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43. Zeus

«Buongiorno».
La voce roca di Adrien mi accarezza le orecchie quando ancora non ho aperto gli occhi, quindi le sue labbra si posano sul mio collo. Mugolo qualcosa di intraducibile e mi giro sulla schiena, schiudendo le palpebre per guardarlo in viso. Sorrido istintivamente e allungo il collo per lasciargli un bacio a fior di labbra.
Potrei svegliarmi così per il resto della mia vita.
«Buongiorno» mormoro stiracchiandomi. «A che ora ti sei alzato?», circondo il suo collo con le braccia, passando le dita nei capelli dorati.
«Sei e mezza. Tu dormivi senza dare segni di vita» e ci credo, abbiamo fatto sesso per quattro ore consecutive...
«Chissà come mai. Ti stendi un po' con me?» lo tiro per il bavero del cappotto, costringendolo a cadere sul letto con me. Lui ride, sfilandosi le scarpe per abbandonarle sul pavimento. Affonda una mano tra i miei capelli e mi bacia appena mi volto verso di lui, leccandomi le labbra lentamente.
«Come dirti di no?», ridacchiamo insieme, quindi lui traccia il contorno della mia spalla con un dito.
«Avevo intenzione di andare a pranzo prima o poi, ma tu continui a dormire nuda e...»
«Ho dimenticato il pigiama. Non ero lucida quando ho fatto la valigia» mi mordo il labbro con aria colpevole, tirandomi a sedere. «Se mi faccio la doccia adesso riusciamo a uscire per le undici e mezza» aggiungo poi, alzandomi dal letto. Adrien sfoggia un'espressione contrariata, quindi mi tira di nuovo sul letto con sé e torreggia sul mio corpo, sfiorandomi le labbra con le sue.
«Io avevo un'idea su come impiegare il tempo fino all'ora di pranzo» mormora prima di mordermi la pelle sensibile sotto la mascella, scendendo a baciarmi tutta la mandibola.
«Spero sia una buona idea» mugolo chiudendo gli occhi.
«Oh, sono sicuro che ti piacerà» sussurra con voce graffiante, facendomi fremere sotto di lui. «Sai, ti avevano portato la colazione» aggiunge poi, con un sorriso furbo. Lo guardo togliersi il cappotto e il maglione con un gesto fluido lasciandoli cadere a terra, prima di raccogliere da terra un vassoio d'argento e farlo slittare sul materasso.
«Cosa vuoi fare?» gli chiedo osservando il cappuccino ormai freddo, dei panini, miele e marmellata.
«Voglio fare colazione» replica scrollando le spalle con nonchalance. Si china su di me per baciarmi sulle labbra, quindi traffica con delle tazzine sul vassoio prima che qualcosa di freddo e appiccicoso incontri il mio seno. Sussulto subito, incontrando gli occhi liquidi di Adrien. Tiene con due dita un cucchiaino colmo di miele, e solo adesso comprendo l'espressione fare colazione nei suoi intenti. Schiudo le labbra, mentre il cucchiaino gelido prosegue il suo percorso fino all'altro seno. Si immerge di nuovo nel vasetto e poi scende il solco sullo sterno e prosegue sul mio ventre, arrestandosi appena sopra il pube. Di nuovo nel vasetto, e poi una goccia di miele scivola tra le mie gambe sotto gli occhi lussuriosi di Adrien. Stringo tra le dita le lenzuola sotto di me e sospiro fremendo sotto l'argento gelido. Il cucchino viene malamente rimesso nel vasetto e le mie mani bloccate sopra la mia testa. Adrien mi sfiora le labbra prima di avventarsi su un capezzolo colmo di miele. Io non posso fare a meno di gemere, mentre lui succhia, lecca e morde senza sosta. Vengo attraversata dai brividi, quindi reclino la testa all'indietro e ansimo rumorosamente quando lui passa all'altro seno. Mi lascia i polsi per scendere sulla mia pancia, quindi stringo le cosce sentendo il miele scivolare e appiccicarsi tra le mie gambe. Affondo le dita nei suoi capelli e smanio per arrivare alla fine del percorso che ha tracciato.
Un ansimo strozzato spezza il silenzio della stanza quando finalmente scende sulla mia intimità, beandomi dello stesso trattamento riservato ai miei seni. Mi contorco sotto di lui, tirando piano i capelli biondi con un gemito accompagnato da un piacere indescrivibile. Adrien lecca via tutto il miele, succhiando e leccando senza sosta finché non mi irrigidisco. Mi allarga le cosce con le mani e mi guarda dritto negli occhi mentre mi sciolgo sulle sue labbra, ansimando sovrastata dal piacere.
Torna da me con le labbra lucide, e io non posso fare altro che baciarlo e sentire il miele sulle sue labbra carnose. Le mie mani lo strattonano per la cintura, quindi si affretta a liberarsi di pantaloni e boxer. Ho ancora il respiro affannato quando mi penetra e io gli mordo il labbro per soffocare i miei gemiti. Il ritmo incalzante delle sue spinte mi porta di nuovo all'orgasmo, stremandomi a pochi minuti dal mio risveglio. Adrien viene con me, sciogliendosi in un ansimo soffocato, contraendo gli addominali con uno spasmo piacevolissimo.
Rimaniamo abbracciati finché non riprendiamo fiato, la sue labbra sulla mia fronte e le gambe intrecciate.
«Sai cosa? Dovremmo fare colazione più spesso» suggerisco io, lanciandogli un'occhiata carica di malizia.
«Anche tutti i giorni» conferma sistemandosi le braccia incrociate dietro la testa. «E credo che non sentiremo la mancanza di pigiami» aggiunge con un sorriso pieno di doppi sensi.

Per necessità primarie, quali mangiare e bere, siamo costretti a farci una doccia e vestirci per uscire, quindi usciamo dall'hotel e optiamo per la metro, incredibilmente pittoresca. A l'una siamo in un ristorante dai toni vintage, dove (finalmente) riesco a pagare per entrambi. Mi sarei accontentata della mia metà se non avessi ceduto alla tentazione quando ho finto di andare in bagno. Adrien ha tenuto il muso per una buona mezz'ora, quasi lo avessi oltraggiato a morte pagando il conto per una buona volta. Non mi ha rivolto la parola per tutto il tragitto verso il centro di Parigi, offeso nell'orgoglio (suppongo). Alla fine però l'arrabbiatura non è durata molto, visto che abbiamo rischiato di lasciarci andare a atti osceni in metro.
Al momento poi, stiamo attraversando la strada diretti chissà dove, mano nella mano. Adrien si ferma davanti a un portoncino color Tiffany, quindi osserva il citofono con attenzione e infine preme un bottone dalla pulsantiera. Appena lascia andare il pulsante mi trascina via, rifugiandosi dietro l'angolo.
Che facciamo? Gli scherzi al citofono come i ragazzini delle medie?
Sto per obiettare, quando lui mi fa segno di tacere e ridacchiando indica un balcone al primo piano, che pochi istanti più tardi si spalanca, lasciando uscire un'uomo dai folti capelli bianchi che tiene in mano un matterello e ha addosso una divisa da pasticcere. Sbraita in francese per qualche secondo, guardando la strada sotto di sé, prima di rientrare e chiudere con un tonfo sordo le portefinestre.
«Rimani qui» sussurra Adrien, prima di dirigersi di nuovo al citofono e suonare nuovamente, prima di correre di nuovo da me e nascondersi dietro l'angolo. Pochi secondi più tardi l'uomo fa di nuovo la sua comparsa, brandendo il matterello come un'arma.
«Ma chi è?» sussurro io, trattenendo a stento le risate.
«Il mio insegnante. Sono anni che lo faccio impazzire così» ridacchia lui, stringendomi dietro l'angolo. L'uomo sbraita e urla ancora per qualche istante, prima di scomparire di nuovo in casa. Adrien mi scocca un bacio sulla guancia prima di avvicinarsi di nuovo al citofono e poi correre alla velocità della luce verso di me, mentre io rido profondamente divertita. Questa volta non fa in tempo a nascondersi che l'uomo piomba sul balcone più incazzato di prima. Non lo nota, ma sbatte il pezzo di legno sulla ringhiera con evidente fastidio.
«Monsieur!» grida Adrien quando sta per rientrare, attirando l'attenzione dell'uomo. Ammetto di perdere un battito ogni volta che lo sento parlare in francese.
L'uomo posa gli occhi sul biondo, aggrotta le sopracciglia e ci lancia contro il matterello, che atterra sul marciapiede deserto accompagnato dalle nostre risate.
«Fils de pute, allez!» brontola lui, facendoci segno di salire. Adrien mi prende per mano, recupera il matterello e insieme entriamo nel palazzo, salendo fino al primo piano. Mi accorgo di essere piombata nel bel mezzo di una lezione privata quando mi rendo conto di una mezza dozzina di ragazzi che campeggiano nell'enorme cucina in cui entriamo. L'uomo ci viene incontro con un sorriso divertito, e non perde occasione di lasciare una poderosa pacca sulla spalla di Adrien, che si comporta come se non avessimo sei paia di occhi puntati addosso.
«Elle est Amanda» Adrien sorride, quindi mi fa segno di allungare la mano che l'uomo stringe borbottando qualcosa.
«Dice che non so fare altro che rimorchiare» traduce il biondo, strizzandomi l'occhio. Poi si rivolge all'uomo.
«Cette fois je pense que je suis tombé amoureux sérieusement» replica scrollando le spalle. L'uomo alza le sopracciglia e mi guarda di nuovo, stupito.
«Che gli hai detto?» chiedo sospettosa. Adrien ride, circondandomi le spalle con un braccio.
«Che ti ho fatta venire come un cucchiaino lavato a rovescio» mi sussurra me con voce graffiante chinandosi verso di me. Io avvampo, schiudendo e richiudendo le labbra senza sapere cosa dire.
«Non è vero» ribatto poi, con la gola secca.
«Sì, che è vero» ribatte lui, divertito. «Sei venuta almeno sette volte solo da mezzanotte a ora»
«Parlavo di quello che gli hai detto» specifico rossa in viso. Lui mi strizza l'occhio in risposta e ridacchia.
«Réfléchissez un peu, nous sommes tous les deux pâtissiers.  Pouvons-nous vous aider avec ces incapables?» continua poi, rivolto a suo insegnante.
«Mais oui! Mettez les uniformes et ensuite vous faites quelque chose pour nous» replica l'uomo, battendo le mani. Urla qualcosa ai suoi allievi, che in mezzo secondo ci portano due divise.
«Che facciamo?»
«Un dolce degno di questo nome. Le nuove generazioni sono dei pezzi di legno» ride Adrien, abbottonandosi la casacca bianca.
«Cosa proponi?»
«Torta Reale al cioccolato?»
«È un tentativo di suicidio?» chiedo legandomi i capelli in una coda alta.
«Ci verrà, vedrai» insiste lui.
«Come vuoi» alzo le mani, quindi Adrien comunica al pasticcere la scelta. L'uomo batte le mani con un risolino gutturale e ci fa segno di raggiungere la cucina, ormai sgomberata dagli alunni.
«Faccio io la dacquoise alla nocciola» spintono leggermente il biondo, superandolo.
«Io pralinato e glassa specchio. Ti occupi tu della mousse», si trae in salvo tirandosi fuori da una delle parti più importanti.
«Bastardo» rido io, scuotendo la testa. Lui mi allunga una bastardella con un sorriso di miele in una muta richiesta di scuse, quindi recupero delle uova e iniziamo a lavorare sotto gli occhi degli alunni di monsieur Fache.
Monto uova e burro velocemente, ridacchiando alle battute che Adrien sussurra di tanto in tanto per alleviare la tensione, che intanto sta caramellando le nocciole. La mousse si rivela più facile del previsto, e assemblo da sola la base per la torta.
«Scansafatiche» borbotto in direzione di Adrien, che sgranocchia nocciole dall'altro lato del bancone.
«È che ti stanno proprio bene questi jeans» replica lui, prima che io mi accorga di dove è puntato il suo sguardo.
«Ma puoi guardarmi il culo davanti a una classe di pasticceri?» protesto lanciandogli contro un canovaccio. Lui ride in risposta, schivando lo strofinaccio.
«Non è mica colpa mia. Mi devo ricordare di-»
«Adrien!» lo fermo subito, capendo dove vuole andare a parare.
«Dicevo solo che non vedo il segno degli slip» si giustifica lui, come se fosse normale. Io boccheggio, ormai rossa in viso.
«Ma cosa...?» tento imbarazzata.
«È pura curiosità» ride lui, facendo spallucce mentre si infila in bocca una nocciola caramellata.
«Ti sembra il momento di porti certi quesiti?!»
«Va bene, va bene» alza le mani lui, rimettendosi a lavoro. Io ridacchio tra me e me, quindi finisco di assemblare la base, ricoprendola con il primo strato di crema e aggiungendo il pralinato.
Posiziono la torta sulla griglia, quindi osservo Adrien glassarla con facilità disarmante. E lo ammetto, gli occhi mi cadono lì.
Lui può e io no? Ma dai, per favore.
«Amanda?» mi richiama facendo scorrere una spatola sotto la torta, prima di sistemarla su un vassoio per metterla nella cella frigorifera.
«Dimmi»
«Sbaglio o mi stai guardando il culo?» mi chiede divertito.
«Sbagli» mugugno fingendomi indifferente.
«Certo» ride lui, infilando la torta in frigo. «Beh, adesso abbiamo quindici minuti di pausa»
«Dieu, j'espère qu'ils ont appris quelque chose» borbotta monsieur Fache.
«J'espere ça» ride Adrien, pizzicandomi un fianco con evidente divertimento.

Quando usciamo dalla cucina di monsieur Fache sono le sette, e l'appuntamento a casa di Adrien è alle otto e mezza. Lui sembra molto divertito dalla cosa, io sono tra il panico e il terrore. Arriviamo in hotel alle otto, e dire che io mi fiondo in doccia è dire poco. Lui mi osserva appoggiato allo stipite della porta mentre mi spoglio di fretta, legandomi i capelli nel tentativo disperato di liberarmi dei pantaloni, saltellando come un'ossessa.
«Svelato il mistero» mormora assorto. «Il trucco era il perizoma» accenna un sorriso divertito, quindi gli lancio contro i vestiti e l'intimo per ripicca.
Ovviamente gli rimane in mano solo il perizoma, e messa così sembra proprio una dichiarazione di intenti. Un sorriso furbo gli increspa le labbra, quindi mi volto, imbarazzata, ed entro sotto il getto caldo d'acqua. Adrien però, mi raggiunge qualche secondo più tardi, scalzo e ancora vestito di maglietta e pantaloni.

«S-sei vestito» borbotto schiacciata contro la prete gelida di mattonelle.
«Spogliami» mi incita con un gesto di sfida del mento e un sorriso malizioso. Le sue dita percorrono i miei fianchi nudi, stringendoli e infiammando zone che non c'entrano un'accidente con i fianchi stessi. Passo le mani sul petto solido e poi infilo timidamente le dita sotto la maglietta umida, accarezzando il torace scolpito. Sollevo la maglietta e aspetto che mi aiuti a sfilarla, quindi la lascio cadere sul piatto della doccia, ammaliata dai suoi occhi. Percorro con un dito una linea immaginaria che attraversa in verticale pettorali e addominali, finendo al bassoventre con una contrazione dei muscoli. Accenno un sorriso, quindi sfilo lentamente la cintura dai passanti, godendomi il suo respiro mozzato. Con dita abili sbottono il bottone e tiro giù la zip dei pantaloni, agganciando anche i boxer prima di trascinarli giù entrambi, sotto i suoi occhi. Ritorno in piedi con uno sguardo pieno di lussuria, quindi mi fingo indifferente.
«Fatto» pronuncio sicura, sempre più vicina al suo viso. Lui accenna un sorriso, quindi avanza verso di me. Io indietreggio istintivamente, finendo dritta sotto il getto d'acqua.
«Sei bagnata» mormora tra il divertito e il malizioso. In tutta risposta lo tiro sotto il getto della doccia con me, aggrappandomi alle spalle possenti implorando un bacio. Trovo le sue labbra come calamite, sbilanciandomi all'indietro fino a trovare la parete fredda dietro di me. Adrien mi morde il labbro inferiore, afferrando la bottiglia di bagnoschiuma. Ne lascia colare una quantità ingente nella sua mano e poi la passa sulle mie spalle, insaponandomi. Il mio respiro si mozza, schiudo le labbra e reclino la testa all'indietro, in balia delle sue mani.

La situazione si conclude con un ritardo disastroso. Mi asciugo alla velocità della luce, completamente nel panico per una delle ragioni di confusione mondiale: non so cosa mettermi. Ho la valigia piena, ma la testa vuota. E giuro che non mi viene in mente nulla che possa andare bene. È tutto troppo scollato, troppo accollato, troppo corto o troppo lungo, troppo nero o troppo colorato. E se mi vanto spesso di non indugiare mai più di dieci minuti davanti all'armadio la mattina, ora sono nel pallone. Guardo con espressione assente i vestiti piegati nei due scomparti, cercando di immaginare una combinazione che vada bene.
Vestito?
Gonna e maglione?
Pantaloni?
«Amà, t'apposto?» mi chiede Adrien, ormai quasi pronto. Io mi volto verso di lui, accorgendomi di aver sprecato altri preziosi minuti a fissare il vuoto.
«No! Non so cosa mettermi» sbuffo contrariata, ancora in accappatoio.
«Ah» replica lui, intento ad arrotolare una manica della camicia. «Scegli» mi rifila un'occhiata stranita, evidentemente nuovo a questo tipo di problema.
«E fin qui c'eravamo tutti» borbotto piegandomi per tirare fuori un'abito verde scuro. Nah, troppo formale. Posso andare in pigiama?
Ah, no, giusto. Non ho manco quello.

Getto l'abito nella valigia e prendo una gonna di velluto rosso ruggine.
No, troppo appariscente.
Frugo tra i miei vestiti fino a trovare un'altra gonna, questa volta nera e corta.
No, per carità.
«Ne hai per molto?»
«Non riesco a scegliere. Aiutami» sbotto io, gettando sul letto una maglietta.
«Beh, per me puoi venire pure così»
«Fai il serio e aiutami» ribatto mettendomi le mani sui fianchi. Lui si avvicina a grandi passi e dà un'occhiata alla mia valigia, piegandosi per osservare i vestiti.
«Questi me li ricordo, li hai messi quando siamo andati al cinema» tira fuori un paio di pantaloni di velluto a costine a vita alta, indossati per la prima volta quando siamo usciti da lavoro e abbiamo deciso di sostare in piazza della Repubblica al The Space.
«Troppo informali» lo liquido subito, nervosa.
«Questa?» mi chiede tenendo tra le dita una gonna di seta color argento.
Dio, ma che avevo in testa quando ho fatto la valigia?
«Troppo leggera»
«Ma è sexy»
«Appunto. Gonna scozzese non se ne parla, mollala. Questo?», alzo davanti ai suoi occhi un vestito di velluto nero, con scollo quadrato e mezze maniche.
Lui in tutta risposta alza un pollice una aria e poi mi rivolge un sorriso sghembo.
«Posso scegliere io l'intimo?» prova a corrompermi, baciandomi la mano che tiene l'abito.
«Non se ne parla» taglio corto, scuotendo la testa.
«E dài, tanto ho già scelto» sporge il labbro inferiore e mi morde l'anulare, ancora seduto vicino alla valigia. «Facciamo prima così» continua convinto.
«Mi stai corrompendo» protesto accarezzando il contorno delle sue labbra con l'indice. Così sembra un po' una proposta di matrimonio, che al posto di un matrimonio proposto ha una notte di fuoco in promessa.
«È un sì?» mi chiede euforico.
«Fa' come vuoi» lo liquido rassegnata. Lui sorride vittorioso, e tira fuori dalla sacca dell'intimo un reggiseno di pizzo nero, lanciandomi poi contro come se fossero una fionda degli slip che hanno ben poco di coprente. Figuriamoci.
Mi vesto a tempo flash, rompendo un paio di collant prima di riuscire a indossarne senza smagliature. Infilo le scarpe saltellando ed esco dalla stanza con il cappotto in mano, seguita da Adrien, a cui il ritardo non sembra fare fastidio per niente. Prendiamo il primo taxi libero e in macchina mi viene impartita una breve lezione sulla famiglia Leroy-Ravenna.
«Sicuramente mia madre ha invitato altre due o tre persone; se siamo fortunati parlano inglese, sennò le botte di culo ci hanno abbandonati. Se te lo chiede, tu non sei interessata a vedere gli album fotografici, i video delle gare di nuoto, né quelli delle recite di fine anno, okay? Non devi dare alcun tipo di interesse verso le conversazioni che mi riguardano, o rimaniamo infossati lì fino alle tre. Mia madre è capace di parlare di me, Alexis o Camille per ore intere. Lei parla italiano e francese, mio padre non capisce un cazzo di italiano e parla l'inglese come lo parlano i piccioni, quindi non ci provare neanche a farti capire, è una causa persa. Come minimo ti costringeranno a buttare giù quattro bicchieri di vino rosso, mangia tanto così asciuga e non finisci ubriaca dopo il primo quarto d'ora. I francesi doc tendono ad avere un'espressione schifata per la prima mezz'ora di conoscenza, quindi chiunque siano gli ospiti, se ti guardano male è perché si sentono in dovere di fare i coglioni parigini, non perché ti odiano. Mi scuso in anticipo per tutto quello che stai per passare» sbuffa tutto d'un fiato, rilassandosi contro il sedile dell'auto.
«Chiaro»
«E se te lo chiede, no, non faccio lo spogliarellista per salvare il culo a Camille» aggiunge grattandosi la tempia. «Se ti fanno schifo le escargot, che sono quelle ripugnati lumache con il burro, allora vuol dire che hai il cervello a posto» ride poi, schioccandomi un bacio sulla guancia.
«Vuoi scrivermi un libretto delle istruzioni?» gli chiedo divertita. Lui si stringe nelle spalle come se ci stesse pensando davvero.
«Sarebbe un'idea. Non augurerei a nessuno una cena dai miei, ma ogni tanto il karma gira». Ridiamo insieme, finché il taxi non si arresta davanti a un palazzo che affaccia sulla Senna.
Perché mi sudano le mani?
«Amà, non tremare così oppure giuro che ce ne torniamo in hotel. Sta' calma, uhm?»
«Uhm» confermo con una smorfia.
«Ti vedo convinta»
«Lo sono»
«Okay»
«Okay».
Dopo aver suonato al citofono entriamo in ascensore, tenendoci per mano con aria afflitta. Nessuno dei due sembra essere particolarmente felice della serata che siamo in procinto di trascorrere.
Quando le porte dell'ascensore si aprono all'ultimo piano faccio per uscire, prima di venir trattenuta e schiacciata contro la parete fredda. Adrien mi bacia con trasporto, rubando un'attimo di più al tempo per farmi sciogliere tra le sue braccia. Mi bacia come se avessimo tutto il tempo del mondo, lentamente, intensamente. Affonda una mano nei miei capelli e mi tiene più vicina, stringendomi un fianco con una mano. Quando abbandona le mie labbra mi strizza l'occhio, facendomi ridere, prima di uscire dall'abitacolo mano nella mano.
Suona in campanello giocherellando con le nostre dita intrecciate finché sua madre non apre la porta, raggiante come l'ho vista ieri pomeriggio.
«Siete arrivati!» esclama sciogliendosi in un sorriso sincero. «Stavamo giusto parlando di voi con Jean»
Oddio, chi è Jean?
«Dio, è un'incubo» ringhia invece a denti stretti Adrien, lasciando che io entri per prima.
Zeus, proteggimi.


Raga io ve lo dico: ultimamente sono in crisi con i nomi dei capitoli, ma pace.
Come va?
Spero tutto beneeee.
Io sono tanto felice di essere tornata a Roma, sebbene distrutta visto che ieri ho avuto la malsana idea di fare 13.000 passi in giro con una mia amica, e stamattina mi sento morta dentro. Ad ogni modo, cosa non si fa per la dieta? ahaha.
Vi è piaciuto il capitolo?
Spero di sì. Era un po' sconclusionato, ma ci tengo a dare un bel po' di spazio come coppia completa a Adrien e Amanda, cosa che Diane e Aidan non hanno avuto molto.
Se vi state chiedendo se mi sia dimenticata di Just one look, no, ma ho bisogno di tempo e voglio concentrarmi su Sugar ancora per un po'. Ma quanto è bello Adrien a metà tra il ninfomane e il romantico?
Io spero che vi sia piaciuto il capitolo, e ci vediamo prestissimissimo.
Vi amo
Andate in pace
Lily❤️❤️

Cette fois je pense que je suis tombé amoureux sérieusement= stavolta penso di essermi innamorato seriamente.

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