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42. Colpa tua

Va bene, lo ammetto, forse forse Adrien aveva ragione: sono un tantinino stanca.
E questo lo dico perché lo sento, non perché mi sono addormentata in macchina e lui mi ha portata in braccio fino al mio appartamento. Al momento poi, sto cercando di ricordare quello che mi ha detto prima di lasciarmi qui per andare a fare la sua valigia.
Aspetta, com'era?
Quindici minuti...aereo...caffè?
Non mi ricordo niente.

Grace, seduta sul mio letto e praticamente addormentata, sta cercando di aiutarmi a fare la valigia. O meglio; in due non siamo  ancora riuscite ad aprire la zip, ma sono sicura che nei quindici minuti prestabiliti da Adrien riusciremo a fare grandi cose.
Tipo addormentarci.
«Allora» esalo strofinando una salvietta sul mio viso per struccarmi. «Tu mi fai un caffè, e io metto le cose sul letto. Tra dieci minuti le infiliamo insieme in valigia» la mi voce è strascicata, ma Grace sembra capire, perché, sebbene ormai mezza svestita, si dirige in cucina. Io apro il mio armadio e raccatto una sacca per l'intimo.
E sì, sono abbastanza sicura di aver svuotato il cassetto.
Lancio la sacca sul letto e mi preoccupo di tirare fuori un paio di gonne e dei pantaloni dai colori neutri. Stessa cosa sarebbe dovuta accadere per camicie e maglioni, ma ormai ho completamente smesso di ragionare.
Alla fine decido di rimanere con l'abito del matrimonio e guadagno dieci minuti di sonno accovacciata accanto alla mia valigia sul letto. Per grazia di Dio riesco a infilare le cose nella mia valigia e poi getto alla rinfusa un paio di scarpe.
Grace mi mette in mano ben due tazzine di caffè largamente zuccherate, e mi suggerisce di buttarle giù come shot di vodka. Tre minuti più tardi sono più sveglia di quanto io non lo sia mai stata.
«Che c'hai messo in quel caffè?» le chiedo stralunata.
«Ho fatto il caffè dello studente» replica risoluta. Il caffè dello studente è un religione nella nostra famiglia: dove l'acqua della moka viene sostituita con altro caffè, con il risultato di un caffè doppio ed estremamente forte. Una botta di caffeina da trentasette ore di studio ininterrotto.
«Ah, ecco» mormoro io, infilando i documenti nella mia borsa.
«Ti dispiace se vado a dormire?» mi chiede lei, con un filo di voce.
«Figurati. Ti voglio bene, Grace. Ci vediamo tra cinque giorni» ci abbracciamo nel silenzio della mia stanza, stringendoci forte.
«Mandami un messaggio quando arrivi. Stai attenta, e fai tanto sesso, mi raccomando» mi schiocca un bacio sulla guancia prima di passarsi le mani sul viso e uscire dalla mia camera. Sto per obiettare quando al vedo entrare nella camera di Edoardo, poi mi mordo la lingua e trattengo a stento un sorriso.
Forse è la volta buona che Edoardo intraprende una relazione seria.

Io mi preoccupo di avere un'aspetto decente, quindi chiudo la valigia, la abbandono nell'ingresso e mi verso un'altra tazzina di caffè. Edoardo sbuca in salotto qualche minuto più tardi, in pigiama e con i capelli disordinati.
«Prendo un plaid» indica una delle coperte abbandonate sul divano, quindi la pesca con una mano e se la getta sulla spalla. «Grace ha freddo» spiega. «Tu stai attenta, mi raccomando. E non rimanere incinta»
«Ma, Edo-» boccheggio io, spalancando gli occhi.
«Non fare la santa con me. Non voglio diventare zio a ventiquattro anni. Ci vediamo tra qualche giorno, ti voglio bene» mi avvolge con la coperta e mi schiocca un bacio sulla guancia, sorridendo. Poi mi guarda e si sfila la felpa grigia, rimanendo in t-shirt. Me la infila dalla testa e sorride soddisfatto.
«Fa freddo. Copriti, e chiama quando arrivi. Ciao, Amy». Il citofono suona nell'esatto istante in cui sciogliamo il nostro abbraccio, e per un'istante vengo colta da un'orribile presentimento. Mi sembra un'addio, e per un secondo rimango terrorizzata. Salto addosso a Edoardo, abbracciandolo con gli occhi umidi e il mento tremante.
«Tu stai attendo, Edo. Ti prego» la mia voce incrinata è l'unico suono udibile nella stanza, e lui mia stringe a sé, rassicurandomi con una serie di pacche sulla schiena.
«Sta' tranquilla, e divertiti. A presto» mi schiocca un'ultimo bacio sulla fronte e poi apre il portone e la porta, attendendo Adrien appoggiato al muro.
Sebbene abbia una coperta con i koala disegnati sopra sulle spalle e sia mezzo addormentato, riesce comunque a fulminarlo con lo sguardo quando arriva sul pianerottolo, anche lui ancora vestito con gli abiti del matrimonio.
«Vedi di stare attento a mia sorella» borbotta risentito.
«Lo farò. Pronta?» chiede poi, posando lo sguardo su di me. Io annuisco, tirando su le maniche della felpa enorme che ho addosso per prendere borsa e valigia. Mollo un pizzicotto a Edoardo, ridacchiando mentre mi guarda risentito, quindi lo saluto con la mano prima che porta si chiuda alle mie spalle. Adrien mi toglie dalle mani la valigia e mi precede sulle scale, dopo avermi schioccato un bacio sulla tempia. Salgo in macchina raggomitolandomi nella felpa di mio fratello, quindi osservo per tutto il tragitto da casa a Fiumicino, Adrien che guida. È indicibilmente bello anche mentre sbadiglia in autostrada, strofinandosi gli occhi con una mano. Il caffè continua a fare effetto perché smetto definitivamente di avere sonno e riprendo a pensare lucidamente.
E ovviamente mi torna in mente che ho dimenticato il pigiama. E pure il dentifricio. Li ho presi i calzini?
Quando arriviamo a Fiumicino mi stupisco di trovarlo pieno zeppo di persone in partenza e in arrivo anche a quest'ora.  I controlli e il check-in rasentano la noia più totale, e becco perfino Adrien a mormorare parolacce inveendo contro la signora davanti a noi, che si rifiuta di far controllare la valigia. Quando, per grazia di Dio, riusciamo a salire in aereo ormai sono le due e un quarto del mattino. Adrien si libera di giacca e cravatta, sbottonando la camicia e arrotolandone le maniche.
«Amanda» mi chiama sporgendosi verso di me. «Smetti di essere incazzata perché non ti ho fatto pagare il biglietto e mi dai un bacio?», alza le sopracciglia in attesa di una replica. Io mi mordicchio il labbro, ancora un po' risentita. Adrien Leroy non ascolta neanche le profezie dei Maya quando si impunta su qualcosa.
«Il bacio te lo do, ma al ritorno mi ascolti» borbotto sporgendomi verso di lui. E il sorriso che gli increspa le labbra lascia pensare a quando non mi lascerà neanche pagare un bagel all'aeroporto. Il bacio però, glielo dò comunque.
Affonda una mano nei capelli sulla mia nuca e mi bacia lentamente, quasi a scusarsi. Insinua la lingua nella mia bocca e mi tira più vicina, poi mi morde il labbro inferiore. Siamo separati solo dal bracciolo dei sedili, e entrambi accusiamo i cinque giorni di distanza che ci hanno tenuti lontani. Un po' ci si è messo di mezzo il mio ciclo mestruale (che per fortuna ci ha confermato che la durex ha dei prodotti leali), un po' il lavoro, un po' le sue serate al locale di Camille da cui torna stremato la maggior parte delle volte, visto che l'ultima volta sono riusciti a fare le sei, in aggiunta ai suoi allenamenti, che esegue con precisione meticolosa, molto più regolarmente dei miei in pista, e in più i preparativi per il matrimonio, in cui mia madre mi ha coinvolta senza alcuna ragione apparente. Insomma, alla fine, dalla sera in cui Grace ci ha chiamato dopo gli allenamenti, non abbiamo  avuto modo di consumare un matrimonio mai avvenuto. E adesso ci pesa da morire.
Lecco lentamente il contorno delle sue labbra e lo tiro per il colletto della camicia, tenendolo incollato alle mie labbra. Affondare le dita nei suoi capelli mi sembra fin troppo bello per essere vero. Adrien lascia scivolare una mano sulla mia coscia, accarezzandola sotto la gonna fino a quanto è consentito per non rischiare una denuncia per atti osceni in pubblico. Le sue labbra morbide e carnose mi baciano come se non avesse mai fatto altro; morde, lecca e succhia fino a farmi mugolare. Mi pizzica la coscia per intimarmi di non allarmare l'anziana signora accanto a lui, e insieme ridacchiamo, lanciando un'occhiata alla vecchietta incartapecorita che sta ascoltando dell'opera con delle cuffie enormi.
«E colpa tua» sussurro divertita.
«Ah, adesso sarebbe colpa mia?» ride lui, fingendosi incredulo. A interromperci è la voce del pilota, che annuncia la partenza.

La tratta Roma Fiumicino - Parigi Roissy Charles De Gaulle è di due ore piene, con aggiunta di mezz'ora tra decollo e atterraggio. Per non parlare dei controlli, il recupero delle valigie e l'uscita dall'aeroporto pieno zeppo di persone. Non ci sembra vero tanta è la tensione sessuale accumulata in tre ore di viaggio. Mi sento tesa, come attraversata dalla corrente elettrica, e quando entriamo in taxi finalmente ci avvinghiamo l'uno all'altra a discapito del povero autista. Adrien pronuncia con voce strascicata all'autista un l'indirizzo, prima di infilare le mani sotto le mia gonna e stringermi i glutei. L'autista borbotta qualcosa in francese e si lascia inglobare nel traffico parigino. Io e Adrien, nei sedili posteriori, stentiamo a contenerci. Mi morde l'orecchio, soffiando sulla mia pelle sensibile fino a farmi rabbrividire. Io salgo a cavalcioni su di lui, strusciandomi sul cavallo dei suoi pantaloni fino a strappargli un ansimo sommesso. Anzi, più di uno. Finiamo semi sdraiati sul sedile, a ridacchiare quando ci accorgiamo delle persone sui marciapiedi, a cui la scena non è sfuggita. Alla fine rimaniamo avvinghiati, tra il sonno e la passione finché l'autista non si ferma davanti a un'hotel e Adrien si affretta ad allungare delle banconote prima che io possa anche solo aprire bocca. Il biondo ignora la mia occhiataccia e mi schiocca un bacio sulle labbra, uscendo per primo con la cravatta in mano.
«Non avevi una casa a Parigi?» gli chiedo curiosa, recuperando la mia valigia.
«Ho perso le chiavi, e la copia è dai miei. Non mi sembrava il caso di piombare a casa alle quattro del mattino» scrolla le spalle, quasi divertito, quindi mi prende per mano e insieme entriamo nella hall illuminata dell'hotel.
Che dire? È tutto così...francese.
Mi beo della voce di Adrien che parla in francese con la receptionist, poi mi chiede i documenti e la sua mano si intrufola sotto la mia gonna mentre la donna è girata a cercare dei documenti. Spalanco gli occhi, presa alla sprovvista. Boccheggio in silenzio davanti all'espressione maliziosa di Adrien, che gioca con l'elastico del mio tanga, trascinandolo su e giù.
«Ma che fai?» sussurro allarmata.
«Uhm...niente» mi strizza l'occhio, quindi prende la carta magnetica che apre la nostra stanza e mi lascia un pizzicotto su un gluteo, invitandomi a procedere verso gli ascensori. Basti dire che appena entriamo in uno degli abitacoli deserti finisco incastrata contro la prete gelida, in balia delle sue mani. Raggiungiamo la stanza a stento, barcollando e inciampando nei nostri stessi piedi. Ci intimiamo a vicenda di fare silenzio visto l'orario, ma alla fine ridacchiamo come matti insieme. Le valige finiscono accatastate nell'angolo più vicino alla porta, mentre i vestiti vengono abbandonati sul pavimento. Cadiamo insieme sul letto, abbastanza sicuri di aver cancellato completamente il sonno dalle nostre priorità per questa notte.
«Tra poco sapranno tutti il mio nome» mi dice Adrien con uno sguardo malizioso e carico di promesse, mentre slaccia con un gesto lesto il mio reggiseno.
E le promesse vengono mantenute, tutte. Vengo tre volte, rendendo consci tutto il resto degli ospiti che un certo Adrien alberga in questa stanza. Lui è più contenuto di me, ma comunque lo spettacolo più bello rimane guardarlo mentre schiude le labbra in preda al piacere e reclina il capo in avanti, socchiudendo gli occhi con un ansimo sommesso. Prendo pace alle sei, e prima che possa cadere definitivamente in un sonno profondo lo sento alzarsi.
«Dove vai?» mormoro con gli occhi chiusi. Per un'attimo penso che non mi abbia sentito, prima che mi lasci un bacio sul collo.
«A lavoro. Tu dormi, quando torno ti porto a colazione» mormora con voce roca.
«Ma non hai dormito» obbietto schiudendo le palpebre per guardarlo negli occhi.
«Dormo dopo» sussurra con un sorriso dolce come il miele. Mi sento improvvisamente in colpa per non averlo fatto riposare, quindi passo una mano nei capelli biondi e annuisco.
«Sarò qui» mormoro assorta.
Resto in stato di dormiveglia per i dieci minuti che impiega sotto la doccia, quindi lo sento aprire la sua valigia e vestirsi in silenzio. Mi lascia un bacio sulla fronte, uno sulla guancia e uno sulle labbra. Lo sento esitare, poi però si china di nuovo su di me e mi bacia di nuovo.
«Je t'adore. E lo so che sei sveglia» ridacchia, poi mi accarezza i capelli e se ne va, chiudendo la porta pianissimo e lasciandomi con un sorriso genuino sulle labbra.
Ti adoro anche io.

Dormo per quattro ore di fila, rigirandomi nelle coperte profumate del letto con un pizzico di soddisfazione. Non sento neanche la serratura scattare, e mi accorgo della presenza di Adrien quando delle labbra morbide come il velluto si posano sulla mia spalla.
«Sei tornato» mugugno mentre schiudo gli occhi, sorridendo come una bambina. Sarà che sono rincoglionita dopo un matrimonio, un volo e due ore di sesso, ma mi sento immensamente felice. Incontro il suo sguardo luminoso e un sorriso che mi fa sciogliere, mentre allungo le braccia per abbracciarlo.
«Volevo tornare indietro già quando ero in corridoio. Tu, che dormi, nuda, e io con la chiave della stanza è una specie di sogno proibito» ridacchio sulle sue labbra tirandolo sul materasso con me. Finiamo con le gambe e intrecciate e le labbra incollate.
«Che hai fatto?» gli chiedo curiosa, puntellandomi sui gomiti. Lui si sistema un braccio dietro la testa a mo' di cuscino e fa finta di pensarci su.
«Vediamo... ho litigato con il mio manager alle sei e quindici del mattino, ho fatto un paio di prove, una riunione e poi sono passato in studio da mio padre, quindi sono andato anche in atelier dalla mia genitrice e l'ho informata sui trascorsi finti di Camille e Alexis, secondo i quali avrei dovuto dirle che stavano studiano entrambi per la sessione invernale, poi ho recuperato le chiavi di casa mia. E alla fine sono tornato da te» conclude alzando le sopracciglia.
«Ah, ho anche sentito tuo fratello e Grace, terrorizzati e sul punto di chiamare la polizia» aggiunge con nonchalance.
«Porca puttana!» esclamo io, saltando a sedere. Mi sono completamente dimenticata di avvisare Grace e Edoardo.
«Sì, è quello che hanno detto anche loro» ride Adrien. «Erano un pelino incazzati»
«Dio, li ho completamente cancellati dalla testa», sbuffo rumorosamente, ricadendo sul materasso. Io e Adrien ci addormentiamo di nuovo, io nuda, lui ancora con il cappotto. Finiamo abbracciati, e quando mi sveglio ho il suo respiro leggero che mi solletica la fronte. Mi piace immensamente dormire con lui, abbracciata a stretta tra le sue braccia, con il calore dei nostri corpi fuso e un'intimità che si propaga sempre di più. Lancio un'occhiata alla sveglia sul comodino, e salto a sedere quando mi accorgo che ormai è l'una. Nell'istante in cui infilo uno degli accappatoi dell'hotel e mi alzo in piedi bussano alla porta, quindi mi assicuro di essere ben coperta e apro, lanciando un'occhiata al biondo ancora addormentato.
«Bonjour» mi saluta un cameriere dagli occhi scuri e la pelle ambrata, con i riccioli neri a ombreggiargli la fronte. Mi rivolge una lunga occhiata e sorride malizioso. «La cuisine propose un bruch pour les invités», il ragazzo, che non avrà oltre i vent'anni, ammicca vistosamente e indica con un cenno del capo il vassoio coperto da una cloche che tiene tra le mani.
«Sorry, I don't speak french» accenno un sorriso imbarazzato e avvampo, infastidita dalle occhiate che mi rivolge.
Ma quand'è che si sveglia Leroy?
Mi lascia da sola a gestire i camerieri francesi?
«Oh, i'm so sorry. Here's a bruch for you, offered by the kitchen. Hope you'll enjoy Paris. Are you engaged?», per un'attimo credo di aver capito male, ma l'occhiata che mi rivolge è infrantendibile.
«Excuse me?»
«Non, elle n'est pas seule. Au lieu de cela, vous n'avez rien d'autre à faire que de rester ici?» una voce irata alle mia spalle segnala che Leroy si è finalmente svegliato. Volto le spalle al ragazzo per guardare un furioso biondo che si avvicina con uno sguardo tale da gelare il sangue nelle vene. «Tu peux y aller» continua stringendomi un braccio intorno alla vita. «Et vous pouvez ramener le brunch al là cuisine» brontola ancora, trafiggendolo con lo sguardo.
«Excusez-moi» borbotta il cameriere, prima di andarsene. Adrien chiude la porta con un gesto irritato e contrae la mascella.
«Poverino... Stava facendo il suo lavoro» obietto divertita da quella che sicuramente era una mezza scenata di gelosia.
«Ma cosa...? Il suo lavoro è chiederti se sei fidanzata?» sbotta lui, togliendosi finalmente il cappotto nero per gettarlo sulla sua valigia aperta. «La prossima volta chiudigli la porta in faccia» continua incrociando le braccia al petto.
«Adrien»
«Cosa?!»
«Ti calmi? Non è successo nulla! Magari voleva solo sapere quanto cibo portare la prossima volta!» incrocio le braccia al petto, arrivando a mezzo centimetro da lui, costretta ad alzare il viso per guardarlo.
«Va bene, fa' un po' come cazzo ti pare. Io te lo dico: quel tipo sembrava voler sapere piuttosto se poteva rimorchiarti, di sicuro non informazioni su quanto cibo mangiamo!» sbraita puntandomi un dito contro.
«Hai pure rimandato indietro il cibo! Io sto morendo di fame» lo accuso io. E lui, all'improvviso, scoppia a ridere.
«Hai ragione, scusa. Non mangiamo da ieri sera» mormora tra le risate. Io scoppio a ridere con lui, scuotendo la testa.
«Adesso ci vestiamo e andiamo a pranzo, uhm? Tanto per chiedere, che hai sotto quell'accappatoio?» giocherella con la cintura di spugna dell'accappatoio, tenendola tra due dita.
«Tanto per rispondere, nulla» replico scrollando le spalle, fingendomi disinteressata.
«Cazzo, questo non dovevi dirmelo» sbuffa lui, avvicinando il viso al mio fino a farmi smaniare per un bacio.
«Perché?»
«Perché non raggiungeremo mai il ristorante di questo passo» mormora assorto, tirando la cintura di spugna bianca fino a far sciogliere il nodo definitivamente. Osserva con attenzione la mia pelle occhieggiare sotto al tessuto e poi ghigna.
«Anzi, ne riparliamo all'ora di cena» continua prendendomi il braccio di scatto. Mi porta con due falcate fino al letto e mi lascia al centro del materasso, tenendo gli occhi incollati ai miei. A me sfugge un'urletto quando atterro sul piumone bianco, quindi indietreggio verso la testata del letto, tra l'eccitazione e un sentimento simile alla paura, ma più divertente. Adrien si libera di maglione e pantaloni tenendo gli occhi su di me, con uno sguardo che mi fa fremere dalla voglia di essere di nuovo sua. Chiudo istintivamente le gambe quando affonda con un ginocchio sul materasso e si avvicina a me, predatore. I miei occhi scivolano sul torace scolpito, fino al basso ventre, dove l'elastico di un paio di boxer bianchi della Calvin Klein blocca la mia visuale per il paese delle meraviglie.
Che ho fatto di così buono nella vita?
Me lo merito questo premio?
È per le ottime prestazioni da chierichetta, vero?

Adrien mi aggancia per le cosce, trascinandomi sotto di sé con uno scatto felino. Mi mordo il labbro per non urlare dall'eccitazione e aggancio le gambe dietro la sua schiena, respirando affannosamente. Scende a baciarmi il collo, pizzicandomi saldamente i capezzoli fino a farmi gemere rumorosamente. Mi struscio sul suo bacino tanto da fare concorrenza a una gatta in calore e mi godo i suoi ansimi spezzati come premi personali. Smanio per liberarlo dei boxer, quindi lascio che mi blocchi i polsi sopra la testa con uno sguardo carico di brutte promesse. Mi penetra di colpo, strappandomi un'urlo di piacere che si perde nel silenzio della stanza, riempito dai nostri respiri affannosi. Stringo forte le gambe attorno ai suoi fianchi snelli e mi mordo il labbro per non ansimare. La missione fallisce inesorabilmente quando al ritmo sostenuto e incalzante delle sue spinte si aggiungono le sue labbra sul mio collo, a mordere e succhiare la mia pelle. Mi sembra di non riuscire a tenere testa a tutte le sensazioni che mi inondano, quindi mi abbandono a lui, rinunciando ad essere padrona delle mie azioni. Ansimo il suo nome inspirando a pieni polmoni l'odore della sua pelle, che mi dà alla testa.
«Di più» gemo io, costringendolo ad accelerare. Adrien ansima quando alzo il bacino e mi accontenta, portandomi così velocemente all'orgasmo che non mi sembra vero. Contraggo i muscoli dell'addome irrigidendomi, intrecciando le mie dita con le sue sopra la mia testa.
Vengo con un grido angosciato, mordendogli il labbro inferiore mentre mi contorco sotto di lui, senza fiato. Lascia i miei polsi per far scivolare una mano tra i nostri corpi e approfittare della mia sensibilità del momento. Graffio la sua schiena quando mi coglie il secondo orgasmo, reclinando la testa all'indietro con un gemito. Adrien viene dopo di me, contraendo gli addominali con un'ansimo sommesso.

E mi sa che Leroy questa volta aveva ragione, perché andiamo avanti così fino alle cinque di pomeriggio, quando ormai ho urlato così tanto che ho la gola secca e mi sembra di non aver mai vissuto diciotto ore più belle di queste. Direi che stiamo recuperando i cinque giorni di astinenza con largo anticipo.
L'aria post-orgasmo è perfettamente visibile sul mio viso, arrossato e completamente rilassato. Ripasso il mascara sulle mie ciglia e infine sistemo un'ultima volta i miei capelli, prima di raggiungere Adrien.
«Andiamo?» accenno un sorriso, quindi indosso il cappotto e osservo Adrien infilare il chiodo di pelle. Mi prende per mano, quindi chiude la porta a chiave e poi ci avviamo per i corridoi.
Nella hall dell'albergo, una voce femminile chiama lo stesso nome che io oggi avrò urlato un centinaio di volte.
«Merda» ringhia lui, stringendomi la mano mentre affretta il passo. «Merda, merd-»
«Adrien, arrêtez!» continua la voce.
«Non ti girare, magari passiamo per turist-»
«Adrien Etienne Tristan Yvan Leroy, arrêtez maintenant
«Mi sa che parla con te» sussurro con una smorfia.
«Eh, ma va?» ringhia lui, voltandosi di scatto. «Che ci fai qui?» chiede poi, rivolto a una donna di mezza età dai capelli biondi. Lei sorride, zuccherosa, e qualche neurone nella mia testa suggerisce che sia la madre.
«Ti sono passata a salutare» replica lei, avvicinandosi a grandi passi.
«Noi stavamo uscendo, quindi in realtà-»
«Ti ho portato il programma di domani» lo interrompe facendo spallucce mentre gli porge una cartellina.
«Mi sembrava di essere stato chiaro quando ho detto che passavo a prenderlo domani» ringhia lui afferrando i fogli.
«Pensavo ti avrebbe fatto comodo. Ce n'era una copia anche a casa tua, ma il portiere ha detto che non sei tornato stanotte» continua lei, sfoderando un sorriso dolce come il miele.
«Ho perso le chiavi» sospira lui, dando un'occhiata veloce ai fogli stampati. «Mamma, lei è Amanda. Amanda, lei è mia madre» continua poi, quasi affranto. La donna di illumina come una lampadina, guardandomi come se avesse trovato il Sacro Graal.
«Oh» si lascia sfuggire la donna, con un sorriso dolce come il miele che assomiglia terribilmente a quello di Adrien, contornato però da labbra più femminili. «È un piacere, Amanda» senza aspettare una replica mi abbraccia d'impulso, avvolgendomi in una nuvola di profumo allo zucchero filato.
«Anche per me» sfodero il sorriso più dolce del mio repertorio e la guardo mentre mi osserva con attenzione.
«Sei una gioia per gli occhi!» esala stringendo le mani.
Io? Ma l'ha visto suo figlio?
«Sì, sì, tutto molto bello. Possiamo andare prima che-» s'intromette Adrien, bloccato seduta stante dalla madre.
«Dovete venire a cena!» trilla sinceramente felice.
«Ecco» tuona lui, prendendo un lungo tiro dalla sigaretta. «Come non detto. Mamma, abbiamo tanto da fare e-»
«Facciamo stasera? Oppure domani, per me non c'è problema» mi lascia un buffetto sulla guancia, quindi Adrien si affretta a fermarla.
«Anche no, uhm? Magari la prossima volta. Adesso noi-»
«Etienne, sei sempre il solito! Per una volta che non esci con una di quelle modelle sceme mi vuoi portare via il piacere di-»
«Proprio per questo! Ritardiamo il momento in cui Amanda capirà che siamo tutti pazzi».
Alle sue parole ridacchiamo entrambi, scambiandoci un'occhiata complice.
«Venite domani a cena, è deciso» s'impunta lei, battendo un tacco a terra. «E tu vedi di non farla scappare. Oppure vedrai solo come ti riduco in poltiglia quella faccia da schiaffi che ti ritrovi» lo minaccia lei, aggrottando le sopracciglia chiare.
«Vedi? Sei bipolare» commenta lui, provocando altre risate. Ride anche sua madre, scuotendo la testa di boccoli biondi.
«Ci vediamo domani sera, fatevi un bel giro. A demain» conclude mandandomi un bacio volante prima di andarsene.
Adrien scuote la testa contrariato, sospirando.
«Poi ti chiedi perché faccio il modello. Ti sembra una donna a cui è possibile dire di no?».



Salve gente
Come va?
Io sono appena tornata a Roma, da appena un'ora e mezza.
Amatemi perché ho avuto a malapena il tempo di tornare a casa e cenare per poi "tentare" di revisionare il capitolo per voi.
Sono più o meno 4000 parole, e ho fatto una fatica immensa a correggerlo (per quel poco che ho fatto) dato che lo avevo riletto tipo 20 volte.
Spero vi sia piaciuto🥰
Ora vado a fare le coccole al mio gatto che non ho visto per un mese intero.
Fatemi sapere cosa ve ne è parso...
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️❤️

Non, elle n'est pas seule. Au lieu de cela, vous n'avez rien d'autre à faire que de rester ici= no, non è sola. E tu non hai altro da fare che stare qui?

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