38. A occhio e croce
«Non riesco a crederci. Non me ne capacito» sbuffo rumorosamente, fissando il soffitto con una smorfia di disapprovazione.
«Non mi resisti proprio» ridacchia Adrien, affondando il viso nell'incavo del mio collo. Mi abbraccia da dietro, spostando le coperte chiare.
«Tu stai male. Dovevi riposare», sbraito io, per nulla convinta. La mattinata è iniziata con la sveglia, le urla di Asia e sua sorella dall'altra parte del muro, e il ricordo della rissa, dell'incidente e del fatto che lui non avrebbe dovuto fare sforzi.
E dire che non ci siamo fermati fino all'alba. Io sono debole, non c'è nulla da fare.
«Basta con 'sta storia. Sto 'na crema, come dite voi romani» ride lui, lasciandomi un bacio sulla guancia. Io smonto un po' la mia espressione imbronciata per voltarmi verso di lui.
«Guarda che sei pure te di Roma, per metà»
«Uhm...però ho lasciato Monti quando avevo quindici anni. Sono passati, a occhio e croce, dieci anni» mormora lasciandomi un'altro bacio sul naso. Io spalanco gli occhi, stupita.
«Ma quanto sei vecchio!», rido, scoprendo i denti. Lui aggrotta le sopracciglia, perplesso.
«Vecchio?» mi chiede affossando le dita nei miei fianchi.
«Vecchio, stagionato, anziano, passato di moda...scegli tu»
«La signorina invece, di due anni più giovane, si sente una duemilasei o cosa?» mi chiede divertito.
«Due anni fanno molta differenza. Tra poco sarai da pensione» continuo a prenderlo in giro, mollandogli un pugno leggero sul petto.
Si vabbè, quante stronzate.
«Mhm...sei proprio sicura?», mi fa rotolare sulla schiena fino a torreggiare su di me, bloccandomi i polsi sopra la testa.
«Sicurissima» asserisco con un gesto deciso del capo, a un soffio dalle sue labbra. Lui, in tutta risposta, lascia scivolare una mano tra i nostri corpi, e in pochi secondi mi mozza il fiato.
«Rinfrescami la memoria...quante volte sei venuta stanotte?» mi chiede con voce roca, soffiandomi parole bollenti all'orecchio. I brividi mi attraversano la schiena mentre schiudo le palpebre, mordendomi il labbro.
«Una?» tentenno, muovendo i fianchi con lievi tocchi per aumentare il ritmo.
«Una, moltiplicata per cinque» mi corregge. «Confermi?» morde la pelle sensibile tra mascella e collo, facendomi fremere. Sono a un passo da un piacere indescrivibile, e lui mi sta tenendo ferma sul bordo del precipizio.
«Confermo» soffio estasiata. Il suo respiro si infrange sulla mi pelle, accentuando le sensazioni che mi tengono in balia.
«Ma se sono così vecchio, allora, sarà meglio che vada in pensione» ride poi, puntellandosi sul materasso con entrambe le mani per alzarsi. Io sgrano gli occhi, bloccata a un secondo dall'orgasmo.
«Adrien!» mi lascio sfuggire un'urlo di frustrazione, tirandomi a sedere.
«Dimmi» ridacchia lui, voltandosi verso di me. Io aggrotto le sopracciglia, tirandolo per un braccio.
«Ho cambiato idea. Vieni qui» farfuglio rossa in viso. Lui ride, e ride di una risata così cristallina che fa ridere anche me.
Finiamo per baciarci per interminabili minuti nel letto e fare l'amore di nuovo.
Quando usciamo dalle coperte lui lascia che mi faccia la doccia per prima, così da non incappare in altri imprevisti che aumenterebbero terribilmente il nostro ritardo a lavoro, e poi la fa lui.
Mentre è sotto l'acqua io torno in camera, e quando ovviamente sono praticamente nuda e ho sotto mano solo i suoi vestiti, sento la serratura d'ingresso scattare, e dei passi nell'ingresso.
Cazzo, i ladri.
Non ci voglio credere. Non ho nemmeno il cellulare, l'ho lasciato in cucina. E chi lo sa il codice di quello di Adrien?
Il panico mi invade istantaneamente, e il sangue mi si gela letteralmente nelle vene mentre mi accorgo che lui probabilmente non ha sentito niente e non posso avvisarlo. Mi infilo la prima t-shirt che mi capita tra le mani e ancora a piedi nudi e con i capelli bagnati socchiudo la porta, avvistando il corridoio, che sfoggia sul pavimento un borsone nero.
Ecco, hanno pure la borsa per portarsi via anche me a momenti.
Prendo in mano l'abat jour di uno dei due comodini e cammino sul parquet chiaro, coperta dal rumore dell'acqua. Avanzo cautamente fino a metà corridoio, dove mi accerto che il salotto sia vuoto. Continuo a camminare verso la cucina, accorgendomi poi che la porta della lavanderia è aperta. Mi preparo, stringendo meglio il metallo e con un piede spingo di scatto la porta, cacciando un urlo quando mi trovo faccia a faccia con una donna dai tratti orientali di mezza età che ha in mano una scopa. La lampada mi cade dalle mani e si frantuma a terra mentre lei lancia un urlo peggio del mio, brandendo la scopa a mo' di spada.
Rimaniamo a fissarci nelle palle degli occhi per una manciata di terrificanti secondi finché una porta alle mie spalle non sbatte e Adrien fa la sua comparsa.
«Ma che state facendo?» tuona sbucando dal bagno con un'asciugamano legato in vita.
«Lei-io...!» balbetto io, indietreggiando mentre indico spasmodicamente la donna. «Insomma, ha le chiavi!» riesco finalmente a dire, raccogliendo frettolosamente la lampada da terra.
«Certo che ho le chiavi! Lo conosco da quando aveva tre anni!» sbraita lei, ancora con la scopa in mano.
Ma ora chi è questa?
La situazione sta diventando ridicola.
Adrien avanza con un sorriso impertinente sulle labbra, scuotendo la testa. Cerco di ignorare le goccioline che scivolano dai capelli bagnati fino al torace e lo guardo in attesa di una spiegazione.
Forse non ti sei accorto di essere mezzo nudo. Anzi, praticamente nudo.
E ti assicuro che la mia sanità mentale è al limite.
«Lei è Marzia. Si occupa di spostare la mia roba affinché io non la trovi», ride mettendomi un braccio attorno alla vita. «Lavorava per mia madre quando vivevamo a Roma. Marzia, lei è Amanda, la mia ragazza. Mi reputa vecchio ed è facilmente impressionabile».
La donna mi guarda per un'altro paio di secondi, prima di sciogliersi in un sorriso dolcissimo.
«Oh, piacere» esala allungando una mano che io stringo dubbiosa. «Mi dispiace averla spaventata»
«Non mi dia del lei...» balbetto confusa.
«Ha ragione, poi si accorge di essere anziana» ride lui, strizzandomi l'occhio. «È mia questa? Ti sta bene, sei sexy», inclina il viso per baciarmi la spalla, facendomi arrossire indicibilmente davanti a Marzia e alla sua scopa.
«Noi andiamo a fare colazione» svia poi lui, perfettamente a suo agio. «Tu cerca di non farmi sparire tutte le scarpe, grazie», mi prende per mano e mi trascina nella stanza di fronte, camminando verso la cucina.
«Sono sempre tutte nella scarpiera!» gli fa presente lei, ridendo.
«Sì, certo» borbotta, schioccandomi un bacio sulle labbra. «Che vuoi per colazione?» mi domanda poi, spalancando il frigo.
«Non credi che dovresti vestirti?» deglutisco io, con gli occhi fissi sui muscoli della schiena, contratti.
«Vero. Fai tu?»
«Faccio io» replico prima che sparisca in corridoio. Appena cinque minuti più tardi lo sento imprecare.
«Le scarpe, merde!»
«Nella scarpiera!» urla in risposta Marzia, evidentemente da un'altra stanza.
«Non quelle di tela, le altre!»
«Sono tutte lì!»
«Ti dico di no! Parlo di quelle dell'ultima settimana a Milano!» grida lui, con un gran frastuono di porte sbattute in sottofondo. Io ridacchio sotto i baffi, scuotendo la testa.
«Quelle nere?»
«Ho solo scarpe nere, grazie al cazzo» ringhia.
«Sono sotto all'armadio» urlo io, affacciandomi dalla porta della cucina. Spero parli degli stivali sdruciti di Saint Laurent neri che albergano sotto l'armadio.
Passa qualche secondo prima che mi arrivi un'urlo di ringraziamento.
«Grazie, Amà!» replica soddisfatto. Pochi secondi dopo, un cellulare comincia a squillare. Lo sento rispondere in francese, e pochi istanti più tardi fa il suo ingresso in cucina con il telefono attaccato all'orecchio. Indossa dei jeans neri che, come ho il piacere di constatare, fasciano perfettamente il fondoschiena marmoreo, e un maglione verde scuro che fa risaltare i capelli color miele. Gli stivali bassi e sdruciti di Saint Laurent, devo ammettere, donano un non so che di attraente e particolare al tutto. Ad ogni modo, si capisce un po' che non è italiano, o almeno non del tutto.
Mugugna qualche parola al telefono mentre mi abbraccia da dietro e mi bacia il collo, assorto.
Io finisco di sbruciacchiare qualche fetta di pane e gli allungo il barattolo di marmellata di more abbandonato accanto alla caffettiera.
Adrien lascia il cellulare in viva voce sul tavolo e inizia a spargere della marmellata su una fetta di pane, per poi porgermela con un gesto che mi fa sciogliere il cuore. Il tizio al telefono intanto, continua imperterrito il suo monologo in francese. Quando si ferma, per chiedere un parere forse, Adrien tentenna, pulendomi un'angolo della bocca con il pollice e poi succhiando la marmellata che mi sporcava il viso.
«Je ne sais pas. Ne pourrions-nous pas organiser pour novembre? Je ne serais peut-être pas seul» borbotta bevendo un sorso di caffè.
«Il y aurait Balmain en novembre. Et autre chose, mais je dois entendre l'agence» dice l'uomo, con una gran confusione in sottofondo.
«Pairfait. A demain, alors» conclude Adrien, chiudendo la chiamata senza aspettare una replica. Sospira rumorosamente, addentando una fetta di pane.
«Vai a Parigi?» gli chiedo scostandomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi.
«Andiamo» mi fa scrollando le spalle. Io sbatto le palpebre, senza capire.
«A lavoro? Sì, ma devo vestirmi e-»
«A Parigi. Io e te» mi blocca lui, buttando giù un bicchiere d'acqua.
Ho sentito bene? Oddio, Marzia mi ha stordita con quell'urlo. Sicuro.
«Eh?» chiedo infatti, confusa.
«Amà, sei sorda? Io e te, a Parigi. Sai, quel posto strano con un'ammasso di ferraglia in mezzo a dei giardini, le baguette, i croissant e il museo strano con una piramide di vetro davanti. Vuoi un disegno?» mi chiede quasi acido.
Qualcuno qui teme un rifiuto?
«Uhm...Parigi» faccio finta di pensarci su, masticando lentamente. La sua irritazione sale ogni secondo che passa, mentre addenta con ferocia la sua fetta di pane.
«Dovrò controllare la mia agenda» scrollo le spalle, con una smorfia altezzosa. Lui si scioglie in un sorriso con tanto di fossetta sulla guancia destra, e mi passa il pollice sull'angolo delle labbra.
«Stai facendo un casino con quella marmellata» ridacchia sollevato.
***
«Fermo!»
«Fermo tu!»
«No, tu!» Tommaso batte la leccarda sul bancone, schiantandola sulla mano di Enrico. Lui, in tutta risposta, continua a mescolare la crema al rum indifferente.
«Chiudete quelle fottute bocche» ringhia Adrien, che di sicuro, in due mesi di lavoro, non ha mitigato il lato irascibile del suo carattere. Siamo tutti mezzi nel panico oggi, a causa di tre ordini importanti, a cui lavoriamo ininterrottamente da stamattina.
«Amanda, potresti dire a Tommaso che ha rotto i coglioni?» sbraita Enrico, affossando la leccarda nella crema mentre mescola come un forsennato.
«Amanda, potresti dire a Enrico che la ricetta dice di mescolare in senso orario?» mi fa Tommaso, indicando con una smorfia la ciotola.
«Oh, ma state un po' zitti. Tommaso, taci, grazie. Enrico, rifate la crema» sbraito io, che sto cominciando ad accusare un po' di pressione per una torta Reale al cioccolato che grava sulle mie spalle con la sua nomea di dolce più difficile. Adrien si sta occupando di una variazione complicatissima di una Sacher con lamponi e cioccolato fondente, mentre Giovanna si limita a mescolare la ganache affinché non si raffreddi con gli occhi fissi sulle vene in rilievo sugli avambracci.
Ti ho vista, bagascia.
A Tommaso e Enrico è stata affidata una torta Foresta Nera, e sono quattro ore che sono bloccati sulla crema con grande divertimento di tutto il laboratorio.
La litigata va avanti fino alle cinque, quando ci apprestiamo sistemare le ultime cose e loro due sono ancora bloccati sulla crema. Gli tolgo dalle mani le bastardelle con il burro e le mollo nel lavello con un gesto impaziente, spingendoli fuori dal laboratorio.
«Andate a casa e pensate al casino che avete fatto oggi. Mi sembrate due bambini dell'asilo. Avete ventiquattro fottuttissimi anni, e non voglio mai più vedere una scena come quella di oggi» tuono lugubre. I due deficienti se ne vanno negli spogliatoi, mollandosi gomitate a vicenda, e due braccia mi cingono la vita.
«Aggressiva. Mi piace» ridacchia Adrien a bassa voce.
«Maniaco», rido scuotendo la testa.
Quando finalmente mi libero dalla divisa ed esco dalla pasticceria, sul mio cellulare alberga un messaggio che mi riporta decine e decine di problemi alla mente.
-Grace
Ti va di uscire tutti insieme stasera? Ho già sentito gli altri. Fammi sapere, baci.
Osservo il display con una punta di rammarico, anche perché non vedo i miei amici da tanto tempo e non voglio farmi bloccare dalle cazzate che fanno Marco e Edoardo. I miei occhi passano dal cellulare ad Adrien, che sta discutendo con al telefono con i fornitori per l'ordine di domani mattina, e all'improvviso mi lampeggia in testa la consapevolezza che non potrò vivere da lui per sempre.
Per quanto mi piacerebbe, per quanto mi ci sia già praticamente abituata, non possiamo andare avanti così. È una situazione precaria che va risolta assolutamente.
-Amanda
Va bene. Dove?
-Grace
Al Piper. Grazie, tvb.
Al Piper mi risuona in testa come una condanna. Come il momento in cui verrò privata della mia salvezza, come la data della decapitazione.
-Grace
Tu conosci un certo Xanvier? Anita viene con lui...
L'ultimo messaggio mi lascia un po' a bocca aperta. Che Anita si rimorchiasse qualunque essere vivente era probabile, ma che si rimorchiasse proprio Xanvier è quasi sospetto. Aggrotto le sopracciglia digitando una risposta in fretta e furia.
-Amanda
Sì, è un'amico di Adrien. Ma come si conoscono?
-Grace
Non so. Fa l'università?
-Amanda
Non ne ho idea.
-Grace
Comunque porta anche Adrien, tanto Marco deve studiare per la sessione invernale ed è pieno fino al collo di esami.
Ecco, a quando apre la voce che io e Marco abbiamo litigato deve aver fatto un bel giro.
-Amanda
Sicura?
-Grace
Sicurissima. A dopo
La conversazione viene troncata con una serie di emoji sorridenti, quindi vengo riportata alla realtà da Adrien, che deve aver vinto la lotta contro i fornitori viso il sorriso che gli illumina il viso.
«Tu lo sapevi che Anita e Xanvier stanno insieme?» gli chiedo aggrottando le sopracciglia.
«Beh, non è che stiano proprio insieme. Diciamo che è più un...amici con benefici?» contrae in viso in una smorfia, inclinando la testa di lato.
«Amici con benefici?» beh, è effettivamente una cosa da Anita.
«Già. C'è pure un film, lo hai visto?» scherza lui, prendendomi per mano.
«Ma Xanvier quando torna in Francia?» gli chiedo sospettosa. Lui scrolla le spalle, evitando i miei occhi.
«Non so» replica schivo.
«Stasera ti va di uscire?»
Sono pure stupida. Lui dovrebbe riposare.
«Uscire? Va bene» apre il bagagliaio della moto e continua a sfuggire al mio sguardo, porgendomi un casco.
«Passo da casa a prendere dei vestiti»
«Mhm»
«Ma che hai?»
«Nulla, nulla». Bipolare.
Il suo mutismo selettivo continua finché non mi lascia davanti al mio portone, schioccandomi un bacio sulle labbra prima di rimettere in moto. Nel mio appartamento fortunatamente c'è solo Mops, che povero, è rimasto da solo con Grace per tutto questo tempo. Mi fermo per un paio d'ore a coccolarlo, sbaciucchiandolo come se non ci fosse un domani finché non mi arriva un messaggio del francese che mi chiede gentilmente dove stracazzo sono finita.
Prendo alla svelta un vestito, timorosa che Grace e Edoardo tornino adesso, e me la dò a gambe, camminando velocemente come se qualcuno mi inseguisse.
Roma vestita d'autunno lascia che il buio inghiottisca le strade quando sono appena le otto, mentre i lampioni schiariscono con luce gialla i marciapiedi umidi e le foglie a terra, calpestate e spezzate. L'aria fresca mi accarezza il viso quando attraverso l'entrata del parco di Colle Oppio e trovo il cancello aperto. Anche il portone non è stato chiuso, quindi salgo le scale e poi suono il campanello. Ad aprirmi viene Jacques, con tutta l'aria di uno che è a casa sua; capelli disordinati, felpa stropicciata e aria stralunata.
«Bonsoir» comincia allegro. «Adrien est énervé de noir» mi rivolge una smorfia contratta, quindi si fa da parte per farmi entrare.
«Cioè?»
«È incazzato nero» traduce chiudendomi la porta alle spalle. Scrolla le spalle e torna in salotto.
«Ah» mormoro sfilandomi il cappotto. Dalla stanza di fronte infatti, provengono parole rabbiose in francese.
«Ciao» esalo adocchiando i due ragazzi seduti intorno al tavolo davanti alla libreria.
«Ciao» ringhia lui, di spalle. Ha davanti il pc e una marea di fogli, quelli che sembrano schemi e la famigerata agendina davanti agli occhi.
Mi avvicino in punta di piedi e mi chino per lasciargli un bacio sul collo.
«Che hai?»
«Problemi. A che ora dobbiamo uscire?» sbotto nervoso. Mi sfugge un sorriso, mentre penso che non sarebbe mai in grado di dimenticarsi di qualcuno.
«Quando hai risolto i tuoi problemi» mugugno quando volta il viso verso di me, lasciando finalmente che i nostri occhi si incontrino. I suoi sono scuri, ombrosi e quasi grigi. Pieni di preoccupazione.
«Ci vorrà una vita» mormora sfiorando le mie labbra con le sue.
«Aspetterò» sussurro sciogliendomi in un sorriso.
«Ehm, ehm...qui ci sarebbe un piano settimanale da stendere per Mr. Voglio-fare-il-cazzo-che-mi-pare-Leroy» ci interrompe Jacques, battendo una matita sul tavolo di legno.
«È colpa tua se sei un manager di merda» sbraita Adrien, girandosi verso di lui.
«Connard» sbuffa l'altro, scorrendo con il mouse un'elenco infinito di Dio solo sa cosa sul pc.
«Buon lavoro» ridacchio io, schioccandogli un bacio sulla guancia. Li osservo per tre quarti d'ora buoni discutere mentre piazzano post-it su uno schema, perdendosi tra francese e italiano, quando io cerco di portare avanti la lettura di Chiamami col tuo nome.
«Ti dico che non puoi fare entrambi» sbotta Jacques, indicando con un movimento frebbrile lo schermo.
«Oui, mais. Devi solo retirer les raccords Bazaar» replica l'altro, schiaffando con rabbia un post-it rosa shocking sul foglio che Jacques gli tende.
«Mais tu non puoi abandonner GQ Sport Illustrated» esplode l'altro strappando il post-it mentre confonde italiano e francese.
«Je te deteste» ringhia Adrien, segnandosi qualcosa sull'agenda. «Bien alors, GQ et le photoshoot pour Elle»
«Sì» conferma l'altro. «Apposto così»
«Uhm» è la risposta sterile di Adrien, che straccia un paio di fogli e li getta nel cestino. Io sorrido tra me e me e mi dirigo in camera per cambiarmi. Quando torno in salotto Jacques se n'è andato, e Adrien ha rimesso a posto il casino che albergava sul tavolo.
«Avete risolto tutto?» gli chiedo tirando su la zip del mio vestito. Lui si volta verso di me, squadrandomi con attenzione prima di inarcare un sopracciglio.
«Esci così?» mi domanda senza rispondere alla mia domanda.
«Già» confermo osservando il minidress rosso che ho recuperato dal mio armadio.
«Non esiste» tuona vigoroso.
«Come, scusa?»
«Non esiste» ripete raggiungendomi con due falcate. «Con questo non riusciremo neanche a uscire di casa» conclude quando alzo il viso per incontrare i suoi occhi.
«Trattieniti, Leroy» ribatto subito.
«Guarda com'è pericolante» ridacchia lui, facendo scivolare giù una spallina di raso. «Potresti mettere...che ne so, una tuta da sci» azzarda con una smorfia divertita.
«Non esiste» replico utilizzando le sue stesse parole. «Vai a svestirti-cioè, no, vestirti» mi correggo subito, arrossendo.
«Puoi svestirmi tu» si avvicina al mio viso con un sorriso malizioso sulle labbra.
«Fila» sillabo con un cenno del capo alla porta. Lui ride e mi lascia un bacio a fior di labbra, prima di sparire in camera da letto.
Amatemi, che ho scritto che aggiornavo domani è invece eccomi qui...
Come va? Vi è piaciuto il capitolo?
Sono troppo felice di essere riuscita ad aggiornare, anche se siamo sempre più vicini alla fine. Mancano esattamente sette capitoli+ l'epilogo, e io non sono pronta ad affrontare l'abbandono di Amanda e Adrien.
In compenso però, il giorno dell'apertura dei WATTYS, tredici luglio, pubblicherò il prologo della mi nuova storia: JUST ONE LOOK. Riguardo la storia di Edoardo e Grace invece, ho bisogno di pensarci.
Tornando al capitolo, secondo voi, cosa fanno Xanvier e Anita insieme? Che casini ci sono dietro? Edoardo e Amanda faranno pace? Marco starà a casa come da patti?
Tutto questo e molto altro nel prossimo capitolo...
Marzia c'ha fatto prendere un'infarto, ma ok. Poi c'è Jacques che si improvvisa manager e gli stivali che scappano, ma lasciamo stare.
Vi porgo una domandina, tanto per perdere tempo. Secondo voi, quando anni ho? Chiara, A., F., e E., vedete di stare zitte, grazie.
Vabbè, ci vediamo tra pochi giorni, prometto.
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️❤️
P.s.
sto 'na crema vuol dire che si sta molto bene🍯
Je ne sais pas. Ne pourrions-nous pas organiser pour novembre? Je ne serais peut-être pas seul= non so. Non potremmo organizzare per novembre? Potrei non essere solo.
Il y aurait Balmain en novembre. Et autre chose, mais je dois entendre l'agence= potrebbe esserci Balmain a novembre. E altre cose, ma devo sentire l'agenzia.
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