, ridacchiando. Lui abbassa il cavalletto e va a recuperare la mia povera bici, schiantata contro l'albero. Interrompe il noleggio qualche minuto dopo, ridacchiando ancora per la scenetta che abbiamo fatto. Poi rimonta in sella alla sua bici e batte una mano sulla canna di metallo davanti al sellino.
«Sali» mi incita con un sorriso.
«Vuoi uccidermi definitivamente stasera?» gli chiedo a braccia incrociate, a debita distanza dalla bicicletta.
«Dai, Amà, non cadiamo»
«Promettilo» ribatto io, con le mani sui fianchi. Lui alza le sopracciglia, incredulo.
«Prometto solennemente che non ti farò cadere. Va bene così?»
«Mi fido. Se mi fai cadere ti uccido» mormoro poco convinta. Mi siedo sulla canna davanti con evidente paura, quindi metto le mani sopra quelle di Adrien e lancio un gridolino terrorizzato quando ricomincia a pedale, procedendo a zig zag per i primi metri per recuperare l'equilibrio. Mi tengo a lui, terrorizzata, mentre lui ride di gusto, baciandomi la tempia, divertito.
Proseguiamo velocemente per il parco, arrivando in breve ai giardini davanti alla Torre Eiffel. Io rimango terrorizzata ogni volta che incespichiamo in un tombino, facendo ridere Adrien di continuo.
Il biondo procede spedito, instancabile. Ridiamo insieme quando rischia di investire un paio di piccioni, e io mi aggrappo a lui appena la pavimentazione si fa più accidentata e mi sembra di star per morire a ogni pedalata. Ogni tanto fa apposta a sbandare per farmi urlare, e si diverte un mondo quando sparo una marea di insulti contro di lui e i francesi. Ridiamo insieme, in giro per Parigi fino alle due. Poi, Adrien frena davanti a una pasticceria di colpo, battendomi delicatamente una mano sulla schiena per invitarmi a scendere.
«Pausa ristoratrice» spiega scrollando le spalle. «Aspetta qui, è una sorpresa. Attenta alla bici» mi schiocca un bacio sul naso e poi scompare nel negozio, lasciandomi sola con un'odiosa bicicletta azzurra. In tempo record Adrien ritorna da me, con le mani dietro la schiena e un sorriso furbo sulle labbra.
«Indovina cosa ho preso» mi dice rimanendo a debita distanza.
«Un'altra bicicletta?» azzardo con una smorfia, facendolo ridere di nuovo.
«Sforzati, Amà, oppure niente premio» mi sprona ridendo.
«Ma che ne so che ti passa per quella mente malata? Del cibo, suppongo» protesto io, allargando le braccia.
«E fin qui c'ero anch'io» replica ironico. «Dico, che cibo?»
«Dei dolci?»
«Vedi che ti funziona il cervello, alla fine? Vai avanti»
«Croissant?»
«Manca ancora qualche ora alla colazione» replica con un sorriso sornione.
«Baguette?»
«Ti sembra un dolce?»
«Uffa. Biscotti al burro?»
«Mio dio, e menomale che ho detto a Giorgia che eri intelligente. È più facile di quanto credi» ride lui, che se la sta spassando da quando abbiamo noleggiato le bici.
«Un indizio?» domando dondolandomi sui piedi con un sorriso angelico. Adrien scuote la testa, esasperato.
«Chiudi gli occhi e vediamo se indovini». Io alzo gli occhi al cielo prima di chiudere le palpebre.
«Apri la bocca» pronuncia divertito. Io gli mollo un pugno leggero alla cieca sul torace scolpito e poi schiudo le labbra.
«Se non indovini sei da ricovero, eh» mi avvisa a bassa voce, prima di farmi mordere qualcosa di sottile ed estremamente dolce. Spalanco gli occhi con le labbra sporche e mi illumino in un'espressione vittoriosa.
«Crêpes!» esclamo subito. Adrien ride annuendo, quindi mi passa il pollice sulle labbra sporche, prima di portarselo alle labbra per pulirlo dalla cioccolata.
«Uniche e inimitabili» conferma porgendomene una. Io sorrido, improvvisamente colta da uno strano senso di malinconia. È tutto così bello, talmente perfetto da non sembrarmi vero. Mi metto in punta di piedi per afferrare con la mano libera il bavero della giacca di Adrien e tirarlo verso di me, baciandolo con un pizzico di paura.
Perché forse, e dico forse, ho paura che tutto questo finisca.
Mi sento stretta da una paura incontrollabile e ingiustificata, e a trovare conforto nelle sue labbra impiego poco meno di un secondo. Adrien mi stringe a sé come se nulla potesse toccarmi quando sono con lui, baciandomi con una sicurezza che mi conquista sempre di più. È come se avesse già passato quello che provo io e mi sapesse rassicurare, è come se fosse in grado di giurarmi che l'amore non finisce, non quello vero almeno. E anche che il nostro è vero.
Assaggia le mie labbra delicatamente e impetuosamente allo stesso tempo, travolgendomi a tal punto che non voi lasciarlo mai più. Mi stringe a sé con il braccio libero e mi morde il labbro inferiore dolcemente, quasi a volermi dire che è tutto vero.


Ehilà gente, come state?
Va bene, io lo ammetto: ero mezza commossa mentre rileggevo quest'ultima parte. Non riesco davvero a immaginare cosa farò senza Amanda e Adrien.
Vi è piaciuta la cena? Ma quanto sono carini?
Io mi sciolgo, giuro.
Se vedete che sto mezza delirando è perché fa caldo. Io non soffro il caldo, davvero, ma qui a Roma si muore. Non sto tanto male, ma in certi momenti vorrei solo un bagno di ghiaccio. E lo dice la persona più freddolosa del mondo.
Siamo al capitolo 44, quindi tra poco concludiamo anche Sugar Lips. Inizierò la revisione prestissimo, in modo da poterla iscrivere ai Wattpad con il cuore leggero. Grazie mille per tutto il supporto che mi avete dimostrato❤️
Giuro che aggiorno presto
Andate in pace
Lily❤️❤️

P.s.
Se avete qualche problema con le frasi in inglese o francese scrivetemi nei commenti che traduco, con avevo voglia di scriverle qui, scusatemi🥰❤️

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